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Autore: eleCorti    30/04/2016    1 recensioni
“Io... posso saperla?” e all’improvviso la bambina che c’era ancora dentro di lei rinacque.
“Certo...” le sorrise. Per lei era ancora la sua adorata nipotina che – quando era bambina – veniva sempre a casa sua per sentire fantastici racconti sulla sua vita.
“Sono passati ottantacinque anni...” prese una pausa. Quelle dolorose scene erano riapparse nella sua mente come flash.
Ispirata dal film Titanic.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti | Coppie: Sana/Akito
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lovers



 
La sala da the. La signora Kurata – la madre di Sana – quel pomeriggio aveva deciso di trascorrerlo proprio lì, in compagnia delle sue cosiddette amiche, anche se erano di tutto tranne che quello.
Stavano discutendo sull’importanza – a quel tempo – per le giovani fanciulle dell’alta società di trovare un buon partito per garantirsi un futuro solido e la giovane donna non poteva essere più che soddisfatta. Perché? Sua figlia era apposto sotto quel punto di vista.
“Sì, lei ha ragione marchesa. Almeno mia figlia ha tutto questo garantito” disse, dopo aver bevuto una tazza fumante di the e sorridendo soddisfatta.
“Guardate sta arrivando quell’insopportabile della signora Mary” la marchesa di San George – una delle donne più ricche di Londra – una donna dai capelli castani, indicò la donna che stava venendo incontro loro.
“Presto, andiamocene prima che ci noti!” esclamò la signora Kurata. Lei non sopportava quella donna, colei che lei definiva nuovi ricchi non degni di far parte dell’alta società.
“Buonasera signore, posso unirmi a voi per un the?” sorrise loro, fingendo di non capire che la volessero evitare.
“No... veramente stavamo andando sul ponte per prendere un po’ d’aria” la signora Kurata capì che doveva inventarsi qualcosa pur di sbarazzarsi di quella donna.
“Oh bene! È quello che ci vuole!” Mary, invece, si unì a loro.





 
****


 
“Certo che la bisnonna era così diversa da te...” Eri, come consuetudine, interruppe il lungo racconto della nonna.
“Già...” era vero: lei e sua mamma erano l’una l’opposto dell’altra.
“Che fine ha fatto?” lei non ne aveva mai sentito parlare ed era curiosa.
“Sai...” s’interruppe. La tristezza s’impossessò di lei. La verità era che dopo il naufragio sua madre non si era mai preoccupata di sapere che fine avesse fatto.
“Io... non lo so. Da quando sono arrivata qua a New York, non ho più avuto notizie di lei...” le rivelò. Ed era vero.
“Dunque...” decise di non indugiare oltre e proseguì con la sua storia.




 
****


 
Ormai il Sole stava quasi tramontando – il cielo, infatti, si era tinto di un rosso intenso – ma, nonostante ciò, i due giovani erano ancora affacciati alla ringhiera del ponte a chiacchierare tra di loro.
“Mmm... vediamo... sono stato su un peschereccio, poi a LA, lì ho frequentato le medie e poi...” lei lo ascoltava rapita. Sorrideva come non mai. Tutti quei racconti la affascinavano, o forse era colui che parlava che le mozzava il fiato.
“Io... vorrei essere come te Akito: libera e senza pensieri. Libera di poter fare ciò che voglio...” si toccò l’anello mentre lo diceva. Quel piccolo gioiello rappresentava la sua prigionia. Prigionia in una vita che non le apparteneva. Mai.
“Un giorno, magari, potremo andare a Santa Monica... chissà...” iniziò a fantasticare.
“No! Lo faremo!” lui, invece, ne era sicuro. Perché?
“Faremo ciò che vogliamo! Andremo al luna Park, cavalcheremo le onde, berremmo birra!” si fece prendere dall’emozione. Lei era con lui: rideva.
“Io... però non so come si fa. mi insegni?” si riferiva a cavalcare.
“Sì! Poi t’insegnerò a masticare il tabacco!” si fece ancora prendere da quell’entusiasmo che non gli apparteneva. Lei gli faceva quell’effetto.
“E a sputare!” e lei era ancora più frenetica di lui.
“Non sai sputare? Non te l’hanno insegnato quei damerini?” sapeva che non si sarebbe offesa per quella definizione.
“No...” lei negò, divertita.
“Vieni ti faccio vedere!” fece qualche passo in avanti, tendendole la mano.
“Eh?” non capiva.
“Ti faccio vedere come si fa!” afferrò la sua mano e la trascinò con sé.
“Akito! No aspetta!” lei cercò di opporsi, ma invano. Sapeva dove fossero e temeva che qualche occhio indiscreto la potesse vedere.
“Bene...” si fermarono in un’altra parte del ponte, più coperta.
“Guarda bene ciò che faccio!” le intimò. Poi inspirò profondamente e liberò la saliva nelle acque marine.
“Ma è... che schifo!” non poté fare a meno di dire.
“Fallo tu!” le intimò. Lei ripeté – più o meno – gli stessi movimenti del giovane, ma il risultato fu molto diverso.
“No! Faceva schifo!” fece anche un’espressione contrariata.
“No devi fare leva sui polmoni. Usa anche le braccia per aiutarti!” le fece vedere ciò che aveva appena spiegato. Lei cercò di imitarlo.
“Riprova!” le intimò. Lei, intanto, prendeva aria dai polmoni. Non si accorse, però, che dietro di loro stava arrivando qualcuno.
“Così va già meglio!” si complimentò con la giovane, una volta che ebbe eseguito l’esercizio.
“Certo devi migliorare ancora...” aggiunse, di certo senza volere demoralizzarla.
Stava per mostrarle un’altra dimostrazione, quando – con la coda dell’occhio – vide una donna che lo guardava con l’aria contrariata. Si girò di scatto. Quella doveva essere la madre di Sana.
La signora Kurata, infatti, li guardava con uno sguardo truce. Arrabbiata? Sì e molto.
“Mamma...” la giovane Sana finse di essere sorpresa. O forse lo era.
“Lui è Akito Hayama...” avanzò verso la genitrice, indicandogli il ragazzo. Voleva cercare di limitare i danni.
“Incantata...” si girò verso Akito, guardandolo con uno sguardo di sufficienza e nel suo tono vi era il disprezzo. Poi si rigirò verso la figlia.
La giovane Sana raccontò a sua madre e alle sue amiche come si era incontrata con Akito, menzionando, perciò, la storia del salvataggio. Si accorse, con molto rammarico, che sua madre guardava il ragazzo con uno sguardo di disprezzo come se fosse un insetto da schiacciare. Un insetto pericoloso.
“Akito allora è sempre meglio averla a portata di mano!” scherzò la signora Mary.
Il suono di una tromba interruppe la discussione: era giunta l’ora di cena.
“Vieni mamma andiamo a prepararci!” la giovane Kurata prese sottobraccio sua madre, portandola via.
“Ci vediamo dopo Akito” prima di andarsene non poté fare a meno di salutarlo.
Lui le sventolò la mano, seguendola con lo sguardo. Si stava innamorando. Non si accorse, dunque, che l’unica donna rimasta lì volesse parlargli.
“Ragazzo... ragazzo!” attirò la sua attenzione. Il giovane, infatti, ruotò la testa verso la sua interlocutrice.
“Sai in che guaio ti stai cacciando?” cercò di ammonirlo. Lei non era come le altre e si vedeva. Perché? Lo stava aiutando, semplice.
“No...” le rispose, sorridendo come un ebete. Era ancora estasiato da quella soave visione, qual era quella bellissima fanciulla.
“Beh sappi che stai per entrare nel loro regno...” lo avvertì ancora.
“Che cosa vuoi indossare?” gli domandò, mentre squadrava quei vestiti. Non andavano bene e Mary lo sapeva.
Il giovane Hayama indicò i suoi vestiti, come per dire perché questo non va bene? La signora, dunque, lo prese sottobraccio, mimando un’espressione contrariata.
“Lo sapevo! Seguimi!” lo trascinò via con sé.




 
****



 
Nella sua stanza. Lo aveva portato nella sua stanza. Ma non aveva timore che potesse rubarle qualche gioiello? No. Perché? Si fidava.
“Avevo ragione!” esclamò con un tono vittorioso, mentre lo aiutava a mettersi la giacca nera, che donava ad Akito un aspetto di un nobile giovane.
“Tu e mio figlio portate la stessa taglia!” aggiunse poi. Il figlio della signora si chiamava Ishida e non era lì con lei, poiché gestiva l’azienda di famiglia.
“Più o meno” rispose il giovane, mentre si osservava allo specchio e si aggiustava il colletto.
Si soffermò ancora una volta a osservarsi in quello specchio. Quasi non si riconosceva. Neanche sua madre lo avrebbe riconosciuto, pensò.
“Sei splendente come una scarpa appena lucidata!” esclamò la donna – dietro di lui – ridendo, ancora una volta vittoriosa.




 
****




 
Ecco. Era giunto il suo momento. Era emozionato e parecchio il giovane Akito. Perché? Perché quella era un’esperienza totalmente nuova per lui. Ormai, però, era troppo tardi per tirarsi indietro.
Si ritrovò davanti alla lussuosa porta in oro della vasta sala da pranzo, che gli fu gentilmente aperta dall’usciere che, sorridente, gli disse un buonasera. Il giovane si limitò a sorridere, per la prima volta in vita sua, impacciato.
Non appena varcò la soglia della porta, rimase estasiato da ciò che aveva davanti: una vasta sala circolare a due piani, il cui tetto era in vetro. Era come un bambino all’interno di un enorme parco giochi: incantato.
Si diresse verso le scale – doppie per la precisione – non smettendo di osservare quel luogo – ai suoi occhi – paradisiaco.
Le scese. Si fermò accanto ad uno stipite osservando dei nobili e cercando di apprendere ciò che facevano. Perché? Non voleva deludere Sana.
Ora non restava che aspettarla con impazienza, si disse.
Sentì delle voci. Si girò: erano Naozumi e la signora Kurata che, parlando, stavano scendendo le scale. Sana non c’era.
“Ma dov’è Sana?” domandò, alla fine, la signora Kurata.
“Eccola...” non si girò neanche: sapeva che fosse dietro di loro.
Eccola: la giovane Sana indossava un lungo vestito bordò in perline, leggermente scollato, che le metteva in risalto il decolté. Akito rimase estasiato da quella visione: era come se di fronte a lui ci fosse una dea scesa in terra.
Si fermò a osservarlo mentre imitava i gesti dei nobili. Sorrise. Lui, come attratto da lei, si voltò. I loro sguardi s’incrociarono.
Iniziò a scendere le scale, lentamente, non smettendo di guardarlo, non smettendo di perdersi in quelle pozze color miele.
Lui si avvicinò a lei, come incatenato da quel mare di cioccolato. Stupenda, si disse.
Si fermarono. L’uno di fronte all’altra. Nessuno ancora aveva tolto lo sguardo dall’altro.
La mano destra. Le afferrò la mano destra e la baciò, non staccandole gli occhi di dosso. Magnifica, pensò.
“L’ho visto fare una volta e non vedevo l’ora di farlo” le sorrise. Lei fece lo stesso.
Le porse il braccio, lei – sempre sorridendo – accettò la proposta. Akito sembrava proprio un nobile, con la differenza che era magnifico sotto quella veste. La giovane, infatti, non aveva smesso di osservarlo.
“Tesoro...” si avvicinò a Naozumi, facendolo voltare.
“Ti ricordi del signor Hayama, vero?” gli indicò il giovane che aveva sottobraccio.
“Hayama?” si finse meravigliato. Lo stava prendendo in giro? Sì.
“Potrebbe quasi, quasi essere scambiato per uno di noi!” non mancò di farglielo notare. Ovviamente il giovane Kamura sapeva benissimo che non sarebbe mai stato così.
“Quasi!” il giovane Akito lo sfidò. Lui, di certo, non aveva paura di quel damerino.
“è straordinario!” aggiunse ancora. Poi prese sottobraccio la futura suocera e s’incamminò con lei.
Scesero ancora un piano, arrivando finalmente alla sala da pranzo, ancora più lussuosa delle altre.
Per tutto il tempo, i due giovani rimasero a braccetto. La giovane Sana gli indicò tutti gli ospiti, fornendo delle piccole descrizioni su chi fossero e che cosa facessero, descrizioni che ad Akito parvero divertenti. Difatti, rideva.
Tutti. Tutti ridevano, non rendendosi conto che il giovane accompagnatore della signorina Kurata non fosse uno di loro. Di ciò, Sana se ne compiacque. Era la dimostrazione che non esistesse la differenza di classe sociale.
Era nervoso il giovane Akito, ma non lo diede a vedere. Tutti, tutti coloro che lo incrociarono, pensarono che fosse uno di loro, magari l’erede di qualche ricca azienda, un nuovo ricco, di certo degno di appartenere alla loro classe.
Era giunto, così, il momento della cena, tutti gli ospiti, perciò, si erano riuniti a tavola.
“Signor Hayama, perché non ci parla degli alloggi di terza classe?” la signora Kurata non mancò di rivangare la provenienza del giovane. Sul suo volto era dipinto un sorriso di soddisfazione.
“I migliori che abbia mai visto. Solo qualche topo qui e là!” le rispose a tono il giovane. Tutti risero.
“Ho invitato io il signor Hayama. Ieri sera ha salvato la mia fidanzata” spiegò Naozumi. Gli sembrava giusto farlo, poiché era strano che un uomo di una differente classe sociale fosse lì con loro.
“Sapete, il signor Hayama è un artista. Oggi mi ha mostrato alcuni suoi disegni” Sana, invece, cercò di mettere in buona luce il suo ospite. Non voleva che gli altri si facessero un’idea sbagliata su di lui.
“Sana ed io abbiamo gusti diversi per quanto riguarda l’arte. Con questo non voglio criticare i suoi lavori” si rivolse ad Akito, fingendo di non pensarlo. La verità era che lo pensava. Lo odiava. Sapeva che fosse un pericolo.
Gli fece cenno di non preoccuparsi, mentre la cena veniva servita dalla servitù. Fu allora che il giovane Akito si soffermò a osservare i piatti e le posate. Si sentiva, ora più che mai, un pesce fuori d’acqua. Lui era abituato a usare solo due posate.
“Le devo usare tutte?” si rivolse alla signora Mary – seduta accanto a lui.
“Comincia sempre dell’esterno” gli bisbigliò. Perché? Non voleva che gli altri la sentissero.
“Dov’è che vive esattamente signor Hayama?” la madre di Sana tornò di nuovo alla carica. Gli aveva, infatti, porto quella domanda, dopo aver addentato una fetta del suo pane con caviale.
“Al momento nella terza classe del Titanium. Poi... beh chi lo sa” rispose con molta calma. La verità era che non temeva quella donna.
“E come fa a viaggiare?” non demorse. Voleva che rivelasse la sua vera natura. Perché? Voleva che la figlia gli stesse il più lontano possibile.
“Di solito mi sposto su navi da carico o su furgoni. Il biglietto per il Titanium l’ho vinto con una mano fortunata a poker” rivelò con la massima naturalezza.
“Una mano molto fortunata” aggiunse, guardando la giovane Sana che beveva un bicchiere di champagne. Era vero: se non avesse vinto, non l’avrebbe mai incontrata e non se ne sarebbe mai innamorato.
“Un vero uomo la fortuna se la crea da solo. Giusto Hayama?” si rivolse al nemico, che non poté fare a meno di annuire.
“E a lei piace la sua vita?” era di nuovo tornata alla carica la signora Kurata.
“Sì, mi piace...” ci pensò su prima di rispondere.
“Ho tutto ciò che conta: sono in salute” proseguì. Era, di certo, per lui la cosa più importante.
“Mi piace essere libero, non sapere cosa mi capiterà... chi incontrerò...” guardò Sana.
“Pensate fino a pochi giorni fa ho dormito per strada ed ho ora sono qui!” per lui era un’enorme fortuna. Tutti risero.
“Per me la vita è un dono...” disse, prima di bere un sorso di champagne.
“Non sai mai ciò che ti capita. E devi accettare ciò che ti succede” disse, per poi passare dei fiammiferi a Naozumi che aveva una sigaretta in bocca.
“Vorrei brindare al valore della vita e di ogni momento!” la giovane Sana levò il calice in alto. Nel farlo incrociò lo sguardo di Akito.
Tutti la imitarono, ripetendo la sua frase e brindando a quell'insolita serata.
Dopo cena, Akito fu invitato nell’altra sala a bere un bicchiere di brandy. Rifiutò. Perché? Aveva in mente qualcos’altro. Disse, ovviamente, che doveva tornare ai suoi alloggi.
“Sa forse è meglio così. Non è adatto a lei, si parlerà di affari” gli fece notare, con poco garbo, Naozumi.
“Ah Hayama, grazie per la serata!”gli sorrise. Quanto lo odiava! Pensò Akito.
“Devi proprio andare, Akito?” la giovane Kurata voleva che restasse.
“Devo tornare tra i topi” la fece ridere.
“Buonanotte Sana” le afferrò la mano destra e gliela baciò.
Subito la giovane si accorse che vi aveva lasciato qualcosa: un biglietto. Senza farsi vedere – soprattutto da sua madre – Sana aprì il biglietto.
Vediamoci all’orologio. C’era scritto. Subito il suo cuore iniziò a battere. Che fare? Sì, ci sarebbe andata, pensò, mentre inventava una scusa alla madre.
Eccolo: lui era lì, girato verso l’orologio. Inspirò, cercando di fermare il suo cuore impazzito. Salì le scale. Lui si girò. Le sorrise.
“Allora vuoi andare a una vera festa?” le porse la mano, guardandola con uno sguardo serio.




 
****




 
A una festa. L’aveva portata a una festa, ma non una festa cui lei era solita andare. No, una festa del popolo, in cui c’era musica movimentata, in cui la gente ballava un ballo movimentato. Era un posto nuovo per lei.
Akito, stava ballando con una bambina, mentre lei era seduta al tavolo che parlava con un tedesco, mentre Gomi – un amico che Akito le aveva fatto conoscere – le portava da bere. Birra, si disse che era. La bevve, comunque, senza indugiare.
Si divertita. E molto. Batteva le mani e sorrideva come non mai. In quel luogo sentiva che poteva essere se stessa, senza alcuna costrizione, senza una maschera da dovere indossare.
La musica finì e il giovane Akito, insieme alla bambina, si avvicinò a lei.
“Ora ballo con lei, ok?” si rivolse alla piccola bambina di nome Mariko.
“Va bene” rispose, sorridente la bimba dai capelli rossi.
“Vieni con me!” tese la mano verso Sana che lo guardava incredula.
“Cosa?” riuscì a dire.
“Forza!” la alzò di peso dalla sedia e la trascinò sulla pista.
“Non sono capace” gli rivelò.
“Avvicinati di più” le posò una mano sulla schiena e la avvicinò a sé. Il cuore di Sana batteva all’impazzata. Doveva contenersi.
“Non conosco i passi” disse, mentre volteggiavano.
“Neanche io” le rivelò, non smettendo di volteggiare.
“Segui il ritmo!” le consigliò. Ancora non si erano fermati.
Passarono tutta la serata a ballare uno strano ballo, ma che alla giovane piacque tanto. Mai in diciassette anni si era divertita in quel modo. La verità era che con Akito si sentiva a suo agio. Sì ne era innamorata. Perché negarlo?
Passarono il resto della serata insieme; Akito le offrì da bere, nonostante non fossero più nella prima classe si dimostrò lo stesso un gentiluomo.
E non smisero mai di ballare. Mai. Le piaceva molto quel ballo, così diverso da... da quel noioso valzer che lei odiava.
All’ultima nota dell’insolita melodia, si fissarono negli occhi. Cioccolato e miele erano in contatto. Ognuno era perso nel proprio oceano.
Fu un attimo. Le loro labbra s’incrociarono in un piccolo bacio, che il giovane pensò bene di approfondire, ottenendo il consenso della ragazza.
Qualcuno, però, gli stava osservando: Rei. Chi l’aveva mandato?




 
****


 
“Che bello...” la giovane Eri aveva gli occhi sognanti. Il suo primo bacio non era stato per niente magico, anzi non era stato per niente come lo desiderava.
“Sì, fu bellissimo...” anche l’anziana Sana aveva gli occhi sognanti. Ricordare le faceva quell’effetto.
“Dunque, tornando a noi...” riprese il suo racconto, perdendosi – ancora una volta – nei ricordi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: salve! Eccomi di nuovo tornata con un nuovo capitolo. Stavolta non vi ho fatto attendere tanto, spero.
Comunque spero vi sia piaciuto. Non so quando aggiornerò, ma spero presto.
Ecco se volete sapere quando aggiornerò, cliccate mi piace alla mia pagina d’autrice facebook. La trovate nel mio account in alto a destra accanto all’icona del messaggio – è l’icona con la f.
A presto.
   
 
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