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Autore: Cranberry_    11/06/2016    0 recensioni
Si legge spesso di persone sfortunate a cui ad un certo punto della loro vita tutto comincia a venir fuori dannatamente bene. Ma cosa succederebbe se a chi ha ogni cosa, bellezza, cervello, popolarità, venisse improvvisamente tolto tutto?
-Forse da qualche parte nello spazio-tempo lei è ancora lì a sorridere felice, prima di girare la maniglia della porta che come al solito Luke non si era premurato di chiudere a chiave. E sempre da qualche parte nel tempo lei apre la porta e non vede Luke che si scopa una delle sue compagne di corso ad educazione civica, ma lo vede dormire teneramente avvolto dalle coperte. Ma chiaramente questa dimensione, per quanto crudele questo possa sembrarci, non coincide con la realtà. E chiaramente adesso lei nella realtà urlava, mentre il caffè si spargeva lentamente a terra formando un alone giallastro sulla moquette fresca di pulito. E lì in quella chiazza, a galleggiare fradici ed indifesi c’erano tutti i suoi sentimenti.
In frantumi.-
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una settimana intera,  giorni ed un weekend, passati nella più assoluta disperazione.
Liza aveva analizzato ogni aspetto della sua vita passata e presente alla ricerca di qualcosa da condannare per cui il Karma avrebbe potuto porla davanti a quell’ostacolo, ma nulla. A suo modesto parere, nessuno dei suoi errori era così grave, né lei era in grado di sorreggere un peso così devastante.
Appena tornata a casa, una settimana prima, dopo la serata con Alaska e la mattinata distruttiva, si era premurata di distruggere qualunque oggetto potesse ricordarle anche solo minimamente Luke Hemmings e la storia che avevano avuto. Foto, album, regali, fotografie e decine di fiori messi ad essiccare tra le pagine dei suoi romanzi preferiti, era tutto finito in alcuni sacchi che aveva chiuso a chiave nel ripostiglio della soffitta. Voleva cancellare tutto, quasi come se eliminando Luke dalla sua mente sparisse anche il dolore che c’era nel suo animo; e sarebbe anche stata una cosa plausibile, ma come si fa ad eliminare qualcuno così?
Semplicemente non si può. E Liza questo lo aveva compreso una volta tornata nella sua stanza, ora molto più spoglia di prima ma nella quale lei era ancora capace di vedere, sentire Luke; lo vedeva steso sul letto insieme a lei, un aroma ormai lontano di dopobarba costoso e tabacco ad inondarle le narici, e lo vedeva dietro alla sedia della scrivania che la distraeva mentre lei tentava di studiare per l’esame del giorno dopo.
-Sei troppo stressata, devi rilassarti bimba- le diceva baciandole il collo e solo a pensarci, a Liza veniva involontario toccarsi gli stessi lembi di pelle che avevano toccato le labbra di lui e le quasi sembrava di sentire i solchi che le avevano lasciato. Non si notavano, molto probabilmente non c’erano nemmeno ma Liza li sentiva, sulla pelle, nella sua mente, nella sua testa, ma non nel suo cuore. Sì, perché se c’era una cosa di cui era sicura era che Luke le mancava da morire, ma che non avrebbe mai accettato un suo ritorno, perché un tradimento non è qualcosa a cui ti abitui di norma, figuriamoci se hai avuto l’onore di vederlo letteralmente coi tuoi stessi occhi.
Per 3 giorni non aveva chiuso occhio prima che sorgesse il  sole. Il suo problema era il buio. Appena chiudeva gli occhi si vedeva di nuovo apparire quella scena davanti agli occhi e si sentiva maltrattata, si sentiva sporca, violata da qualcosa che non avrebbe dovuto scalfirla così tanto perché sarà pure una cosa pessimistica da credere, ma se stai insieme ad un tipo come Luke un tradimento prima o poi te lo saresti sempre aspettato. Le ci erano volute tutte le tisane rilassanti che erano avanzate in dispensa e un paio di dischi classici di Margo per dormire 7 ore stentate e bene o male  andava avanti così; con Alaska che ogni giorno le portava la colazione all’università, i croissant al cioccolato che lei puntualmente non finiva ed il caffè doppio che invece finiva troppo presto. Con Alaska a casa sua di pomeriggio a tentare di farla ridere, con Alaska a cena che faceva battute stupide insieme a suo padre, con Alaska che le proponeva una festa insieme a Lee, Lee che proponeva feste insieme ad Alaska  e Margo che veniva e semplicemente stava lì ad avvalorare le tesi di Alaska e a sorriderle con quel cipiglio impassibile e rilassato che caratterizzava il suo volto. Un giorno si erano addirittura presentate tutte e tre a casa sua, armate di edizioni nuove e vecchie di Vogue e Cosmopolitan piene zeppe di post-it  messi a segnalare  tutti i migliori consigli per uscire da una relazione a testa alta secondo gente famosa di cui, detto chiaramente, le importava ben poco, ma che le avevano comunque fatto capire quanto bene volesse a loro e quanto loro, sebbene avessero modi bizzarri nel dimostrarglielo, ne volessero a lei.
E adesso, al settimo giorno, Liza sarebbe stata pronta ad affrontare il suo ostacolo più grande: gli allenamenti delle cheerleader. Il solo osservare di sfuggita la divisa blu e nera le provocò una fitta al petto, ed il pensare che avrebbe dovuto rivedere Tanya (la “troia traditrice” come l’aveva sobriamente soprannominata Alaska) dopo ciò che era successo, e stavolta vestita ed in posizione eretta le faceva venire la nausea; bevve una delle sue tisane, si infilò in fretta e furia la divisa e le sue Nike bianche ormai consumate dal tempo accorgendosi di essere già in ritardo. Ma appena aprì la porta  andò a sbattere contro qualcosa o meglio, contro qualcuno. Lindsey Lee Jones era lì che la guardava, subito seguita da Alaska.
La rossa faceva come al solito la sua figura, col metro e settantasei, le gambe fasciate dallo stretto pantalone di pelle ed una camicia bianca leggermente sbottonata a coprirle il seno prosperoso.
-Dove cazzo hai intenzione di andare?- esclamò Alaska dietro di lei.
-Io a..agli allenament..-
-Rettifico- disse spostando di peso Lee per puntarle un dito contro –Dove cazzo hai intenzione di andare con questi capelli?-
 
 
 
 
Alaska o, più specificamente, Lee, l’avevano completamente trasformata.
Le avevano piastrato i capelli legandoglieli in due trecce lunghe ed ordinate, e l’avevano truccata e agghindata quasi dovesse andare al MET gala.
-Non puoi andare nella tana del nemico senza fargli salire almeno un briciolo d’invidia- le aveva sussurrato Lee dopo averla osservata a lavoro finito.
-E credimi, raggio di sole- disse Alaska ghignando soddisfatta –Così , di invidia ne fai. Ed anche parecchia.-
E Liza se ne accorse appena mise piede nell’enorme palestra del campus, dagli sguardi delle sue compagne di squadra, che appena la videro entrare smisero di parlare tra di loro e si limitarono a fissarla stupite. E Liza sapeva di essere attraente, ma sapeva anche che dietro alla meraviglia di quegli sguardi si nascondeva qualcos’altro.
Gli allenamenti proseguirono alla perfezione, con Liza che si sentiva quasi utile  per la prima volta in sette giorni e Tanya che guardava solo il pavimento. E andava bene così, Liza evitava di correggerla, evitava anche di pensare a lei lì dentro come alla ragazza che si era fatta il suo Luke. Per la prima volta sentiva che sarebbe andato tutto liscio. O quasi.
-Liza, scusa, posso parlarti un secondo?- a chiederlo era stata Delilah, una moretta formosa, sempre messa alla base delle piramidi umane.
-Certo, dimmi tutto.-
-In privato, se no..se non ti dispiace.-
Lee si accorse che qualcosa non andava  solamente guardando l’andatura di Liza appena uscita dal portone della palestra; barcollava fin troppo e fissava un punto indefinito davanti a sé; diede subito di gomito ad Alaska facendole alzare gli occhi dall’ennesima partita di Candy Crush.
Liza quasi non le nota, è Alaska a chiamarla ad alta voce facendole voltare il viso verso di loro. I suoi occhi sono vacui, spenti e si nota che ha pianto.
-Che vuol dire?-      -Cosa è successo?- chiedono in contemporanea.
Liza si era seduta, quasi non riuscisse a reggere il peso delle parole che stava per pronunciare: -Non sono più nelle cheerleader.-
-Quelle stronze ti hanno cacciato?!- urlò Alaska balzando in piedi.
-No, ho lasciato.-
-Cos… Ma, non capisco, perché lo hai fatto?-
E a Liza viene da ridere, le viene da ridere forte, di una di quelle risate amare che nascono dai tuoi sentimenti più profondi e tristi. E ride, ride a crepapelle, con le lacrime agli occhi ed Alaska e Lee che la guardano impotenti senza sapere cosa aspettarsi.
-Par… Pare che- sonora risata –Luke si sia.. Pare che Luke si sia scopato quasi tutta la squadra sapete?- disse asciugandosi le lacrime, questa volta senza ridere –Sarò il fottuto zimbello di tutto il campus, cristo. Solo a pensarci io…non lo so. Me ne frego di ciò che pensano gli altri, ma io non so più cosa pensare.-
E nemmeno Alaska lo sa, perché mentre Lee porge un fazzoletto di carta a Liza con fare consolatorio lei ha migliaia di insulti che le frullano nella testa. E deve impiegare tutta la sua forza d’animo per non entrare dentro quella fottuta palestra a strozzare una ad una tutte quelle stronzette.
Le odia, le odia con tutta sé stessa, perché lei ha sempre avuto la decenza di guardare e basta. Guardare senza toccare, e non solo perché voleva fin troppo bene a Liza, ma perché è una questione etica, di puro orgoglio personale e lei  questo lo aveva capito a sue spese. Perché mentre Luke si scopava mezzo universo, lei era lì a struggersi per qualcuno che in questo momento era un gran bastardo ma che allo stesso tempo non riusciva a sembrarle disgustoso neanche un po’. Certo, voleva ucciderlo per il male che stava facendo a Liza tanto quanto voleva un suo bacio per placare il male che stava, da tempo, facendo a lei.
Il caffè di Kingston Road era stranamente vuoto, e Alaska fissava con invidia sottile Lee fumare una sigaretta appoggiata alla porta d’ingresso.
Staccava alle 7 ed erano solo le sei. Aveva sperato con tutta sé stessa di avere così tanto lavoro da impedirsi di pensare, ma chiaramente il destino aveva diverse intenzioni; non aveva smesso di ricordarsi quanto odiasse Luke Hemmings nemmeno per un solo secondo. Le veniva da piangere, poi da urlare e poi da piangere urlando, tipico no? Chi soffre in silenzio soffre il triplo.
Lee rientrò strascicando le catene posteriori dei suoi stivaletti, e vedendo la sua espressione disse con voce neutra: -Certo che deve essere difficile, per te.-
-Che vuoi dire?-
-Dico che te ne stai qui, a fingere di essere una stronza senza sentimenti quando poi senti  ogni cosa più di tutte noi messe insieme.- un ghigno sottile addobbava le sue labbra  -Sei brava a nasconderti dai giudizi, ma i tuoi sentimenti riesco a vederli io, sai.- si bloccò davanti al contenitore dello zucchero, cominciando a mangiarne un po’ da una bustina –Sai che cosa c’è però? Non mi va. Perché tu non devi, non puoi, soffrire per un tipo che nemmeno sa quanto male ti fa. Che senso ha stare male per qualcuno se quel qualcuno ignora completamente la cosa?-
Alaska sbuffò, sciogliendosi lo chignon: -Non puoi continuare a comportarti da bella tenebrosa del cazzo invece di rompermi le palle, Lee?-
L’altra scoppiò a ridere:- Bhe, scusa se mi preoccupo per te eh. Non lo faccio più, giuro.-
-Lo sai che non è questo- sospirò  -è che non lo so perché sto così. E non so perché tra tutti gli stronzi di questa terra mi è nata l’ossessione per lo stronzo numero uno, ragazzo della mia amica, uno tra i più…- si interruppe perché le guance le si erano arrossate e cominciò a pulire la macchinetta dell’espresso con gesti isterici – figli di puttana al mondo, che mi fa sembrare più volgare di quello che sono e che mi tormenta senza nemmeno rendersene conto e..cazzo. Sono fusa, Lee. Sono completamente andata.-
-Sì, lo sei.- sussurrò la rossa mentre superava il bancone e l’abbracciava stretta. E in quell’abbraccio c’erano tutte le parole che Lee non diceva e c’era una richiesta d’aiuto rimandata a quando Alaska avrebbe smesso di soffrire giusto quel po’ che bastava per capire che anche Lee non è che stesse una meraviglia; ma lei poteva aspettare anche per sempre.
-Mi dispiace immensamente  interrompere questo momento commovente- esclamò una voce sarcastica dal fondo del negozio –Ma una certa persona qui presente, nell’ultima conversazione che abbiamo avuto, tipo nel 1876,  mi ha detto che le sono cresciute le tette. E io davvero credo di non poter aspettare ancora prima di constatare questa cosa.-
Alaska si staccò incredula e Lee fece appena in tempo a tapparsi le orecchie prima che un urlo scuotesse la noiosa malinconia che aleggiava nella caffetteria.
-ROBERT GRANT CHE CAZZO CI FAI TU QUI!-
 
Alaska e Robert si erano conosciuti due anni prima; lei era al quarto anno di liceo e lui era venuto da Manchester con uno scambio culturale per un anno al progetto di belle arti frequentato anche da lei. Inglese fino al midollo e bello da far schifo, Alaska lo aveva inserito tra le sue priorità di conoscenza, anche provando a non concentrarsi sui suoi sentimenti per Luke che stavano nascendo in quel periodo quasi in contemporanea alla relazione con Liza. Ma Rob si era dimostrato più di quello che si aspettava; era come una lei al maschile, solo più simpatico ed estroverso con le altre persone, e in poco tempo erano diventati praticamente inseparabili. Alaska aveva passato da poco quello che era probabilmente stato il periodo più brutto della sua vita, e viveva in una bolla di menzogne che riusciva a far scoppiare solo mentre Robert era attorno a lei e se questa non era amicizia allora lei non sapeva come definirla. Si erano imbucati a decine di concerti, avevano fatto scommesse improbabili alle feste e si erano sbronzati fin troppe volte; una volta avevano addirittura passato la notte al fresco, accusati di un reato che ,stranamente, non avevano commesso. Poi come tutte le cose belle era finita e Robert era tornato a casa, lasciando vuoto un posto a mensa e nel cuore della ragazza. Ma adesso era di nuovo lì e per la prima volta in tanto, troppo tempo, Alaska vide le cose tornare a posto, le vide brillare come gli occhi verdi di Rob che attendevano, impazienti.
La mora corse verso il ragazzo dai capelli ricci, ancorandosi a lui, il quale la strinse ridendo ed aspirando a pieni polmoni quel profumo che tanto gli era mancato.
-Te l’ho detto, dopo quella cosa che mi hai scritto ho subito prenotato un volo per venire a vedere coi miei occhi, considerando che ti sei rifiutata di inviarmi una foto. Le tue tette sono una mia assoluta priorità, lo sai.-
-Stronzo, sono seria.- disse la ragazza dandogli un pugno leggero sullo stomaco.
-A quanto pare lo studio grafico in cui lavoro ha una filiale qui a Sydney, ed io alcune persone da rivedere. Come la mia bellissima migliore amica, che continua categoricamente  a rifiutarsi di farmi vedere le tette.-
Lei sorrise e si abbracciarono di nuovo, stavolta più forte, in maniera più profonda, trasmettendo sensazioni che non potevano essere espresse a parole.
-Ah- sospirò lui –Gesù, è triste da dire ma a quanto pare è proprio vero.-
-Cosa..?- chiese Alaska, non completamente sicura di voler sentire la risposta.
-TI SONO CRESCIUTE!-
-Quindi? Come mai sei tornato?-
-Te l’ho detto, mi mancava troppo questo posto.-
-Solo il posto?-
Robert era arrivato il giorno prima, ma non aveva potuto aspettare più di tanto prima di fiondarsi al bar dove sapeva Alaska fosse impiegata. Lee lo aveva sempre considerato okay, ed ora lui, Alaska e lei facevano un bel trio lì, come lo facevano prima che lui tornasse in Inghilterra; Liza a quel tempo era impegnata con i primi allenamenti delle cheerleader quindi non passava molto tempo insieme loro ma se c’era qualcuno con cui Robert, oltre ad Alaska, aveva un’affinità assurda quella era Margo.
A prima vista chiunque avrebbe giudicato Margo come una snob, antipatica; ma una volta vicino a lei l’idea cambiava rapidamente, e Rob questa cosa l’aveva capita dalla prima volta in cui aveva avuto il piacere di osservarla suonare il piano. Diceva che Margo si apriva all’unico mondo che conosceva quando suonava, e che quel mondo era solamente suo, non quello in cui abitavamo tutti ma quello che si era creata per delle ragioni che chiaramente lei era l’unica a conoscere. Lee, dopo aver sentito quelle parole, pensò che nessuno, nemmeno lei che la conosceva da tempo immemore, avrebbe potuto descrivere meglio di Margo Roth Spellman; la ragazza enigma, come la chiamava Liza, e l’unica a conoscenza dei segreti di tutte loro ma che non sentiva il bisogno di raccontare i suoi nonostante ne fosse piena, a detta di Rob.
Anche Alaska si era accorta dell’affinità del suo amico con Margo, e la sensazione di vera e propria felicità che le si formava all’altezza del petto quando pensava a loro due insieme non si addiceva al suo carattere naturalmente pessimista. Ma le piaceva pensare che fosse possibile nonostante le chiare tendenze masochistiche di Margo, che lei potesse ricambiare i sentimenti di Rob; e, più di ogni altra cosa, le piaceva pensare che lui fosse tornato lì apposta per lei.
-Non solo per il posto, no.- disse il ragazzo sorridendo ad Alaska –Anche per tutte voi; sapete a volte mi sento poco virile a frequentare solo voi ragazze. Ma poi mi ricordo che c’è anche…Luke! Come sta Lukey?-
Lee quasi si strozzò col terzo caffè del pomeriggio ed Alaska avvampò, avvicinandosi minacciosamente al volto del ragazzo che cominciava a capire di aver nominato la persona sbagliata.
- Da quando te ne sei andato Sono cambiate molte cose, Rob. E una di quelle è Luke Hemmings. E se già prima mi era appena sopportabile, adesso gli strapperei le palle a morsi, chiaro?!- gli occhi azzurri di Alaska davano l’impressione di poter cominciare a lanciar fiamme da un momento all’altro. Ma nel profondo, con quella domanda involontaria, si era resa conto dell’effetto che Luke poteva causare ai suoi nervi, scattati tutti sull’attenti al solo sentir pronunciare il suo nome.
-Uh, baby. Sento la tua rabbia, sai che attizzi così?- disse Rob, senza chiedere altro.
-E tu sai che sei un gran bastardo?- rise lei trascinando con sé gli altri due ragazzi.
Il pick-up si fermò fuori dalla caffetteria, stranamente deserta.
Una portiera che sbatte, un paio di Vans che strisciano sul pavimento e poi tornano indietro all’improvviso. E Luke che inizia a fumare una sigaretta con fare molto, troppo nervoso. La verità gli era apparsa davanti agli occhi all’improvviso: temeva il giudizio di Alaska molto più di quello di Liza. Il perché era confuso; Liza ed Alaska erano sicuramente diverse, ma Liza non trovava quasi mai dei difetti in lui, mentre Alaska glieli avrebbe potuti elencare tutti in un lasso di tempo che andava dalle due ore al per sempre, ma Luke sapeva che gli serviva lei. Gli serviva la rabbia che avrebbe scaricato guardandolo dritto negli occhi, perché ricordare come lo aveva già fatto altre volte lo calmava, perché gli avrebbe ricordato che almeno qualcosa era rimasto, gli serviva ma allo stesso tempo la temeva. Come temeva il suo giudizio, che sapeva bene Alaska non avrebbe mancato di sbattergli letteralmente in faccia non appena lo avrebbe visto; per questo ora era lì fuori a nascondersi, lontano meno di un metro dalla sua resa dei conti, che aveva aspettato un’intera settimana. La sigaretta era a metà, e riflesso nel finestrino scuro della sua macchina vedeva la mora che scherzava con Lee e…Robert.
Fantastico, lui tornava dall’Inghilterra e la prima cosa di cui veniva a conoscenza era quanto il biondo per tutto quel tempo fosse stato un bastardo. La voglia di entrare in quella gabbia era drasticamente diminuita, ma Luke sapeva di doverlo fare; richiamò a sé tutta la determinazione che riuscì a trovare nel suo animo e spense la cicca della sigaretta sotto la suola della scarpa. Si tolse i Ray-Ban neri e si aggiustò il colletto della camicia, aprendo finalmente la porta.
Giurò di aver sentito un sospiro preoccupato, dentro la sua testa
La prima a vederlo fu Lee, che stava per sputare il suo caffè. “Che cazzo ci fa qui?” fu il suo unico pensiero. Alaska era di spalle e si voltò appena in tempo per vedere proprio la persona a cui stava pensando in quel momento che rispondeva al saluto un po’ meno espansivo del solito di Rob.
Dov’era tutta la rabbia repressa per un’intera settimana ora che ce l’aveva davanti? Lei non riusciva a sentirne nemmeno un po’.
Luke la guarda subito dopo l’ultimo sorriso fatto a Rob, ed è come una pugnalata. E’ la prima volta, sin da quando si conoscono, che Alaska lo guarda sapendolo completamente single, ed è da vera stronza pensare a questa cosa in chiave positiva mentre Liza è da qualche parte lì fuori a piangere disperatamente tutte le sue lacrime, ma ad Alaska viene spontaneo.
-Rob, andiamo a fumarci una sigaretta.- ordina Lee, e si alza in contemporanea ad un riluttante “okay” sbuffato dal ragazzo.
Ed è azzurro nell’azzurro, amore nella disperazione, ed il saluto di Luke parte in contemporanea al pugno di Alaska.
















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