Film > Captain America
Segui la storia  |       
Autore: Anna Wanderer Love    11/06/2016    4 recensioni
Jemima Wright è un'ex agente dello S.H.I.E.L.D, licenziatasi dopo aver subito gravissime ferite provocate dal Soldato d'Inverno nel corso di una missione segreta.
Un anno dopo di ritrova a lanciare coltelli contro quello stesso Soldato nella sua cucina.
Perché il Soldato d'Inverno è così ossessionato da lei? Perché la controlla, la segue dappertutto? E, soprattutto, perché quando Jemima guarda quegli occhi scuri non sente rabbia, ma solo compassione?
[Dal testo:]
Si chinò, inginocchiandosi. Lo guardavo con le lacrime agli occhi e la bocca piena di sangue, ma ero determinata a non cedere.
Il suo sguardo si spostò sulla mia gamba, intrappolata sotto a pezzi di cemento.
Con uno scatto si spostò vicino alla mia anca e sollevò un piccolo masso. Il sollievo che provai nel sentire quel peso non gravare più sulla mia carne fu quasi violento, ma prima che potessi muovermi o trascinarmi via da quella trappola un palo di ferro rovinò sulla gamba.
Urlai con tutto il fiato che avevo, mentre il dolore esplodeva nella mia mente.
L’ultima cosa che vidi prima di svenire fu il bagliore del suo braccio di metallo.
(Bucky/Soldatod'InvernoxNuovoPersonaggio) (StevexNatasha)
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

When Love arrives in the dark

A New Beginning.


 

Erano passati due mesi da quando James l’aveva lasciata. Jemima era sparita dalla circolazione, in attesa che le acque si calmassero. Aveva contattato lo SHIELD, fornito le formazioni strettamente indispensabili per riuscire a uscire da quella situazione  ed era partita.
Si era rifugiata in Spagna, dopo aver passato qualche giorno con la madre e la sorella in una casa sicura.
Sapeva già di non poter stare con loro a lungo. Sebbene l’emergenza fosse rientrata e lo SHIELD le avesse fornito protezione, era ancora una preda ambita dall’HYDRA. Per questo motivo aveva fatto fagotto il prima possibile ed era salita sul primo aereo che aveva trovato, dopo aver subito passivamente le urla di sua madre che le imponeva di non muoversi da lì. Con tono calmo, quasi supplichevole, Jemima l’aveva convinta che allontanarsi sarebbe stata la cosa migliore per tutte e tre. Il che non dipendeva affatto dalla massa di pensieri tristi e rabbiosi che le affollavano la mente, né dalla struggente malinconia che una particolare assenza provocava, certo che no.
Da un mese e mezzo lavorava come cameriera in un bar squallido di Granada. Si trovava nella periferia della città, pieno di vecchi perennemente in cerca di una sbronza e camionisti maleducati. Il lavoro era duro, la paga minima e a fine giornata crollava distrutta sul letto del minuscolo appartamento in affitto, ma per il momento era sufficiente così.
E poi, Jemima doveva essere esausta a fine giornata. Sentiva il bisogno di continuare a distrarsi, o avrebbe avuto fin troppo tempo per pensare a ciò che era successo. A ciò che era successo... e a James.
Quella sera il suo desiderio si stava realizzando perfettamente. Nel bar si era accalcata una massa di camionisti assetati di alcool ed era da due ore che Jemima faceva la spola tra il bancone e i vari tavoli. Si era raccolta i capelli, che aveva tagliato di modo che arrivassero appena sopra alle spalle, in una coda spettinata; le guance erano arrossate dall’eccessivo caldo del locale, e le sue gambe urlavano pietà.
Il proprietario del bar, un cinquantenne brizzolato e allampanato, non faceva altro che alternare occhiate tra lei, l’altra cameriera e il televisore, dove era trasmessa una partita di calcio.
Jemima posò sul bancone l’ennesimo vassoio ingombro di bicchieri vuoti, lanciando un’occhiata esausta a Gabriela, la sua collega, che stava scaricando nuovamente le stoviglie appena lavate.
- Non ce la faccio più - mormorò in spagnolo, passandosi una mano sulla fronte sudata. Per fortuna la lingua non era stata un problema -Jemima aveva studiato fin da piccola lo spagnolo, e oltretutto le varie missioni in Spagna per conto dello SHIELD le avevano dato l’opportunità di assorbirlo completamente.
- Puoi farcela, il turno finisce tra un’ora - cercò di confortarla Gabriela. Jemima annuì distrattamente, anche se sapevano entrambe che, vista la quantità di clienti, avrebbero dovuto fermarsi per molto più tempo. Almeno avrebbe guadagnato qualcosa di più del solito.
Con un sospiro Jemima tolse i bicchieri dal vassoio, lanciando un’occhiata al televisore.  Un coro di vittoria salì dai camionisti che stavano assistendo al match quando un giocatore fece goal. La partita sarebbe finita entro mezz’ora, perciò se la fortuna l’avesse graziata entro l’una sarebbe stata a casa, sprofondata nel letto.

 

Il sole scaldava piacevolmente la sua pelle, mentre correva per le stradine pittoresche del centro. Come ogni mattina, nonostante fosse riuscita ad addormentarsi solo alle due e mezza, si era svegliata alle sette ed era andata a correre. Il suo percorso variava di giorno in giorno; la fugace avventura con lui aveva risvegliato tutte le precauzioni, frutto del duro addestramento allo SHIELD, che si erano assopite nei mesi dopo il fallimento della sua missione, durante la riabilitazione.
La gamba non le dava particolari problemi. Da quando James l’aveva lasciata il dolore fisico si era attenuato, contrariamente a quello psicologico. Gli attacchi di dolore fantasma si erano fatti più rari, ma quando capitavano la sofferenza era più insopportabile che mai.
Jemima riemerse dai propri pensieri quando urtò un ragazzo vestito elegantemente.
- Stai attenta! - la redarguì lui inferocito, mentre lei si fermava.
- Mi dispiace - disse solamente, senza fare una piega e fissando il giovane negli occhi. Il ragazzo batté le palpebre, quasi stupito dalla sua reazione.
- Non... non fa niente.
- Perfetto allora - Jemima abbozzò un sorriso e fece per ricominciare a correre, ma lui le afferrò il polso. - Posso offrirti la colazione?
Dieci minuti dopo erano seduti al caffè in centro.
- Allora, cosa ti porta qui in Spagna? L’America non è affascinante come dicono?
La ragazza abbozzò un sorriso, mescolando lo zucchero nel cappuccino. - Certo che lo è, ma... avevo bisogno di cambiare aria.
I lineamenti cesellati del ragazzo, Asier, si accigliarono mentre increspava le labbra. Aveva una carnagione olivastra, capelli neri e un sorriso affascinante; in giacca e cravatta, poi, era fatta. - E come mai, se posso essere così indiscreto da chiedere?
Jemima si passò una mano tra i capelli, inarcando un sopracciglio biondo. Nonostante l’espressione pacata che riuscì a mantenere in viso, sentì una fitta al petto.
- Qualche problema con un ragazzo, diciamo così.
- Oh - Asier inarcò un sopracciglio - chi mai potrebbe lasciarsi sfuggire una ragazza così bella?
Stucchevole, pensò Jemima, nascondendo a fatica un sorriso mentre in mente le balenava il commento che Natasha, se fosse stata presente, avrebbe fatto.
- A quanto pare, lui non ha avuto problemi a farlo.
Decise di tagliare corto, posando sul tavolo una banconota e alzandosi. Si era esposta già fin troppo e aveva la sensazione che quella conversazione non sarebbe finita bene, se quell’Asier avesse insistito sull’argomento.
- Devo andare. Grazie per la colazione.
E senza nemmeno aspettare una risposta si voltò e sparì nella folla del mercato.
 

- Dolcezza, dammi un’altro po’ di birra, avanti - Jemima strinse i denti nel sentire la voce del mastino in fondo alla sala alzarsi prepotentemente nella sua direzione.
- Giuro che lo uccido - sibilò tra i denti.
- Ti darei volentieri una mano - ridacchiò Gabriela in risposta. Le porse il taccuino per gli ordini e tornò ad occuparsi dei clienti al bancone. Jemima prese un respiro profondo e si sistemò il grembiule, mentre camminava svelta verso il tavolo.
Il camionista, già brillo, continuava a chiamarla ‘bionda’, ‘zuccherino’ e a rivolgerle altri appellativi che Jemima trovava rivoltanti. Si fermò con un sorriso cauto a qualche passo dal tavolo, appuntando lo sguardo sugli occhi piccoli dell’uomo e sul suo volto squadrato, circondato da una barba incolta e dai tatuaggi lungo il collo che scomparivano sotto alla scollatura della maglia. Aveva dei bicipiti gonfi di muscoli e il collo taurino; ogni dettagli in lui urlava ‘attaccabrighe’.
Non che ne fosse spaventata, anzi. 
- Dimmi, dolcezza - ghignò l’uomo con voce strascicata, provocando le risatine dei compagni di bevuta. - Quanto costa avere un po’ di compagnia, qui?
Jemima arricciò ironicamente le labbra, mentre la sua voce si affilava. 
- Dipende dalla grandezza della bottiglia, sai com’è.
Un coro di risate schernì il camionista, il cui volto cominciò a diventare purpureo per la rabbia dell’affronto. 
- Troietta - sputò - vieni qui!
Si lanciò in avanti, afferrandole il polso. Jemima si spostò di lato e il camionista, che si era lanciato in avanti con tutto il suo peso, rovinò a terra, picchiando il mento. Rialzandosi mugghiò di dolore, mentre gonfiava i muscoli delle braccia e si voltava verso di lei. - Ora scappi, eh? - era così ubriaco da non reggersi nemmeno in piedi, ma Jemima sentì il grido impaurito di Gabriela trapassarle il cervello. 
L’uomo si lanciò in avanti, e un secondo dopo era piegato sul tavolo, la guancia pressata sul legno, il braccio di Jemima a circondargli il collo e un coltello, che la ragazza aveva fulmineamente afferrato dal tavolo, che premeva sulla pelle. 
- Mi basta un secondo per bucarti lo sterno e sei morto in meno di un minuto - sibilò al suo orecchio la donna. Lasciò che l’altro agonizzasse senz’aria per qualche secondo, prima di spingerlo via. 
- Fuori da questo locale, ora - intimò. - E paga.
Il camionista se la diede a gambe levate, dopo aver buttato sul tavolo una manciata di banconote estratte dalla tasca. 
Era calato il silenzio, e tutti gli occhi dei clienti erano puntati sulla schiena di Jemima. Lei si girò e vide Gabriela e il proprietario del locale fissarla impietriti qualche metro più in là, evidentemente accorsi in suo aiuto. Si strinse nelle spalle, recuperò il taccuino da terra e tornò al bancone.

 

Erano passate da un pezzo le tre di notte, la strada era silenziosa. Giusto di tanto in tanto si sentiva qualche gatto randagio miagolare, rompendo il silenzio con i suoi lamenti.
Jemima si svegliò all’improvviso, con una strana sensazione addosso. Rimase immobile nel letto, rannicchiata su se stessa, con il cuore che batteva a mille.
Lentamente aprì gli occhi, mettendosi seduta, ma quando puntò lo sguardo sulla scala antincendio su cui si affacciava la sua finestra per un attimo si sentì pervadere dal panico.
L’ombra di una figura rannicchiata su se stessa era proiettata dalla luce della luna sul reticolo di fili metallici.
Jemima prese un respiro profondo, mentre i suoi occhi si appannavano di lacrime e serrava la presa sulle lenzuola. Déjà vu, pensò amaramente. Per un terribile attimo, fu sicura che fosse lui. Sperò che fosse lui, con il cuore che batteva impazzito.  Sentiva le lacrime premere per uscire. Voleva che fosse lui, che fosse tornato per dirle che aveva commesso un errore, che gli mancava, che sentiva la mancanza dell’umanità che lei, con i suoi piccoli gesti, gli faceva riscoprire un passo alla volta.
Poi realizzò che non era possibile.
James se ne era andato, e definitivamente.
Perciò rimanevano due possibilità: o l’ombra apparteneva a una spia dello SHIELD o a una dell’HYDRA. E l’ipotesi più probabile tra le due era la seconda, dato che aveva ricevuto carta bianca da Stark in persona, quando aveva deciso di andarsene.
Si alzò, afferrando la pistola sul comodino e camminando con passo silenzioso verso la seconda delle tre stanze del suo appartamento. Si sedette su una sedia di fianco al tavolo, posò l’arma davanti a sè e aspettò. Tutta la notte.

- Hai delle occhiaie terribili - Jemima apprezzava la sincerità di Gabriela, in genere, ma quella mattina non era proprio dell’umore giusto. La ragazza si scosse i lunghi capelli neri mentre li raccoglieva in una coda ordinata, arricciando le labbra.
- Ho un po’ di correttore, se vuoi.
- No, grazie - rispose apatica Jemima. Gabriela sospirò.
- Oh, insomma Jem. Dovrai pur trovare qualcuno prima o poi, e di certo non ci riuscirai con quelle occhiaie.
Jemima le scoccò un’occhiataccia. Il solo menzionare un coinvolgimento sentimentale la scombussolava tutta, e i suoi pensieri volevano a lui, per quanto cercasse di convincersi che era tutta immaginazione. - Non ne ho la minima voglia. Né intenzione - sottolineò, portandosi alle labbra la tazza bollente, ricolma di cappuccino. Gabriela alzò un sopracciglio, scettica.
- Come no. Comunque, il caro stronzo che ci ha malauguratamente assunte ha deciso di abbassarci ancora lo stipendio - la informò, una vena astiosa nello sguardo.
Jemima la guardò incredula.
- Come scusa? Ma se a malapena riesco a pagare l’affitto ora! Per non parlare degli straordinari mai pagati! - esclamò indignata.
Gabriela sospirò. - Non sarebbe male se usassi una di quelle mosse da ragnetto dell’altra sera per minacciare lui, invece di un camionista ubriaco - borbottò serafica.
La risata di Jemima la fece sorridere ampiamente. Ma dentro, la ragazza sentì una fitta di dolore nel ricordare con chi aveva combattuto seriamente per l’ultima volta.

 

Il suono ritmico delle gocce che cadevano dal lavandino gli urtava i nervi, ma non aveva le forze per alzarsi, anche se sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto farlo per forza. Il suo petto si alzava e si abbassava freneticamente, mentre cercava di serrare ancora di più la stoffa attorno al torace. Non appena strinse la benda improvvisataattorno alla ferita un gemito lasciò le sue labbra, ma senza perdere tempo legò in un nodo le estremità inzuppate di sangue.
James lasciò che il suo sguardo vagasse per la stanza umida e buia, fino a trovare la sua divisa da Soldato d’Inverno. La fissò per qualche secondo, abbandonata sul divano scavato dagli acari, prima di alzarsi dalla sedia. Una fitta di dolore gli percorse il fianco, esplodendo nei suoi muscoli quando caricò il peso sulla gamba sinistra; si maledisse per l’ennesima volta in quei pochi minuti.
Scavalcò il corpo a terra, gettando un’occhiata gelida all’aureola di liquido scuro che si era allargata attorno alla testa della defunta spia, prima di afferrare la tuta e infilarsela con gesti veloci e dolorosi. Si sentiva bruciare, e il calore del sangue che colava attraverso la stoffa lo preoccupava. Doveva sbrigarsi.
Afferrò la tanica che aveva comprato pochi giorni prima e ne sparse il contenuto per tutta la stanza, gettandolo anche sulle pareti.
Si passò una mano tra i capelli, prendendo un respiro profondo e afferrando l’accendino posato sul tavolo. Zoppicò fino alla porta d’ingresso, poi si voltò e i suoi occhi chiari esaminarono i tre cadaveri a terra che avevano avuto la malaugurata idea di attaccarlo mentre dormiva. Con un sorriso freddo, James accese l’accendino e diede fuoco al pavimento di legno.
Poi, mentre le fiamme attecchivano e si propagavano nella stanza seguendo le scie di benzina, si girò e sparì nella notte.

 

 

│✪│


ce l'abbiamo fatta! 
Finita la scuola, via le preoccupazioni... e più tempo per scrivere.
So che probabilmente questo capitolo non vi ha catturate molto, in quanto di passaggio e, ugh, James non compare quasi mai.
Ma ne sono piuttosto orgogliosa, dato che è il primo di questa storia che scrivo di mio pugno dopo mesi di stallo.
Ho deciso di cambiare il titolo: When Love arrives in the dark.. simile, ma almeno tolgo quel maledetto articolo; se gli inglesi lo vedessero mi ucciderebbero. A voi che ve ne pare?
Grazie davvero a tutte le dolcissime lettrici che mi hanno lasciato una recensione all'ultimo capitolo, spero vogliate farlo anche ora, 
perché vorrei davvero sapere quali sono i punti deboli di questo capitolo, se vi è piaciuto o meno! xx
Anna



 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: Anna Wanderer Love