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Autore: killer_joe    20/04/2016    2 recensioni
Sanji è un informatico che vive solo per il suo lavoro, immerso nel tran-tran quotidiano e nel rimpianto di aver perso l'unica cosa che lo rendeva felice.
Ma non si sa mai cosa può riservarti la vita, a volte può capitare una seconda occasione e bisogna essere in grado di coglierla.
Sarà capace, Sanji? O rovinerà di nuovo tutto?
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Il titolo è penoso, lo so... concedete alla mia storia il beneficio del dubbio!
La Sanji/Zoro è presente nelle tematiche ma non è descritta nelle azioni.
Attenzione, Sanji a volte impreca in maniera colorita!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Portuguese D. Ace, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO



Continuiamo a scriverci ogni giorno per quasi tre mesi. Non ci diciamo granché a dire il vero, parliamo del più e del meno e in definitiva è come se stessimo commentando le condizioni atmosferiche e l’inflazione crescente, ma almeno stiamo parlando. Credo sia davvero patetico a pensarci bene, ma mi sembro un’adolescente alla prima cotta. E, a dire il vero, è una sensazione meravigliosa dopo tanta solitudine.

Marimo idiota: “Come sta Patsy?”


Questa è bella, se la ricorda ancora?

“Bene, mangia, nuota e dorme tutto il giorno… vita da tartaruga”


Commento, evito di alludere al fatto che, se sostituiamo ‘nuota’ con ‘lavora’ potrebbe benissimo descrivere la mia vita di questi ultimi due anni…

“Entro in ufficio. Ci sentiamo quando stacco”


Marimo idiota: “Mm… divertiti :P”


Ecco che mi sfotte, ha sempre riso del fatto che abbia fatto dell’informatica un lavoro. Per lui è incomprensibile, il computer è un amico fedele e i programmi alla stregua di vicini di casa. Per non parlare dei virus, la sua ‘invincibile armata’… non posso comunque fare a meno di sogghignare, soprattutto sapendo che il suo conto in banca, ottenuto tramite trasferimenti poco legali e ignobili ricatti, ha almeno cinque zeri in più del mio. Forse la scelta giusta è stata la sua.



La giornata passa in fretta, in quest’ultimo periodo sento il cuore leggero. I problemi da risolvere non mi sembrano più così fastidiosi e complessi, i colleghi mi paiono più simpatici e tutto ha preso colori più brillanti nonostante sia già settembre e si stia avvicinando sempre più la data di scadenza del mio contratto, mio e della mia squadra. Abbiamo avuto un anno eccellente, siamo riusciti a risolvere tutti i problemi di sicurezza, anche i più complessi, limitando i danni… non ho timori, ho ottime probabilità di essere riconfermato. Anche questo, neanche a dirlo, grazie a lui, lui che riesce a dipingere di rosa anche le giornate più grigie. Temo di essere un parassita, di essermi attaccato a lui perché non sono in grado di camminare con le mie gambe. Ma svanisce ogni dubbio quando, in pausa pranzo, è lui il primo a scrivermi.
Credo che la nostra relazione non sia un parassitismo. E’ più simile ad un tacito mutuo soccorso, ognuno da all’altro ciò che può offrire. Il fatto poi che quello che ho da donare io sia infinitesimamente inferiore a quello che mi regala lui ogni istante è un discorso diverso su cui dovrò seriamente riflettere.

Anche il pomeriggio passa rapido, oggi stacco alle sei. È una calda giornata di metà settembre, pregusto già una passeggiata attraverso il parco per arrivare a casa, sarebbe meraviglioso se venisse anche Zoro invece che ostinarsi a rimanere chiuso in quel buco di appartamento per un non ben chiaro ‘voto di reclusione’ cui ha deciso di consacrarsi. Scuoto la testa al pensarci, a volte le sue manie da hacker consumato lo rendono un asociale e disadattato nerd da quattro soldi. E io, con il mio lavoro, i miei soldi e la mia bella vita piena di lustrini, ho pensato bene di rinfacciarglielo, di fargli pesare la sua natura. Mi sono allontanato ogni giorno di più, costruendo mattone per mattone un muro tra noi, una barriera tra ciò che è ‘cool’ e quello che è ‘out’. Per poi rendermi conto che avevo perso l’unica cosa che rendeva la mia vita quello che era. Felice.

Esco dal palazzo con il forte desiderio di trovarlo lì fuori ad aspettarmi, è sciocco, lo so, ma sognare non costa nulla. E qualcuno ad attendere c’è veramente, ma non è lui. E’ Ace.
Ci guardiamo in cagnesco, non è una novità. Ostentando sicurezza decido di ignorarlo, magari è qui per incontrare qualcun altro o forse è capitato per caso. Una chimera, purtroppo, mi segue immediatamente e mi sbarra la strada. Il suo sguardo mi trapassa da tanto è penetrante. Nei suoi occhi leggo fastidio, dolore e rabbia, tanta, profonda e raggelante. Credo che se potesse darmi fuoco non ci penserebbe un solo istante.
Alzo un sopracciglio guardandolo interrogativo, e il mio atteggiamento altezzoso sembra mandarlo ancora più in bestia. Sbuffa forte, per tranquillizzarsi, prima di attaccarmi.
“La devi smettere, hai capito? Smettila!” sbraita, si fa violenza per non mettermi le mani addosso. Non mi scompongo, continuo a fissarlo in silenzio. Stringe i pugni fino a sbiancare le nocche.
“Tu… non ti permetto! Non lo meriti!” sentenzia, abbassando la voce, il corpo scosso da brividi. L’ultima affermazione mi colpisce in pieno. Spalanco gli occhi, chi si crede di essere?
“Sei tu che non devi permetterti. Lasciami in pace” rispondo laconico, non voglio continuare la conversazione, ho paura di quello di cui potrebbe accusarmi. Ace alza gli occhi al cielo in un gesto di stizza, dalla gola emette un ringhio basso come fosse un animale ferito. Alza di nuovo gli occhi, incatenandoli con i miei.
“Non sai nulla… niente. NIENTE! L’hai… l’hai distrutto una volta e io non tollererò tutto questo di nuovo. Sparisci!” alza i toni e lo dice. Dice quello che non avrei voluto sentire, quello che mi ripeto da solo, ogni giorno, nel silenzio della mia casa, tra le pareti bianche che sembrano ovattare tutto, anche il senso di colpa. Ma sentirlo così, a voce alta, è straziante. E’ il dolore sordo di una lama che trafigge il petto, dritta al cuore. E’ il tonfo pesante della consapevolezza. E’ la verità che non puoi negarti.

Giro sui tacchi e me ne vado. Sì, la mia camminata è sostenuta ma tranquilla, un controsenso rispetto al tumulto interiore che mi scuote in tutto il corpo. Le ginocchia tremano, il labbro vibra, le mani, rigorosamente affondate nelle tasche dei pantaloni, sudano, e non certo per il caldo.
Ho sancito la fine della discussione e sembrerebbe che, con un atto di accondiscendenza, io abbia risparmiato parole dure ad un innamorato non ricambiato. Una prova di maturità di Sanji Vinsmoke che, finalmente, decide di crescere.
Invece no. E’ una fuga, la mia. Come il codardo che sono, scappo a gambe levate dalle accuse, legittime, che mi stanno facendo morire di dolore.
Mi ostino a credere di essermi calmato; Ace è lontano, non mi ha seguito, e io sono libero di tornare a casa, farmi una doccia, cucinare qualcosa di gustoso e guardare un film. Libero di rilassarmi…
Non me ne accorgo ma è il mio corpo che, al ritmo frenetico dei miei pensieri, comincia a correre come disperato. Fendo l’aria da tanto vado veloce, la gente mi osserva stranita ma non sono nemmeno consapevole di dove sono ormai. Finalmente riesco a vedere qualcosa, nella confusione che nella mia mente regna sovrana, qualcosa che è fondamentale ed è sempre stato lì, scemo io che non l’ho mai afferrato. Perché lui non l’ha mai amato Ace, ma ha amato me. Ed io ho amato lui.
E lo amo ancora, dio solo sa quanto.

La mia corsa non si ferma, nemmeno davanti al portone rosso dalla serratura sempre aperta. Non si ferma sulle scale, perché macino le rampe e senza accorgermene sono davanti al suo appartamento, sudato come se fossi appena uscito dalla doccia, con il respiro pesante e il cuore che batte a mille.
Sbatto il pugno sulla porta, ripetutamente e forte, molto forte, quella stupida porta è solo un ostacolo. La sto per prendere a calci, provo a sfondarla rischiando di slogarmi una spalla quando finalmente si apre, e l’espressione di Zoro è confusa e un po’ spaventata quando guarda il responsabile di tutto quel casino.
Chissenefrega.
Gli butto le braccia al collo e unisco le nostre labbra, respirando il suo profumo di muschio e pino che mi ha sempre fatto impazzire. All’inizio è troppo scioccato per rispondere, rimane fisso per un lungo istante prima di sciogliersi anche lui e perdersi nel bacio. Non perdo tempo, chiudo la porta con un calcio e intanto lo spingo attraverso il salotto ed entro in camera senza mai separarci, mi è mancato troppo e non voglio dividermi da lui nemmeno un secondo.  Le sue labbra sono morbide, come le ricordavo, e hanno un sapore aspro, di limone, che mi riporta a sensazioni lontane. Sento il fruscio dei vestiti, che vengono abbandonati sul pavimento, e le lenzuola soffici sotto ai palmi.
Sono a casa.



Prendo una profonda boccata dalla sigaretta, per poi rilasciare il fumo nell’aria. Dalla finestra entra una brezza leggera, così come i raggi dorati del sole, prossimo al tramonto. La stanza è immersa nella fiacca di fine giornata, una rilassatezza pesante che sento anche nelle mie membra. Mi piace fumare dopo aver fatto l’amore, mi sembra la conclusione perfetta per un momento perfetto.
Ho la testa appoggiata al cuscino, lo sguardo rivolto al soffitto, il braccio non impegnato a reggere la cicca attorno alle spalle di Zoro. Lui mi abbraccia in vita e sonnecchia, il viso sulla mia spalla, gli occhi semichiusi e il respiro regolare. Abbasso lo sguardo e gli poso un bacio leggero sui capelli, per poi tornare ai miei pensieri, anche se in fondo girano sempre attorno al ragazzo tra le mie braccia. Quando parla, la sua voce è talmente fioca che a momenti non riesco a sentirla.

“…non farlo a pezzi”

Abbasso di nuovo lo sguardo e lo incateno con i suoi occhi pece, che mi guardano da sotto il velo di stanchezza che li offusca. Non riesco a fare altro che contemplarlo, è bello come un dio, e gli sorrido, mi è mancato così tanto… mi guarda, capisce che non ho afferrato un tubo di quello che ha detto e mi ripete, paziente.

“E’ come la CPU di un computer, è fragile… va protetto. Non farlo a pezzi”

Questa volta ho sentito, ma non ho comunque compreso. Lui ce l’ha, questa mania delle metafore informatiche… ma non voglio assolutamente rovinare il momento, in fondo lui mi ha accettato, di nuovo, dopo quello che gli ho fatto passare, nonostante le mie incertezze e i miei difetti. Che cosa volete che sia una leggera ossessione per la tecnologia? Non è nulla che non possa imparare ad amare.

“Spiegami”

Fa un tentativo di roteare gli occhi, senza successo perché il sonno sta vincendo la sua ultima resistenza. Si accomoda meglio sulla mia spalla e infossa il viso tra il mio collo e la clavicola, lo sento sorridere a contatto con la mia pelle. Fa un sospiro leggero di finta esasperazione.

“Il mio cuore, Sanji. Non spezzarlo più”

In questo momento è il mio cuore che sobbalza, crolla fino alle ginocchia per poi rimbalzare e fermarsi in gola, probabilmente è colpa sua se non riesco a rispondere senza soffocare. Rischio di piangere, sento già le lacrime che pizzicano a bordo degli occhi, ma decido di ricacciarle indietro. Lo stringo più forte a me, come se questo gesto insulso possa cancellare anni di dolore e solitudine, i suoi e i miei, uguali ma diversi, allo stesso modo strazianti.

“Lo custodisco io”

Ora posso rimediare ai miei errori, posso cancellare i suoi tormenti. Mi è stata donata una seconda possibilità di essere felice, e non la getterò alle spine. Questa è la vita, può portarti via tutto o darti delle occasioni meravigliose, che sta a te non sprecare.

Oggi la vita mi ha regalato la felicità. E io non la perderò, lo prometto.
















Angolo dell'autore:

Bene bene... con un po' (?) di ritardo è arrivato anche l'epilogo di questa fanfiction un po' folle, un po' strana, molto introspettiva e decisamente OOC...
Come vi sembra? E' un esperimento riuscito?

CI tengo davvero molto a questa storia, ci ho messo tanto impegno e, oserei dire, l'anima per scriverla... contiene molto di me, dei miei pensieri, delle mie convinzioni e delle mie paure.
Per questo ringrazio tutti voi che siete arrivati a leggerla fino alla fine.

Un grazie sentito e un bacio

killer_joe












   
 
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