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Autore: variopintadite    17/04/2016    3 recensioni
Mi prese la mano stretta a pugno e cercò di farmi allentare la presa. Riluttante, smisi di opporre resistenza. – Stai tremando – constatò guardandola. Mi accarezzò le dita. Le portò alle labbra, baciandomi le nocche.
- Chissene frega – risposi, con la voce rotta.
- Frega a me.

***
- Sono fidanzata.
Era una mezza verità… non stavo mentendo, in fin dei conti.
- Pessima idea – rise sulla mia bocca. Non sapevo se fossero tre o quattro millimetri quelli che ci dividevano.
- Perché? – chiesi, come fanno i bambini curiosi di capire il mondo. Con parsimonia recuperavo il poco ossigeno che era avanzato nella stanza. Lo stavamo consumando a furia di sospiri.
Il malefico dito si intrufolò nei miei slip, ma rimase lì, come una promessa o una tortura. Questo ancora non sapevo decretarlo. – Perché, - esalò con voce roca – ora posso baciarti.
Andai a sbattere con la testa contro il muro a causa della sorpresa. – No… non posso. Io sono impegnata.
- Impegnata a farti fare preliminari da me? – soggiunse, lasciandomi un lieve bacio sul mento.

***
ATTENZIONE: il linguaggio è prettamente volgare.
PRIMI CAPITOLI IN REVISIONE!
Genere: Commedia, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 12


Ero seduta in autobus, con la testa poggiata al freddo finestrino. Scorsi gli alberi spogli - che non erano così maestosi come in primavera – i quali parevano ripiegarsi su se stessi, troppo pudici per mostrare il proprio scheletro. Non c’erano più i fiori variopinti che li adornavano e che davano l'idea di tante gemme preziose.
Mi morsi il labbro inferiore persa in quel panorama che aveva molto da invidiare alle altre stagioni. Oramai l’autunno aveva ceduto il posto all’inverno. La maggior parte delle persone ama la neve, pensai. Io il freddo non lo tollero, preferisco il calore incessante del Sole che ti accarezza la pelle, come una calda carezza.
Mi tirai su, sporgendomi per prenotare la fermata. Le mie dita sfiorarono quelle di una ragazza, ma non una qualunque: era Ella Posey, sorella di Oliver. Per la sorpresa mi sfuggì un debole gemito.
Ella era il prototipo di Barbie con le extension bionde e i vestiti griffati. Mi lanciò un’occhiataccia per poi scostare la propria mano. Prese dalla borsetta di Louis Vitton un gel igienizzante. Non cercò nemmeno di nasconderlo, anzi, desiderava palesarlo con appariscienza: toccare un essere umano non popolare era disgustoso.
Offesa girai lo sguardo altrove. Quella? Sorella del mio Oliver? Scherziamo?
Non che fosse stata la prima volta, no. Ma questa volta la faccenda acquisiva maggior notorietà visto che era parente del mio pseudo-fidanzato. Scesi i pochi gradini che mi separavano dalla strada; dietro di me sentii lo scalpiccio di tacchi. Non riuscii a frenare l’impulso e mi voltai nella direzione in cui avevo sentito quel rumore.
Ella se ne stava a pochi passi da me, intenta ad inviare un messaggio. Mi guardò torva, un esplicito invito a farmi gli affari miei.
Ostentai indifferenza, fissandomi la punta delle scarpe, per poi fingermi interessata al paesaggio circostante. Tornai a guardarla, per fortuna aveva distolto lo sguardo, rivolgendolo al display del cellulare – un cellulare costoso, ovviamente. Aveva le stesse adorabili fossette di Oliver…
Dovevo girare i tacchi e far cadere l’accaduto. Eppure quello strano evento, una Posey, una riccona che faceva sfoggio della propria presenza, in un quartiere frequentato da persone anonime, era uno scoop. Non ero una gossippatrice come Abbigail Finnick, affatto, ma c’erano cose che non potevano essere ignorate, dove la curiosità non si tratteneva dal fare capolino.
- Che hai da guardare?
Sussultai sorpresa, era la prima volta che mi rivolgeva la parola.
- Nulla. – La mia, una flebile risposta.
Ero curiosa, ma il suo tono affettato mi fece fare retromarcia. Fu come accorgermi che la mia sanità mentale stesse peggiorando senza ombra di dubbio: non era normale spiare gli altri.
Mi diressi verso casa, appena una manciata di minuti di tragitto, in cui la mia pancia emise rumori imbarazzanti per rivendicare del cibo.
Il tepore mi avvolse una volta che misi piede nella mia dimora e mi beai di quella piacevole sensazione, mentre mi sfilavo le scarpe, sostituendeole con le ciabatte e appendendo la giacca all’appendiabiti.
- Ciao mamma! – Tentai come sempre di riportare un po’ d’allegria in quella casa ormai priva di calore.
Nessuna risposta però giunse. Mi addentrai nel salotto, controllando il divano che, però, era vuoto. La chiamai nuovamente ed il silenzio era tutto ciò che mi veniva restituito.
Pensai fosse andata in bagno, quindi non mi preoccupai più di tanto. Mi misi subito ai fornelli, la merenda esigeva di essere preparata. Poggiai il cartone di succo con i due bicchieri: uno per me e uno per mia mamma. Andai in bagno, dopo aver salito i gradini della scala: nulla.
Decisi di darle un colpo di telefono, ipotizzando dove potesse essere andata mentre pigiavo il tasto di chiamata.
- Naomi? C’è qualche problema? – Sentire mia madre preoccupata mi sconvolse; mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo, a quando ancora ero la sua bambina.
- Ah… mamma. – Aggrottai le sopracciglia, scossa per quella sua uscita. – Sto facendo i pancakes. Puoi dirmi dove sei?
- Vedi, tesoro. – Rimasi a bocca aperta: da quando in qua mi chiamava in quel modo? – La mamma sta lavorando. – Mi cedettero quasi le ginocchia per la felicità.
- Dici sul serio? – Mi morsi le labbra, avevo voglia di urlare al mondo la mia gioia.
- Sì… sto lavorando.
- Quindi… preparo solo per me?
- Sì. Io torno stasera, fai la brava. – In risposta le elargii il mio miglior sorriso: sincero e rilassato, seppur non potesse vedermi.
- Okay. A più tardi, ma’.
 
Continuavo a girovagare per la mia stanza, impaziente. Mi scervellavo sul perché mia madre fosse cambiata di punto in bianco. Forse… quelle pastiglie che avevo trovato nel bagno stavano facendo il loro lavoro? Aveva trovato un compagno? Aveva fatto pace con la sua amica che non vedeva da secoli? Andava dalla psicologa? Infinite possibilità si srotolavano dinnanzi a me. Ed ero così contenta che tutto si stesse rimettendo a posto, mi sentivo più speranzosa ogni minuto che passava.
Questo finché nel pomeriggio, mentre ero intenta a svolgere qualche esercizio di matematica (ero davvero speranzosa), qualcuno citofonò. Sulla soglia del portone trovai stagliato un Doug trafelato: che diamine stava succedendo? Era sempre impeccabile, mai un capello fuori posto… in quel momento era tutto fuorché ben messo. Il sudore gli imperlava il viso e piccole ciocche umidicce di capelli scuri gli si erano attaccate alla fronte. Ew.
- Papi? – chiesi, timorosa di ricevere una risposta sgradevole.
- Naomi, c’è tua madre? – Non avevo mai sentito uscire quella parola dalla sua bocca: lui diceva “mamma”. C’era qualcosa che non andava, qualcosa di grosso.
- È a l-lavoro – mormorai, più confusa che mai.
- Ah… - La mia replica lo prese in contropiede. – Capisco. Allora… vado. Posso telefonarle.
Lo afferrai per la manica della giacca di pelle nera che stava indossando. -  Che è successo?
- Nulla, va tutto bene, tesoro.
- Doug, ti prego, non mi escludere. Sono la tua figliastra.
Sospirò forte, quasi gli costasse fatica. – Ho problemi con tuo padre.
- Sì… ma non è la prima volta che litigate. Non capisco.
- Non lo vedo da ieri sera. – Dovetti aver lasciato trapelare la mia preoccupazione, perché cercò di tranquillizzarmi. – Sicuramente va tutto bene. – Mi accarezzò la testa con dolcezza. Era l’unico in famiglia che ancora mi coccolava.
Non persi tempo e subito digitai il numero di papà, mentre il panico mi afferrava la gola.
Dopo parecchi squilli giunse il tanto desiderato: Pronto?
- Papà, dove sei?
Nel giro di un pomeriggio avevo posto la stessa domanda ad entrambi miei genitori: volevano farmi venire un infarto?! Più immaturi di un adolescente, diamine.
- Non urlare. Sono… non lo so. Che c’è? – biascicava le parole una dopo l’altra, lentamente. Era più che brillo, ne ero certa.
- Passamelo – mi implorò Doug, ma non gli diedi retta.
- Perché non sei tornato a casa ieri? – lo accusai su tutte le furie.
- Ho litigato… con il tuo p-patrigno – rispose, con amarezza.
- E c’era bisogno di stare fuori? E bere, per giunta!? – Ero esterrefatta. Ma erano cose da fare alla bellezza di trentotto anni?
- Signorinella, tu non mi devi rimprovare un cazzo! E ora stai zitta, sei una fottutissima lagna.
Scostai il telefono dall’orecchio: quello era un duro colpo. Era ubriaco, certo, ma comunque fece male lo stesso.
- Naomi? Ehi? – Non proferii alcuna parola.
Doug mi rubò il cellulare dalla mano. – Che diavolo le hai detto? Hai traumatizzato nostra figlia!
Mio padre disse qualcosa, al che lui ribatté – Oh, no, ti sbagli! Solo perché non è sangue del mio sangue, questo non significa che io non possa amarla come se fosse mia figlia! Dio santo, James! Quanto hai bevuto?
La conversazione durò ancora per un po’, io nel frattempo mi ero lasciata cadere sul divano, col vivido desiderio di sparire.
Dopo una sfuriata di alcuni minuti – che a me parvero anni – agganciò.
Doug riemerse poco  dopo dalla cucina, porgendomi una tazza fumante. La presi pigramente. Non avevo voglia di niente, se non di scuse.
- Dai, tesoro, fammi contento – mi esortò lui. Il suo tono entusiasta era sfumato, ma c’era ancora quella scintilla caratteristica di lui: cercare di risollevare il morale altrui.
- Mio padre è uno stronzo – sussurrai, prendendo un sorso di cioccolata. Mi scottai la lingua e così lanciai un piccolo grido.
- Fa’ attenzione. – Mi sorrise.
- Adottami – gemetti.
Scoppiò a ridere. – Se riuscissi a convincere Jem a sposarci… allora sì, potrò essere a tutti gli effetti il tuo papà... – disse.
- … preferito – aggiunsi, sollevando con fatica gli angoli della bocca.
 
 
Mia mamma stava cantando. Proprio così.
Era tornata da mezz’ora scarsa e sotto la doccia si stava esibendo in una cover di Call Me Maybe di Carly Rae Jepsen. I miei timpani stavano congiurando contro di lei, mentre la mia mente macchinava ipotesi su ipotesi. Il mondo si era ribaltato in poche ore. Le tre figure più importanti della mia vita mi stavano scombussolando l’esistenza con dei drammi a mo’ di Beautiful, o anche una soap opera ancor più scadente.
- Mamma? – Entrai nel bagno, sedendomi sul water, dopo aver abbassato la tavoletta. – Ci sono novità?
Un sorriso enigmatico fu tutto ciò che mi restituì.
- Oh, andiamo! Non fare la misteriosa! – borbottai, mettendo su un finto broncio.
- Nulla – cinguettò, col sorriso che le impreziosiva il volto. Da quanto non la vedevo così spensierata?
- Sei stonata, comunque – precisai, curvando le labbra.
- Eh, già! Non hai preso da me su questo. – Chiuse gli occhi, mentre si massaggiava energicamente lo shampoo sulla cute.
Avevano fatto pace lei e papà? Non capivo. Papà era ubriaco fradicio e non era venuto a passare la notte qui. Senza contare che fosse gay.
- Eddai, mamma, mi dici che è successo? – Ero curiosa in una maniera esasperata.
- NULLA – cantò a squarciagola, infilando questa parola nel ritornello.
- Mi farai impazzire, oh! Inutile che resti, mi daresti motivo di tapparti la bocca con dello scotch. E non ridere – la rimproverai, - i miei timpani vogliono suicidarsi.
 
Quella sera mi immersi in una lettura piacevole: Facciamo finta che di Jennifer Cruisie. Ridacchiai come una dannata, fra una pagina e l’altra; ero viva, sensazione che i libri erano in grado di regalarmi. Al termine del romanzo scivolai in un sonno senza sogni.
 
La mattina successiva mi alzai, svolgendo meccanicamente le solite azioni e presi il pullman. Mi sedetti davanti, come sempre, ancora un po’ assonnata, mentre cercavo di ripetere inglese.
Keira era appostata davanti al grande cancellone ancora chiuso e, quando mi scorse, agitò la mano. Ricambiai il saluto, ma rimasi piantata dov’ero a ripassare.
- Ohi, mi stai snobbando? – mi chiese,  agguantando il libro di inglese che reggevo fra le mani.
- No, certo che no! Sono un po’ in ansia per l’interrogazione.
Mi diede una pacca sulla spalla. – Non farti tutti questi problemi. Sei intelligente.
La guardai di sbieco. – Questo non mi assicura una A o una B.
- Forse questo ti risolleverà il morale: io ho studiato questa mattina.
Questo duplicò la mia ansia. – E ora come farai?! Come fai a non aver paura? Io mi sto letteralmete cagando in mano, non mi posso permettere un’altra C.
- Su, su, Nami.
La guardai, sorpresa. Avevo un soprannome… e mi piaceva. L’abbracciai, sotto la sua espressione dubbiosa. Gli occhi blu confusi.
- Quanto sei affettuosa! – mormorò, mentre mi stringeva a sé; il libro che mi aveva sequestrato premuto contro la mia schiena. – Sei proprio un dolcetto.
Lo scampanellio della campanella di prima ora ci fece staccare e io me lo ripresi. – Tranquilla – ripeté, - farai faville, se ti chiama.
 
Nei corridoi, durante il cambio dell’ora, mi scontrai con Newell. Non feci in tempo a dirgli scusa che si era già defilato coi suoi amici, dopo avermi lanciato uno sguardo enigmatico. Fottuti occhi verdi.
Non ero mai stata il genere di ragazza che insiste, ma scorgerlo ovunque, mentre mi evitava, mi urtava parecchio. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi.
L’occasione mi si presentò all’intervallo. Lo inchiodai contro la macchinetta: non mi sarebbe scappato. – Ehilà – lo salutai con nonchalance.
- Levati – borbottò a bassa voce, mentre mi spingeva da parte con le sue mani grandi; il tutto afferrandomi per i fianchi. Feci una cosa avventata (non che, andare a cercare il lupo nella sua tana, non lo fosse già di per sé): appoggiai una mano sulla sua. Rabbrividii, non ero preparata, e sul suo viso vidi riflesso il mio stesso smarrimento.
- Cosa stai cercando di fare? – disse, guardandomi con intensità; strinse la presa sulle mie anche.
- Cosa stai cercando di fare tu? – lo rimbeccai. La miglior difesa è l’attacco.
- Non ho voglia di giocare, piccola.
Il mio volto divenne livido. – Non chiamarmi in quel modo!
- Perché vieni a rompermi i coglioni quando sei mestruata?
Aveva perfettamente ragione. Cos’ero venuta a fare? Carpe diem… un corno!
Mi divincolai debolmente, in fondo non mi stava trattenendo. Ero libera di volare via da lui.
Newell afferrò la mia mano giusto in tempo. – Tallish.
Voltandomi, lasciai che il mio sguardo si tuffasse nel suo. – Naomi – sussurrai. Lui mi guardò disorientato. – Chiamami Naomi: basta formalità. Okay, Cameron?
- Naomi – mormorò, e nelle sue labbra mi parve di avere un nome magico. Scossi la testa. Che pensieri idioti stavo facendo? Manco le pellicole romantiche di serie C!
Una risata squarciò quel silenzio.  - Naaah, preferisco Tallish, piccola.
Le mie labbra si aprirono, in una “o” di tutto rispetto. Sbuffai come un toro, uno pronto a incornare il torero.
- Sei impossibile – gemetti, alzando gli occhi al cielo.
- Tu sei impossibile! – Il suo ghigno fece la comparsa su quel volto scolpito. Odioso, pensai.
- No.
Alzò un sopracciglio. – Non lo sei?
- No – ripetei, arretrando, mentre lui si avvicinava. Poco dopo la mia schiena si ritrovò incollata al muro.
- Provamelo – sussurrò, mentre la sua mano mi afferrava il mento. Il suo sguardo era calamitato dalle mie labbra socchiuse. A vederlo, pareva che la mia bocca fosse terribilmente invitante e sensuale.
Baciami. Ti prego… fallo. Divorami.
- Non posso.
- Ma vuoi - ribattè lui, la voce bassa e suadente.
- Non dire idiozie! – lo rintuzzai, cercando di cacciare via quei desideri proibiti.
Newell posò le labbra sul mio collo, succhiando piano. – Ma cosa sei? Un vampiro? – tentai di ridicolizzarne il gesto. Stavo tradendo Oliver, in un certo senso. O forse no? Quelli potevano benissimo essere degli innocenti succhiotti…
Ritentai di buona lena di respingerlo. L’intenzione era quella di afferrargli la testa per farlo staccare dal mio collo, peccato che, quando feci ciò che mi ero promessa, le mie mani lo spinsero contro di me.
Stavo perdendo il controllo di me stessa.
Nemmeno la cioccolata mi faceva un tale effetto. Newell era un pericolo in carne ed ossa; dovevo evitarlo. Mi diedi della sciocca: era stata mia l’idea di importunarlo e in quel momento si era verificato l’esatto opposto, io ero la vittima e lui il carnefice.
Chissà quanto si stava divertendo… non che io fossi da meno, eh.
Perfetto. Ero irrimediabilmente spacciata.
 
Mi scostai dalla sua bocca che mi stava infiammando, con l’obiettivo di darmi un minimo di contegno. Mi stavo comportando davvero male con il mio pseudo-ragazzo, e questo non lo meritava.
L’intervallo era suonato da un pezzo, il corridoio si presentava come una landa desolata. Solo pochi studenti si apprestavano ad andare a lezione, più che altro erano i soliti ritardatari che si fermavano fuori a fumare.
- Allontanati – gli ordinai, con tono fermo, in uno sforzo sovrumano.
- L’educazione l’hai lasciata a casa – ribatté Newell, che mi fissava le labbra con sguardo famelico.
- Per favore – soggiunsi, in tono implorante, lasciando incatenare il mio sguardo al suo.
Sospirai appena quando le sue dita affondarono nei miei capelli chiari, scostandomi quella frangetta, ormai cresciuta, che mi intaccava la visuale.
La sua mano, poi, si perse a giocare con la mia capigliatura.
Dimenticai completamente che lo stessi respingendo. I miei pensieri erano fissi sulle sensazioni che il suo tocco mi trasmetteva. Com’era possibile che stesse accadendo tutto ciò? Lui era il ragazzaccio, lo strafottente, quello che le ragazze le faceva divertire a letto. Forse era una trappola, un diversivo per convincermi ad aprire le gambe. Ma non mi allontanai, non questa volta.
- Naomi – soffiò piano, e la sua voce accarezzò il mio nome con una dolcezza inaspettata, tale da provocarmi inspiegabili brividi lungo la spina dorsale.
Volevo baciarlo, non mi importava del resto. Se lo avesse fatto, se avesse provato a premere le sue labbra sulle mie, non mi sarei tirata indietro per nulla al mondo.
- Stai tranquilla – disse in un sussurro appena impercettibile.
- Sì – fu la mia debole replica.
Newell abbassò la testa e accostò il viso al mio. Il suo respiro sapeva di caffè, dentifricio e un’altra cosa che non sapevo definire. Sentii le sue labbra sfiorare le mie e…
Click.
- Cos’è stato? – Mi ridestai d’improvviso, spaventata, allontanandomi dalla sua bocca.
Click. Di nuovo.
- Ma è possibile che veniamo sempre bloccati nel momento clou?! – Alzò le mani al cielo, in cerca di una spiegazione. Io lo ignorai.
Un rumore attutito di passi mi fece insospettire. Uscii dall’atrio in cui ci trovavamo e vidi di sfuggita una figura incappucciata correre via.
- Ehi, tu! – gli urlai dietro, azzardando qualche passo incerto. Non riuscii a capire se fosse maschio o femmina, ma di certo era uno studente.
- Torna qui – brontolò Newell, riferendosi a me.
Mi incamminai verso di lui. – Non hai sentito anche tu? – lo interrogai. Ci mancava che avessi allucinazioni.
- No. Ero impegnato a baciarti. E, a proposito di questo, che ne dici se continuassimo da dove ci eravamo interrotti?
Gli lanciai uno sguardo esasperato. – Qualcuno ci ha ripresi.
Alzò un sopracciglio. – Embè? Vuoi fare la detective e scoprire chi sia la mia ammiratrice segreta? – Più che ammiratrice, direi stalker, pensai.
Strinsi i pugni lungo i fianchi. – Perché non capisci quando è il momento di scherzare e quando non lo è?
Sorrise, mentre si metteva a braccia conserte. – Devi capire che le persone farebbero di tutto per immortalarmi in una foto.
Lo interruppi. – E perché non capisci che la mia soglia di sopportazione è arrivata ad una deadline? Renditi utile. Come? Gira al largo.
Si mise le mani fra i capelli, spettinandoseli. – Fino a due secondi fa ti saresti fatta fare di tutto, e ora mi liquidi in questo modo… Sei bipolare, mi sa.
Sbuffai, prendendo la decisione di tornare a lezione, con la convinzione che fosse la scelta migliore. Il mio tentativo fu ostacolato dalla sua forte presa sul mio braccio. – Dove te ne stai andando?
Inclinai la testa ed abbassai lo sguardo sul pavimento, evitando di incrociare il suo. – In classe.
- Tallish – disse.
Lo guardai.
- Se anche ci avessero scattato una foto, be’… non devi preoccuparti. Sarà qualche persona che ha una vita molto triste e si diverte a fare queste cazzate. Tieni conto che non ci siamo nemmeno baciati. Non hanno nulla da usare contro di noi, okay?
Annuii col capo, in un certo senso rincuorata. – Hai ragione.
La sua mano si avventurò sul mio fianco, mentre l’altra si ostinava a tenermi ferma. – Visto? Ti ho tranquillizzata... me lo merito un bacio, no?
A dispetto delle sue parole, la sua voce mi rese torrida. – Sì, lo meriti – risposi, e prima che provasse ad annullare la distanza. – Troverai qualcuna che esaudirà il tuo desiderio.
- Solo per questa volta non insisterò più, ma stanne certa che quel Primo Bacio sarà mio.
Eccomi lì, pronta a contestarlo. – Io ho un ragazzo ora.
- Quindi il bacio sancirebbe una relazione? Ecco perché non me lo permetti. Tu credi di essere fidanzata e di avere una sorta di obbligo morale nei suoi confronti.
La mia bocca si spalancò.
- Che c’è? – disse Newell, stringendomi un po’ il fianco, scherzosamente.
- Quello che dici…
- … è la verità, lo so.
- … tu sai parlare in modo dignitoso.
Mi fece scivolare la mano lungo la schiena, poco sopra il sedere. – Ehi, così mi offendi! – replicò, sorridendo.
Arricciai il naso. – Non sarebbe la prima volta. Hai sempre avuto un modo di fare da buzzurro, non credevo fossi capace di parlare. I miei più vivi complimenti.
Il mio interlocutore azzardò a far scivolare la mano sempre più giù. Mi lasciai scappare un gemito – non saprei dire se fosse di sorpresa, di piacere, oppure entrambi.
Un’espressione soddisfatta gli si dipinse sul volto. – Mi piace quando ti lasci andare.
- Merda – imprecai sottovoce.
- Non dirmi che è l’ennesima interruzione – si lamentò, mantenendo il contatto visivo.
- De Niège – sussurrai spaventata. - Quella mi scuoia se sa che sto con te.
- Ah, staresti con me? – ghignò.
- Non fare il deficiente! Aiutami.
- Dimmi tutto.
- Devi andarle incontro e distrarla. Io scappo.
Alzò un sopracciglio. – Che ottimo piano! E se mi mettesse una nota?! – Si riferiva al nostro balzare le ore di lezione per (quasi) pomiciare.
- Per fortuna quella manco si ricorda di tutti gli studenti, se non di te – farneticai fra me e me,  rendendolo partecipe. - Se non si avvicina troppo, cieca com’è, non scoprirà chi io sia.
Il ragazzo aprì bocca per replicare, ma io lo interruppi bruscamente: - Ora! –
Corsi come una pazza, attraversando l’atrio in cui l’avevo trovato,  le due macchinette piene di leccornie affiancate al muro, e passai per la porta, che metteva in comunicazione un lungo corridoio, con una sfilza di aule. Continuai a correre, più che altro arrancavo, prossima allo sfinimento.
Dovevo fare sport, mi promisi.



ANGOLO AUTRICE:
Non sono morta, giuro! Perdonatemi l'imbarazzante ritardo, non so con che faccia tosta io mi ripresenti dopo mesi in cui voi attendevate un mio cenno di vita... però, eccomi qui con il nuovo capitolo! 
Da una parte è successo di tutto, ma allo stesso tempo il nulla. Insomma abbiamo una Naomi che si ritrova a dover fare i conti con due genitori che si comportano in modo molto sospetto e anche immaturo, un Doug dispiaciuto (povero cupcake) che è l'unico adulto a dare sostegno psicologico e "fisico" (= la conforta, accarezzandola) alla nostra protagonista. Come si fa a non amarlo?
Keira è sempre disponibile con Naomi, anche se ha reazioni un po' particolari. E mi cucio la bocca su questo... poi capirete. uu
Cameron Newell per una volta che si faceva i cavoli propri si ritrova nuovamente Naomi fra i piedi, poraccio ahahhahahah. E' superfluo che io vi sottolinei l'evidenza, però posso farvi notare che non è il solito triangolo amoroso dove la protagonista si crogiola nel far soffrire due persone; la Tallish non è quel tipo.
Inoltre Cameron si comporta da sempre male con lei, non dandole il giusto rispetto, dovete ammetterlo.
Oliver è il suo ragazzo e li vedremo interagire ben presto come coppia (cosa sono quelle faccette sconsolate? I NALIVER sono pucciosi, suvvia!); su di lui ci sono molte cose da dire, nei seguenti capitoli capirete (spero) al meglio questo personaggio che io adoro, così come adoro TUTTI.
E nulla, ragazzi, cos'altro posso dirvi se non rigraziarvi? State crescendo di numero fra seguite/preferite/ricordate e neanche ho spammato su FB e questo mi riempie il cuore di sconfinata gioia. 
Un grande grazie a chi mi lascia sempre due paroline, per farmi sapere che ne pensa e a chi mi dedica lunghi papiri che mi fanno gongolare <3
Spero di ritrovarvi nelle recensioni ^^

Se qualcuno ha FB - che sia real o fake poco importa - e desidera seguire un po' il mio sclero, se volete parlare di qualcosa come libri, serie tv, film, inviatemi una richiesta d'amicizia! :3 
Oppure, se qualcuno desidera chiedermi informazioni sulla storia, o se volete essere contattate personalmente per i miei aggiornamenti su FB, basta dirmelo e provvederò volentieri ^^
Questo è il link del mio profilo: https://www.facebook.com/variopintadite.efp 
Se non mi trovate, in un MP potete dirmi il vostro nome e vi cerco, so che ad una ragazza sia successo purtroppo ^^"



 
   
 
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