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Autore: VeronicaFranco    07/05/2016    10 recensioni
Bernard Chatelet è un giovane irruento e rancoroso, quando scopre in André e Oscar una generosità fuori dal comune. Ferito gravemente, riceve protezione nella casa che Rosalie condivide con Madame Lucille. Ma in lui ancora si agita il passato, e l'ombra del Cavaliere Nero incombe inesorabile: saprà compiere, Bernard, il salto che fa di un ragazzo un uomo?
Dedica speciale: a Ilanak!
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bernard Chatelet, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Rivoluzioni'
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Al suo ritorno al quartiere del Tempio, Bernard incrociò i Soldati del giorno prima. Se ne stavano a ridere, scanzonati, fuori dall’osteria che faceva angolo tra la via principale e i vicoli. Riconobbe Alain, di cui non ricordava il nome, e stette a contemplarlo un poco, così spavaldo come sembrava. L’altro, di punto in bianco, mostrò di averlo notato. Gli rivolse un’occhiata divertita, gli fece un cenno con la mano, perfino l’occhiolino.

Bernard non si fermò con loro, ma in cuor suo ringraziò che essi fossero così zelanti nella loro guardia, e al tempo stesso così scomposti da non sembrare affatto lì per un motivo preciso.

Giunto di fronte alla porta con la maniglia rossa, bussò.

Stranamente, non gli fu aperto. Subito si preoccupò, bussò ancora. Non ricevendo ascolto, si lanciò all’angolo, svoltando sul lato destro della casa, che scendeva poi in una piccola scalinata (quel punto del quartiere poggiava su un piccolo pendio); c’era una finestra che dava sul vicolo stretto, quella della stanza di Lucille. Bernard si avvicinò ad essa, studiando al tempo stesso la facilità con cui chiunque avrebbe potuto, volendo, introdursi all’interno tramite quell’esile ostacolo. Guardò dentro. La finestra aveva vetri opachi, attraverso i quali vide Madame Lucille e Rosalie intente a discutere tra loro. Non poteva sentire le parole, ma gli fu chiaro che il discorso fosse fitto e intimo, perché Madame Lucille sedeva davanti a Rosalie e le teneva una mano, come se la consolasse. Poi le disse qualcos’altro, Rosalie alzò gli occhi, il viso stupito, e Madame allargò le braccia e continuò a parlare animatamente: a Bernard arrivarono solo echi ovattati, parole storpiate dal filtro del vetro, irriconoscibili. A quel punto, Rosalie si portò una mano alle labbra, come in imbarazzo; e da ultimo, con un colpo d’occhio involontario, notò Bernard alla finestra e lanciò un grido che, se anche non fu possibile da percepire all’esterno, al giovane parve perfettamente chiaro. Madame Lucille si volse, allarmata, notò il giovane e si rilassò; venne ad aprirgli la finestra, ridendo.

– Monsieur Bernard. Volete metterci paura? – disse, affacciandosi.

Il giovane, piuttosto stranito, ammise: – Ho bussato alla porta, prima.

– Oh. Possibile che non vi abbiamo sentito? Vengo subito ad aprirvi.

Madame Lucille chiuse la finestra e si avviò verso l’atrio. Bernard percorse il perimetro esterno della casa, svoltando di nuovo l’angolo, e si trovò di fronte la donna, che gli sorrideva particolarmente gioviale.

– Ho fatto prima che ho potuto, Madame Lucille. Grazie di avermi aspettato.

– Non c’è di che, Monsieur Bernard. Prego…

Gli fece spazio per entrare; poi si rivolse a Rosalie, che era comparsa dietro di lei all’imboccatura del corridoio.

– Ora vado, cara. Ci vedremo stasera.

La donna raccolse la sua mantella e andò ad abbracciare Rosalie. La ragazza si fece stringere, ma lasciò lo sguardo su Bernard, incerto.

Lucille si separò da lei con un altro sorriso, passò davanti a Bernard e lo salutò calorosamente.

 

Uscita lei, Rosalie aspettò che Bernard chiudesse la porta.

– Quella finestra… forse sarebbe meglio chiuderla anche di giorno. – disse Bernard, togliendosi il mantello.

Rosalie non rispose nulla. Appeso il mantello Bernard le venne incontro, ed entrambi si diressero in cucina. Lì la ragazza iniziò a prendere uova e cibo da scaldare dalla credenza, pane dalla madia. Ravvivò il fuoco dei fornelli, tutto in un silenzio irreale. Bernard si chiese di cosa stessero parlando con Lucille, quando le aveva interrotte.

– Ho visto Robespierre. – rivelò il giovane, senza aspettare domande da parte di lei. – Mi ha promesso il suo appoggio. Presto avremo la risposta.

Rosalie annuì in silenzio, finalmente con un sorriso.

Di riflesso, anche l’espressione di Bernard si distese. Si avvicinò a lei, come ogni giorno, per guardarla cucinare o aiutarla. O anche solo per condividere gesti piccoli e insignificanti, nei quali ritrovare la pace di una sintonia, di una comunione. Era, questa, l’unica cosa che si concedeva a pieno titolo senza chiedere permessi.

Rosalie, al suo accostarsi, tenne il capo chino, il viso incerto. Si concentrò unicamente sui gesti meccanici della cucina, deglutendo di tanto in tanto.

– Ascolta, Rosalie. Se tu volessi trasferirti adesso… forse ho un’idea su dove… – mormorò Bernard.

Rosalie si fermò un istante, rifletté. – È meglio di no, per il momento.

– … perché?

– Non voglio lasciare Madame Lucille sola contro dei possibili assalitori. Ho beneficiato della sua ospitalità, e non dovrei avere scrupoli a lasciarla sola adesso, che potrebbe rischiare per me?

– … già, lo capisco.

– Se voi volete tornare a casa, Monsieur Bernard, vi prego, non pensate a…

– Una settimana. – troncò Bernard, serio. – Aspetteremo una settimana. Va bene?

Quel fragile ultimatum era un appello più a se stesso che al caso. Ricacciò indietro tutto quello che voleva dire, e osservò Rosalie annuire debolmente, come distratta.

 

In breve tempo le uova furono pronte, le verdure stufate e scaldate, il pane affettato. Si disposero a consumare il loro pranzo frugale, senza dirsi più nulla.

E pian piano quel silenzio tra loro diventava come la finestra era stata prima: una barriera, trasparente ma viva, attraverso la quale parole e contatti svanivano, resi nulla.

Bernard sentì addosso tutto il disagio di non sapere cosa dire, e scelse il silenzio a sua volta.

Rosalie si arroccò nei propri pensieri, e ad ogni istante che passava le pareva di non avere più voce. Non si rilassò, anzi, si tese come una corda di violino; ad ogni movimento di Bernard alzava il capo, credeva fosse l’inizio di un discorso, scopriva di no, dunque si ritraeva immota e delusa, come il gioco dell’onda che non riesce a raggiungere una conchiglia al limite della risacca.

Il silenzio, quando non è cosciente o causato dalla volontà, è lieve e caldo come un abbraccio. Un silenzio voluto, ferito o imbarazzato, preoccupato o troppo pieno di voci per poter esplodere in liberazione, è invece una tortura, più o meno discreta.

 

Ebbero il tempo di riordinare la cucina, mentre il silenzio imperversava. Compirono gesti ormai collaudati e noti, e con quelli comunicarono; sì che il silenzio, a un tratto, imparò a farsi significato, e anziché aspettarsi parole, ragionevoli o dissennate, entrambi sentirono meglio ciò che i loro corpi dicevano. Bernard si avvicinava a Rosalie, tendeva le mani; lei gli passava un piatto bagnato. Lui lo asciugava, lo posava nella credenza. La volta dopo, Rosalie non si limitava a porgere il piatto, ma aggiungeva uno sguardo, un sorriso; per caso, le loro mani si sfioravano; il tocco fu sfuggente e discreto all’inizio, cercato e trattenuto la volta successiva, e quella dopo ancora.

 

Poteva bastare, a Bernard? Dopo il fuoco che aveva sentito di fronte a lei, potevano quelle briciole bastare? Si stupì egli stesso: sì. Non nutriva speranza in qualcosa di più, anche se sentiva che, se solo avesse avuto modo, la passione per lei sarebbe dilagata. Si accorse di avere occhi per ogni particolare, di conoscere di lei dettagli minuti e deliziosi. Amava ancora il tocco gentile di quelle mani delicate, i riccioli morbidi dei suoi capelli. Solo guardarla in viso gli procurava benessere, con quelle guance rosa, la bocca piccola e soave, la cui dolcezza egli ricordava lucidamente, come se ne avesse ancora il sapore sulle labbra.

Non era cambiato nulla, in lui. Come mai poteva, allora, restare così sereno, felice già della fiducia che lei gli accordava, della sua palpabile gratitudine?

Forse lo sapeva; era il pensiero di lei tra le grinfie di Guise, su quel letto immondo, di quella forza che aveva minacciato di rapirla; di quell’uomo che aveva osato calpestare ciò cui Bernard si accostava con ammirata tenerezza. Poi ricordava gli abbracci della salvezza, tutti, in quella stanza e per quelle scale e in quel salone, e quella finestra, e nella lunga galoppata verso casa: erano stati quelli a dargli pace nel suo slancio. Gli abbracci l’avevano calmato e forgiato come neve sul metallo rovente.

Forse era già oltre, Bernard, dentro la fortezza del cuore di lei. Ed era tutto tanto caldo e calmo, laggiù, che non provava più il desiderio di possedere, di conquistare. Glielo diceva l’animo, e la pelle: Rosalie non lo respingeva, non lo distanziava. Era con lui. Erano vicini, insieme. Creature danzanti, come se fili invisibili li legassero: a ciò che uno faceva, l’altra rispondeva. Alle parole il silenzio, a uno sfiorare un altro, gentile. Questo, per lui, era già felicità, prato fiorito, deserto dimenticato.

 

E per Rosalie? Il contrario. Il cerchio si chiudeva, perché era lei, ormai, a non avere certezze quando si trattava di Bernard. Stare seduti vicini, quel pomeriggio, ciascuno dedito alle solite occupazioni (ricamo lei, scrittura lui), non sembrava più una dolce consuetudine, bensì un tormento sottile, imprevisto.

Non sei sicura che egli provi ancora gli stessi sentimenti? Le aveva chiesto Lucille, poco prima. Ma cara, quale uomo avrebbe affrontato tutti quei pericoli, se non ti amasse?

Forse sarebbe stato vero per qualunque altro uomo, pensava Rosalie, che diventa eroe solo per chi ama. Ma Bernard aveva un cuore molto più grande, lei lo sapeva, e non aveva mai avuto bisogno di innamorarsi di qualcuno per aiutarlo, scalando mura di castelli e introducendosi tra mille nemici, per fuggire poi come per magia, svanendo nel nulla. Perfino Madamigella Oscar aveva avuto difficoltà ad arrestarlo…

Ma converrai, Rosalie, che è assurdo. Come potrebbe Monsieur Bernard, per come lo conosciamo, dire un giorno che ti ama, due giorni dopo salvarti la vita, e ora non provare più nulla?

Rosalie sbirciò Bernard, seduto accanto a lei. Sembrava completamente assorto in quello che stava scrivendo, la penna scorreva sul foglio senza intoppi. La intingeva spesso nella china e mai, mai che guardasse in viso Rosalie. Vicini? Sempre, nonostante tutto. Ma nient’altro che avesse un colore più deciso, che somigliasse alla passione dichiarata da lui pochi giorni prima.

La domanda che devi farti non riguarda lui. Riguarda te. Cosa provi per lui?

Una domanda così semplice; la risposta non era semplice.

Rosalie tentò davvero di rispondere, elencò nella sua mente tutte le caratteristiche che facevano di Bernard una persona cara… cara a lei, in primo luogo. Poi riportò alla mente i ricordi, le chiacchierate, la dolcezza. Gli sguardi. Gli abbracci, tanti ormai. I baci. Due baci, così diversi tra loro. L’ultimo gliel’aveva dato lei, sulla guancia, naturalmente: era stato un caso che sfiorasse la bocca. Solo un caso. Mentre il primo…

Come ogni volta che ci ripensava, lo stomaco le si contorse. Era struggente pensare che a fianco dell’uomo coraggioso e affidabile esistesse un Bernard irruento e passionale, fatto di fuoco e di desideri, giovane, così giovane: non era di per sé qualcosa che lei temesse, no, non era colpa di Bernard se lei sfuggiva.

Era proprio lei, Rosalie, l’ostacolo. Lei percepiva, ormai, il bruciore dei suoi sensi che lo chiamavano, prima deboli e fiochi, silenti nei giorni dell’inizio, poi esplosi, per quel bacio e nella mancanza durante la prigionia. Il bisogno di lui era ormai più che spirituale. Era completo, fisico e spirituale. Era come sentire gli effetti di un farmaco a distanza di giorni.

E l’orrore del Duca, sfumato nel sollievo, nell’abbraccio successivo con Bernard... L’odore del giovane bevuto come acqua.

Aveva passato la notte immersa nell’odore di Bernard.

Lui, infatti, si era rifiutato di dormire ancora nel letto di Rosalie. “È tuo, devi riprenderlo. Dormirò io in cucina”. Dopo molte insistenze, c’era riuscito.

Non aveva cambiato le lenzuola, Rosalie.

Si era sdraiata tra le coperte con circospezione. Poi, non vista da nessuno, appena aveva posato la testa sul cuscino, era stata circondata da quel sentore diverso e ormai noto; aveva sprofondato bocca e naso sul guanciale, si era riempita di sensazioni. Il sonno e la veglia si erano uniti come in un sogno a occhi aperti. E se l’era immaginato lì con lei, Bernard, come non poteva ammettere a nessuno.

Per questo, appena lui era uscito al mattino, aveva cercato Lucille; per questo, al massimo della confusione, le aveva chiesto consiglio. Le aveva rivelato il nodo morale che sentiva: non poteva chiedergli di amarla, né sperare sempre nel suo aiuto.

Perché no?

Domanda semplice, risposta impossibile.

Mia cara ragazza, sii sincera con te stessa! Forse non ti è poi così indifferente, dico bene?

Rosalie si punse un dito. Fece una smorfia di dolore, osservò il sangue uscire dalla pelle come una piccolissima perla rossa. Cercò di nuovo lo sguardo di Bernard: nulla, lui scriveva ancora, cavalcando l’onda dell’ispirazione, apparentemente cieco a tutto il resto.

 

 

***

 

La settimana volò, senza che le cose sostanzialmente cambiassero. Il responso di Robespierre si faceva attendere, e questo rafforzava tra Bernard e Rosalie un clima sospeso, in cui la speranza dell’uno si infrangeva con la tensione dell’altra, come un nodo ben stretto. Ogni giorno di quella settimana, Bernard si recò al Palazzo Reale nel primo pomeriggio; e ogni giorno tornò, al tramonto, senza nessuna risposta concreta. Per fortuna non furono avvistati movimenti loschi nei dintorni, e la clausura forzata di Rosalie si rivelò inutile, almeno a prima vista.

 

Al Palazzo Reale, Bernard ritrovò i suoi amici. Augustin “BonBon” Robespierre fu il più caloroso, lo reintrodusse nella cricca con profusione di pacche sulle spalle e sorrisi; Didier Girard, aspirante notaio di Arras, fu forse più timido, ma non meno gentile; e poi ci fu Louis Saint-Just, al quale non occorrevano molte parole, mai.

Nel riconoscere il profilo di quest’ultimo, comodamente sprofondato su uno dei divani del salotto d’Orleans (era l’ottavo giorno dal salvataggio di Rosalie), Bernard gli si fece incontro.

– Hai l’aria di aver appena fatto qualcosa di grosso, cugino. – lo apostrofò, fingendosi serio e rammaricato.

Saint-Just aguzzò il sorriso come la lama di un rasoio, e gli dedicò un’occhiata di plateale stanchezza:

– Se non mi muovo io, ristagneremo nel feudalesimo, mio caro…

– Ah, sì? – lo canzonò Bernard. – E cosa avresti mai fatto di così grosso… a parte far pubblicare un’opera oscena che ammicca a De Sade?

– L’hai letta, dunque? – ridacchiò Saint-Just, e gli brillarono gli occhi tra le ciglia. Il tocco effeminato dei lineamenti e il timbro suadente della voce ne facevano un uomo di fascino ambiguo, ma quei particolari a Bernard non apparivano inquietanti, abituato com’era a tutte le mezze verità e le affilate dichiarazioni del parente.

– No. E non la leggerò. Preferisco dedicarmi a qualcosa di più edificante.

Saint-Just assottigliò lo sguardo, che si tinse di malizia.

– Ho saputo cosa hai deciso. Robespierre è tutto contento.

– E tu no, non è vero?

– … tu sei libero di fare come desideri. Io, dal mio canto, trovo che non sia saggio lasciare i nobili troppo tranquilli. Potrebbero pensare che stiamo dormendo… che non sappiamo esattamente dove vivono, e cosa fanno alle nostre spalle. Si cullerebbero che non possiamo raggiungerli… Il Cavaliere Nero era utile, per tutti loro. Ci mancherà molto.

– … anche se è sparito, non è morto.

– Sì, sì, ho letto il tuo articolo. Molto ispirato, te lo concedo. –  Saint-Just si frugò addosso, estrasse dal giustacuore un ritaglio di giornale. –  Non è più tempo di aspettare dall’alto un aiuto esterno. Questa idea appartiene ai bambini o ai religiosi. ‘Verrà un Padre che ci salverà, un Figlio che ci salverà’, implorano loro. No: siamo noi i padri e i figli di noi stessi. Noi, gente comune, siamo i veri artefici del nostro destino. Noi soli, come singoli e come popolo, possiamo salvare la Francia dal naufragio in cui la gettano ogni giorno questi folli che si credono ancora, nel XVIII secolo, unti dal Signore.”

Bernard sorrise, scuotendo il capo. Indicò la parte conclusiva della colonna a lui dedicata.

– Io preferisco l’ultimo pezzo.

Saint-Just lesse dove l’indice di Bernard toccava il foglio. – “Ci prenderemo tutti per mano. A testa alta, i nostri stracci come onoreficenze, marceremo incontro a una nuova vita. Siamo tutti Francesi, prima che essere uomini e donne, nobili e poveri, credenti e non credenti. Il Cavaliere Nero voleva questo: l’Uguaglianza. Ebbene, dimostriamogli che non è morto. Noi siamo suoi eredi. Gloriosamente, come lui voleva, noi saremo Uguali.” – Saint-Just fece una risatina. – Molto… idilliaco, questo tuo mondo futuro.

Bernard si strinse nelle spalle. – Non è il tuo stesso mondo futuro?

– Di sicuro i miei mezzi per raggiungerlo non potranno essere i tuoi, amico mio: tu parli di dividere i beni e ridistribuirli, seguendo l’esempio del Cavaliere Nero… io dico che chi ha troppo, per chi non ha niente, è un ladro. Un ladro di felicità… – la voce di Saint-Just stentò, si affievolì, si perse. E poi tornò, secca e dura come una coltellata. – Questo mi toglie ogni compassione. Ogni pietà.

– Un ladro di felicità… – Bernard rifletté su ciò che aveva visto nel Castello de Guise. Pensò a Madame Polignac, e a Rosalie che da giorni sedeva al tavolo da lavoro, senza fermarsi mai, il viso mesto come il canto di un uccellino in gabbia.

– Bernard! – intervenne Augustin Robespierre, affacciandosi alle loro spalle, le mani appoggiate sul bordo del sofà. – Mi spiace rovinare la vostra riunione familiare, ma Maximilien ti cerca. Lo trovi al Cafè.

– Vado immediatamente. A dopo. – Bernard si avviò all’uscita a passo svelto.

Saint-Just lo osservò andare via, senza una parola.

– La vacanza gli ha giovato. Lo vedo bene, il buon vecchio Bernard. – rise Augustin. – Dev’essere stata la ragazza che ha conosciuto.

– Già… – Saint-Just si fece svolazzare il foglio davanti agli occhi, osservandone i caratteri minuti. – … dev’essere stata lei.

 

 

***

 

– Era tutto vero.

Così esordì Robespierre, quando Bernard si sedette davanti a lui tra i tavoli del Café affollati per la sera. E Bernard ebbe un tuffo al cuore, temendo il peggio.

– Questo significa che il documento esiste… che quella donna ha ancora potere su Rosalie?

Robespierre sorrise debolmente, scuotendo il capo. – Il documento non è mai stato firmato, proprio come lei ti ha raccontato. La pratica burocratica è stata avviata già dall’anno scorso, ma non è stata mai portata a termine. Immagino che stavolta avrebbero fatto di tutto per farla firmare, volente o nolente.

– Dannazione. – sibilò Bernard, stringendo i pugni e appoggiando il viso contro di essi, sulle labbra.

– Cosa c’è, ragazzo?

– Se le cose stanno così, non la lascerà in pace.

– Io credo che lo farà. – replicò Robespierre, cupo.

Bernard sollevò lo sguardo, gli occhi sgranati. – … come fate a dirlo?

– Ho pensato che sarebbe bastato farle presente che, nel caso portasse a termine quello che ha intenzione di fare, ciò verrebbe reso immediatamente pubblico dai giornali. Con tutte le conseguenze che ciò avrà sulla sua immagine, già duramente compromessa dai passati scandali.

– Che cosa? Le avete detto questo? Come?

– Ho mandato uno dei nostri a questo scopo.

– Chi?

Robespierre chiuse gli occhi, li riaprì con espressione seria. – Saint-Just.

Bernard restò a bocca aperta. – Gli avete raccontato di Rosalie?

– No. Non ho fatto nomi, né gli ho rivelato che tu fossi coinvolto nella vicenda. Ma mi sono rivolto a lui perché andasse a… sì, inibire i piani della Duchessa. Sai che non apprezzo i colpi di mano; ma minacciarla di uno scandalo era l’unico modo per impedirle di andare a fondo. Tu eri troppo compromesso; e io ho bisogno di te, ora più che mai. Ho bisogno che tu sia con me, senza rischi.

– È per questo che avete chiesto di fare una cosa simile a Saint-Just… e non a me.

Robespierre annuì. – Negli ultimi tempi, quando ho disperato di vederti tornare, Saint-Just si è subito offerto di aiutarmi; prima a cercarti, poi a svolgere gli incarichi che avrei altrimenti affidato a te.

– Incarichi… ?

Robespierre guardò fisso davanti a sé: era rivolto a Bernard, ma ben presto sembrò estraniarsi dal presente, e parlò come sovrappensiero, lentamente.

– Nel caso di aperti soprusi di alcuni nobili… Saint-Just è andato di persona, insieme ad alcuni dei nostri… a protestare apertamente per convincere quei nobili a cambiare atteggiamento. Finora è sempre riuscito nel suo intento… – Robespierre si riebbe dai pensieri e tornò al presente. La sua espressione si fece lucida, molto seria. – Saint-Just ha un modo di fare molto… efficace, a quanto pare. I nobili che ha incontrato si sono ritirati dalle loro pretese sulla povera gente. E così sembra aver fatto anche la Duchessa di Polignac. Saint-Just è andato fino a Montmorency, per parlarle.

Bernard rifletté. – Sapeva dove trovarla, dunque. – disse, e la sua era una constatazione priva di malizia; gli vennero subito in mente le ore trascorse nel giardino della Villa dei Polignac, nascosto e attento a ogni voce, a ogni cosa si mostrasse alle finestre. Così aveva visto Rosalie affacciarsi al finestrone di una stanza del primo piano al mattino, che pareva un lume fioco e stanco; aveva visto le due cameriere che le facevano da carceriere trascinarla lontano dai vetri; aveva assistito con il cuore in gola al momento in cui l’avevano caricata dopo il tramonto, sorvegliandola attentamente, sulla carrozza che poi era partita per il Castello di Guise. Sarebbe intervenuto già in quel momento, se non l’avessero scoperto proprio allora, ed egli era stato costretto a perdere tempo con alcuni servitori e far perdere loro le sue tracce, mentre la carrozza che portava via la ragazza guadagnava tempo su di lui.

– Cosa ha detto la Duchessa, dunque? – aggiunse il giovane, dopo qualche istante.

– Saint-Just sostiene di averla convinta dopo pochi minuti. – Tuttavia, l’espressione di Robespierre tornò pensierosa. – I suoi compagni… non so. Sono stati evasivi, non mi hanno riferito nulla di preciso sul come e il quando.

– … sarebbe magnifico che la Duchessa si fosse convinta con così poco. Ma la tentazione di imparentarsi a quel mostro di Guise deve essere forte… temo più di un’intimidazione di Saint-Just. Quella donna in Francia è seconda solo alla Regina, questo l’ha resa superba oltre ogni dire. – mormorò, e ricordava bene, Bernard, come la donna si fosse accanita sulla figlia per non farla fuggire, e come, molti anni prima, avesse declinato la responsabilità della morte di Nicole Lamorlière. “Se avete delle lagnanze, venite a Versailles”… ridicolo, pensò Bernard, che una persona si credesse onnipotente.

– Quel mostro di Guise… – Robespierre osservò il giovane e scosse il capo, con un sorriso che pareva sollevato. – Già, tu non puoi saperlo, Bernard.

– Cosa?

– Il Duca de Guise è morto.

Bernard fu davvero colpito. Impiegò qualche istante a realizzare quel fatto. Quell’animale, quella bestia… morto? Dopo quello che aveva tentato di fare a Rosalie, alla sorella di Rosalie, a chissà quante altre fanciulle? Non è possibile umanamente negare che Bernard gioì in cuor suo. A suo onore, però, c’è il fatto che non mosse un muscolo. Il viso non rivelò il sollievo che provava; la soddisfazione non attraversò il suo sguardo.

– Come è accaduto. – chiese, con tono meccanico.

Robespierre valutò la genuina sorpresa di Bernard, e ne sorrise lievemente, come rincuorato. – Un incidente al Castello, pare, durante una festa in maschera. È caduto dal piano superiore. Ho chiesto a Saint-Just di indagare per saperne di più.

– Non posso crederci… allora…

– Penso che nessuno, d’ora in poi, darà fastidio a quella ragazza. – assicurò Robespierre, con lo stesso sorriso paterno di poco prima. – E se qualcuno dovesse tornare a farsi avanti… noi saremo pronti.

 

 

***

 

Come corse, Bernard! Non si curò di niente e di nessuno, urtò dei passanti, rischiò di farsi mettere sotto da una carrozza e si fece abbaiare contro da due randagi.

Raggiunse il quartiere del Tempio, si tuffò nei vicoli; bussò alla porta di Lucille una, due, tre volte, fortissimo.

Gli aprì Rosalie, e Bernard si volse a lei con gioia pura, l’avrebbe certo abbracciata subito; ma si trattenne appena la vide turbata, il viso soave rigato di lacrime, e la bocca tremante, come se fosse incerta tra risata e pianto.

– Cosa… cosa sta succedendo…

– Monsieur Bernard… non ci crederete… – disse lei, la voce resa sottile dalla commozione. – Jean è tornato! È tornato poco fa! Madame Lucille è di là con lui, e io… Santo Cielo. – ruppe in un pianto copioso e generoso, che lasciò Bernard di stucco. Sentiva le lacrime incessanti di Madame Lucille provenire dall’altra stanza, e la voce di un ragazzo, calda e commossa, che ripeteva – Mamma, non fare così… ci sono qui io, adesso. Avrò cura di te.

Bernard si mosse rapido. Prese immediatamente la mantella di Rosalie, appesa a lato dell’ingresso, e vi avvolse la fanciulla. Appoggiò le mani sulle sue spalle, mentre lei si riaveva, attonita per quel gesto, e lo guardava con occhi smarriti e dubbiosi.

– Lasciamoli soli. – sussurrò, e lei si guardò indietro, gli occhi sgranati.

– Ma, Monsieur Bernard…

– La settimana di reclusione è finita. C’è ancora il sole. Vuoi fare una passeggiata con me? – le disse con calore. Non sapeva nemmeno lui come gestire quell’euforia dorata; la notizia della felicità di Madame Lucille aveva sparso legna sul fuoco della sua speranza. Prese la mano di Rosalie e la strinse, e lei chinò il capo, aggiunse alla stretta anche l’altra mano. Se aveva dei dubbi, li fugò il sorriso sicuro di Bernard. La fanciulla prese un’espressione consapevole: c’erano risposte per lei. Si avviò con lui, chiudendo rispettosamente la porta dietro di sé.

 

Presero il sole del tramonto come uccelli notturni, ovvero come un’alba speciale, al contrario. Rosalie si animò presto al suono dei negozi che chiudevano, al via-vai di gente che camminava per le strade; iniziò a sorridere, cancellando le tracce di sale dalle guance rosee, e i suoi occhi blu si soffermarono su Bernard, pieni di domande.

Lui se ne accorse. Teneramente la guardò, sorrise. – Robespierre… credo abbia risolto il tuo caso. 

– Come… – esclamò subito lei, stringendogli più forte la mano.

Bernard raccontò mentre camminava al suo fianco. Disse poche cose, precise e nette, e Rosalie smise un poco di sorridere, si accigliò, sospirò e tremò; quando giunsero al Lungosenna, lasciò la mano di Bernard per affacciarsi sul fiume. Respirò a fondo. Giunse le mani e mosse le labbra, come in una preghiera fatta di parole di vento. 

Lui non attese. Le posò le mani sulle spalle, premette i palmi in una carezza presente e viva. Tacque finché la sentì china e fragile, con quelle spalle sottili, i capelli di lei che gli toccavano le mani e le scaldavano, mossi dal vento invernale.

– È finita. – le sussurrò.

– È davvero finita… ? – le sentì chiedere, con tono spezzato.

– Sei libera, Rosalie. Sei libera da tutto e da tutti.

– Dio mio. – ansimò lei, e si volse un poco indietro, guardandolo con gli occhi lucidi. – Quanto vorrei che fosse vero.

– È così. – ribadì Bernard. La guardò intensamente. – Sta a te volerlo.

Rosalie chiuse gli occhi, e sembrava che, nonostante il sollievo, non riuscisse a gioire. – Grazie per tutto quello che avete fatto per me. Ora siete libero anche voi.

Bernard strinse i denti, distolse lo sguardo.

– Vorrei mostrarti quel posto che ti dicevo. – mormorò, vago. – Se vuoi.

Rosalie annuì con un movimento leggero.

 

 

***

 

La casa in Saint Germain des Prés, dove Bernard condusse Rosalie, era una palazzina a due piani che si stendeva dal pianterreno a una piccola soffitta. Accanto vi erano altre palazzine simili, tutte addossate l’una all’altra come edifici di un presepe.

Bernard estrasse una chiave, aprì la porta e condusse Rosalie all’interno. C’era una piccola sala da pranzo, con un divano e una finestra che dava sul vicolo. Accanto, la porticina della cucina velata da una tenda. Poco oltre, piccole scale conducevano di sopra.

Rosalie si guardò intorno, un poco sorrise. C’erano libri, fogli ovunque, stipati sul tavolo principale senza lasciare spazio ad altro. Ce n’erano persino sul divano. La casa appariva polverosa alla luce crepuscolare, ma tutta quella carta scritta le conferiva una sorta di anima segreta, che rispecchiava perfettamente il suo padrone.

– Io vivo qui. O meglio, ci vivevo… prima di diventare il Cavaliere Nero.

– Lo immaginavo.

– Forse sarei dovuto passare prima a dare una ripulita. – disse lui deglutendo, senza poter nascondere un filo d’imbarazzo. Poi aprì le tende della finestra, lasciando entrare l’arancio dell’ultimo sole.

Prese un respiro, si volse a lei. La raggiunse in pochi passi, si fermò al suo cospetto. Rosalie giunse le mani sul petto, gli occhi vaghi che, dopo un piccolo peregrinare, trovarono di nuovo quelli del giovane.

– Sono giorni che ci penso. – mormorò lui, come rassegnato. – Se tu volessi venire ad abitare qui… se ti piace, ovviamente… io ne sarei felice. Avrei anche… da offrirti un lavoro.

Rosalie si mostrò stupita, ma poi rise, gettando un’occhiata alle pile di carte. – In effetti… una donna di servizio potrebbe esservi utile.

Bernard sgranò gli occhi, dubbioso se lei fosse seria o scherzasse.

– Rosalie. Non ti chiederò mai di diventare la mia domestica. – disse, piccato. Strinse i denti e sospirò. Fece un’espressione mesta. – Per il lavoro… intendevo al mio giornale. E per il resto…

Rosalie sentì lo stomaco contrarsi di nuovo. Nella voce di Bernard udì immediatamente il tocco incerto che aveva atteso, che aveva sperato. Era grave e profondo, quasi roco. Il cuore prese a batterle con rapida precisione, le labbra si schiusero, gli occhi brillarono nei raggi dubbiosi del tramonto.

Bernard prese un ultimo respiro. Poi chiese, con fermezza: – … vuoi sposarmi, Rosalie?

Rosalie chiuse gli occhi. Le tremò la voce, sì che non riuscì a rispondergli subito. Bernard si affrettò a dire: – Non occorre che tu mi dia una risposta adesso, aspetterò, e se non vuoi non te lo chiederò mai p…

– Sì. – disse lei con un filo di voce, controcanto a quel piccolo fiume di giustificazioni.

Bernard tacque di colpo. – Sì… ? – sussurrò.

– Sì, Monsieur Bernard. – ripeté Rosalie, e pian piano sorrise come un boccio di rosa, le labbra soavi intorno a parole rotonde.

Bernard non poté trattenersi. Le prese il viso tra le mani con delicatezza, le si accostò turbato e devoto, gli occhi quasi tristi per la sorpresa e la gioia, le labbra incredule. – Dunque tu mi… tu mi ami, Rosalie?

Rosalie deglutì, e si sentì come fuori di sé, la voce ridotta a un refolo d’emozione. – Come voi mi amate. Lo giuro.

Bernard accarezzò il viso di lei e vi accostò il proprio, ridendo come se dovesse piangere; e poi sospirando, per abbandonarsi a lei.

 

Quando lui posò le labbra sulle sue, Rosalie chiuse gli occhi. E mentre imparava il miele e il sale della passione, si accorse che non c’era più un passato da rimpiangere, né un futuro da temere. C’era solo la Primavera, infinita e radiosa, che le scorreva nel sangue con l’ardore di quei baci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____________

Note.

- Buongiorno e buon week-end! Piccolo anticipo di pubblicazione, causa impegni impossibili. Come promesso, siamo ormai arrivati al capolinea. Per ora non dico di più, ma ci ritroviamo la prossima settimana per l’Epilogo. Un abbraccio grandissimo a chi mi ha seguito fin qui!

   
 
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