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Autore: LeMuseInquietanti    04/04/2009    2 recensioni
Asfittici sentori che gli causavano astio verso il mondo mascherato. Dannati i sorrisi finti. Avrebbe voluto far tramontare le stelle, e perdersi nel buio di una notte senza tempo. Ma quella notte sarebbe trascorsa, ed un giorno, sarebbe ripiombato in quel circolo vizioso in cui diveniva vittima e carnefice. Tre lunghi anni, e non aver dimenticato.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy | Coppie: Draco/Hermione, Draco/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1.

She

 

{ Che è la stessa illusione, mondo e mente
Che nel mistero delle proprie onde
Ogni terrena voce fa naufragio.

   Ungaretti. Il tempo è Muto.}

 

 

 

 

 

Avevo spesso avuto la sensazione di doverla rivedere.

Eppure ero certo che non avrei provato altro che tiepida indifferenza.

Come in mare, avrei nuotato abbandonandomi ai flutti, ad occhi serrati per diventare io stesso parte della natura. Dissolversi nella spuma, profumare di salsedine. Fluire, scorrere via. Acqua. Espiazione dei peccati e delle omissioni. E delle notte passate ad amare un vampiro senz’anima.

Purtroppo- un purtroppo c’è sempre quando vale la pena raccontare una storia- non avevo fatto i conti con le maree. Ho l’acqua alla gola. Fatico nel tenere il capo a galla. Annaspo, muovendo i piedi con rabbia per non venir trattenuto da qualche demone famelico nell’abisso.

Ma non ce la faccio.

Mi afferra. Mi tiene stretto per le caviglie. Comincia a tirare. Strattonando verso la voragine ciò che resta del mio cuore.

E poi vene, arterie e valvole si spezzano. L’acqua mi invade, ed io non sono più spuma, né mare. Sono la Morte, fluido impalpabile aspirato inconsapevolmente.

Mi riempie i polmoni. Soffoco.

E gli occhi, follemente, tastano il fondale che appare nero, senza fine. E poi una luce.

Una luce che mi acceca. Perdo il controllo.

Smarrisco me stesso.

Perché il demone che mi trascina ha mani, e gambe che conosco. E le sue fossette. E occhi crudeli che tante volte ho visto offuscati da desideri velenosi. Bramava me un tempo. Il mio corpo. Pensavo anche il mio animo, mi sbagliavo. Cose della vita.

Adesso preferirei che si prendesse il mio corpo, che lo offrisse alle tempeste e ne facesse razzia, in preda alla furia ferina per cui tutti al suo passaggio restano abbagliati e si innamorano.

Ma le donne sono volubili. Hanno mille complicazioni per la testa.

E ora, il mio vampiro non punta al sangue. Ora non gli basta mordere per cibarsi.

Ora vuole la mia anima.

La vuole e non avrà pietà né delle mie lacrime, né delle suppliche.

Sono passati tre anni, dall’ultima volta che ho visto il mio vampiro.

Ed ora che so che è qui, a Londra, e cammina sovrappensiero per i viali, a braccetto di un mostro perverso e corrotto, non riesco ad avere pace.

Io che vivevo rincorrendo la Bellezza negli angoli dove preferisce nascondersi. Io, seguace del metodo freudiano mi affido ad una pazza per eccellenza, nevrotica, brutale, prepotente.

Vigliacco come sono, come sono sempre stato, non so fare altro che camminare nella notte.

Non voglio rincasare. Non voglio vedere nessuno.

Nemmeno Blaise con le sue avventure erotiche e la gelosia della Greengrass riesce a scalfire questa corazza d’angoscia.

La notte è buia, ed io mi sciolgo nella sua cieca sordità.

Senza nemmeno una carrozza, irrigidito nel mio cappotto scuro.

Vedo petali di stelle staccarsi smossi dal vento e scivolarmi addosso.

Tutto scivola, e non riesco a fermare il tempo.

Tre anni sono passati. E lei è tornata qui.

 

 

La mattina era iniziata in maniera burrascosa.

Il cielo di Parigi, sempre grigio e sempre volubile, era attraversato da rondini impazzite, che si raggruppavano sui balconi borbottando nel loro linguaggio segreto. Non avevo dormito, non avevo mangiato. Ero pallido, e da poco mi era stato detto che avrei dovuto recarmi perfino al lavoro. Ragionevole. Dopotutto sono un medico. Studioso della mente umana. Uno studioso delle nevrosi femminili.

Dalle donne dopotutto sono amato. E spesso sono causa delle loro nevrosi.

Pertanto avevo unito l’utile al dilettevole, scegliendo una mansione che mi permettesse di vedere il lato corrotto del Bello, l’innocenza delle confessioni smaniose, sporche di peccato, le labbra tremule di donne che avevano smantellato il loro animo vendendolo a pezzi ai migliori offerenti.

Prostitute alle volte. Spesso signorine annoiate. O peggio, innamorate. Le studio, tento di salvarle. A volte ci riesco, altre volte divengono dipendenti da me. Allora perdono davvero il senno.

Impazzendo lentamente, fino a stordirsi.

Dopotutto è un bel lavoro. C’è sempre qualche giovane pronta per perdere la testa.

Il Cardinale Riddle mi aveva da poco procurato un nuovo ingaggio.

Collaboravo con le istituzioni clericali, all’inizio, per spiccare il volo nel mondo del lavoro. Adesso sono loro che collaborano con me. O così mi piace pensare.

Comunque detesto la demagogia della chiesa. Pensano sempre che ci sia del losco sotto. Non accettano la natura umana probabilmente, per questo si negano i piaceri della vita. Negando la bellezza, unico scopo da perseguire in un mondo dove impera il grigio diluvio della decadenza.

Il Cardinale era un uomo molto potente. Legato alla mia famiglia non so da quanto tempo.

Creatosi dal nulla, come una cattedrale ora soverchiava tutte le altre abitazioni, che prima deridevano quell’ammasso di mattoni informe.

Doveva aver venduto l’anima al demonio. Lo stesso contro cui lui si batteva tanto.

E mi aveva chiamato proprio per salvare una “donna dall’estrema perdizione” aveva scritto.

Sospirando, annebbiato dal sonno e dal pensiero dell’anniversario della sua fuga, presi una carrozza e mi avviai per i viali adombrati di Parigi. Era una città squisita. Meno sporca di fumi e borghesi della cara vecchia Londra. La Parigi di fine secolo sapeva d’amori turbolenti naufragati nella Senna. Di illusioni stellate d’artisti scoppiati. Era l’unica terra in cui potessi ritrovare il Bello. E con esso, me stesso.

La carrozza che mi stava trasportando, aveva lo stendardo dei Malfoy inciso ad ambo gli sportelli. I bambini mi sorridevano stupiti per strada. Mi divertivo a fulminarli con espressioni di puro disprezzo. Non mi piaceva fraternizzare con il popolo. Ricettacolo di rivoluzionari e ruba fazzoletti.

Superai tra questi pensieri la Parigi in cui io mi muovevo, diedi le spalle a teatri per rifarmi gli occhi con i bordelli più squallidi della metropoli.

Raggiunsi una minuscola abitazione, poco distante dalla Senna. Era davvero una casupola bizzarra, quella al numero 5 di Rue de Plumet.

La carrozza mi lasciò lì.

Avrei dovuto parlare con la mia nuova “possibile posseduta”.

E convincere stato e chiesa, della sua sanità mentale.

L’ultima volta che ci ero riuscito, la giovane si era suicidata.

Temevo non poco i miei pazienti. La Pazzia mi faceva paura come la neve d’estate.

E mi affascinava, come la neve d’estate.

 

Aveva le labbra adombrate da un ghigno perfido che persisteva ormai da alcuni minuti. Continuavo ad osservarla, domandandomi quando avrebbe smesso quell’espressione pericolosa. Mi causava un po’ di diffidenza devo ammetterlo, pareva si stesse facendo beffe di me.

Ma passavano i minuti, e quel sorrisetto malefico si sedimentava sulla bocca, e si espandeva, cogliendo le iridi pallide e spettrali, nevi che si dissipavano scivolando nell’abisso scuro delle pupille. Il contrasto tra luce e ombra mi terrorizzava. Caricato dalla massa vermiglia dei suoi capelli sciolti, scarmigliati, selvaggi, mi stava conducendo inevitabilmente verso la paranoia. A volte l’unico modo per fare mente locale è complicare tutto offuscando la ragione. Lo smembramento del pregiudizio richiede la lacerazione della razionalità. Getta nel vento coriandoli di buonsenso.

Erano frasi che solevo ripetere ai miei clienti, ma lei parlava con una voce melliflua, glaciale, che probabilmente giungeva direttamente dall’altro mondo e mi impediva di darle alcun consiglio. Doveva sapere già tutto.

Orecchini eleganti pendevano dai lobi, appena visibili oltre lo schermo dei capelli. La luce delle candele, disposte in maniera ridicola intorno al tavolino rotondo in modo da rendere solenne e misterioso quell’antro ingabbiato nella notte e nei tendaggi cremisi, illuminava la sua pelle pallida, e si rifletteva sui suoi bracciali, sui preziosi con cui si era agghindata. Indossava una maschera, quella della Sacerdotessa della Verità. Colei che vedeva oltre il marasma caotico, in cui la prospettiva si dissolveva frastagliandosi in linee spaventate in cerca di un infinito differente e solitario. La donna del destino, dalle labbra arricciate in un sorriso beffardo, labbra rosse e socchiuse che parevano sostenere un peso terribile, il mistero delle cose visibili e invisibili.

Ed io la guardavo, con un misto di terrore e di scetticismo, fingendo di credere ad ogni sua parola, ma tentando di non bermi assolutamente niente di quanto quella creatura chimerica presto o tardi mi avrebbe detto.

La donna alzò gli occhi, oltre le lunghe ciglia scure. Notai le sue unghie lunghe, laccate, un anello simile ad una spirale risaliva rabbiosamente il suo mignolo, competendo con il tempo e la gravità a conquistarne la cima. Dinamismo cristallizzato, fermo per sempre sulle sue dita.

E gli occhi, rimanevano impassibili, puntati su di me.

Il mistero del tempo intrappolato nelle pupille.

E il segreto dei segreti, sulle labbra.

<< Si sieda di fronte, altrimenti non riesco a vederla. >>

Spalancai gli occhi senza volerlo. Terrorizzato o stupefatto, o ambo le cose, o nessuna delle due. La donna aveva parlato. Spostai la seggiola, seguendo il punto che lei mi indicava con un gesto vaporoso della mano. Vi erano talmente tante candele la cui luce convergeva verso il mio viso, allora, che mi sentii subito avvampare. O forse, era la vicinanza della sacerdotessa, ad annebbiarmi il cervello.

<< Perfetto. Adesso per lo meno potrò guardarla in faccia. >> sussurrò, spostando all’indietro la testa. Una fragranza strana e maliziosa, raggiunse le mie nari. Incenso. Mi riportava indietro nel tempo, alla domenica in paese, la cattedrale sbilenca stipata di persone, odori e voci si mescolavano, navate ricolme di penitenti, peccatori vestiti a festa, zaffate d’incenso che si perdevano sulle nostre teste. Era il tempo in cui mi illudevo che quel profumo potesse cancellare le lordure del mondo. Mi lasciavo assorbire, dissolvendomi nel mare nebuloso della fragranza benedetta dall’alto.

Era stato dolce, cadere nell’illusione.

<< Perché mi guarda così? >>

Istupidito alzai gli occhi. Arrossii. << Come la sto guardando? >> chiesi perplesso.

Sorrise. Il ghigno si solidificava sul suo viso. Devastando le gote esangui. Non strappavano nemmeno un po’ di colore alla vita. Sembrava una morta in ghingheri nella sua veste candida accesa dai bagliori degli opali che ondeggiavano dalle catenine preziose, cappi che le serravano l’esile collo. Eretto e fiero, nonostante tutto.

<< Dal colore dei suoi occhi, dubito che lei riesca davvero a vedere qualcosa. Con tutto il rispetto per la sua condizione. >>. Mi dimostravo più coraggioso di quanto non mi sentissi realmente. Quella donna dalla bellezza malsana, malaticcia, debole, un fiore di ghiaccio abbandonato da una fanciulla incosciente su una panchina assolata, mi terrorizzava.

Era bella. Drammaticamente bella. E quella dote poteva esserle stata infusa solo dal Signore o dal Demonio. Quel ghigno scuro non mi lasciava troppi dubbi sull’artefice di tanta opulenza.

Scossi il capo pensando alle assurdità che mi si affollavano nella mente. Dovevo aver preso troppo sul serio la questione, solo perché anche io la trovavo affascinante.

Piacere non è mai una colpa.

A parte per chi ha giurato solennemente di non gradire mai nulla sulla terra.

Sospirai.  Il cardinale Riddle mi aveva assoldato pagandomi profumatamente. Oserei dire oltre ogni mia aspettativa, anche la più rosea. Questo confermava il mio disprezzo nei confronti della chiesa. A cosa non erano disposti, quegli spilorci, per accrescere la loro credibilità? Perfino a spendere un patrimonio, pagando me, un medico chissà come venuto alla ribalta per recar disturbo ad una donna, ritenuta niente poco di meno che la manifestazione fenomenica del Male.

Una Madonna Nera dagli occhi vuoti e dalle labbra tumide.

<< Di lei si parla ormai in ogni angolo della città, dai sobborghi fin nel cuore di Parigi. Dicono che abbia poteri sovrannaturali. >> continuai, accendendomi una sigaretta senza fare troppi complimenti. Quando sono agitato mi metto a fumare.

La donna sorrise. Gli occhi di neve si fissarono sul mio viso. Non capisco chi la guidasse, ma individuava sempre le pupille dei suoi interlocutori. Rimase a fissarmi giusto un secondo, perché il mio cuore rallentasse. Non mi capitava facilmente di suggestionarmi per una possibile paziente. Ne avevo viste di crudezze e due occhi annacquati non mi avevano mai spaventato.

<< Anche lei è molto famoso, Dottore. Dicono che abbia anche lei dei poteri sovrannaturali. >> replicò.

Ignorai la punta acuminata della sua ironia, mi aveva appena sfiorato, decisi di impedire ai graffietti di sanguinare. << Il metodo scientifico e le sue applicazioni non hanno nulla di misterioso o inspiegabile, signorina. Sono solo un uomo che ha scelto di incanalare il potere del cervello arginando ogni aberrazione, ogni follia e perseguendo una via meticolosa, metodica basata sull’applicazione del principio di causa-effetto in ogni occasione. Sfrutto l’esperienza per costruire la teoria. Studio gli uomini, e le loro malattie affidandomi alla scienza, unica vera arma di indagine di cui l’uomo sia in possesso per demistificare le ingiustizie e le affettazioni apparenti del mondo. La scienza, l’arma con cui aggrapparsi all’essenza del Bello >>

<< Eppure ha accettato di venire qui, nella mia baracca e di parlare con una inetta del mio calibro. Perché, signor Malfoy tanto disturbo? Ognuno ha il suo modo personale di leggere e interpretare la realtà. Una povera tisica come me ha il sacrosanto diritto di sputare sul suo metodo scientifico finché le piace. Sono anche cieca. La sua scienza mi ha etichettato sempre nel gruppo dei malati, annoverandomi tra i deboli. Eppure non mi sento né malata né debole. >>

<>

<< D’accordo Dottore. Gran bel pericolo pende sulla mia testa. Come se fossimo realmente liberi. Come se le donne poi, fossero libere nello stesso modo degli uomini. E mi chiami Hermione. Il perbenismo mi uccide. >>

Hermione. Questo nome doveva essere fittizio. Lo confermava il collarino, abbandonato sulla cassapanca mangiucchiata dalle tarme e rosa dall’umidità. Giaceva in un angolo  semibuio della tenda. Quella donna non era che una povera prostituta tisica e cieca,  abbandonata a se stessa.

<< L’opinione pubblica dice che lei abbia la capacità di collegare questo mondo a quello ultraterreno. >> continuai, abbassando lo sguardo perché non mi si leggesse la triste scoperta appena fatta. Ricordavo a malapena che i suoi occhi non riuscissero a penetrare nel mondo, quasi fossero ribaltati all’indietro e vedessero i colori dell’anima.

Temevo ciò che mi suggerivano quegli occhi. Non si poteva spiegare con la ragione.

Temevo quella donna. Schietta, d’accordo. Ma continuavo a percepirla come cesellata in una gabbia filiforme di mistero. Azzurro, verde, bianco pallido. Le sue guance così spente.

<< Sono diverse le persone in grado di farlo. >> fece lei, alzando appena le spalle. << Osservare è più facile di quanto ci si aspetta, dopotutto. >>

Chissà come mi accesi una seconda sigaretta.

Avevo i capelli appiccicati davanti agli occhi, le candele mi abbagliavano. Lei nel suo buio insondabile, forse appena rischiarato da quelle fiammelle luminose, continuava a mantenere il contegno con cui mi aveva congelato da principio. Sorrideva debolmente, schiacciando in me ogni forma di razionalità. << Quindi lei non nega di manifestare queste capacità? >>

<< Non ho tantomeno asserito di possederle. Mi pareva evidente. >>

<< Stiamo costruendo sofismi. Non mi piace giocare con le parole. >>

<< Temo sia inevitabile esasperare i discorsi, tra estranei che preferirebbero rimanere tali. >> borbottò lei, ma lo fece con un tono talmente naturale che rimase interdetto a guardarla, a metà tra l’offeso e il divertito.

<< A me piace discutere con persone particolari. >>

<< Cosa intende per particolare, signor Malfoy? >>

attesi un attimo, per raccogliere le idee << Ogni fenomeno fuori dall’ordinario è particolare e degno di attenzione >>

La sentii sbuffare. << Bisognerebbe poter essere Dio per distinguere tra ciò che è ordinario e ciò che gli uomini vogliono illudersi sia al di sopra del comune. Tutto è natura, e quanto ci appare superbo, speciale, sublime, è solo il lato più edificante della natura. Ciò da cui non ci sentiamo sminuiti. Lei non crede, signore? >>

<< Non mi piacciono i sofismi >> replicai. E forse arrossii ancora. Ciò che non accettavo effettivamente era la sua capacità di rendermi completamente succube, al punto da risultare stupido.

<< Prima ho consultato le carte >> mi annunciò mentre con fare esperto si alzava in piedi, e tastando, con le dita esili e nobili sul tavolino, cercava di arraffare un set di tarocchi ricalcati, probabilmente vecchi secoli.

<< La aiuto >> mi proposi. Mi fulminò con un gesto meccanico.

Così osservai quelle vecchie carte.

La storia dell’eresia mi si stagliava davanti agli occhi.

Ed io lasciavo correre il mio sguardo in quello ieratico della giovane.

Con l’inverno nelle palpebre e un marchio di fuoco sulle labbra.

<< Cosa le hanno detto? >> chiesi, accomodandomi meglio sulla sedia instabile.

Le sue dita rincorrevano disegni ruvidi, curvilinei,terribili rimanendo in silenzio. Muoveva appena le labbra, le sue mani, strumenti con cui conquistare il mondo, vedevano più di mille occhi.

Dentro nell’infinito. Oltre la nebbia dell’apparenza.

Almeno non si contorce pronunciando il nome di Dio invano, mi venne da pensare per stemperare la tensione.

<< Sì, dovevano star parlando proprio di lei, dottor Malfoy. Le carte mi dicono che oggi sarebbe arrivato l’uomo che mi avrebbe cambiato la vita.>>

<< Spero sia pronta al cambiamento allora. >> esclamai, mostrandomi a mio agio. Sono sempre stato un pessimo attore, questo fu il cruccio di mia nonna per parecchi anni.

La donna mi osservò. Se poteva dirsi osservare rivolgermi il viso, forse guidata dalle luci fatue disposte sul tavolo rotondo, non mi sorrise. Non mi rispose.

Mi diede le spalle, potei contemplarla un istante prima che riprendesse a parlare. Il silenzio che seguiva ogni suo periodo mi rendeva più arduo adempiere al mio compito.

Convincerla a farsi visitare.

 << Quello che mi chiedo >> fece improvvisamente lei muovendo appena le labbra rosse << è se lei sia in grado di cambiare la mia vita. >>

<< Mi dica, Hermione. Cosa intende? >>

<< Un medico. Immagino voglia semplicemente visitarmi, ascoltare il battito del mio cuore, controllarmi il polso, i bronchi. Le solite stupidaggini. Scoprirà che sono tisica e che probabilmente ho da vivere più di quanto possa sopportare. Sinceramente ormai sono disgustata e vorrei solo andarmene. >>

<< Il Cardinale Riddle non pensa sia solo tisi. >>

Hermione si portò le mani alla bocca. Sospirò << Quello sporco chierico vi ha mandato qui. avrei dovuto fidarmi maggiormente del mio fiuto. Puzza di morte questa camera, da quando lei ha fatto il suo ingresso signor Malfoy. Quell’uomo non dovrebbe assolutamente irretire giovani menti votate alla scienza con le sue baggianate, certamente adora un dio, ma dubito sia quello in cui lei crede.>>

<< Padre Riddle ritiene che lei sia un emissario del Male, io semplicemente che lei soffra di nevrosi, signorina Granger. Il suo caso è discusso da parecchi mesi, vorrei poterla visitare per dimostrare ai miei colleghi e alla Chiesa l’idiozia di una simile superstizione. >> dissi io schietto, fingendo di non aver udito una sola parola da lei appena proferita.

Hermione Granger stava riponendo in un minuscolo cassettino i suoi tarocchi. Udendo simili parole lasciò che le carte scivolassero dalle sue mani. Papesse, giullari, regine e l’Appeso franarono sul pavimento, disponendosi cupamente a casaccio.

<<  Quando la volpe non arriva all’uva dice che è acerba!>>

<< Il Cardinale Riddle vuole il bene della comunità in fondo. È nella sua formazione, il vizio di credere sia sempre opera di esseri sovrannaturali. Chi discorre su Dio alla fine si convincerà di poterlo vedere in tutte le cose. >> risposi io, tranquillamente.

La signorina Granger rivolse nel vuoto un’occhiata sprezzante. I suoi occhi di ghiaccio riflettevano ogni briciola del suo tormento, nonostante paressero essenzialmente specchi increspati e gelidi.

<< Quell’uomo tentò di rinchiudermi in un manicomio. Non essendoci riuscito da solo, ora vuole l’appoggio della Medicina per sbattermi al fresco.>> ringhiò. Si poggiò su una seggiola, respirando affannosamente.

Allora mi alzai, e le andai vicino. << Fortunatamente dovrebbe pensare, signorina Hermione. La Medicina non ha nulla in comune con la chiesa, eccetto il desiderio di guarire e di cercare la verità.>>

<< Non sempre la verità vuole essere trovata, signor Malfoy. A volte bisognerebbe lasciarla in pace. La realtà si rivela autonomamente, a poco a poco. Lo spirito umano non saprebbe sostenerla tutta d’un colpo, per questo la assimiliamo in piccole dosi giornaliere. >>

<< Immagino che la sua completa possessione la otteniamo solo nella morte, secondo questa ideologia >> azzardai io, gettandomi indietro i capelli. La donna sorrideva con un ghigno freddo.

<< Ipotizzo che questo le appaia inaccettabile. Tuttavia è per la visione che lei ha della morte. Tutti la ritengono il traguardo dell’esistenza, qualcuno ne parla come un inizio. Ebbene, è solo uno spartiacque. Credo che Hegel avesse ragione, è una sorta di processo triadico-dialettico. In parole povere glielo spiegherò, signor Malfoy. Nasciamo spirito, ci alieniamo sotto sembianze umane intraprendendo un cammino conoscitivo in cui abbiamo appena il tempo per abituarci al metodo d’azione della verità, e poi torniamo spirito ed allora viviamo e possiamo rivelare. >>

<< Cosa possiamo rivelare, Hermione? >>

i suoi occhi di ghiaccio si posarono sul mio petto.

I capelli rossi scandivano il ritmo dei suoi respiri.

<< La verità. Possiamo rivelare frammenti di verità ai viventi. >>

Per poco il cuore non mi si fermò. Sapevo che l’avrebbe detto, ma speravo in un colpo di scena. La realtà superava l’immaginazione.

<< Questo mi lascia supporre che lei sia in comunicazione con loro.>>. La mia voce uscì rude, ogni lettera parve raschiarmi la laringe. Le corde vocali bloccate.

I suoi occhi su di me mi ghiacciavano il sangue.

<< Loro sono in comunicazione con me. >> chiuse secca Hermione,annunciando di avere una consulenza con un cliente. mi indicò l’uscio, con il suo passo per nulla incerto.

Quando le fui vicino sentii la sua mano, rude come un artiglio, impossessarsi della mia spalla.

<< Faccia attenzione al Cardinale Riddle >> sussurrò, roca.

Mi divertii a specchiarmi negli occhi gelidi della megera << Si dice Medico, cura te ipse. In questo caso il proverbio è azzeccato per lei, signorina Granger. Si faccia visitare, e non avrà alcun problema con quell’uomo. Farò in modo che non la disturbi mai più.>>

La vidi irrigidirsi. << Quell’uomo mi tormenta da anni ormai. Lei non può farci niente, Draco >>

Mi sospinse fuori, con un sorriso falso non rivolto al sottoscritto.

Infatti un secondo dopo scorsi entrare un nuovo ospite.

Lasciai indugiare i miei occhi sulle sue mani mentre serrava l’uscio con decisione. Non mi mossi a lungo. Rimasi quasi un’ora, immobile dietro la porta.

Pensando ad Hermione e ai suoi tarocchi che le permettevano di visualizzare piccoli squarci di verità. Una verità in cui io, uomo di scienza stentavo a ritenere tale. Eppure iniziavo a temere. Temere di crederle, forse inconsciamente, forse lontanamente. Mi sentii svuotato appena girai l’angolo e mi incamminai lontano dai sobborghi più squallidi di Parigi. Lontano dai suoi occhi di ghiaccio, dalle labbra rosse e dai capelli scarmigliati che riflettevano il colore del tramonto.

La notte cadde su di me, e mi sorprese in un locale del centro, a bere più di quanto potessi permettermi. Non avevo voglia nemmeno di ubriacarmi, sapevo solo che era preferibile dimenticare.

I tarocchi mi inquietavano. Lei mi inquietava. Padre Riddle era la quintessenza delle mie paure.

Soprattutto, svuotando l’ennesimo bicchiere, osservando il fondo ancora bagnato da minuscole gocce, mi resi conto di un particolare che mi turbò oltre la sbornia.

Perchè quando feci per pagare, cercai nelle tasche una banconota, ma trovai sul fondo qualcosa di inaspettato. Era una carta.

Fissai il barista, stupefatto. Lui mi ricambiò con un accenno di curiosità palpabile sulle labbra.

La carta della Morte mi sorrideva, sorretta dal palmo della mia mano.

Impossibile non tremare.

Impossibile non giurare di indagare più a fondo.

Avrei scoperto cosa si celava, dietro quegli occhi di ghiaccio, a costo della vita.

E soprattutto, decisi di dover fare luce anche sulla questione del Cardinale Riddle.

Dietro ogni mistero c’è una cospirazione. E nell’occhio del ciclone, in quella calma piatta che faceva acquistare colore al mondo, decisi che quella sarebbe stata la mia storia, il mio destino. Non si poteva dire no alla carta della Morte. Non quando essa rappresentava la propria anima.

 

 

Rimasi a bere e ad architettare la futura incursione nella vita della sfuggente Hermione per diverse ore, dimentico delle persone affaccendate che mi sfilavano attorno. Cosa avrebbero detto, se avessero visto me, un anacronismo di uomo, una sorta di reietto tra i Dandy e di Eletto tra i borghesi, così preso da dimenticare il mondo, abbandonato sullo sgabello a contar le bolle d’aria del suo vinello?

<< Da quando hai perso il senso del gusto, Dray? >>

Fu allora che la marea finì di travolgermi.

Uno strattone alle caviglie. Persi il respiro.

Mi voltai sconvolto, annaspando nel vuoto.

Tamponando all’improvviso con il suo sorriso crudele.

Continua.

 

 

 

Il Piacere, il Trionfo della Morte, Controcorrente, il ritratto di Dorian Gray.

Cosa posso farci, sto studiando il Decadentismo.

Non è colpa mia se mescolo la minaccia del nido di Pascoli alla ricerca della bellezza negli antri della perversione e del degrado.

Né che cerco quella foresta di simboli che Baudelaire ha cantato con la sua nobile lira.

>,< temo che non mi perdonerete mai per questo. Ma provateci, se ci riuscite.

Eccovi il capitolo numero 1.

 

Presto Draco avrà il suo bel da fare.

Ora che è tornata colei che lo tiene in pugno.

Anche se, come avete visto, si lascia suggestionare abbastanza facilmente.

Basta essere appena appetibile e molto folle, per colpire uno come lui.

Spero che vi farete ancora sentire, dopo questo capitolo.

Povero Voldemort, ridotto ad un Cardinale corrotto.

U,u è quello che si merita.

Comunque sia, avrete notato che la storia è ambientata nella Parigi di fine ‘800 e i nostri non hanno la magia dalla loro.

Preferisco sia così, ma l’elemento rimane nella cieca Hermione.  Diavolo, una Hermione cieca e dai capelli rossi. E che legge le carte. Decisamente OOC.

Per il particolare della cecità prendetevela con Victor Hugo, un altro mio adorato.

 

Non sparite mi raccomando *_* lasciate un commentino?? >,< por favor!

  
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