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Autore: _Lady di inchiostro_    04/06/2016    1 recensioni
Dieci prompt, dieci storie.
I protagonisti sono sempre gli stessi. Un cinico chirurgo e un pirata tutto sorrisi.
Lasciate che vi racconti come la loro alleanza si sia trasformata presto in una relazione! ~ ♥
**
Day One: Meeting/First Impressions [Completa ]
Day Two: Freedom/Savior [Completa]
Day Three: Friendship/Family (Nakama) [Completa]
Day Four: Alliance/Trust/Honor [Completa]
Day Five: Memory [Completa]
Day Six: Loss/Change [Completa]
Day Seven: Will of D [Completa]
Day Eight: Alternate Universe [Completa]
Day Nine: A Promise Kept/A Battle Fought [Completa]
Day Ten: Thank You [Thanks to be here with me: “«Ci sono un sacco di cose per cui devo ringraziarti, Law. A cominciare dal fatto che ci sei...»” ]
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[Storia partecipante all’evento indetto su Tumblr: “Ten Days of LawLu”]
[Enjoy ♥]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Monkey D. Rufy, Trafalgar Law
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ten Days of LawLu
~
How to celebrate a perfect birthday



Day Eight: Alternate Universe







Quando si mise seduto sul morbido materasso, aveva ancora gli occhi impastati dal sonno. Li sbatté un paio di volte, giusto per mettere a fuoco lo spazio che gli stava intorno, intanto che stiracchiava le braccia e la schiena. 
Gli ci volle un po’ per capire che non si trovava nella sua stanza, tutta piena di fronzoli e vestiti in giro, piuttosto che si trovava in una stanza ben arredata, con giusto i mobili essenziali a dare quel tocco di classe, e abbellita da pareti di un grigio brillante e da una serie di finestre che sembravano gli oblò di un sottomarino.
Sbatté ancora gli occhi, stavolta ripetutamente, riconoscendo immediatamente il posto in cui si trovava, la sua mente percossa da una consapevolezza con la stessa velocità di un razzo. Si girò alla sua sinistra, trovando il proprietario della stanza – nonché dell’intera casa – che dormiva accanto a lui, il viso mezzo affondato sul cuscino. Il ragazzo sorrise, prima dolcemente e poi euforicamente, gettandosi letteralmente su quel corpo assopito; ovviamente, l’altro non poté che svegliarsi di soprassalto, annaspando alla ricerca di aria, in un groviglio di arti e lenzuola. 
Solo quando il ragazzo riuscì a sistemarsi sopra di lui in modo da non schiacciargli lo stomaco e i polmoni, riuscì finalmente a parlare: «Ma ti è andato di volta il cervello?»
Il ragazzo rise, non curandosi minimamente della vena che pulsava sulla fronte di chi gli stava davanti, visibilmente scocciato. «Buongiorno Torao!»
«Buongiorno un cazzo!» esclamò, cercando di spingere via l’altro, quasi a volerlo buttare per terra. «Togliti di dosso!»
«Torao, lo sai che giorno è oggi?»
Il più grande lo guardò per un attimo, per poi sgranare gli occhi e sospirare. «Il cinque maggio…»
«E cosa succede il cinque maggio?»
Il ragazzo si sporse ulteriormente verso di lui, per poi indicare con l’indice la sua persona. L’altro fu costretto a un ennesimo sospiro. 
«Quel cretino di Monkey D. Rufy compie gli anni…» disse, grugnendo.
«E Trafalgar Law aveva promesso di fargli passare il più bel compleanno di sempre!» soggiunse l’altro, euforico, cingendogli le spalle con le braccia e coprendo definitivamente la distanza che c’era tra loro due.
«Sei stato tu a insistere per voler passare la sera prima del tuo compleanno e tutta la restante giornata con me! Io non ti ho promesso nulla, sono solo stato costretto a cedere!»
«Dai, Torao, lo sai che ci tenevo parecchio a passare un compleanno con te! L’anno scorso non abbiamo avuto modo…»
Il più grande, denominato “Torao”, alzò gli occhi al cielo, ancora irritato per quanto successo prima, anche se doveva ammettere che gli piaceva avere quel moccioso rompiscatole sopra di lui in quel modo – maledizione, doveva essere arrabbiato con lui! 
Il più giovane sporse il labbro all’infuori. «Dai, non vuoi essere gentile con me?»
«No… Mi dai fastidio…»
Rufy fece uno sbuffo, la faccia contratta in un’espressione contrariata. Posò la testa sul petto pieno zeppo di tatuaggi di Trafalgar, producendo un ennesimo sbuffo. «Se ti do un bacio, poi cambi idea?»
Law per poco non sobbalzò: odiava queste manifestazioni di affetto, lo spiazzavo sempre.
Deglutì, cercando di mantenere un certo contegno, nonostante l’imbarazzo gli stesse mandando in fiamme le corde vocali. «Non credo proprio…»
Rufy si sporse verso di lui e gli diede un bacio a fior di labbra. «Sicuro…?»
Gliene diede un altro, stavolta spingendosi un po’ più in là, assaporando quelle labbra con la lingua, lasciandone il sapore sulle proprie. «Sicuro, sicuro?»
La mente di Law stava già cominciando ad annebbiarsi, mentre il flusso del sangue aumentava in tutto il corpo, specie nel basso ventre, e questo non aiutava di certo a vincere quella battaglia con quel ragazzino, non ora che la sua fredda razionalità era stata messa da parte dalla sensazione del calore corporeo di Rufy mischiato al proprio. 
«Guarda… che non cedo…» disse, tra un sospiro e l’altro.
«Che ti costa…» Rufy gli diede un piccolo morso sul labbro. «Dirmi: “Buongiorno Rufy! Sei perdonato per quello che è successo prima”, e farmi gli auguri di compleanno?»
Sentì la mano di Law, anch’essa contornata da tatuaggi scuri, che s’insinuava tra i suoi capelli, spingendo la nuca verso di lui e dando la possibilità alla sua lingua di insinuarsi nella bocca di Rufy. Continuarono con quel gioco di lingue, e baci, e morsi, per un paio di minuti, finché anche l’ultimo briciolo di ragione rimasta in Law non fu del tutto soppressa dall’erezione che sentì pulsare contro il corpo ancora nudo di Rufy.
«Va bene…» disse, stavolta anticipando lui un morso sul labbro di Rufy. «Buongiorno Mugiwara-ya. Sei perdonato per quello che è successo prima… Buon compleanno…»
Stava quasi per avventarsi sul quel giovane collo, col desiderio irrefrenabile di riempirlo di succhiotti, già pronto a fare sesso come la sera precedente, se non fosse che Rufy si liberò del lenzuolo che copriva entrambi e scese dal letto.
«Perfetto Torao, era quello che volevo!» disse, sogghignando e prendendo i suoi vestiti. «Stamattina facciamo la torta e di pomeriggio al cinema, giusto?»
Rufy non attese neanche la risposta da parte dell’altro, rimasto ancora disteso sul letto, gli occhi totalmente spalancati che seguivano i movimenti del minore mentre raccattava le sue cose e usciva dalla stanza, urlando un: “Non entrare nella doccia mentre ci sono io!”.
Trafalgar si passò una mano sul viso, cercando di riprendere fiato e lucidità – anche se non era per niente facile con quella maledetta erezione! –, mormorando poi tra i denti. «Giuro, un giorno di questi l’ammazzo…»


Trafalgar Law e Monkey D. Rufy.
Il primo è un brillante studente di chirurgia, prossimo a ottenere uno studio medico tutto suo, il secondo è un ragazzo appena uscito dalle superiori con la fissa per gli sport estremi e i combattimenti corpo a corpo. 
Due persone di due mondi totalmente diversi: una dedita totalmente allo studio, cresciuta da un patrigno che aveva poco dell’aria di un agente di polizia, l’altra che dedicava tutto il suo tempo ai suoi sport preferiti, non avendo la voglia di sceglierne uno solo, e accompagnata sempre dai suoi due fratelli. 
Sembrerà impossibile che queste due persone, totalmente diverse tra di loro, con gusti e caratteri che insieme non starebbero mai, possano avere una relazione, eppure è così.
La loro relazione stava per approcciarsi a compiere il secondo anno.
E dire che era successo tutto per puro caso, Trafalgar non doveva neanche essere a quella gara di corsa motociclistica, aveva soltanto fatto un favore ad alcuni suoi amici, Penguin, Satchi e Bepo, degli studenti del corso d’infermieristica, incuriositi di vederne una dal vivo. Non poteva di certo aspettarsi che si sarebbe ritrovato a soccorrere una persona, men che meno che questa sarebbe diventata parte integrante della sua vita.
Law non era affezionato a tante persone: a parte quei suoi pochi amici conosciuti all’università e il suo patrigno Corazon, non aveva nessun altro. La sua famiglia di origine era morta in un incendio, cui lui era scampato per miracolo. Trafalgar Law non aveva nessun altro.
Rufy era stato, come si dice in medicina, “un danno collaterale”. O almeno, questo era quello che pensava Law all’inizio, quando il ragazzo era riuscito a trovarlo per poterlo ringraziare di avergli salvato la vita.
Solitamente, non era da Rufy sbagliare una curva, nonostante non fosse ancora espertissimo di motocross, ma quella volta la moto aveva virato senza che lui lo volesse, finendo rovinosamente per terra, con spalla e braccio sinistro in posizione innaturale.
Se non fosse stato per Law, i danni sarebbero potuti essere più gravosi, invece Rufy sembrava essere guarito completamente, anche se gli era stato intimato di smetterla con questi sport – ma figurarsi se quel ragazzino si lasciava prendere dallo spavento e rinunciava a fare ciò che più gli piace!
A volte sembra che le cose siano destinate ad andare in un dato modo, come se fosse stato scritto già tutto; altri dicono che siamo noi a decidere come andranno le cose, come dovremmo scriverle e raccontarle, ma nessuno è mai riuscito a capire quale di queste due affermazioni sia vera.
Sembrerebbe che per Rufy e Law, le cose fossero destinate ad andare così, come se Rufy dovesse sbagliare per forza quella curva, come se Law dovesse per forza aiutarlo, come se dovessero per forza incontrarsi. Ma si potrebbe benissimo dire che la decisione di vedersi, anche dopo quell’incidente, fosse stata solo e soltanto di loro due. 
E, infetti, dopo che Rufy era riuscito a scoprire come si chiamava e dove potesse trovare Law, dopo che non la smetteva di aspettarlo e di riaccompagnarlo a casa all’uscita dell’università, le cose erano andate esattamente così: Law e Rufy decisero di andare oltre, di non fare sempre la solita passeggiata.
Fu una decisione di Law. Nonostante provasse una malsana irritazione per quel ragazzino troppo vispo, specie le prime volte, in seguito si ritrovò ad apprezzare la sua compagnia, a sentirne la mancanza quando non lo scorgeva all’uscita, seduto sulla solita panchina. Trafalgar non voleva accettare i sentimenti che, a poco a poco, stavano nascendo dentro di lui. Non lo volle accettare neanche quando decise di andare oltre, quando decise di invitare Rufy a salire al suo appartamento; neanche quando – per un fortuito caso, forse, o magari perché era così che doveva andare – le sue labbra finirono per incontrare quelle di Rufy.
E continuava a non accettarlo, benché fossero passati già due anni. 
Era come se Law sapesse che oramai – dopo quel bacio, dopo tutte le successive uscite, dopo che Rufy aveva perso la verginità con lui – erano una coppia a tutti gli effetti, ma sembrava che si rifiutasse di dichiararlo apertamente. Cosa che invece faceva Rufy, senza vergogna, senza preoccuparsi se il suo Torao non faceva lo stesso, o non gli diceva che lo amava con la sua stessa frequenza. 
Law gli dimostrava in altri modi che lo amava. Forse gli altri non se ne accorgevano, ma lui sì, e gli andava bene così. Era felice di questa relazione, era felice di essere caduto dal motore quella volta, era felice che Law fosse lì.
Erano, e sarebbero rimasti, una strana coppia, ma in quegli anni ne avevano realmente passate di tutti i colori, cominciando ad accettare i difetti l’uno dell’altro, cominciando a stare insieme per la maggior parte del tempo. Quello che però, ancora, non avevano affrontato insieme – o meglio, Trafalgar Law non aveva ancora affrontato – era festeggiare il compleanno di Rufy. 
Per il compleanno di Law, l’anno precedente, Rufy c’era stato, e aveva speso tutti i soldi che aveva messo da parte per comprargli una valigetta da lavoro decente, visto che la sua era diventata logora. Gli aveva persino improvvisato una festa a sorpresa, anche se Law lo aveva avvertito di non fare nulla, che odiava festeggiare il suo compleanno – e poi, beh, si ritrovò ad apprezzare il gesto. 
Il compleanno di Rufy, per un motivo o per un altro, non erano ancora riusciti a festeggiarlo insieme. E Rufy è un tipo piuttosto scrupoloso quando si tratta dei suoi compleanni.
Quell’anno, però, erano riusciti finalmente a organizzarsi, decidendo di passare tutta la giornata insieme fino alla sera, dove sarebbero venuti anche i fratelli del ragazzo e qualche suo amico a casa di Torao, che era stato costretto a metterla a disposizione. Ed ecco spiegato perché Monkey D. Rufy si era ritrovato la mattina del suo compleanno nel letto a due piazze del suo compagno, dopo una notte passata insieme tra le lenzuola – a dormire e… beh, a fare altro.
Rufy non si atteneva mai ai programmi, era un tipo che seguiva l’istinto, come quando si buttava da un ponte col bungee jumping, ma trattandosi di un compleanno – il suo, per giunta – aveva organizzato le cose nei minimi dettagli, cercando di guadagnare più tempo possibile e rischiando, ovviamente, di combinare casini. 
E per quell’anno, Rufy si era intestardito che la torta di compleanno la dovesse preparare lui, assieme a Torao – perché sapeva che quest’ultimo poteva cavarsela con i fornelli e perché non avevano mai provato a cucinare qualcosa solo loro due.  
Per questa ragione, quando fu il turno di Law di uscire dalla doccia, recandosi in cucina per fare colazione, lo trovò già vestito, con un ridicolo cappello da cuoco sulla testa, mentre versava un quantitativo esponenziale di farina in una ciotola.
Avvertì un leggero tic all’occhio. «Mugiwara-ya…» disse, chiamandolo con l’appellativo riferito al cappello di paglia che portava sempre in testa – e ora coperto in parte dalla toque blanche. «Che cosa stai facendo?»
«Oh, ciao Torao!» esclamò l’altro, sorridendo e non badando alla farina che piano piano scendeva dalla confezione. «Sto cominciando a preparare la torta! Ora tu vieni vero?»
Law gli fece un rapido gesto con la mano, mentre tornava nella sua stanza per mettersi una cosa addosso – anche se si chiese come sarebbe stato preparare una torta con Rufy con solo un asciugamano a coprirgli il basso ventre… Maledetta perversione!
«Non vuoi fare colazione?» domandò con una nota di stupore non appena fu di nuovo in cucina, indossando una delle sue tante felpe blu con uno strambo smile giallo stampato sopra.
«Ho mangiato tutto quello che c’era nella dispensa… Ho fatto male?»
Il moro aprì le credenze, trovando pezzi delle sue amatissime gallette al riso sparsi sulle superfici di legno, e il ripiano in granito che si trovava al di sotto era stato decorato da rimasugli di marmellate diverse. Rufy non aveva mangiato, aveva “aspirato” tutto con la stessa voracità di un uomo rimasto in un deserto per mesi: non c’era più nulla… forse qualche biscotto integrale. 
«No, come al solito hai fatto benissimo…»
Il ragazzo sorrise e riprese ad adoperarsi su come doveva preparare questo benedetto impasto, e la sua reazione fece capire a Law che, no, quel ragazzino non capiva il sarcasmo. 
«Avresti dovuto aspettarmi...» aggiunse poi, osservando i gusci d'uovo che Rufy aveva rotto senza gran successo, senza contare l'intero stato pietoso in cui riversava la cucina. Gli venivano i brividi.
«Non arrivavi più! Stai un sacco di tempo sotto la doccia!» protestò l'altro.
Law sporse un poco il collo, giusto per vedere cosa stava combinando – e anche qui, il ripiano della penisola era ricolmo di farina mischiata ad acqua. 
«Rufy... Non stai preparando una torta, ma una testata nucleare...»
«Una che?»
«Non dovevamo farla insieme?»
Il ragazzo si girò verso di lui, sbattendo gli occhietti. 
Law fece aderire totalmente il torace con la schiena di Rufy, cingendogli le spalle con le braccia, prese un uovo e lo sbatté sul bordo della ciotola in meno di un secondo, con l'albume e il tuorlo che scendevano lungo l'impasto.
«Wow, insegnamelo!» urlò Rufy, battendo le mani.
«Basta che segui quello che ti dico io... e vedi di pulire il macello che hai combinato!»
Fu così che passarono la restante mattinata a preparare quella che infondo doveva essere una semplice torta al cioccolato, seguendo quella che era la ricetta del patrigno di Law – sebbene, per preparare questa torta, avesse quasi incendiato la casa. Era un bene che avesse una buona memoria visiva, altrimenti per Rufy avrebbero preparato la torta seguendo quello che gli dicevano il naso e lo stomaco.
Alla fine, quando la torta uscì dal forno, bollente e che emanava un odore piacevole e morbido di cacao, i due compari avevano facce e grembiuli completamente sporchi di farina, cacao, zucchero e lievito.
«Bene, abbiamo finito?» domandò retorico il più grande, già pronto a togliersi il grembiule, ma Rufy lo fermò con una mano.
«Ancora no» disse. «Manca la panna!»
Trafalgar si sbatté una mano sulla faccia, cercando nella sua mente i motivi per cui gli piacesse quel ragazzino. Di certo, non per i suoi modi infantili e per il fatto che lo lasciasse come un cretino a letto, convinto che stessero cominciando a fare sesso.
Il problema non era preparare un'altra cosa in più per decorare quella semplice torta, d’ingredienti ne aveva a sufficienza; e il problema non era neanche lo stare lì, con Rufy, perché tutto sommato aveva trovato gradevole preparare qualcosa con lui, ma avrebbe sempre detto che era stata una tortura insormontabile. 
No, il reale problema era che Rufy era un disastro in cucina. Anche peggio di Corazon, che mandava a fuoco tutto, persino la sua giacca, ed era quanto dire. Rufy l'avrebbe fatta esplodere una cucina. Rufy avrebbe avvelenato tutti con il suo cibo. E il fatto che ci tenesse a preparare quella stramaledettissima panna, non era un buon segno. 
Law lo studiò con attenzione, preoccupato, lasciandogli campo libero come lui aveva esplicitamente richiesto, dandogli le direttive ogni tanto su quale fosse il dosaggio giusto di un dato alimento. 
Da qui, tutto stava andando bene. Finché Rufy non ebbe un frullatore elettrico in mano. 
Law stava quasi per strapparglielo dalle mani, dicendo che a montare ci avrebbe pensato lui, ma Rufy aveva già azionato il pulsante, così che quasi tutto il contenuto si riversasse fuori sotto forma di piccoli schizzi. I due si ritrovarono completamente ricoperti da quella sostanza, per non parlare della cucina ora pulita, e persino le tende dell'enorme finestra a vetri si erano imbrattate. 
Law si sentiva la faccia appiccicosa, anche più di prima, per non parlare dell'irritazione e della rassegnazione che continuavano a crescere dentro di lui, spostando lo sguardo verso il fautore dell'ennesimo disastro, anch'egli la faccia ricolma di quella strana sostanza. Rufy gli lanciò una lunga occhiata, e scoppiò a ridere come un forsennato.
«Non c'è nulla da ridere, Mugiwara-ya...» sussurrò Law tra i denti.
Tuttavia, Rufy non la smetteva di ridere, le mani portate all'altezza dello stomaco, tanto che lo stesso chirurgo parve rilassarsi, la solita sensazione di calore che gli riempiva il petto ogni volta che sentiva la risata cristallina di Rufy che gli riempiva le orecchie.
«Vieni qua» sbottò poi, tramutando lo sguardo di lieve affetto che gli aveva rivolto, le labbra contratte in un impercettibile sorriso, nel suo solito sguardo serioso e scocciato. «Hai la faccia tutta sporca.»
Law si avvicinò a lui, provando come poteva a ripulire quel visino, ma la risata ridondante di Rufy non aiutava. Senza volerlo, i suoi occhi si spostarono su quelli di lui, e poi sulle labbra, e lo stesso fece anche l'altro, che adesso aveva smesso completamente di ridere. 
Le labbra di Rufy sapevano di quella che doveva essere panna, ma anche di cacao e forse lievito. O almeno, così era per Law mentre lo baciava, passando poi a lasciare il segno sulle sue guance, ripulendole quasi del tutto, per poi passare al collo – e quello aveva sempre lo stesso sapore di Rufy, carne mischiata a salsedine – mentre il giovane emetteva i primi gemiti di piacere. 
E ne emise altri, sempre più crescenti, quando sentì la mano di Law insinuarsi tra i suoi pantaloni e posizionarsi sul suo pene. 
Rufy emise un lamento più forte, e sapeva doveva voleva arrivare Law con quello che gli stava facendo.
«Dobbiamo... farlo adesso?» riuscì a dire, riprendendo fiato.
«Peggio per te che non hai voluto prima...» disse Law, senza fermarsi, strappando a Rufy dei gemiti sempre più crescenti, le brache oramai calate all'ingiù. 
Si avventò sulle labbra di Law, che si erano staccate dal suo collo, anche lui sentendo il sapore della panna, della farina e del lievito. 
La sua lingua pizzicava, l'intero suo corpo pizzicava. E quando capì che sia lui che Law stavano per avere un'erezione, gli sussurrò a uno orecchio: 
«Va bene... dai... ci sto!»
Law sorrise, sghembo, e fu allora che si ritrovarono per terra, i vestiti sparsi un po' ovunque.


Il fatto che Law tendesse a cambiare discorso quando si trattava di parlare della sua storia con Rufy, l'avevano notato tutti. Persino il suo patrigno Corazon, anche se sapeva che era tutta una questione di tempo, prima o poi Law sarebbe sceso a compromessi con se stesso e avrebbe accettato la natura dei suoi sentimenti, lo conosceva troppo bene.
Quelli a essere più preoccupati, in realtà, erano proprio le persone che circondavano Rufy, i suoi amici, che sapevano quanto fosse entusiasta di questa relazione, di quanto ci tenesse, e temevano che stesse commettendo un errore madornale – insomma, quanto era esperto in amore? A stento sapeva come funzionava il suo corpo! 
E se i suoi amici erano semplicemente preoccupati, quelli a vivere con costante apprensione la relazione del ragazzo erano i suoi fratelli. Per carità, neanche per loro era facile accettare con che razza d’individuo si era messo il proprio fratello, ma a loro bastava che fosse felice. E con Law, bisognava ammetterlo, Rufy era davvero felice: una felicità diversa, il sorriso di una persona che sta accanto a chi ama realmente. 
Non era tanto questo a tenerli in ansia. 
Era Law. Era il suo essere quasi passivo. Sembrava che non gli importasse, sembrava che non volesse dimostrare che anche lui ci teneva. Quasi come se tutto fosse un gioco. 
L'idea che potesse ferire irreparabilmente il proprio fratellino, li mandava in paranoia, a tal punto dal passare a torchiarlo. 
Come quella volta, in cui avevano preparato la scusa di andare a riprendere il borsone, onde evitare di ritrovarsi pieni di sacchetti e sacchettini dopo la festa, per andare a controllare come stessero proseguendo le cose nella casa di quel chirurgo sadico. 
Finché non avrebbero visto un gesto di vero affetto verso il proprio fratello – che fosse spontaneo, non un obbligo – da parte sua, finché non si sarebbe deciso a considerare il loro rapporto una relazione seria, anche davanti agli altri, non sarebbero mai stati tranquilli. 
E quando suonarono il campanello, Sabo e Ace si scambiarono una lunga occhiata, perché sapevano che quello che stavano facendo non era per niente giusto, ma si parlava del loro fratellino. Che razza di fratelli sarebbero stati se non avessero fatto di tutto per evitargli di soffrire inutilmente? E poi, per loro, Rufy l'avrebbe fatto, no?
Presero entrambi un profondo respiro, intanto che la chiave girava nella toppa, ritrovandosi un Law con solo i suoi jeans addosso e il torso totalmente nudo. 
Questo li colse un attimo di sorpresa, i loro occhi che probabilmente esprimevano uno stupore che scatenò un piccolo ghigno sulle labbra del chirurgo. 
«Guarda un po' chi è venuto a farci visita...» Si appoggiò allo stipite, indicando entrambi col mento. «Mamma e papà!»
Solo allora, i due fratelli aggrottarono le sopracciglia, tornando alla loro solita espressione d’indifferenza quando parlavano con Law. 
«Waterloo...» dissero all'unisono. 
Il moro storse il naso. Odiava che loro sapessero del suo nome completo, e che per giunta si divertissero a storpiarlo per via della pronuncia.
«Siamo solo passati a prendere le cose di Rufy... E a fargli gli auguri di compleanno...» aggiunse Sabo.
«Oh, che cosa carina» disse Law con tono mellifluo. «Spiacente, ma Rufy è impegnato con la sua torta di compleanno, non vuole che la veda nessuno!»
«Quindi sei venuto ad aprire in questo stato perché Rufy ti ha sporcato una delle tue magliette ridicole? Che peccato...» disse Ace, usando lo stesso tono del medico.
«Che c'è, Ace-ya? Dopo aver visto questo spettacolo, stai pensando di lasciare il tuo ragazzo?»
Ace abbozzò una risata. «Tu non arrivi neanche alla classe di Marco!»
«Credo che Rufy sarebbe felice di vederci, se lo chiamassi...» disse Sabo, stroncando sul nascere quel battibecco tra i due.
«Ma è stato lui a dirmi che non voleva vedere nessuno. Quindi, cari i miei Pincopanco e Pancopinco, posso darvi il borsone e la storia si chiude qui!»
Il biondo e il moro si guardarono incerti, e Law era quasi sicuro di averli in pugno, quando si sentì una vocina che lo chiamava da lontano.
«Torao!»
In pochi secondi, il suo volto si trasformò da quello di un vincente a quello di un criminale colto durante una rapina. Non ci fu nemmeno bisogno che i due fratelli maggiori si sporgessero per assistere alla scena, che si ritrovano Rufy accanto a Law, coperto solo da una delle felpe del più grande. E nient'altro addosso. 
«La panna la devi montate tu alla fine?»
Erano tutti delle statue di sale. Law per via dell'evidente stupidità del ragazzo, cui aveva esplicitamente intimato di stare quatto quatto e zitto mentre lui apriva la porta, per evitare proprio una cosa del genere, e gli altri due... beh, per l'intera situazione.
«Ohi, Ace! Sabo! Che bello vedervi!» Avrebbe voluto tanto abbracciarli, ma si rese conto immediatamente che faticavano persino a rivolgergli il loro solito sorriso.
«Anche noi siamo felici di vederti...» mormorò Ace, il labbro che gli tremava.
«Volevamo farti gli auguri di persona...» continuò Sabo, cercando di schiarirsi la voce.
«Grazie!»
Trafalgar era quasi pronto a trascinare via da quell'impiccio lui e Rufy, sbattendo la porta in faccia a quei due se era necessario, ma fu troppo tardi. 
La domanda che più temeva, in quel momento, non tardò ad arrivare.
«Rufy... Perché indossi solo quella felpa?»
Quando lo domandò, Ace ci mese uno sforzo immane per alzare il dito della mano ad indicare il corpo di suo fratello nella sua interezza, mentre quest'ultimo studiava la faccia sorridente in giallo. 
All'inizio non capiva cosa ci fosse di sbagliato in quella felpa, ma guardando gli occhi di Law gli fu tutto più chiaro. 
Indossava solo la felpa. Non aveva nessun altro indumento. 
Gliela aveva fregata a Law, preso com'era dalla voglia di finire di preparare la panna, e questo dava anche una spiegazione del perché il più grande si fosse presentato in quel modo alla porta, perché non era possibile lasciare una cucina nelle soli mani di Rufy per andare alla ricerca di qualcos’altro da indossare. E spiegava anche come mai gli avesse detto di non venire alla porta per nessuna ragione, perché sapeva che si trattava dei suoi fratelli, e di certo si sarebbero fatti delle domande. Ma Rufy non poteva saperlo, e non gli era passato per l'anticamera del cervello di rimettersi i suoi vestiti, la felpa morbida di Torao era meglio, emanava il suo odore di menta.
«Ecco, io...» iniziò, martoriandosi le mani nella speranza di trovare una scusa plausibile. «É una storia divertente...»
«Me lo auguro...» sbottò Sabo, alzando gli occhi al cielo come se stesse pregando.
Lo sguardo di Rufy vagò dal pianerottolo vuoto – per fortuna –, ai suoi fratelli, a Torao, che in quel momento si trovava in difficoltà quanto lui. Il sudore gli rese le mani scivolose ed era difficile scricchiarle. Che cosa poteva fare?
«Rufy... la verità...» parlò ancora il biondo.
Il giovane si morse il labbro inferiore, spostando lo sguardo su un punto non ben preciso: era a conoscenza che ai suoi fratelli Law non stesse simpatico, forse non sarebbero stati entusiasti di sapere che con lui aveva capito cosa realmente fosse la sessualità collegata al suo corpo. Per lui, erano stati sempre dei concetti astratti. 
Law, invece, cercava di mandargli dei segnali con lo sguardo, con piccoli gesti della testa, volendolo convincere a non dire nulla, ma come al solito non fu ascoltato.
«Io e Torao...» cominciò il più piccolo, la tonalità di voce che si andava abbassando. «Ecco... abbiamo fatto sesso... in cucina... poco fa...»
Cercò di fare un sorriso, mentre i volti dei suoi fratelli si facevano più atterriti e il chirurgo si teneva il ponte del naso tra indice e pollice, ancora appoggiato allo stipite.
«Mugiwara-ya» riuscì a dire, finalmente. «Forse è meglio se tu sparisci...»
«Mi sa che hai ragione...» disse, trovandosi in perfetto accordo con quello che gli aveva suggerito Law. Fece un cenno ai suoi fratelli, ancora in trance, per poi fare dietrofront e camminare a passo di marcia, fischiettando per smorzare la tensione.
Solo quando si allontanò, l’unico che riuscì a spiccicare parola per primo fu Sabo: «Ti scopi mio fratello!»
«No... Stiamo tutto il giorno a fissarci come fai tu con la tua ragazza» disse, sarcastico, e cercando di riprendere la situazione in mano dopo quell’imprevisto – imprevisto? Era una catastrofe di dimensioni abnormi!
Il biondo era sul punto di replicare, il dito puntato verso l’alto, ma alla fine fu costretto a mormorare, di malavoglia, un “Touché” sommesso.
«Non ci posso credere...» mormorava Ace, andando avanti e indietro in direzione dei primi gradini della rampa di scale, per poi tornare verso Law.
Anche qui, non era vero che i due fratelli non ci credevano; inconsciamente, avevano intuito che Rufy non fosse più vergine, ma consciamente fingevano che non avevano mai pensato alla relazione del fratello anche in quel senso. E decisamente non era il loro passatempo preferito immaginare che il loro fratellino potesse realmente sapere come si faceva, men che meno che l'avesse imparato con uno come Trafalgar.
«Non capisco dove stia il problema…» disse Law, incrociando le braccia e cercando di apparire tranquillo – anche se dentro di lui, avrebbe tanto voluto spaccare qualche sedia in testa al quel moccioso! «Rufy non è più un ragazzino.»
«Infatti non è Rufy il problema!» sbottò il moro, piazzandosi davanti a Law, tanto che il suo fiato finì per investire appieno il viso del giovane chirurgo. «Sei tu il problema!»
Trafalgar alzò un sopracciglio. «Andiamo, lo so che vi sto antipatico, ma non potete di certo mettere la cintura di castità a vostro fratello, vi pare?»
«Non è neanche questo!» continuava Ace, e stavolta il tono della sua voce si era abbassato, restando comunque udibile a tutti, e Law poté giurare che l’aria si fosse fatta più rarefatta. «Quello che mi preoccupa è come l’abbia trattato tu…»
«Perché non potrebbe essere che sia Rufy a stare sopra?» Alla faccia del ragazzo, Law intuì che effettivamente la cosa era poco probabile, almeno per adesso, visto il considerato che ancora Rufy non ne capiva granché di sesso e cose del genere. «Non ho sperimentato il bondage, se te lo stessi chiedendo…»
«Forse non con lui… ma in passato sì!»
Il chirurgo ci pensò su un attimo. «Touché…»
«Lurido figlio di…»
Sabo fermò repentinamente il pugno del fratello che si stava per avventare sul viso del loro interlocutore, l’altra mano portata a stringere la sua spalla scura. «Ace…» si limitò a dire, con una nota di rimprovero.
«Ace un corno, Sabo!» sbraitò il diretto interessato. «Come fai a stare calmo? Come non ti viene voglia di prenderlo a pugni sui denti?»
Il biondo lo guardò grave, mentre Law continuava il suo discorso, la mano del lentigginoso che stringeva ancora sulla sua spalla: «Non ne ho mai avuta l’intenzione, con Rufy, ripeto…»
«Lo spero per te» disse Sabo, gli occhi assottigliati e puntanti sulla figura che gli stava davanti. «Il problema rimane, però: sei o non sei innamorato di mio fratello?»
Trafalgar per poco non sobbalzò, anche se non poté evitare di sgranare gli occhi. «Che cosa c’entra con la nostra discussione?»
«C’entra.» E il viso parzialmente sfregiato del biondo si avvicinò sempre di più. «Ti costa così tanto ammetterlo?»
Il chirurgo provò a sostenere lo sguardo, ma pareva che le sue pupille si muovessero senza controllo, puntate verso altro che non fossero gli occhi di quel cretino là davanti, borbottando imprecazioni e mordendosi il labbro inferiore fino a spellarlo.
Sabo si spostò indietro, seguito a ruota da Ace, un sorriso di vittoria stampato in viso. «Vedi, Waterloo, fintanto che tu non farai qualcosa, o dirai qualcosa, che esprima veramente quello che senti per Rufy, continueremo a considerarti un verme che utilizza chi vuole per i suoi scopi sessuali. Non abbiamo intenzione di rovinare il compleanno di Rufy, né di impedirgli di vederti, ma sappi che, se non prenderai una decisione, Pincopanco e Pancopinco ti renderanno la vita un inferno!»
I suoi occhi dardeggiavano mentre parlava, e Law ne rimase piacevolmente sorpreso. Tra i due, Sabo sembrava essere quello più calmo, ma in realtà nascondeva la sua rabbia sotto una maschera di pacatezza e autocontrollo. Erano rari i casi in cui usciva davvero fuori dai gangheri.
«Hai ventiquattro ore, caro!» esclamò poi, dandogli le spalle e facendogli un cenno con la mano.
«Questa storia non finisce qui!» gli intimò frettolosamente Ace, seguendo a ruota il fratello, discorrendo sul fatto che certa gente si doveva minacciare, anche se il lentigginoso rimaneva del fatto che voleva fracassare a botte quella sua dentatura perfetta. 
Law rimase sulla soglia per un po', assorto nei suoi pensieri, assorto in quello che gli era stato appena detto. Era come se stesse collegando quelle parole alle immagini di quello che faceva lui con Rufy. 
E si rese conto... che era fottutamente vero. Destava ammetterlo, destava ammettere che quei due avevano vinto su tutti i fronti quella volta, ma era così. 
Law lo sapeva, come sapeva di amare Rufy, ma era un modo tutto suo di amarlo, un modo che forse non era abbastanza, anche se quel ragazzetto non glielo avrebbe fatto pesare mai. 
Forse, però, era anche ora che Law cominciasse a darsi una svegliata e si rendesse conto che lui amava Rufy come non aveva mai fatto con nessun'altra persona, nelle sue relazioni precedenti. E Law ne era più consapevole non appena si ritrovava a fissarlo, a letto, perché non c'era malizia in quello che stavano facendo, era sentito veramente, i corpi e i cuori di entrambi sentivano che volevano farlo. 
Incredibile, ma le parole di Sabo avevano riportato a galla un desiderio che Law voleva realizzare da tanto tempo, un desiderio che forse avrebbe messo in luce i suoi sentimenti per quel ragazzino, che forse avrebbe fatto tacere per sempre le parole di quei due fratelli trasformati a genitori. 
Magari, si disse Law chiudendo la porta alle sue spalle, era anche ora che lo mettesse in pratica. 


«Mi spiace per stamattina...»
Law spostò lo sguardo su Rufy, la ciotola di popcorn in mano, mentre aspettavano che aprissero la sala dove avrebbero visto, come gli aveva promesso, "Civil War".
«Ti avevo detto di non muoverti...» si limitò a dire Law.
«Non pensavo fossero i miei fratelli! Credevo che fosse il fattorino delle pizze!»
Ci fu un attimo di pausa. «Rufy, le pizze le mangiamo stasera...»
«Beh, non si può mangiare pizza sia a pranzo sia a cena?»
Law alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, la folla di nerd urlanti che gli stava davanti che aspettava solo il via per scatenare una guerra di dimensioni tali a quelle di Sparta.
«Se la sono presa?» chiese Rufy, un po' titubante.
Trafalgar alzò le spalle. «Abbastanza...»
«Ah.» La voce di Rufy era lievemente dispiaciuta, ma era quasi certo che sarebbe andata a finire così. Gli avrebbe chiesto scusa non appena li avrebbe riabbracciati quella sera. «E tu sei arrabbiato con me?»
«No, Mugiwara-ya...» disse, con uno sbuffo. «Sono solo seccato da questa storia...»
«Okay.»
Non spiccarono parola per due minuti buoni, mentre intorno a loro vi era il caos più totale, e tutto quel contatto umano, tra gente sudata e l'odore di unto del bancone di snack alle loro spalle, stava incominciando a far innervosire ulteriormente Law.
Fu il minore che riprese a parlare, deciso a voler cambiare discorso e a voler smorzare la tensione. «Qual è il tuo supereroe preferito?»
«Come prego?»
«Volevo sapere se c'è un supereroe della Marvel che ti piace di più...»
Law alzò un sopracciglio. «Rufy, tu lo sai che se non mi avessi praticamente costretto, io neanche sarei venuto a vedere questo stupidissimo film, vero?»
«Non ci credo che tu non abbia mai letto un fumetto!» protestò Rufy. «Dai, non ti prendo in giro se me lo dici!»
Era esattamente come quella mattina, e come tutte le altre volte in cui Rufy doveva vincere, comportandosi da bambino capriccioso. Solo che, in quel caso, Law non era appagato dall'idea di poter avere ancora quel corpicino tutto per sé, per quanto possente esso potesse essere, stavolta non avrebbe ceduto, soprattutto per una cosa così sciocca.
«Per esempio, a me piacciono un sacco i poteri di Mr Fantastic, però mi piacerebbe un sacco avere anche quelli di Spiderman. Non sono ancora riuscito a scegliere, quando ero piccolo diventava un problema se dovevo giocare con i miei fratelli!» Rufy accennò una risata. «Vedi, non c'è nulla di male nel dirmelo!»
«Ma io non ho nulla da dire, Mugiwara-ya.»
Il ragazzo mise il broncio, il labbro sporto infuori. «Okay, allora provo a indovinare io: Thor?»
«Piantala.»
«Iron Man?»
«Mugiwara-ya, ti rendi conto che non ho idea di cosa tu mi stia dicendo?»
«Ho capito, stai dalla parte di Capitan America.»
«Rufy... Sta zitto...»
Ma il ragazzo non stette per niente zitto: continuò con questa tiritera, tirando fuori i nomi dei supereroi più improbabili, a volte storpiandoli, ma Law sembrava irremovibile, sperando che quella tortura avesse fine al più presto, fissando oltre le capigliature sconosciute di chi gli stava di fronte. 
Poi, ecco che Rufy sparò l'ennesimo nome dalla lista. «Batman?»
Law non lo aveva neanche guardato. Aveva parlato, i nervi oramai a pezzi per via della gente che spintonava, del sudore che impregnava l'aria, delle continue domande del ragazzo che gli martellavano il cervello insieme al chiacchiericcio amplificato della folla. Aveva parlato, senza pensare, e solo due secondi dopo aveva compreso di aver fatto una stronzata, di essersi scavato la fossa da solo.
«Batman non è della Marvel, è della DC Comics.»
Rufy lo sapeva, ovvio. L'aveva fatto apposta.
Non si poteva dire un appassionato incallito di fumetti, ma si poteva dire che ne aveva letto qualcuno, e amava un sacco le trasposizioni animate. Sapeva che c'era una netta differenza tra le due case di produzione più famose al mondo, ed era forse una delle poche cose che gli era rimasta in testa – assieme a tutte le nozioni sugli scarabei e sulle varie tipologie esistenti che aveva imparato nel corso della sua vita.
Non era difficile distinguere le basi su cui si fondavano i supereroi di una o dell'altra casa; o almeno, questo valeva per chi li avesse leggiucchiati e sapesse di questa storia. Perché uno che i fumetti li odiava, come voleva far credere di essere Law, di certo considerava tutto frutto della stessa minestra. 
Il chirurgo si voltò lentamente verso il suo compagno, la stessa espressione di quella mattina, quando Ace e Sabo avevano visto il loro fratello in quelle condizioni, a dipingergli il viso. Pareva un bambino che era stato appena scoperto con le mani dentro la ciotola dei biscotti.
«Almeno... L'ho sentito dire...» si giustificò, con una mezza alzata di spalle.
«Certo» disse Rufy, che sorrideva soddisfatto. Mise un pugno di popcorn in bocca, masticando rumorosamente, prima di ricominciare a parlare. «Tranquillo, il tuo segreto è al sicuro con me!»
Trafalgar stava per replicare che non c'era alcun segreto da mantenere, ma Rufy lo precedette ancora. «Però mi devi comprare un'altra ciotola formato gigante, stavolta di nachos!»
«Non sarebbe il caso di finire i popcorn, prima?»
«No, la voglio adesso!»
Law si spiattellò una mano sul viso. «E va bene, come vuoi tu!» disse, prendendo mano al portafoglio.
«Grazie Torao!»
E fu allora. Fu allora che Law fermò quello che stava facendo, fu allora che le urla di protesta nei confronti del ritardo si dissolsero nel nulla, fu allora che tutto il resto del mondo non esisteva.
C'erano solo lui e Rufy.
Rufy, che gli sorrideva a trentadue denti, che non lo giudicava per nulla, che dimostrava di amarlo con ogni piccola cosa, che ce la metteva tutta per farlo stare bene. Rufy era così: un bambino ottuso, certo, ma anche sincero, puro. 
E fu allora che Law si rese conto che era questo che gli piaceva di Rufy, quel suo sorriso, quegli occhi che trasparivano quell'animo assolutamente privo di macchia. 
E fu allora che Law si rese conto di amare Rufy proprio per questo; anzi, di amarlo e basta, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. 
Per questo, fu anche la prima volta in cui Law non ci pensò due volte a lasciare un bacio sulle labbra a Rufy, con una spontaneità che non era da lui. Non aveva avuto paura di mostrarsi, alla fine, proprio come aveva previsto Cora.
«Torao...» mormorò Rufy non appena si staccò da Law. «Mi hai baciato in pubblico...»
Law finse indifferenza – perché, alla fine, della gente gliene fregava davvero poco – ma sapeva che una cosa del genere era rivoluzionaria per uno come lui. «E allora?» «Non l'hai mai fatto...» gli fece notare Rufy.
«Non ti è piaciuto?»
«No, anzi!» si affrettò a dire. «Solo... mi chiedevo perché...»
Trafalgar squadrò ancora una volta la massa che gli stava davanti, notando che forse sarebbero entrati a breve. «Volevo farti un regalo, non potevo?»
In realtà, era un altro il regalo che Law voleva fargli, un regalo che era rimasto chiuso dentro un cassetto, un regalo che aveva trovato il pretesto perfetto per uscire, soprattutto dopo quel bacio.
Un regalo che nasceva da un possibile cambiamento, da un piccolo desiderio di qualche anno fa. 
Così, quando Rufy fece scendere le dita della mano su quelle di lui per stringere, fece anch'egli esattamente la stessa cosa.


Law se ne stava appoggiato sul ripiano della penisola, lontano dal gruppetto di ospiti che si era accomodato sui divani grigio topo del suo salotto. 
La festa di compleanno di Rufy doveva essere iniziata da un paio di ore circa, più o meno da quando era stata portata la pizza, di cui rimaneva qualche fetta nei vari cartoni sparsi per il tavolino. Non si trattava di una festa al quanto eccessiva, c'erano solo il suo gruppetto di amici e i suoi fratelli, con i rispettivi partner. Una semplice festa fatta a base di pizza, birra e tanti regali, che Rufy si stava apprestando ad aprire a uno a uno, con la sua solita vivacità bambinesca. 
«Devi ringraziare Makino...» gli disse Ace, mentre il fratello si provava il cappello di lana che la loro amica gli aveva regalato. Era stata come una balia per Rufy. 
«Contaci! Domani c'è anche lei al pranzo col nonno, no?» chiese, e nel farlo rabbrividì un poco. Voleva bene a suo nonno, ma tra di loro non correva buon sangue, soprattutto quando discutevano su quale stile di vita bisognasse tenere. 
Ace rise lievemente. Sembrava che sia lui sia Sabo non se la fossero presa per quello che era accaduto la mattina; anzi, quando Rufy li aveva abbracciati, andando subito a parare il proposito di dargli spiegazioni e in tal caso fornirgli delle scuse, loro sembravano cadere dalle nuvole. Come se avessero rimosso tutto. 
Erano tranquilli, gli avevano persino regalato una moto da cross nuova, una di quelle che desiderava da tanto tempo. Rufy si sentiva un po' meglio anche con se stesso. 
Cosa che invece non faceva Trafalgar, che se ne stava in disparte, gli occhi da falco di entrambi i fratelli puntati addosso. Era teso, e il fatto che gli fossero lanciate certe frecciatine, come se ci si aspettasse da lui qualcosa o come se si sapesse che non sarebbe successo niente, lo rendeva ancora più nervoso. Più volte Rufy gli aveva chiesto se c'era qualcosa che non andava, anche durante la strada del ritorno dal cinema, mentre sproloquiava sul film e su cosa gli fosse piaciuto e no. 
Law era stato sovrappensiero per tutto il tempo – anche se, non l'avrebbe ammesso mai, ma il film l'aveva seguito pure lui –, e Rufy temette fosse per via di quello che aveva fatto prima di entrare in sala. 
Di quello, a dir la verità, Law era assolutamente tranquillo. Non se ne era pentito affatto, anzi, si sentiva quasi più leggero. Si sentiva come se questa cosa dovesse farla già tempo addietro, ma c'era qualcosa che glielo impediva – il suo cinismo? O la sua maniacale passione di mostrarsi distaccato dai sentimenti umani?
Era altro che aveva occupato la mente del giovane, e non erano solo le parole di quei due rincretiniti seduti adesso ai lati del proprio fratello, ma il contenuto che si celava dentro la sua tasca e che lui stava stringendo con forza.
Il piccolo desiderio che era rimasto chiuso nel cassetto.
Il proposito che, adesso, avrebbe voluto rendere fattibile.
Il possibile gesto... che avrebbe fatto capire a Rufy che l'amava.
Poco importava cosa ne pensassero i suoi fratelli, a lui interessava solo della reazione di Rufy.
«Bene, questo era l'ultimo!» disse il festeggiato, riposando il cappellino dentro la scatola.
«Come, Trafalgar non ti ha fatto nulla?» disse Ace, mellifluo, lanciando una lunga occhiataccia al diretto interessato.
«Nah, lui non doveva farmi regalo!» disse Rufy, sorridendo. «Abbiamo già passato la giornata insieme, per me basta e avanza!»
«Proprio un bel regalo...» sussurrò Ace, ovviamente in riferimento a quello che era successo la mattina, probabilmente non abbastanza piano da non farsi sentire, tanto che Sabo gli diede uno scappellotto sulla nuca. L'unico a non comprendere fu proprio Rufy.
Law si sentì un po' puntato sul vivo, anche se adesso tutti ridevano delle proteste che Ace aveva rivolto al biondo per via del colpo. E mentre tutti erano distratti, per il momento, si ritrovò a fissare il viso sorridente di Rufy, lo stesso maledetto sorriso che gli aveva rivolto quel pomeriggio.
Quel maledetto sorriso che amava.
Fu facile per lui, da quel momento. I muscoli si fecero meno tesi, e i suoi polmoni, troppo pieni d’ossigeno per i suoi gusti, erano tornati alla loro posizione naturale.
Gli venne così spontaneo, così immediato, che quasi non ci pensò, proprio come quel pomeriggio. Era questo il suo problema, Law pensava troppo. Con una persona che si ama, non si pensa troppo, semplicemente si fa e basta. Il chirurgo aveva appena imparato a farlo. 
Strinse ancora una volta l'oggettino che teneva in tasca, prima di chiamarlo. «Mugiwara-ya!»
Gli diede solo il tempo di girarsi, di sbattere i suoi grandi occhi color ebano, prima di lanciare qualcosa nella sua direzione. 
«Una chiave?» Rufy era perplesso. 
«Gli hai regalato anche tu una moto da cross?» scattò subito Ace, senza neanche accorgersi che, di fatto, quella chiave non era per niente la chiava di un motore, bensì sembrava più...
«Così la prossima volta non rimani fuori sul pianerottolo ad aspettarmi quando non ci sono...» bofonchiò Law, sorseggiando la birra che aveva in mano da quasi tutta la serata. 
Ecco qual era il fatidico desiderio. Il desiderio di poter avere Rufy a casa, pronto ad aspettarlo se necessario. All'inizio, aveva lottato un po' con se stesso, con la paura di lasciare casa sua nelle mani di quel folle, cosicché il duplicato della chiave era rimasto in un cassetto, vuoto, perché sarebbe stato solo di proprietà di Rufy in futuro. Tuttavia, il ricordo di Rufy, seduto sullo zerbino ad aspettarlo davanti casa, un sabato mattina, con l'idea di fargli una sorpresa, aveva vinto su tutti i fronti.
Rufy lo fissò con tanto d'occhi, e con lui tutto il resto degli invitati.
«Hai anche un cassetto, se vuoi... nel mobile della mia stanza...» proseguì Law, nel silenzio più totale, e stava cominciando ad avvertire un certo disagio.
«Buon dio...» sbottò poi Sabo, ancora incredulo. Era quasi certo che Trafalgar l'avrebbe preso alla lettera, ma non così!
Rufy, nel frattempo, aveva deciso di coprire la distanza che lo separava dal suo compagno passando direttamente sopra tavolino e divano, lanciandosi su di lui a braccia aperte. L’altro lo afferrò per miracolo. 
«Grazie Torao! Grazie, grazie, grazie, grazie, è il miglior regalo che tu potessi farmi!» Rufy era euforico, e non sapeva se delle piccole lacrime di gioia gli stavano inumidendo gli angoli degli occhi. 
Law, stranamente, sorrise, ricambiando quell'abbraccio soffocante. 
«Ti amo» gli disse poi, e voleva che fosse lui a sentirlo per prima, gli altri non erano niente. 
C'erano solo lui, Rufy e il loro abbraccio. Proprio come quel pomeriggio. 
Il minore si staccò un po', giusto per poterlo vedere in viso. Non l'aveva mai visto in quel modo, faceva quasi impressione, eppure Rufy sentiva che era sincero. Che l'avevo detto perché, per la prima volta, si sentiva di farlo, non era costretto. 
Torao non sarebbe cambiato: sarebbe rimasto sempre il solito individuo cinico e a volte sgarbato con lui. Ma almeno, aveva finalmente ammesso che anche lui sentiva le stesse cose che sentiva Rufy. E, chissà, forse avrebbe continuato a mostrarle nel tempo avvenire. 
Lo fissò, le pupille che vibravano, un po' per via di un imminente pianto un po' per l'emozione, prima di baciarlo sulle labbra. 
Nessuno dei due seppe per quanto tempo si baciarono, l'unica cosa che sentirono furono lo scrosciare di applausi e il rumore assordante di fischi proveniente dal gruppo di amici del ragazzo.


«Rufy, dobbiamo andare a casa...» bisbigliò piano Sabo, scrollando per una spalla il fratello.
Questo mugugnò qualcosa, prima di tornare a ronfare sonoramente.
La festa era ormai finita da un pezzo, e gli unici a essere rimasta erano il proprietario della casa e i tre fratelli. Gli altri se ne erano andati un po' prima, e anche Koala e Marco avevano lasciato l'abitazione, facendosi ripromettere da entrambi i tontoloni che avrebbero passato una serata da soli molto presto. 
Rufy si era già addormentato, probabilmente da quando aveva finito di mangiare la torta che aveva preparato (senza panna alla fine), a dimostrazione del fatto che lui l'alcool non lo reggeva per niente.
«É tardi...» ritentò il biondo, ottenendo solo il rumore ridondante del russare di Rufy come risposta.
«Abbiamo anche il borsone...» disse Ace, che era già pieno fino al midollo di sacchetti, e ancora ne mancavano altri. Gli amici di Rufy tendevano sempre a esagerare con i regali, ed era solo un gruppo composto da otto persone!
«Lo so...» Effettivamente, quella mattina, la loro visitina serviva anche a evitare una cosa del genere, ma con tutto quello che era successo gli era proprio passato dalla mente. «Come facciamo con Rufy?»
«Problemi?» chiese Law, che aveva ascoltato tutta la conversazione mentre dava una ripulita in cucina. 
Trafalgar era l'ultima persona cui i due fratelli avrebbero chiesto aiuto, ma non ce ne fu realmente bisogno: senza che loro parlassero, Law si era avvicinato al corpo assopito di Rufy, aveva mormorato qualcosa e se l'era caricato sulle spalle, mezzo addormentato.
«Dove avete parcheggiato la macchina?» domandò, come se quella scena fosse all'ordine del giorno. 
Sabo ci mise parecchio ad assimilarla, prima di rispondere. «Davanti al tuo portone.»
Arrivarono alla macchina in pochissimo tempo, intanto che Law sistemava Rufy nel sedile posteriore. 
Gli mise la cintura di sicurezza, mentre quello andava blaterando parole sconnesse, passandogli una mano tra il ciuffo che gli copriva il viso. 
Non poteva di certo aspettarsi di trovare Sabo dietro le sue spalle non appena si girò, lo credeva a sistemare le varie cose nel bagagliaio con Ace. 
«Paura?» disse, sorridendo compiaciuto.
«Con la brutta faccia che ti ritrovi...» disse, sempre nei suoi modi poco cortesi.
«Ti dirò, Trafalgar, mi hai stupito. Non mi aspettavo un gesto del genere da uno come te» si complimentò, mentre apriva la portiera del guidatore.
«Anche se non ci riprenderemo mai dalla consapevolezza che Rufy faccia sesso con te!» si aggregò Ace.
«Ace...»
«No, Sabo, non ribeccarmi, non smetterò di essere scioccato, Rufy neanche sapeva cosa implicasse fare sesso!»
«Fino a qualche tempo fa, Rufy neanche sapeva cosa fossero i genitali, perciò non credi che io sia stupito quanto te?»
Law alzò un sopracciglio, domandandosi se quei due facevano sempre così.
Stranamente, non era in ansia per quello che pensavano, per lui contava come ne era rimasto Rufy. Coscienza o meno apposto, aveva fatto tutto quello che era in suo potere per rendere, almeno una volta, felice Rufy della loro storia. O per dimostrare che anche lui era felice di stare insieme con quel pazzo.
«Vogliamo fidarci, Law...» disse Sabo. «Nel senso che se venissimo a sapere di altri atti sessuali come quello di stamattina, cercheremo di non farci caso...»
«Ma non ti illudere, continuerai a starci sulle scatole!» concluse Ace, entrando in macchina.
«Concordo!»
Il chirurgo non ebbe il tempo di dire nulla, di rispondere, che il finestrino della macchina si abbassò di nuovo, rivelando la chioma bionda di Sabo.
«Puoi rispondere?»
«A cosa?»
Sabo sorrise appena. «Ami o no mio fratello?»
Law, quella volta, non ebbe il bisogno di ragionare come faceva sempre, come faceva anche quando era al fianco di Rufy. Semplicemente, rispose, girandosi a guardare Rufy che gli sorrideva, la faccia imbambolata appoggiata al finestrino e gli occhi semi aperti.
«Io... credo di sì.»
«Bene, perché se ti rammollisci, sarà più facile prenderti in giro!»
Law spostò i suoi occhi grigi verso la fonte della voce, il sorriso che aveva prima sostituito da un'espressione infastidita. Ace teneva la testa inclinata e sorrideva divertito.
Sabo nascose il suo sorriso, ma si rivolse ancora a Law. 
«Quello che cerca di dire Ace è...» s'interruppe, giusto per studiarlo un po'. «Hai fatto un grande passo, lo sai questo?»
«Non l'avrei fatto se non ne fossi stato sicuro» affermò Law.
Sabo sorrise e mise in moto. «Vedi di non sgarrare!» disse prima di partire, sollevando la polvere dalla strada.
Trafalgar Law rimase ancora sul ciglio del marciapiede a fissare l'auto che diventava un puntino, sorridendo, felice di aver compiuto questo strano passo. 
E si ritrovò desideroso di vedere quel cassetto vuoto, nella sua stanza, riempito. Desideroso di trovare il faccino sorridente di Rufy ad aspettarlo quando apriva la porta di casa.



Delucidazioni:
-Tecnicamente, questa storia doveva essere pubblicata per il compleanno di Rufy. Mi sono resa conto, però, che non ce la facevo con i tempi, perciò mi sono detta che era perfetta per questa giornata della raccolta, dove mi veniva lasciato campo libero :')
-Niente, mi faceva troppo ridere l'idea di un Rufy che lascia appeso Law (povero...). Per quanto riguarda la scena in cui preparano la torta, è ispirata a una fanart in cui Law, vedendo Rufy con la faccia tutta sporca di panna, comincia a baciarlo sulla guancia. E niente, la cosa di per sé era tanto carina e pucciosa, io l'ho trasformata... vabbé, in questo
Per non parlare di come piaceva l'idea di vedere Rufy con un touche blanche in testa, dopo gli ultimi capitoli. c': 
(per chi non lo sapesse, è il cappello da cuoco, detto alla francese lol)
-Il fatto che Law abbia un rapporto contrastante con Ace e Sabo è un headcanon che tendo ad inserire in quasi ogni mia AU. E mi piace troppo che si sfottano a vicenda :'D <3 
Tecnicamente, la scena in cui i due fratelli vedono Rufy praticamente nudo (con la felpa di Torao addosso, da non dimenticare, che io amo immaginarmelo così <3 *le mettono una camicia di forza*), nella mia testa fa ridere, ma non so se sono riuscita a renderla a dovere. Fatemi sapere cosa ne pensate, è una delle scene cui tengo di più!
-Perché Civil War? In realtà, ho preso la scusa dopo una discussione con mia sorella su quale supereroe si addice di più a ogni personaggio di One Piece. Abbiamo avuto problemi con Law, sul serio, non sapevamo chi affibbiargli (alla fine, abbiamo optato per Batman, appunto, ma solo perché, diamine, ha pure il suo "Joker". Anche se una meme diceva che Law da piccolo poteva essere paragonato a Robin... *la picchiano*).
La cosa si è protratta per un po', finché non le ho proposto quest'idea e lei mi ha detto di provarci. Lo so, passo da fargli fare i nerd (che poi, Rufy ce lo vedo a leggere qualche fumetto, non implica una lettura chissà quanto complicata. Law no, perché lui è tutto tomi e libri di anatomia, quindi la cosa era fatta per far sorridere. Anche se, possibilmente, Law dentro di sé è un po' nerd... uu), a fargli fare cose dolciose, ma volevo mettermi alla prova con una cosa del genere :')
-La scena di Law che da la chiave a Rufy è presa da una doujinshi (il nome purtroppo è in giapponese, non so come fornirvela :c), e mi ha fatto sciogliere come un ghiacciolo! *W*
Mi piaceva l'idea che Law, per dimostrare che ci tiene davvero a Rufy, sia disposto a lasciargli campo libero a casa sua. In una relazione di coppia, fare una cosa del genere è importante, significa che sta diventando qualcosa di serio. Come anche l'idea del cassetto personale, aww! *^*
Forse è uno stereotipo americano, ma anch’io la peso così. 
A tal proposito, fatemi sapere cosa ne pesate della personalità dei miei due patati e della loro dinamica di coppia, non vorrei aver reso tutto troppo confuso.
-Tengo tantissimo a questa storia, ci ho lavorato tantissimo perché venisse nel migliore dei modi. E lo so che sono state VENTI PAGINE di pura tortura, ma tenevo a inserire tutto quello che avevo a mente. 
Vi prego di perdonarmi! 
*porge medaglia d'onore a chi è arrivato alla fine* (???)
Commenti sempre liberi e accetti, e prometto che risponderò a tutti non appena avrò tempo! ;)
Ancora grazie di rendere questa pazza tanto felice! <3
Ci si vede col Day Nine,
_Lady di inchiostro_
  
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