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Autore: balboa    12/06/2016    3 recensioni
Importante: quello che ho scritto è frutto della fantasia, deliberatamente ispirato a dei fatti reali. Ho deciso di cominciare proprio dall'inizio dell'avventura di Axl Rose, anche da prima che nascesse. Scriverò su come secondo me potrebbe essere andata la sua vita, cercherò di catapultarvi dentro di essa, andando oltre alle solite informazioni che si trovano in Internet. Con ''personaggi-quasi tutti'' non intendo che saranno presenti già Slash, Duff o Steven. Li aggiungerò più in là o in un'altra storia. Intendo invece la famiglia e gli amici. Ok grazie per l'attenzione e buona lettura :D.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axl Rose, Izzy Stradlin, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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3 Aprile, 1978 – Lafayette, Indiana (USA).
Ore 01:10.

Si sentiva uno sfigato con quella bici. Siamo realisti, la bici non era mica roba da duri come insisteva sua madre. Ci aveva provato per settimane a convincere i suoi genitori a lasciargli quelle cazzo di chiavi della macchina ma non ne volevano sapere.
-finirai contro un albero- diceva suo padre. -non abbiamo soldi per una bara William- e via così con altre battutine che gli giravano solo le scatole. Era deciso a fregarsi quelle chiavi, un giorno o l'altro, e fare un bel giro fuori da quella città.
-i miei amici hanno la macchina loro e voi neanche mi prestate la vostra? Ho la patente cavolo, la patente!-. Gli aveva sventolato sotto agli occhi la tessera plastificata e i suoi genitori lo avevano ignorato, continuando ad apparecchiare la tavola per cena. Bill poi se ne era andato sbattendo la porta con un diavolo per capello, come tutte le altre volte prima di quella.
Così continuò a pedalare nella notte, sulla via di casa, in piedi sulla bici. La sua bici da sfigatello. Quella di sua sorella era più grande e nuova e l'avrebbe volentieri usata. Ma era rosa diamine, rosa. E poi il manubrio aveva tutti quei nastrini fucsia. Mancavano solo gli unicorni e compagnia bella. La sua nera aveva degli adesivi raffiguranti fiammate arancioni e rosse. Era mezza sfasciata e spesso la catena si bloccava o si staccava. Una volta era rimasto un intero pomeriggio fuori in giardino e l'aveva sistemata come meglio poteva. L'aveva lavata, verniciata, aveva gonfiato bene le gomme e aveva messo l'olio alla catena. Non era riuscito a coprire i graffi ma dall'aspetto non si capiva che aveva circa quattro anni.
Quella sera la strada era deserta e le ruote sfrecciavano veloci sull'asfalto. Era una bella sensazione sentire il vento infilarsi tra i capelli e sfiorargli le orecchie. Imboccò il viale di casa e frenò sull'erba. Mise la catena col lucchetto alla ruota della bici e la lasciò vicino al garage. Era un venerdì sfigato di aprile e c'era un caldo folle.
Indossava una maglietta nera aderente. Stava cercando di mettere in evidenza i suoi pettorali, che ahimè non esistevano. Le maniche erano stracciate. Voleva sembrare un duro ma le lunghe e sottili braccia che cadevano sui fianchi gli rovinavano un po' tutto il progetto. Cercava di sembrare possente, grande e grosso, ma aveva la forza di un moscerino. A malapena si vedevano i muscoli degli bicipiti, risultato di miliardi di partite a braccio di ferro. Sua sorella l'aveva vinta milioni di volte; un po' più complicato era vincere i ragazzini del vicinato. Soprattutto Larry. Quello era tutto muscoli. E poi stava accumulando forza facendo a pugni a scuola. Era fiducioso che avrebbe avuto delle braccia super forti come quelle King Kong in quel film degli anni '30.
Aveva i jeans un po' strappati e sporchi di terra e erba sui ginocchi sbucciati. Si era fatto qualche bel volo dalla bici o dallo skate board.
Aprì la porta. L'atrio era buio e il salotto anche. Si diresse verso le scale, piano piano, attento a non far alcun tipo di rumore. Non c'era nessuno sveglio, o almeno così gli sembrava.
-William vieni qui-. Il ragazzo sobbalzò.
-merda- sussurrò portandosi una mano al cuore e controllando che funzionasse.
-cosa c'è?-.
-vieni qui ho detto-. Era suo padre, dalla cucina. Lo raggiunse.
-non dovevi aspettarmi in p...-.
-zitto-. Suo padre sorseggiò il suo whiskey con ghiaccio. Era appoggiato al bancone della cucina e non lo guardava. Osservava gli atomi dei cubetti di ghiaccio dentro al bicchiere, agitandolo leggermente.
-hai violato di nuovo il coprifuoco-. Bill non rispose e cominciò a guardarsi le scarpe, dondolandosi un po' sulle punte.
-hai qualcosa da dire per giustificarti?-. Bingo. Ecco la trappola. Cercava qualcosa per incastrarlo e dargliele di santa ragione.
-no in realtà-.
-due ore di ritardo. Si può sapere dove cazzo eri eh?-.
-ero al parco. Posso andare a dormire?-.
-no chiacchieriamo un po'-.
-sai- bevve un sorso del suo whiskey e lo inghiottì agitando piano il bicchiere -cominci proprio a darmi il voltastomaco con quei capelli. Tagliateli-.
-no-.
-non era una domanda. Ho detto che te li tagli, fine della discussione-.
-e io invece ti ho detto che non li taglio- rispose il ragazzo a muso duro. Il padre poggiò bruscamente il bicchiere di vetro al tavolo e i cubetti di ghiaccio sbatterono tra loro creando uno strano dolce suono. Si avvicinò pericolosamente al ragazzo, che come suo solito lo guardava storto e gelido. Gli si piantò davanti e gli afferrò la mascella tra i polpastrelli rossi. La strinse forte, guardandolo dall'alto in basso.
-sentimi bene stronzetto- sibilò col suo alito di whiskey nausante; non era esattamente lucido. Il suo viso era a pochi centimetri da quelli di Bill e sembrava che i suoi bulbi oculari fossero lì per lì per schizzare fuori. -qui decido io chiaro? Non mi interessa un fico secco di cosa vuoi tu. Sei figlio di un reverendo di una chiesa pentecostale e che ti piaccia o no le regole le faccio io. In gioco c'è la mia immagine e non te la lascerò buttare nel cesso come tu fai con la tua vita-. Ghignò. -io sono il re, tu sei l'alfiere e questa è una scacchiera. Qualcosa non ti è chiaro?-.
-lasciami, lasciami!- disse Bill un po' a fatica, cercando di spostare il suo braccio. Stephen gli assestò una ginocchiata allo stomaco e il ragazzo non si potè trattenere dal piegarsi in due per tenersi apposto le budella con le braccia. Ce la mise tutta per non emettere anche gemiti di dolore. Non voleva sembrare debole.
-chiaro?-. Il ragazzo annuì e l'uomo uscì dalla cucina. Bill alzò il dito medio nella sua direzione con lo stomaco ancora capovolto. Di nuovo con la storia dei capelli. Che strazio.
Prese un toast dal mobile pensando che dopo quel colpo il diaframma gli doveva essere schizzato alla gola. Tirò fuori il burro d' arachidi e si fece dei panini. Non era esattamente una cena quella ma chissene. Andò nella sua camera e si buttò sul letto. Se li mangiò lì con la finestra aperta. Le tende erano dannatamente ferme e si moriva di caldo.
Guardò suo fratello che dormiva beato, probabilmente neanche un cannone l'avrebbe scosso. C'era maledettamente caldo lì dentro. L'aria era immobile. Tutto lo era. Solo lui in quella casa non stava fermo, come se avesse avuto le puntine sul materasso. Si tirò su in piedi, annoiato e perfettamente lucido. Cosa poteva fare? Guardare la TV? No impossibile, suo padre aveva imboscato il telecomando in uno dei suoi nascondigli mega segreti e probabilmente a fare la guardia c'era un cane a tre teste. E poi i programmi terminavano all'una, quindi erano già finiti da venti minuti.
Decise di uscire a fumare. Prese l'accendino a il pacchetto di Lucky Strike ma poi si ricordò che suo padre gli aveva tolto la sua copia di chiavi poco prima. Sbuffò, innervosito, e fece svolazzare una ciocca di capelli che gli stava sempre in faccia. Di solito usciva fuori in veranda, di soppiatto, e si sedeva sugli scalini. Oppure si sedeva sul dondolo arrugginito e con i cuscini coperti dai peli del gatto dei vicini. Quel dondolo faceva dei rumori fastidiosissimi e inquietanti, perfetti per un film tipo Deep red. Una volta lo aveva guardato in videocassetta con i suoi amici.
Isterico se ne andò in bagno. Accese la luce e aprì la piccola finestra. Si sedette sul bordo della vasca, accese la sigaretta e diede un tiro. Poi stese un fazzoletto lì accanto su uno sgabello per usarlo come posacenere.
Poco dopo la porta poi si aprì e apparve Amy in pigiama.
-ma che diavolo...-. Si stropicciò gli occhi e cerco di abituare la vista alla luce. Aveva i capelli sciolti e una specie di camicia da notte leggera bianca con un sacco di pizzo e fronzoli e anche fiocchetti qua e là.
-puoi uscire se non ti secca?-. Bill scosse il capo.
-aspetti che finisca- disse e diede una tirata alla Lucky. Amy si appoggiò al muro affianco al lavandino. Restarono in silenzio per un po'.
-non riesci a dormire?-.
-no-.
-mi lasci fare un tiro?-. Bill la guardò storto e ridacchiò.
-ma se non sai manco come si fa piantala-. Amy sbuffò.
-sei uno scemo. C'è sempre una prima volta-.
-come vuoi- allungò il braccio e le passò la sigaretta. -vedi un po' se ti puoi ammazzare. Io non ti salvo sappilo-. Amy fece una lunga tirata aspirando il fumo. Subito dopo cominciò a tossire e si piegò in due.
-che ti dicevo-. Si alzò e le riempì un bicchiere d'acqua dal lavandino.
-bevi-. Amy buttò giù l'acqua in un sorso. Il ragazzo appoggiò l'orecchio alla porta.
-per poco non hai svegliato papà genio-. Finì la sigaretta e fece per uscire.
-non ci devo più andare in bagno comunque- disse Amy, sperando di convincerlo a farle compagnia.
-interessante- disse sarcastico. Quanto adorava essere sarcastico. Era tipo un hobby per lui.
-resta qui- disse. -non ho sonno e se torno a letto mi annoio-.
-sembra divertente-. Era sarcastico. -neanche morto-. Uscì e tornò nella sua camera. Così fece anche Amy. Si buttò sul materasso col copriletto a righe rosse e arancioni e le lenzuola sparpagliate e fissò il soffitto nella penombra. Suo fratello entrò senza bussare un quarto d'ora dopo. In mano teneva un mazzo di carte.
-non ce la faccio proprio a dormire-. Amy si tirò a sedere felice.
-giochiamo a scopa- propose Amy. Aveva incrociato le gambe e si era appoggiata al muro. Bill stava nel lato opposto che mischiava le carte.
-scordatelo. Giochiamo a briscola-.
-non so giocare- si lamentò Amy.
-piantala di frignare. Impari come hai imparato a camminare-. Pochi minuti dopo stavano già litigando.
-hai barato ammettilo!-.
-no ti dico! Io non baro cazzo lo giuro!-.
-e invece si non mentire!- Bill sbuffò innervosito al massimo. Non sopportava che gli dessero del bugiardo quando non diceva bugie.
-merda! non è vero io non baro!-.
-si-.
-no Cristo-. Restarono così a bisticciare per chi avesse ragione per i seguenti mille anni entrambi assolutamente sicuri di non avere torto e probabilmente dopo un po' si dimenticarono perché avevano cominciato a litigare.
-sei un bugiardo-.
-seh certo. Contenta tu contenti tutti-. Erano piuttosto buffi perché per non svegliare il resto degli Stati Uniti dovevano sussurrare.



Ciao a tutti. Mi volevo scusare per eventuali errori grammaticali, comunque mi sto impegnando a non farli. Grazie a tutti quelli che recensiscono e anche quelli che leggono in silenzio.
Inoltre ho fatto qualche ricerca in internet per sapere che giochi di carte fanno negli Stati Uniti oltre al poker ma non ho trovato quasi nulla. Non che mi sia spercata molto nella ricerca, a essere sinceri. Alla fine ho finito per metterci scopa e briscola (che sono tipicamente europei) e pace.
Ciao e al prossimo capitolo, che non dovrei tardare tanto a pubblicare.
hacja.
   
 
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