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Autore: AnnVicious    24/05/2016    0 recensioni
Londra, 1977.
Dominick è un ragazzo di 16 anni trasferitosi a Londra da un anno con sua madre, Sheila, dopo la morte del proprio padre. Vivono con i pochi soldi che hanno e Sheila farebbe di tutto per assicurare un futuro al figlio.
Steven ha 19 anni, il suo unico obbiettivo nella vita è quello di divertirsi, ma non a casa. Ogni sera, al suo ritorno, sarà come un tuffo nella cruda realtà.
Entrambi sono amici da quando l'anno prima si conobbero e da allora, si vedono sempre in una vecchia fabbrica abbandonata.
I due ragazzi dovranno far fronte a diversi problemi, a volte uniti ed altre no.
In un luogo dove il lavoro e le opportunità scarseggiano, dove la speranza viene divorata dalla realtà di tutti i giorni, ce la faranno a superare gli ostacoli che si presenteranno loro davanti e ad essere felici?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Era più o meno ora di cena quando tornai a casa, la quale non era di certo un appartamento di lusso: io e mia madre ci trasferimmo lí quando mio padre morì in un incidente, qualche anno fa. Quella casa, anche se era piccola, mi piaceva: li mi sentivo al sicuro, protetto. Io non volevo vestiti di marca, l'ultimo modello di tv o paghette da sputtanare: mi bastava tornare a casa e abbracciare mia madre, parlare della nostra giornata e darle una mano con le faccende, insomma desideravo solo un piccolo rifugio felice. Lei era seduta su una sedia della piccola cucina subito dopo il corridoio di ingresso, che mi aspettava per mangiare. Era sempre così premurosa con me, non voleva perdersi nemmeno un' occasione per starmi vicino e da quando morì mio padre, di tempo da trascorrere assieme, ne avevamo davvero poco. Mia madre faceva tre lavori per poter pagare le spese, le bollette ed i miei studi, tornava sempre stanchissima solo per me ed io non mi sentivo mai all'altezza di tanto amore. Ogni sera, prima di andare a dormire, desideravo sempre di poterle comprare una bella villa, con una piscina, un laghetto e degli animali. Avrei voluto che si rilassasse per sempre, nessuna bolletta da pagare, nessun lavandino rotto e soprattutto nessun figlio a cui dover pagare gli studi. Mi sedetti a tavola con lei dopo aver posato lo zaino a terra e con un sorriso la salutai "Ciao mamma, scusa il ritardo". Lei mi sorrise, il suo volto era stanco, le occhiaie ben visibili, i capelli neri e sfibrati che le arrivavano al seno, anche essi sfiniti come lei. Era sempre stata una bella donna, a volte le imploravo di uscire e trovare qualcuno che potesse renderla felice, ma lei ogni volta rifiutava con gentilezza, spiegandomi che nessuno avrebbe mai potuto sostituire mio padre. "Sei stato alla fabbrica anche oggi?". Chiese in toni gentile e mentre mangiavo, annuii con un piccolo sorriso, in segno di risposta. "Prima mi ha chiamata Jenna, questo fine settimana ospiteremo lei e Will". Si passò una mano tra i capelli, poi continuò a mangiare. "Bene, ormai sono più di sei mesi che non li vediamo". Risposi con tranquillità, ma lei pareva quasi seccata, infatti rispose con un semplice "Già". Mia madre non sopportava sua sorella, era troppo frivola per i suoi gusti ed era per questo che vedevamo lei e sui figlio solo due o tre volte all'anno. Alzai per un attimo gli occhi sui suoi e dissi "Mamma, ci aiutano economicamente, il minimo che possiamo fare è ospitarli per un paio di giorni". Mi alzai per sciacquare il mio piatto mentre lei disse in tono quasi scocciato "Lo so, lo so... ". Sorrisi a quella risposta e dopo essermi asciugato le mani, le posai un bacio tra i capelli lisci. "Sono solo un paio di giorni, puoi farcela". Sentii la sua risata stanca e sciacquai anche il suo piatto quando ebbe finito. Tra noi era sempre così: quando io ero giù di morale, lei cercava di risollevarmi e viceversa, eravamo l'uno il porto sicuro dell'altra. In camera, mi impegnai nello studio solo per mezz'ora, proprio non riuscivo a concentrarmi, avevo in testa troppi pensieri che si affollavano, così presi dal comodino di fianco al letto a castello un foglio bianco e le matite, così cercai quindi di farmi trasportare dal sottofondo musicale che usciva dalla piccola radio posta sul cassettone dove tenevo gli indumenti, ma non riuscivo neanche nel disegno, quindi mi arresi e spensi tutto mettendomi poi nel letto con i pensieri che ancora mi frullavano per la testa. In realtà, erano quasi tutti sensi di colpa perchè anche se mia madre si ammazzava tutto il giorno di lavoro per me, io non riuscivo ad essere un genio, semplicemente non lo ero. Non volevo fare l'avvocato, il commercialista o dirigere un azienda, non ero portato per questo: ciò in cui ero portato, era l'arte. Quando disegnavo, dipingevo o facevo graffiti, mi sentivo realizzato, felice e sicuro di me. L'arte mi trasportava in altri mondi, mi faceva sognare, mi faceva ridere, mi faceva sentire vivo. Ma l'arte non mi avrebbe portato ad avere subito un lavoro pagato bene come fare l'avvocato e in quel momento sentii una profonda agonia dentro di me: non volevo rinunciare all'arte per una cosa che non volevo fare, sentivo che quella mi avrebbe reso felice per tutta la vita, ma allo stesso tempo volevo rendere orgogliosa mia madre, la quale più di tutti, meritava ciò. Strinsi il cuscino sotto la mia testa e mi morsi le labbra un paio di volte: ero confuso e triste, non sapevo come rendere felici entrambi, per di più mi ero steso sul lato dove avevo il livido, quindi sospirai e cambiai posizione, sdraiandomi sulla spalla sinistra, quella che non mi faceva male e pensai alle parole di Steven: avrei dovuto davvero imparare a difendermi, ma per cosa? Per farmi sospendere e far esasperare mia madre? Non volevo che lei fosse sottoposta ad altro stress, quindi per me, era meglio continuare a tenere un atteggiamento passivo ed in un certo senso, fare la vittima ma saltando la parte nella quale mi sarei andato a lamentare com chiunque; finché un giorno, quel branco di idioti non si sarebbe scordato della mia esistenza. Steven abitava a tre fermate del pullman più avanti, dove le case non erano scolorite, ma dai colori vividi e con dei piccoli giardini curati, i recinti, i garage e tante altre piccole cose che faceva credere a quella gente di essere migliore rispetto agli altri. Steven non si era mai sentito superiore a nessuno, non era mai stato come i suoi vicini, i quali si vantavano delle loro vacanze o delle loro proprietà: lui aveva da sempre i piedi per terra, spaventosamente realistico, sempre in guardia, pronto a difendersi e nonostante questa barriera che si creava di solito, riusciva a divertirsi come nessun altro, prendeva la vita come veniva e forse era proprio questa parte del suo carattere che mi aveva fatto innamorare di lui a sua insaputa. Ma non sapevo cosa lo aspettava tutte le sere, al suo ritorno a casa. Infilò la chiave nella serratura della porta in legno massiccio e già sentì i suoi genitori urlare, così aprì e chiuse di corsa la porta, per poi fiondarsi subito nel grande salotto, dove provenivano le urla. Suo padre, James Whitlock era un uomo muscoloso, ma anche sovrappeso, con la maggior parte dei capelli grigi e il vizio di bere, infatti anche quella sera era ubriaco fradicio mentre urlava contro sua moglie, Claire, bionda e bellissima agli occhi di molti uomini di Londra, con un fisico slanciato ed un carattere forte, che quella sera come tante altre, non bastava a tenere testa a James. "Che cazzo succede qui?!". Urlo Steven per farsi sentire da entrambi, i quali posarono lo sguardo su di lui: Claire con un'espressione di scuse dipinta in viso, mentre James con il suo solito sguardo da menefreghista. "Guarda chi è tornato da un'altra giornata di duro lavoro". Steven capì che suo padre era in vena di attaccare briga e lui di certo non si sarebbe tirato indietro, così fece qualche passo verso di lui, dando una pacca sulla spalla a sua madre, come per salutarla, la quale nel vederli quasi di fronte disse: "Finiamola qui. Steven, va a cena". James subito rise alle parole della moglie, come se avesse detto una barzelletta. "Questo qui si merita anche di mangiare il cibo che io porto a casa?". Steven senti sua madre dietro di lui sbuffare, ma lui proprio non sapeva rinunciare ad una sfida, quindi guardò suo padre negli occhi i quali erano più scuri dei propri, e disse con aria di sfida "davvero solo tu porti i soldi, qui? La mamma non fa un cazzo tutto il giorno?" Steven vide suo padre colto nel segno, così fece il gesto di prenderlo per la giacca, ma il figlio con abilità lo scansò. "Tua madre fa la troia in giro come presto farai anche tu se non ti darai una mossa!". Steven rise di gusto, scuotendo la testa, mentre sua madre subito fece un passo avanti per difendere il figlio. "James, smettila o questa è la volta buona che ti sbatto fuori di casa". Non riuscì a terminare che lui le si avvicinò furente, tanto da farla rabbrividire e strinse forte il polso della donna. "Che cazzo hai detto? Questa è casa MIA". Steven nel vederlo stringere così forte sua madre, subito spintonò l'uomo, intimandogli di non toccare ancora in quel modo sua madre, ma James reagì dando un pugno in pieno viso a Steven, il quale sentì sua madre urlare e poi sparire in cucina. Il ragazzo fece un passo indietro, cercando di non perdere i sensi, poi quasi ruggì e proprio quando stava per sferrare un pugno a suo padre, comparve Claire sulla soglia della porta con una padella grande come la sua faccia, tra le mani. "James, toccalo di nuovo e ti giuro su mia madre che domani non vedrai l'alba". Claire in quel momento sembrava una tigre, quasi ringhiava e la sua espressione aggressiva, felina e lucida la rendevano ancora più spaventosa. James sapeva bene che lei non scherzava così si limitò a spingere suo figlio mentre usciva dalla stanza, facendogli perdere per un attimo l'equilibrio, quindi Claire chiuse la porta e sospirò mentre poggiava la padella sul divano, poi si avvicinò a Steven e gli accarezzò la guancia livida per il pugno, sospirando e dopo qualche secondo di silenzio da parte di entrambi, sussurrò con voce stanca ma dolce "mangia qualcosa, poi mettiti il ghiaccio sul livido e va a dormire". Steven rise appena, era bello vedere come lei si preoccupasse per lui. La porta di ingresso venne sbattuta violentemente, di sicuro James era uscito e non lo avrebbero rivisto fino al giorno successivo, così entrambi si rilassarono e chiacchierarono. Dopo che Steven ebbe cenato, aiutò sua madre a lavare i piatti e poi bevvero un bicchiere di vino insieme, davanti ad una fiction da due soldi che si divertivano a prendere in giro. Tra di loro era sempre così e lo sarebbe stato finché Claire non avrebbe trovato lavoro visto che qualche giorno prima il suo socio in affari l'aveva licenziata. Né Steven e né Claire volevano rimanere per strada, quindi era solo questione di tempo, soprattutto di fortuna. Quando verso mezzanotte Steven si mise a letto, restò per un pò a guardare il soffitto, quella notte aveva una strana sensazione che non voleva svanire, ma decise di mandare tutto a fanculo e mettersi infine a letto. Qualche ora dopo, risvegliatosi da un brutto incubo, Steven si affacciò a guardare il sole sorgere e tra se e se pensò - ecco che inizia un'altra giornata del cazzo -.
  
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