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Autore: Bakagheiyama    13/06/2016    2 recensioni
[Bar!AU] OikawaxIwaizumi
La vita di Hajime Iwaizumi poteva anche essere considerata noiosa, ma a lui non importava. Il ragazzo odiava i cambiamenti quasi come le persone popolari e spocchiose e-per quanto ne dicesse-amava la sua vita tranquilla e poco movimentata.
Fino a Tooru Oikawa e a quel maledettissimo bar.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sono finalmente riuscita ad aggiornare! Scusate, ma il mio computer ha deciso di prendersi una vacanza alle Hawaii e si è definitivamente rotto. Detto questo, ecco a voi la conclusione del flashback di Oikulo, spero vi piaccia! Sono contentissima delle vostre recensioni e regalo all'istante un pandacorno a tutte le bravissime personcine che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite o ricordate. Mi rendete felice ^.^
Io

Piansi, piansi tutte le mie lacrime
e poi smisi di piangere.
-Re: zero kara hajimeru isekai sekaitsu

 
Due settimane più tardi l’episodio delle docce, iniziai a frequentare il liceo che avevo scelto. A dir la verità, avevo immaginato la mia entrata trionfale in quell’istituto come una scalata verso il successo, inutile dire che in quei giorni il mio cervello era andato in vacanza su Marte con gli alieni. Mentre il suddetto cervello si faceva un’aperitivo extraterreste, io ero alle prese con il fatto di essermi fidanzato con un ragazzo, e per ragazzo s’intende Ushijima, e per Ushijima s’intende Ushijima. Può non sembrare, lo so, ma era la mia prima relazione con un essere vivente, ed il fatto che codesto essere fosse del mio stesso sesso non mi aiutava per niente! In un primo momento, mi concentrai più che altro sulla reazione che le persone intorno a me avrebbero avuto, su come avrebbe reagito il mio fan club, su come l’opinione che tutti avevano di me sarebbe cambiata drasticamente, perché molti pensano che essere gay o bisex sia strano- allora anche io ero strano! Nei primi mesi del liceo ero uno sconosciuto per la maggior parte degli studenti, così le mie preoccupazioni andarono ad affievolirsi mano a mano che passavano i giorni, certo che Ushijima non avrebbe mai fatto qualcosa di così stupido come prendermi per mano e baciarmi davanti la scuola –non sarebbe stato nemmeno da lui, a pensarci bene-. Io e lui ci iscrivemmo subito al club di pallavolo e se per diventare titolare alle medie avevo impiegato un anno, per diventare titolare al liceo impiegai due mesi esatti. Il tempo di far capire all’allenatore che i miei senpai non potevano competere con me, e che nessuno di loro sapeva tirare fuori il meglio del nuovo asso, Ushijima.

Ushijima. Inizialmente, non sapevo come approcciarmi nei suoi confronti, dopotutto, era lui che mi aveva fatto una dichiarazione dura e imbarazzante ed ero io che avevo accettato i suoi sentimenti per vendetta! Sempre che lui potesse provare sentimenti, ovvio. Fu nel periodo del mio primo anno di liceo che iniziai a maturare il presentimento che Ushijima non fosse del tutto umano: certo, era indifferente e distaccato come pochi, ma nei suoi occhi non riuscivo a leggere altro che sensazioni mute e vuote e sorde e mi faceva paura pensare che anche io, alle volte, potevo apparire così. I miei propositi di vendetta non erano cambiati, volevo ancora fargli male come due mesi prima, ma contemporaneamente volevo vedere nel suo sguardo lo stesso stupore di quando, dopo la partita contro la Kitagawa Daiichi, lo avevo morso rispondendo al suo bacio. Se fosse orgoglio, curiosità o voglia di vincere una sfida muta –o forse tutt’e tre- non me lo saprò mai spiegare, sta di fatto che il comportamento di Ushijima nei miei confronti non cambiò di una virgola, se non nel modo in cui mi guardava.
Non c’era stupore o interesse, solo curiosità crudele e freddamente calcolata.

Non vedendo nel suo comportamento nessuna trasformazione degna di nota, mi arrangiai di conseguenza, certo che lui non fosse più esperto di me nelle relazioni sentimentali. I mesi passarono in fretta, si creò ben presto un altro fan club di Tooru, e solo quando arrivarono le vacanze estive mi resi conto che di lì a poco avrei compiuto 15 anni. Il giorno del mio compleanno, passato in giro per la città con alcune ragazze del fan club, mi arrivò una breve mail da Ushijima, con scritto un semplice e telegrafico “Auguri”, niente di più e niente di meno. Probabilmente non mi aspettavo per niente quel messaggio, o forse lo aspettavo troppo, perché rimasi a guardare imbambolato lo schermo del cellulare per secoli, quasi a volermi risvegliare da un sogno irrealistico. Perché rimasi così sconvolto all’idea di un Ushijima che si ricordava del mio compleanno? In teoria, era il mio ragazzo, e c’erano leggi non scritte che stabilivano che il compleanno perfetto dovesse essere passato in compagnia della propria dolce metà, in realtà, io non ci avevo neanche pensato. Decisi di essere rimasto sconvolto dal suo messaggio perché lui non era né dolce né gentile né si ricordava di cose futili come un compleanno, ergo, doveva essere malato o/e forse provava davvero dei sentimenti.
Io, un povero illuso.

Quando arrivò il suo compleanno ricambiai gli auguri, con una mail piena di faccine e cuoricini. Ritornai a scuola parecchio confuso, ma non al punto da non notare che Ushijima era rimasto lo stesso di sempre. Ricominciò la nostra routine quotidiana, ostacolata solamente da un piccolo imprevisto –si era sparsa una certa voce, per i corridoi della scuola, una voce che confermava l’interresse di Tooru Oikawa per entrambi i sessi, ragazzi, state attenti! Da chi fosse partita la diceria, questo non si sapeva. Ma quella diceria mi riportò indietro di quattro mesi, alle mie preoccupazioni e ai miei tormenti. Tutto d’un tratto le persone cominciarono a notare la mia simbiosi con Ushijima, i miei tratti del viso delicati –come un fiore in primavera, Iwa-chan! Togliti quell’espressione, fai paura!- e le mie lunghe ciglia, la mia assenza di interesse verso le dolci fanciulle del Tooru fan club e, più di tutto, si accorsero dell’assenza di una mia presunta ragazza. Ora, non confondiamo le cose: non è che le ragazze mi facessero schifo, anzi, avevo capito di essere bisex già da un po’ di tempo. Ma questo non significava affatto che provavo interesse per qualsiasi uomo, donna, ragazzo o ragazza che fosse nel giro di due metri! Nel periodo natalizio non c’era persona che, quando passavo per i corridoi, non sussurrasse pettegolezzi e cattiverie.

C’erano anche le invasate che prendevano a guardarmi con adorazione mistica quando mi vedevano con Ushijima, e quelle che, al mio passaggio, farneticavanocose sul Boy’s Love e sulle ship. La situazione poteva essere anche comica, se non fossi stato preoccupato per la mia reputazione sul campo di pallavolo. Io ero quello paranoico, quello le cui certezze si stavano lentamente sfaldando, la cui persona si stava perdendo nelle profondità dei pregiudizi, Ushijima era quello calmo e indifferente e distaccato ed efficiente come al solito: nonostante i miei cali nelle partite, dovuti agli sguardi dei miei compagni di squadra, lui faceva punto. Sempre e comunque.

Finita la scuola, feci un riassunto breve del mio primo anno del liceo: tutti, nel mio istituto, pensavano a me come una puttana pansessuale, stavo facendo schifo negli allenamenti ed eravamo arrivati sì alle nazionali, ma a causa mia avevamo perso i quarti di finale. Una disfatta totale. Come se non bastasse, Ushijima non dava segni di vita o preoccupazione e io abbracciai persino l’idea di chiudere tutto quello che poteva essere stato tra noi. Niente contatti fisici, niente prese di posizione o discorsi sull’argomento: io e Ushijima, per un anno, avevamo giocato ai fidanzati per ragioni totalmente diverse e infantili, con la conseguenza di aver scatenato dicerie in tutta la scuola. Subito dopo aver formulato questo pensiero, mi feci schifo da solo. I giudizi degli altri erano diventati così importanti per me, da scavalcare anche il mio orgoglio? Ero diventato un burattino nelle mani delle persone? Ero diventato quello? No! Sarei riuscito a riscattare la mia preziosa reputazione, in qualche modo ce l’avrei fatta. Ero diverso? Ero strano? Decisi che non mi sarebbe importato se i ragazzi mi avessero invidiato, insultato o  se le ragazze non mi avessero più guardato. Amavo gli elogi, le lusinghe ma amavo di più il mio orgoglio, mi piacevo, e non sarei cambiato per delle voci di corridoio.
Arrivò il secondo anno e capii che la mia maschera di vetro stava diventando di ferro.

Se devo essere sincero, del secondo anno ricordo poco e niente. No, Iwa-chan, non perché sono chiaramente tardo, ma perché fu un anno di transizione, dove le mie emozioni si stabilizzarono e con loro anche la situazione che si era venuta a creare a scuola. All’inizio dell’anno ero piuttosto agitato, nonostante la mia determinazione nel rimettere tutte le cose al loro posto e nel farmi di nuovo rispettare. E non mi aiutava nemmeno Ushijima che, è inutile ripeterlo ancora, era vivo quanto un’ameba. Davvero, i primi mesi del secondo anno passarono senza che le dicerie sul nostro conto si affievolissero e lui rimaneva calmo, tranquillo- forse annoiato. Avevo l’orrenda sensazione che il mio malessere lo annoiasse, come se si aspettasse da me sempre qualcosa in più, di più, di più. Qualcosa che probabilmente non gli ho mai dato.
Gradualmente, riiniziai ad uscire con le ragazze del Tooru fan club, gruppo che non si era affatto sciolto- come avrebbe potuto? Tooru è sempre Tooru. Nessuna di quelle liceali mi guardava male, o disgustata, o arrabbiata: così, giunsi all’inevitabile conclusione che le ragazze avessero una mentalità più aperta dei ragazzi, e che non sarei mai riuscito a farmi amicizie maschili. No, no, non era per mancanza di autostima o di coraggio o altro, semplicemente, i ragazzi normali erano parecchio chiusi nei miei confronti già da prima della fuga di informazioni- figurarsi dopo. Non valeva veramente la pena di sprecare del mio tempo per creare un legame con degli scimmioni, a tutti i ragazzi continuavo a preferire Ushijima(e questo era un bell’insulto, per loro).
Iniziando ad uscire con una quantità ingente di ragazze, le voci cominciarono a farsi vaghe, a spegnersi. Andarono ad attaccarsi ad altri ragazzi o ragazze, lasciando me in pace. Verso la metà di giugno, tutto ritornò tranquillo, e mi piace pensare che fosse stato tutto merito mio, solo mio, mio e del mio orgoglio. Ushijima, in quel periodo, cambiò di nuovo il suo modo di guardarmi.
Non più curiosità e basta, ma bensì curiosità nelle mie piccole vittorie personali, come se, di nascosto, stesse raccogliendo informazioni su di me per poi sbattermele in faccia e farmi vedere i punti in cui ero più debole e quelli in cui ero più forte. Mi trattava come un Pokémon, il bastardo.

Compii sedici anni in compagnia della squadra di pallavolo, delle ragazze della scuola e di amici. No, Iwa-chan, io non avevo amici, specialmente amici maschi. Solo, per una volta non mi opposi alle richieste delle ragazze del fan club, che volevano disperatamente fare una festa per i miei sedici anni. Lasciai a loro il compito di dare gli inviti e di trovare un posto dove tenere il compleanno, io avrei provveduto in qualche modo al cibo. Mia madre era così contenta del suo figlioletto che, per la prima volta, voleva fare una vera e propria festa, che preparò torte e pizze in quantità industriale. Mia madre non l’ho mai capita, proprio come Ushijima. E non penso che avrò più l’occasione per capirla.

Sta di fatto che al mio sedicesimo compleanno partecipò praticamente tutto il mio liceo, e sorprendentemente mi divertii un mondo. C’era anche Ushijima, certo, che per una volta mi sembrò meno indifferente e rigido del solito, soprattutto quando mi iniziarono a far bere litri e litri di alcool preso chissà dove. È insano e sbagliato, lo so anche senza che tu me lo dica, Iwa-chan. Ma era la mia prima festa, non avevo mai bevuto un goccio di alcool ed avevo sedici anni! Ora, il problema è che non ricordo bene cosa successe quella nott- NO IWA-CHAN NON FARE QUELLA FACCIA! SONO VERGINE E NON MI STAVO RIFERENDO A QUELLO! Nessuno mi stuprò, se è questo che ti preoccupa. Si, sono ancora vergine, e ora smetti di fare quella faccia imbambolata e confusa, per chi mi hai preso? Ora, stavo dicendo, ho ricordi molto vaghi di quella notte, cose come ballare, ridere, vomitare, e ancora ballare. Ushijima restò al mio fianco tutto il tempo, insieme a facce e volti mai visti prima. Mi sentii per la prima volta dentro un gruppo che non fosse formato solo da me e da Ushijima, e tutto questo grazie a me. Ai miei sforzi.

Solo la mattina dopo iniziai a ragionare come si deve, e a rendermi conto che il ‘gruppo’ che si era creato intorno a me era tutt’altro che vero –metà squadra di pallavolo(vedasi:la panchina) mi odiava, l’altra metà mi guardava con diffidenza appena fuori dal campo. Le ragazze mi seguivano perché ero bello, perché sembravo simpatico, perché si facevano la loro idea su di me e si aspettavano che io diventassi magicamente il ragazzo dei loro sogni. I ragazzi seguivano le ragazze, e nonostante mi odiassero cordialmente, volevano avere la mia amicizia per poi avere quella delle ragazze. Patetici.

Anche io ero patetico. Tutto quello che mi ero costruito intorno era effimero e fragile e inesistente. Io ero una specie di specchio delle persone, e nessuno tranne il sottoscritto conosceva il vero Tooru. E questo equivaleva a dire che il vero Tooru non esisteva.
È per questo che mi attaccai disperatamente all’unica persona che conoscesse almeno un quarto del vero me: Ushijima. Forse lui lo scambiò per amore, forse per vendetta, ma sta di fatto che avevo da tempo dimenticato la mia vendetta e volevo solo ritrovare me stesso. E se ritrovare me stesso significava conoscere meglio il bastardo e farsi conoscere meglio, bhè, che alternative avevo?
Quell’anno non riuscimmo ad arrivare ai nazionali. Non ricordo neanche la squadra che ci sconfisse, pensa, qualcosa come Wakunan, ma non ne sono sicuro. Erano meno forti di noi, questo è certo, ma più o meno al secondo set ebbi un malore in mezzo al campo. Niente di serio, mi diagnosticarono solo stanchezza cronica e un bel po’ di sonno arretrato. Inoltre, mi consigliarono di diminuire gli allenamenti settimanali, perché le mie articolazioni- braccia, ginocchia, caviglie- ne stavano risentendo troppo.
Non capii quanto grave fosse la situazione fino al terzo anno. Adesso…ora come ora… vorrei aver dato ascolto ai medici. Non sai quanto… eh? No, cosa dici, non sto piangendo. Ti prego, non toccarmi, Iwa-chan. Sto bene, davvero.

Per colpa mia perdemmo la partita che ci avrebbe permesso di andare in nazionale. Per me e Ushijima il tempo stava scadendo, e l’anno successivo sarebbe stato il nostro ultimo anno di liceo. Misi da parte il senso di colpa, i pensieri sulla mia inutile e breve vita, accantonai perfino i consigli dei medici e, appena finito il secondo anno, iniziai ad allenarmi con il ritmo di tre anni prima.
Volevo in qualche modo farmi perdonare, si, ma avevo anche altro per la testa. All’inizio del terzo anno mi ricordai del piccolo genio della Kitagawa Daiichi, che, stando ai miei calcoli, in quel periodo avrebbe dovuto avere circa quindici anni: ergo, avrebbe dovuto iniziare il liceo e avrebbe dovuto giocare in qualche squadra molto forte. Avevo sentito della sconfitta eclatante della sua squadra all’ultimo torneo interscolastico delle medie, e questo mi riempiva di una felicità assurda. Forse fu proprio per quella sconfitta, ma Tobio non venne accettato dal nostro liceo. Che goduria! O almeno, era quello che pensavo.

All’inizio della scuola, noi senpai del terzo anno decidemmo di impegnarci in due tornei: quello autunnale, come allenamento e pratica, e quello interscolastico primaverile, come torneo finale. Passò la primavera, poi l’estate, compii diciassette anni e non cambiò nulla. Mi fecero un’altra festa e io feci buon viso a cattivo gioco, troppo occupato a pensare alla pallavolo per rendermi conto di quanto facesse schifo la gente di cui mi ero circondato. In tutto questo, io e Ushijima eravamo ancora platonicamente fidanzati. Pazzesco, eh? Era arrivato settembre e l’unico bacio che ci eravamo scambiati era stato due anni e mezzo prima. Io stesso evitavo ogni contatto fisico, mi faceva alquanto schifo l’idea che lui si appropriasse di nuovo delle mie labbra, ma era Ushijima stesso che non aveva bisogno di me. O forse, del mio corpo, perché io e lui eravamo praticamente sempre insieme e alle volte ci fermavamo a dormire a casa dell’altro, magari la sera prima di una partita importante. Non ricordo da chi fosse partita l’idea, sul serio, ma lui non mi toccò mai. Neanche per sbaglio.

Quindi, ricapitolando, il torneo autunnale era alle porte e io non ero pronto a partecipare al mio penultimo torneo. Come sempre, però, il tempo se ne fotte delle mie esigenze, e come per magia mi ritrovai in mezzo ad una campo di pallavolo prima che avessi il tempo di protestare.
Vincemmo la prima partita, la seconda, e alla terza credevamo che avremmo tutti gli scontri, approdando alle nazionali perfino prima del torneo primaverile. Il nostro terzo incontro era con il Karasuno, una squdra mai sentita prima. Davo già la vittoria per scontata.

*

Quella mattina arrivammo in perfetto orario, come sempre, e come sempre ci preparammo per giocare al meglio delle nostre forze. Certo, era vero che ormai sottovalutavo l'avversario, ma ciò non significava non giocare al massimo delle mie capacità. Dovevo ancora dimostrare ad Ushijima che ero io, io e solo io il miglior alzatore della prefettura. Quando raggiungemmo il campo di gioco, mi tornò in mente l'immagine di Tobio, il piccolo kohai che non era stato ammesso nel mio liceo. Non l'avevamo ancora incontrato in nessuna squadra sconfitta fino a quel momento, inoltre, avevo un bruttissimo presentimento al riguardo. Non è che sentissi un qualche complesso d'inferiorità nei suoi confronti- assolutamente no, cosa vai a pensare, Iwa-chan. Avevo paura, questo sì. Paura che Ushijima potesse farmi male un'altra volta, nonostante per tre anni avessi cercato di non illudermi. Avevo accettato la mia dipendenza dall'asso, questo mi sembrava un pegno sufficiente per non soffrire più. Appena si presentò l'altra squadra, il mio brutto presentimento si avverò.

Tobio era dall'altra parte del campo, dall'altra parte della rete, e non mi aveva ancora notato, stava palleggiando in coppia con un ragazzo molto basso. Ushijima lo intercettò subito, invece, e fu velocissimo a riconoscere in quel ragazzo il bambino di tre anni prima. Era cresciuto, il piccolo Tobio. Ormai raggiungeva benissimo il metro e ottanta, e con i suoi capelli corvini e quegli occhi color del mare spiccava perfino in una squadra strana come quella del Karasuno. I suoi movimenti erano più fluidi, più tranquilli, meno dispotici. Passai tutto il riscaldamento ad osservare quel ragazzo sbocciato in appena tre anni. Lui però non mi notava, era come preso totalmente dal suo compagno. Quel nanetto dalla capigliatura impossibile era solo il primo degli strambi, in quella squadra: c'era il gigante biondo, il teppista dai capelli lunghi ed il teppista rasato, il nano iperattivo con la maglia da libero e due tizi che sembravano una madre e un padre fin troppo indaffarati. Poi un tipo alquanto autistico, un ragazzetto con le lentiggini che ad intervalli stava ad urlare "Tsukki!", un allenatore biondo tinto ed un professore normalissimo e molto confuso.

C'era anche una bellissima manager che tutti i miei compagni di squadra stavano fissando, ma lasciai stare quest'ultima- preso com'ero dall'osservare il piccolo Tobio. A fine riscaldamento parve notarmi, e si inchinò con la faccia più buffa che avessi mai visto. Il nanetto accanto a lui sembrò a dir poco sconvolto dal gesto di Tobio, e finì per scoppiare a ridere, mentre l'alzatore gli bisbigliava qualcosa, urlando a tratti "Hinata boke, Hinata ao*!" Al che il piccolo gamberetto si girò confuso verso di me, mentre Ushijima guardava la scena con un pizzico di ritrovata curiosità. Hinata, così doveva chiamarsi il nano, urlò dal nulla qualcosa come "Ma quindi lui è il Grande Re! UOOO! GWAAAH! VOGLIO BATTERLO!" ricevendo un pugno ben assestato da Tobio-chan. La scena era così comica, così intima che provai invidia. Invidia per quei due ragazzi, che sembravano così affiatati, così uniti. Mi immaginai il piccolo Hinata a schiacciare, poi scossi la testa. No, quei due non erano come me e Ushijima. Non potevano essere come me e Ushijima: Hinata era troppo basso per schiacciare, troppo spensierato per essere l'asso. Probabilmente era l'alzatore di riserva, pensai, mentre la comicità della scenetta appena conclusa si dileguava, facendo spazio all'ansia da prestazione che così poche volte mi aveva raggiunto. Il soprannome di Hinata mi risuonava nelle orecchie come una nenia demoniaca, aggiungendosi alle altre voci che proprio in quel momento avevano deciso di iniziare a parlare.

"Grande Re! Grande Re! Tooru, Tooru! Oikawa, sii mio. Tooru, sei il migliore! Il miglior alzatore della prefettura. Nessuno è come lui" Nel bel mezzo della mia pazzia, speravo che Tobio venisse messo in panchina, per fare posto al suo povero senpai, alzatore mediocre. Mediocre come erano tutti gli alzatori messi a suo confronto. Inoltre, ricordavo benissimo il suo egoismo, la sua mania nel giocare da solo. Un re solitario che nessuno avrebbe seguito. E invece Tobio partì titolare, insieme al piccolo Hinata, che giocava nella posizione del centrale. Credevo che, se in quella partita Tobio si fosse sbarazzato del suo egoismo, io sarei sprofondato nell'abisso della disperazione per ragioni puramente psicologiche e mie, solo mie. E invece a portarmi sul fondo fu proprio Ushijima. Io ero il miglior alzatore della prefettura perché riuscivo a tirare fuori il meglio della mia squadra. Non ero un genio, né un talento, ma solamente un ragazzo che si era impegnato oltre le proprie forza fisiche per riuscire ad essere degno del suo asso. Ushijima invece non si era mai impegnato come me.

Era alto, forte, ed aveva una tecnica che io non sarei mai riuscito ad ottenere. Lui voleva solo un alzatore che non deludesse le sue altissime aspettative, e mi aveva designato personalmente per questo ruolo. Forse non mi aveva capito affatto. Forse, come io non ho mai capito lui, lui non ha mai capito me: io desideravo dei complimenti, e non delle lusinghe blande, per quelle bastava l'opinione pubblica. Io volevo qualcuno al mio fianco che non cercasse sempre il meglio da me, o almeno, non lo cercasse nella maniera in cui lo cercava lui. Freddo, distaccato, crudele e a tratti sadico. Quando, per la prima volta, faticammo per vincere il primo set, Ushijima mi guardò diversamente. Mi accorsi che no, questa volta non mi guardava diversamente per Tobio, ma per me, perché io non riuscivo ad alzargli le palle perfette, perché vedendo la veloce di Tobio e Hinata- una veloce incredibile, ai confini dell'umano- si era accorto che io non avrei mai saputa palleggiare così. Si accorse finalmente che nonostante tutto io non ero un genio.

Nel secondo set, per la prima volta mi urlò contro. "Oikawa, puoi fare di più" mi disse, le parole che gli scivolavano strette tra i denti, mentre i nostri compagni di squadra trattenevano il respiro e mi guardavano spaventati. Reon, Satori, perfino Eita in panchina mi osservavano con uno sguardo che trasudava pena.
Pena. Commiserazione. Ero davvero così patetico? Mi ero illuso di essere forte perché dipendevo da qualcuno più forte di me. Mi ero costruito una maschera di ferro senza sapere che il ferro può essere sciolto dal fuoco. Parlando per metafore, il fuoco era Ushijima. E Ushijima mi stava bruciando, lentamente e inesorabilmente, dentro e fuori il campo, fino a ridurmi a quello. Un giocatore un po' deboluccio che dipendeva dal suo asso, privo di qualsiasi volontà e forza. Ero diventato davvero bravo a crearmi maschere su maschere per nascondere i miei sentimenti, così, semplicemente ignorai le lacrime che volevano uscire fuori prepotentemente nel bel mezzo della partita, e mi intestardii a sorridere. Mi sentivo stanco, esausto, ma cercai di coprire tutto il campo, di non far cadere neanche una palla, di alzare le palle perfette per ognuno. In un primo momento, notai solo che la mia vista stava davvero peggiorando, e che le mie braccia erano più pesanti del solito. Ma più guardavo la faccia sprezzante di Ushijima più mi convincevo a continuare a giocare, negavo il mio malessere con una naturalezza quasi inquietante. Poi arrivò l'ennesimo turno di Tobio in battuta. Il piccolo Tobio batteva proprio come me: certo, la sua tecnica non era lontanamente potente come la mia, ma era forte. Tobio era forte. Tobio era un talento. Ushijima era un talento. Io no.

Riuscì a battere su Reon, che mandò la palla in aria, ma con una traiettoria totalmente sbagliata. Prima che il mio cervello potesse protestare, le mie gambe si mossero istintivamente verso il pallone, che era volato vicino al muro dei tifosi. Mi allungai il possibile per raggiungere il percorso della palla, e proprio nel momento in cui la raggiunsi, andai a sbattere contro la parete. Mi accorsi solo dopo di essere inciampato nelle panchine mentre correvo, e mi ritrovai vicino al muro con il ginocchio in un'angolazione completamente sbagliata. Era storto. Non era normale. Era tutto così sbagliato.
Il dolore venne dopo. Poi svenni.
*
Ehm, in teoria, potrei anche fermarmi qui. Dopotutto, credo tu abbia già intuito il seguito. Ma te lo racconto lo stesso. Dopo quella partita, il mio ginocchio destro riportò gravi lesioni. Rottura del menisco mediale. Mi dovettero operare, e mi vietarono di giocare per due anni. Anche se avessi voluto ricominciare con la pallavolo, non ci sarei riuscito: camminavo a stento. Capii che la mia carriera pallavolistica era praticamente finita. Anche riprendendo a giocare, nessuna università mi avrebbe dato una borsa di studio se non potevano vedermi sul campo. Tutti i miei allenamenti, tutti i miei sacrifici, tutte le mie vittorie, avevo fatto tutto per niente. Mi ero allenato così tanto per essere all'altezza di Ushijima e avevo finito per distruggermi. I miei compagni di squadra vennero a trovarmi, dopo l'operazione. Mi fecero sapere che Eita aveva preso il mio posto in partita dopo la mia caduta, e che erano arrivati in nazionale. Avevano perso in semifinale, ma erano comunque contenti dei risultati. Ushijima non venne mai a trovarmi nel periodo successivo all'operazione. Dopo che fui dimesso dall'ospedale, feci sapere al mio coach che, volente o nolente, non potevo continuare a giocare.

Lui sembrò realmente dispiaciuto, ma alla fine accettò la mia assenza come imprescindibile e incominciò ad allenare Eita come titolare per il torneo primaverile. Non riuscii ad essere felice per lui. Veramente, non riuscii ad essere più felice, punto e basta. Sono passati più di quattro mesi, e non riesco ancora a saltare a rete senza provare dolore, e non parlo solo di dolore fisico. Non vedo Ushijima da allora, nè ci siamo sentiti per mail. Forse lui la considera una forma di rispetto, un po' come per i caduti in guerra con onore. Io evito lui e lui evita me, tutto quello che siamo stati -o non siamo stati- è finito con la mia carriera pallavolistica. In fondo sapevo benissimo che il solo interesse che aveva Ushijima nei miei confronti si limitava all'ambito pallavolistico, eppure, ancora non riesco a sopportare l'idea di non essere mai stato per lui niente più che un oggetto. Era stata l'unica persona che avevo veramente sentito vicina in tutta la mia vita. L'unica persona che conosceva una parte delle mie paure. L'unica persona che non voleva compiacermi, l'unica che non aveva paura di me.

Girano voci, nel mio liceo, che vedono Ushijima impegnato in una nuova relazione con Eita, l'alzatore che mi ha rimpiazzato. Non mi importa nulla di quest'ultima notizia, sorprendentemente. Eita mi fa solo molta pena, quasi quanta io ne faccio a lui.
Qualche settimana dopo la partita, mi arrivò uno strano invito su Facebook da parte di un café che avrebbe aperto a breve nella nostra prefettura. L'idea di aprire un bar dove avrebbero potuto partecipare tutti i giocatori di pallavolo era stata dell'ex allenatore del Karasuno, Ukai senior, e il vicecapitano del Karasuno aveva avuto la brillante idea di invitarmi a far parte dello staff. Pensai che tutta la squadra aveva avuto pena di me, forse i giocatori si erano persino sentiti in colpa. Non mi chiesi neanche come fossero riusciti a rintracciarmi su Facebook, accettai e basta. Dopotutto, non avevo niente da fare.
Così, ecco la storia di come Tooru Oikawa è entrato a far parte dello staff del KaraCo. Non so che guadagno tu possa ricavare dal mio passato, Iwa-chan, perché io stesso non so che insegnamento trarne. Ho imparato, forse, solo una cosa, e devo ringraziare Ushijima per questo. Per quanto una persona si possa sforzare, non può rendere qualcuno ciò che non è.



*Boke, ao: insulti che in giappone vogliono significare 'stupido, idiota'


Eccoci qui. Scusate eventuali errori di battitura e incongruenze con i font, ma come vi ho già detto è solo colpa del mio computer. Spero che questo capitolo vi abbia soddisfatto, perchè d'ora in poi riprenderò il punto di vista di Iwa-chan, e sarà lui stesso a prendere in mano l'iniziativa! Su, incoraggiatelo, che è timido 
   
 
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