Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: IrethTulcakelume    29/06/2016    2 recensioni
Park Jimin, 21 anni, testa sempre tra le nuvole – sì, se le nuvole hanno i capelli neri e tre anni in meno di lui.
Jeon Jungkook, 18 anni, mente brillante versata per lo studio, un po’ meno per gli affari di cuore.
Min Yoongi, 22 anni, passione per il basket, ma qualche problemino con i blackout.
Kim Namjoon, 29 anni, uno studio di psicologia tutto suo che spesso ospita un paziente in via in guarigione.
Kim Seokjin, 31 anni, cattedra universitaria di economia e un incorreggibile complesso del salvatore.
Kim Taehyung, 18 anni, tante foto, incubi abituali e un paio di conti in sospeso con il passato.
Jung Hoseok, 21 anni, una sorella fortunatamente ficcanaso e vigliaccheria a profusione.
Non si sentono i suoni se non c’è silenzio.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo autrice:
Ed eccomi qui, ancora una volta! Avrei dovuto aggiornare tra un paio di giorni, ma domani parto per Napoli e temevo che altrimenti vi avrei lasciati senza capitolo... come sono brava, dai ammettetelo. Adesso, però, basta: vi lascio a questa fantasmagorica storia.





 


Walkin' on tightrope







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Le nuvole si stavano lentamente diradando, lasciando intravedere qualche spicchio del cielo color indaco di Seoul. Il sole era quasi tramontato, donando una sfumatura malinconica alla capitale, che in quell’orario si vedeva attraversata dagli uomini e dalle donne che avevano terminato il proprio lavoro e che potevano finalmente tornare a casa.
Kim Namjoon guardò l’orologio d’acciaio che ticchettava pazientemente sul suo polso: mancava poco meno di mezz’ora all’inizio della seduta con Yoongi, ma lui era già nel suo studio.
L’uomo sorrise osservando la stanza nella quale si trovava: le pareti erano di un colore indefinito tra l’arancio e il crema, che donava un’atmosfera di serena allegria all’ambiente. Al centro c’era un tavolino da caffè dello stesso legno scuro e lucido di cui era fatta la sua scrivania, senza un solo granello di polvere a sporcarne la superficie. Nell’angolo in alto a destra di quest’ultima riposava un plico di fogli bianchi, fiancheggiato dall’agendina nera sulla quale annotava gli appuntamenti con i suoi pazienti; a sinistra c’era invece un piccolo contenitore di vimini dalla forma cubica nella quale metteva le penne per scrivere. A circa un metro dalla scrivania, ai due lati del tavolino da caffè, c’erano un divano e un paio di poltrone che erano colorate di diverse sfumature di giallo e arancione pastello.
Qualcuno bussò, e Namjoon si alzò dalla sedia girevole di pelle nera su cui era seduto per andare ad aprire la porta: già sapeva chi stava per entrare nel suo studio, ma non era Yoongi. Una volta arrivato alla porta, posò la mano sulla maniglia e tirò verso di sé, sorridendo quando vide davanti ai suoi occhi il viso dolce e comprensivo di Seokjin.
- Ciao amore – lo salutò Namjoon, subito prima di lasciar entrare il professore nel suo studio e aver chiuso la porta dietro la propria schiena. Seokjin camminò in direzione della finestra coperta ai lati dalle tende chiare, poi si fermò davanti al vetro e vi poggiò una mano, pensieroso. Lo psicologo lo osservò corrucciato, raggiungendolo dopo pochi istanti.
- C’è qualcosa che non va? – gli chiese poggiandogli una mano sulla spalla. Quello mise la sua su quella di Namjoon, incrociando lo sguardo dell’altro riflesso sul vetro della finestra. Rimasero in quella posizione per un tempo indefinito, come cristallizzati in quella situazione di stallo: nessuno dei due aveva il coraggio di fare il passo successivo.
Fu Seokjin a rompere il silenzio che si era venuto a creare. – Credo… di avere un po’ di paura.
Namjoon aggrottò le sopracciglia. – Paura? E di cosa? – domandò con voce dolce, avvicinandosi ancora un po’ al compagno.
Seokjin si voltò, abbassando lo sguardo per non incrociare quello dell’uomo dinanzi a lui, timoroso di qualcosa che l’altro non riusciva a comprendere. Lo guardava preoccupato, e in un certo senso curioso: non capiva da cosa potesse essere spaventato.
- Be’, tu hai detto che hai un rapporto… in un certo senso… speciale, con questo tuo paziente. – Seokjin iniziò a giocherellare con il braccialetto d’argento che portava sempre al polso, segno che era nervoso e insicuro di ciò che stava per dire. – E se… se io non… oh, è una cosa così stupida da dire.
Namjoon mise due dita sotto il mento di Seokjin, sollevandogli il viso in modo da poterlo guardare negli occhi mentre gli parlava. – Nulla di ciò che dici è stupido, Jin. Sai che puoi dirmi tutto, dai – gli disse sorridendogli incoraggiante, e finalmente vide una scintilla di quella che probabilmente era fiducia in se stesso correre negli occhi dell’uomo dai capelli castani accompagnato da un lieve sorriso sulle labbra rosee.
- Mi stavo chiedendo… e se io non gli piacessi? Se mi odiasse o magari credesse che la mia presenza limiti i vostri discorsi e…
A quelle parole, Namjoon scoppiò a ridere, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del professore, che incrociò le braccia al petto in segno di protesta e riabbassò lo sguardo sulla punta delle proprie scarpe. L’uomo dinanzi a lui, però, lo colse alla sprovvista, afferrandolo per i fianchi e portandolo di scatto contro di sé. – Scherzavo, mi pare evidente che tu possa dire sciocchezze – disse con voce quasi derisoria, un sorriso beffardo a illuminargli di una strana luce il volto pallido. Seokjin, che aveva riportato lo sguardo su Namjoon per la sorpresa, lo guardò come se avesse il potere di incenerirlo con la forza del pensiero.
- Va bene, rettifico: dici sempre cose intelligenti, furbe e molto sensate…
- Così va già meglio – lo interruppe lanciandogli un’occhiata compiaciuta ma ancora venata di stizza.
- …solo che quella che hai appena detto lo era un po’ meno. Lasciami spiegare, per cortesia – aggiunse Namjoon vedendo il fastidio ricomparire sul viso del compagno. - Adesso tu dimmi, luce dei miei occhi, come potresti non piacere a qualcuno? – disse con voce dolce e suadente, cogliendo nuovamente di sorpresa Seokjin, che arrossì. Cercò di distogliere lo sguardo da quello di Namjoon, che però gli mise una mano sulla guancia e lo tirò un po’ più vicino. – Sei bellissimo, hai un cuore d’oro, ti faresti in quattro per le persone a cui tieni. Metti tutto te stesso in ogni cosa che fai, se non riesci riprovi, finché non ottieni ciò che vuoi. Sei la cosa più perfetta che abbia mai calpestato il suolo di questa terra, come puoi anche solo immaginare di poter risultare sgradito a qualcuno?
Quando Namjoon concluse, un breve silenzio calò sulla stanza, come una calda coperta stesa su di loro per proteggerli dal mondo esterno. Furono solo pochi secondi, sufficienti perché Seokjin abbandonasse ogni rancore, per poi sussurrare un – Ti amo – più leggero del battito d’ali di una farfalla e sollevarsi appena sulla punta dei piedi per incontrare le labbra dell’uomo che amava ormai da anni.
Succedeva non di rado che Seokjin avesse questo genere di insicurezze. Pur essendo uno stimato e brillante professore alla Korea University di Seoul, - il più giovane probabilmente - pur avendo un’intelligenza fuori dal comune e godendo dell’ammirazione di tutti coloro che lo conoscevano, spesso aveva dei dubbi sul fatto di piacere le persone. Non si trattava solo del piano fisico, no: su quello Namjoon aveva lavorato abbastanza affinché non dimenticasse mai di essere di una bellezza mozzafiato. Aveva il timore che alle persone non piacesse il suo carattere, che il minimo passo falso lo avrebbe per sempre allontanato da tutti. A volte sembrava quasi che stesse camminando su una fune invisibile, con la paura di guardare sotto di sé e non trovare la rete pronta a sorreggerlo se fosse caduto.
Era per questo che Namjoon era così importante per Seokjin, era per questo che lo amava e l’avrebbe sempre fatto: era la sua rete, era la sua salvezza quando credeva di non avere speranze, la sua luce quando brancolava nel buio. Ed era a questo che serviva quel bacio colmo di tenerezza: a ricordare a Seokjin di poter sempre contare su qualcuno, anche in mezzo a tutti i suoi dubbi.
Le mani di Namjoon si erano lentamente spostate dai suoi fianchi alla schiena, la accarezzavano con una delicatezza che decrebbe mano a mano, lasciando spazio a una decisione estranea a loro fino a quel momento. Seokjin, dal canto suo, aveva agganciato il colletto della camicia di Namjoon e lo stava attirando – se possibile – ancora più vicino a sé. Le loro lingue, da calme e lente, erano diventate voraci e passionali, si esploravano a vicenda con una confidenza propria solo a chi si ama davvero e non ha alcun timore di dimostrarlo. Dopo un tempo indefinito, però, fu inaspettatamente Seokjin a spingere per avere di più: spinse le sue dita oltre il confine della camicia, andando a sfiorare la morbida pelle sul retro del collo di Namjoon, che si lasciò sfuggire un mugolio di piacere a quelle carezze più decise…
Poi sentirono la porta aprirsi, e una testa rosso fuoco sbucò dallo spiraglio appena creatosi. Il ragazzo rimase immobile, mantenendo un’espressione impassibile – anche se era segretamente divertito – mentre osservava gli sguardi allucinati e imbarazzati rispettivamente appartenenti a Seokjin e a Namjoon. Il primo aveva ritirato le mani con una velocità di cui non si sarebbe mai creduto capace, cacciandole nelle tasche dei pantaloni neri di stoffa, mentre il secondo si era allontanato notevolmente dall’altro, facendo guizzare gli occhi da Seokjin a Yoongi senza sapere quale fosse l’opzione peggiore.
- Sì, questo è decisamente poco professionale… - sussurrò poi, passandosi una mano tra i capelli quasi bianchi, poco prima di essere interrotto dalle parole di Yoongi, ancora sulla soglia dello studio.
- Era questo il motivo per cui questa seduta sarebbe stata speciale? – chiese infatti, l’ombra di una risata divertita nascosta tra le labbra. Seokjin arrossì visibilmente, infossando la testa nelle spalle come per scomparire o, come minimo, ridurre notevolmente le proprie dimensioni in modo da diventare invisibile. Namjoon, invece, recuperò in fretta la propria allegria, e dopo aver sussurrato qualcosa all’orecchio di Seokjin portò la propria attenzione su Yoongi.
- In effetti sì. – Dopo aver pronunciato quelle parole, afferrò saldamente la mano del compagno e lo guardò amorevolmente, proseguendo - Lui è Seokjin, il mio…
- Professor Kim? – disse incredulo il ragazzo, inarcando un sopracciglio.
Namjoon non sapeva se guardare Yoongi o l’uomo accanto a lui, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa quest’ultimo disse con lo stesso tono del ragazzo: - Min Yoongi? – Poi si voltò verso Namjoon, posizionando la mano libera sul proprio fianco in una posa che voleva essere vagamente inquisitoria. - È lui il paziente che volevi presentarmi?
- Sì, ma non vedo come questo possa costituire un probl…
Prima che lo psicologo potesse completare la sua frase, i due lo interruppero dicendo allo stesso tempo – E’ un mio alunno – e – E’ un mio professore.
Namjoon li guardò dubbioso, grattandosi il mento con un’espressione indecisa dipinta in volto. – Mh… be’, cominciamo a chiudere la porta e ad accomodarci – disse infine, per poi andare a chiudere la porta facendo segno a Yoongi di entrare nello studio e andando a sedersi sul divanetto di fronte al tavolino.
Yoongi lo seguì, scegliendo però una delle due poltrone. Come era facilmente intuibile, Seokjin prese posto di fianco a Namjoon, il quale, non appena tutti si furono accomodati, si schiarì la voce.
- Dunque. Questa potrebbe essere una situazione un po’ complicata, ma io sono convinto che tu – disse rivolgendosi a Yoongi – sia abbastanza maturo da comprendere che la vostra conoscenza non interferirà in alcun modo con la tua vita scolastica, nel bene e nel male.
Il ragazzo dai capelli rossi annuì impercettibilmente, giungendo le mani pensieroso mentre appoggiava i gomiti sulle ginocchia, le gambe divaricate che gli facevano da sostegno.
- Sì, state tranquilli… non c’è pericolo – aggiunse con un vago sorrisetto a solcargli l’espressione quasi impassibile del viso. Poi chiuse gli occhi, cercando di non pensare alla presenza del secondo uomo in quella stanza. Naturalmente non riuscì nel suo intento. Se in un primo momento quella situazione lo aveva divertito, adesso ne era letteralmente terrorizzato. Migliaia di domande presero ad affollargli la mente in contemporanea: perché Namjoon voleva fargli conoscere quella persona? E se non gli fosse piaciuto? E se avesse pensato che era troppo… troppo strano? Aveva deluso tante persone, perché la cosa sarebbe dovuta essere diversa con lui?
Strinse gli occhi con più forza, contraendo la mascella fino a far scricchiolare in maniera sinistra i denti. Seokjin fece un movimento nervoso, ma Yoongi non poteva accorgersene, immerso nei suoi dubbi e nelle mille incertezze che lo stavano logorando. Percepiva le prime lacrime salirgli agli occhi ancora serrati dietro le palpebre, cercò di ricacciarle indietro ma quelle non volevano ascoltare, continuavano a spingere per uscire. Era una lotta con un solo possibile vincitore, quella contro le lacrime, e Yoongi lo sapeva bene, eppure continuava a combattere contro l’impulso che gli urlava piangi Yoongi! Piangi!
No! No! Non posso… non posso…
E mentre si ripeteva quelle parole, senza che neanche se ne rendesse conto, le sue nemiche avevano già vinto. Gli occhi ancora chiusi lasciavano passare una lieve scia di quelle che sì, erano lacrime, e gli stavano rigando il volto assolutamente contro la sua volontà. Premette con maggior forza le mani davanti al suo viso, il capo abbassato.
Poi, senza alcun preavviso, un paio di braccia a lui sconosciute lo avvolsero come una coperta. Yoongi pensò che gli ricordavano una di quelle copertine di lana che gli aveva cucito sua nonna quando era bambino. Immediatamente fu pervaso da una sensazione familiare, senza che vi fosse una reale ragione, e si accasciò contro quel corpo che sembrava volerlo proteggere dai mostri che si portava dentro da sempre, da quella sensazione di essere sempre in bilico sulla lama di un coltello, senza sapere cosa sarebbe successo se fosse caduto.
La scena si svolse sotto lo sguardo intenerito di Namjoon, che era probabilmente l’unico a rendersi conto di ciò che stava avvenendo.
- Ehi… va un po’ meglio adesso? – chiese con voce calda e dolce Seokjin. Non appena Yoongi si accorse di chi lo stava abbracciando, cercò di ribellarsi, di liberarsi da ciò che in quel momento gli stava dando sicurezza, sì, ma poi? Lui aveva bisogno di costanti nella sua vita, e la felicità non era una costante. Il campo da basket era una costante. Jimin era una costante. Le sue sedute con Namjoon erano una costante. La felicità no, e l’aveva imparato a sue spese. L’uomo, però, lo strinse maggiormente a sé, costringendolo a stare fermo.
- Puoi piangere, se vuoi. Non so perché lo stai facendo, ma sono sicuro che dopo andrà meglio.
Yoongi sollevò lo sguardo, incredulo, mentre Namjoon rimaneva sullo sfondo, commosso spettatore di una scena triste e incredibilmente meravigliosa allo stesso tempo. Il ragazzo dai capelli rossi rimase immobile, fissando attonito l’espressione rassicurante di Seokjin: poteva piangere? Davvero?
- P-perché me lo stai dicendo? – La voce gli uscì tremula, gli occhi che non riuscivano a staccarsi dal viso del professore.
- Perché è quello che penso. Perché è quello che dovrebbero fare tutti. Ci sono momenti nella vita in cui le lacrime sono la cosa giusta. Piangere non è una vergogna.
Yoongi abbassò il capo, stringendo i pugni contro il petto di Seokjin senza volerlo davvero allontanare. – No… non dire così, non cercare di farmi stare meglio…
- Perché?
- Perché… perché tu sarai solo una persona in più da deludere. Come deludo sempre lui, - proseguì, indicando Namjoon con un cenno della testa – come ho deluso la mia famiglia, i miei amici, come deluderò sempre tutti…
- No.
Una voce ferma e roca interruppe la cascata di parole di Yoongi, che si voltò insieme a Seokjin verso la persona che aveva pronunciato quell’unica sillaba. Namjoon li stava guardando con un misto di dolcezza e fermezza, le gambe accavallate che reggevano il suo gomito.
- Abbiamo parlato diverse volte di questo. Tu non sei una delusione, devi toglierti dalla testa quest’idea, nonostante ciò che le persone possono averti detto in passato. Non hai colpe se sei diventato la persona che sei ora.
- Namjoon ha ragione – rincarò Seokjin, riprendendo a guardare Yoongi. – Io non ti conosco ancora, ma sono quasi del tutto certo che tu sia una persona fantastica e altruista. – A quelle parole Yoongi lo guardò interrogativo, senza capire come avesse tratto quelle conclusioni in quei pochi minuti. - Una persona egoista non piangerebbe mai perché ha paura di deludere chi gli sta intorno, e tu l’hai fatto. Se noi volessimo effettuare la dimostrazione del fatto che tu sia una persona fantastica e altruista applicando il ragionamento per assurdo, definirti una cattiva persona costituirebbe un paradosso, in quanto le persone davvero cattive non piangerebbero per i motivi elencati nell’ipotesi che compone il nostro punto di partenza. Segue che tu devi per forza essere una persona fantastica e altruista.
- Come volevasi dimostrare – concluse infine Namjoon.
Yoongi li guardò allibito per qualche istante, poco prima di scoppiare a ridere fragorosamente, le lacrime ancora incastrate tra le ciglia e in mezzo alle pieghe della pelle formatesi sul suo viso mentre continuava a ridere. – No, ti prego, dimmi che non mette sempre la matematica in mezzo a tutto – riuscì a dire tra una risata e l’altra.
Al che Namjoon si ritrovò a rispondere divertito: - Ebbene sì. Vivo con questo folle che sarebbe in grado di trovare la matematica anche nelle margheritine.
- Ehi, guardate che i petali delle margherite sono disposti secondo il principio della serie di Fibonacci! – gli rispose risentito il professore.
- Che ti avevo detto? – fece Namjoon, lanciando un’occhiata d’intesa a Yoongi, che riprese a ridere più forte di prima.
I due uomini guardarono quel ragazzo dai capelli fiammeggianti, pensando inconsapevolmente la stessa cosa: era così terribilmente simile a un bambino, un bambino felice, e si sentirono segretamente molto soddisfatti per essere stati la causa di quella sua reazione.
- Be’, qualche difetto dovrò pur averlo, no? – disse Seokjin, poco prima di seguire Yoongi nella sua risata incontrollata. Naturalmente, lo psicologo ci mise ben poco a essere trascinato da quella strana sensazione di allegria che aveva pervaso il suo studio.
Dopo un tempo che a tutti e tre sembrò infinito, Yoongi frenò il suo entusiasmo e recuperò un minimo di contegno. Poi, guardando con espressione complice i due uomini, fece loro segno di avvicinarsi con il viso a lui. Prima di iniziare a parlare, si schiarì brevemente la voce.
- Nam, professor Kim… aspetta, posso chiamarti Jin quando non siamo a lezione? È più corto.
- Sì, certo – rispose il professore, curioso di scoprire cosa avesse intenzione di dire loro il ragazzo.
- Ho bisogno del vostro aiuto per organizzare una cosa… mi serve uno spazio grande, abbastanza da ospitare una specie di… festa. Anzi, togliamo una specie, proprio una festa. Dovrà venire parecchia gente, di modo che noi possiamo mettere in atto il nostro piano senza farci notare da coloro che il nostro piano dovrà coinvolgere. Inizialmente pensavo di chiederlo solo a Nam, ma più si è, meglio è. Allora, siete con me?
Yoongi guardò speranzoso i due uomini dinanzi a lui, che – senza sapere perché, senza sapere dove li avrebbe portati quella decisione – annuirono, sentendosi più giovani di quanto non fossero, come se avessero ancora un mare di possibilità davanti a loro e un futuro pieno di follie che li attendeva dietro l’angolo.
Chiunque li avesse visti in quel momento, avrebbe detto che sembravano una famiglia.
 
***


Era ormai calata la sera sulla capitale sud-coreana, il cielo aveva preso un colore quasi tendente al nero, punteggiato qua e là dalle stelle che sbucavano dalle nuvole rade.
Hoseok si guardò intorno. Il giardinetto in cui si trovava non era cambiato granché in quei mesi – mesi, ripensò con amarezza – che erano passati dall’ultima volta che vi aveva messo piede. Lo scivolo d’acciaio era sempre lì, la scaletta pitturata di verde era sempre piena di crepe nella vernice, i cavalli a molla erano lievemente più scoloriti di come se li ricordava, l’altalena rossa aveva sempre le catene del sellino di destra lievemente più corte rispetto a quelle di sinistra. A pochi metri di distanza da quest’ultima c’era un salice piangente, con i rami quasi del tutto spogli che sfioravano l’erba forse un po’ troppo alta che ricopriva il parco giochi.
Hoseok si diresse verso quell’albero, scostando i rami pendenti e facendo cadere qualche foglia rossiccia mentre andava a sedersi contro il tronco.
Poi si mise ad aspettare.
Appoggiò pesantemente la testa all’indietro, per poi chiudere gli occhi. Oh, ora andava meglio. Poteva percepire meglio quel lieve venticello attutito dai rami spioventi del salice, il rumore rilassante e costante delle macchine che sfrecciavano lungo la strada che correva di fianco al giardinetto, il freddo dell’autunno inoltrato che gli arrossava le guance e il naso, il suono indistinto e al contempo nitido dei ricordi che aleggiavano in quel luogo.
Era quello ‘il posto’, quello di cui aveva parlato a Jungkook. Quello non era un semplice giardinetto, era il loro giardinetto, suo e di Taehyung.
Ricordò con un misto di tristezza e tenerezza che proprio sotto quel salice si erano dati il loro primo bacio, ripensando a quante cose erano cambiate da quel giorno. Una volta erano solo due ragazzi spensierati, con un pizzico di follia – la follia dei giovani che credono di essere padroni del mondo, che parlano con il cuore in mano anche se hanno paura delle conseguenze delle proprie azioni. Che strano periodo: insicurezze e presunzioni si mischiano in un’unica cosa.
Chi l’avrebbe mai detto che Hoseok, un giorno, si sarebbe ritrovato da solo sotto quel salice? Chi l’avrebbe mai detto che le cose sarebbe andate così?
Non aveva una risposta, quel ragazzo che continuava a tenere ostinatamente gli occhi chiusi, pur sapendo che rammentare ciò che quel luogo significava per lui voleva dire soffrire.
Ripensava ai suoi momenti felici con Taehyung. Sorrise ironicamente, sbuffando con il naso e producendo una nuvoletta di vapore davanti a sé: quel ragazzo strambo dai capelli lilla aveva una passione spropositata per la fotografia. Una volta era arrivato di filata, proprio in quel giardinetto, e gli aveva detto ancora con il fiatone: “E’ una giornata perfetta per scattare qualche foto!”
Pioveva.
Avevano passato delle ore fotografando ogni minimo particolare di quel giardinetto, e la pioggia faceva da poetica cornice a quello scenario conosciuto, Hoseok aveva dovuto concederlo al suo ragazzo. E mentre Taehyung era tutto preso da quel filo d’erba o da quell’altra giostra, il ragazzo più grande non faceva che guardarlo, con il suo entusiasmo, le facce buffissime che gli increspavano il viso quando si concentrava, i capelli che gli aderivano scomposti sulla fronte e sul collo, era semplicemente bellissimo.
Hoseok rabbrividì, stringendosi le gambe al petto circondandole con le braccia. Si soffiò sulle mani per riscaldarle, per poi farle scomparire nelle maniche della giacca e farle aderire nuovamente alle ginocchia. Cominciava a fare davvero freddo.
Guardò l’ora dallo schermo del telefono: erano le dieci. Era lì già da un’ora, ma di Taehyung non si vedeva neanche l’ombra. Rimise il telefono in tasca. Forse avrà avuto un contrattempo.
Improvvisamente una voce acuta – probabilmente di una bambina – lo fece sussultare. Stava parlando con una donna, la madre forse, ma Hoseok non riusciva a capire cosa stesse dicendo. Si stavano avvicinando, e mano a mano il ragazzo sentiva sempre meglio ciò che le due stavano dicendo.
- Dai, mamma, voglio andare un po’ sull’altalena!
- No, Jae, dobbiamo tornare a casa, tuo padre ci sta aspettando…
- Ma io voglio andarci lo stesso! Per favore, solo cinque minuti, per favore!
- No, ora dobbiamo andare.
- Lo dici solo perché non mi vuoi più vedere. – Il tono della bambina era cambiato, Hoseok poteva percepirlo.
- Ma cosa dici, piccola? Come puoi anche solo lontanamente pensarlo? – ribadì la donna. Hoseok aggrottò le sopracciglia: quella scena, non sapeva perché, gli stava dando i brividi. Si spostò un po’ dalla sua posizione per osservare meglio le azioni delle due, inspiegabilmente incuriosito.
- Altrimenti mi faresti andare sull’altalena… - la bambina incrociò le braccia e abbassò il capo, poi disse qualcosa a voce talmente bassa che Hoseok non riuscì a sentire. La donna, però, che probabilmente aveva capito le parole della figlia, sospirò e si abbassò alla sua altezza, sussurrandole a sua volta qualcosa. La bambina, a quel punto, urlò un entusiastico – Sì! – di approvazione, per poi dirigersi correndo verso l’altalena.
Hoseok sorrise scuotendo la testa: cosa non si farebbe per i bambini. A loro bastava mettere un po’ il broncio, versare qualche lacrimuccia, fare gli offesi, e tutto era loro concesso. Il ragazzo trovò buffo – ma neanche troppo assurdo – il fatto che quella bambina gli avesse ricordato un po’ V.
E mentre guardava quella madre che spingeva con un mezzo sorriso sulla faccia la sua bambina, Hoseok ricordava, ricordava, ricordava ancora.
Ricordava quando era lui a spingere Tae su quella stessa altalena, la voce bassa e profonda che creava un bizzarro contrasto con il viso da eterno bambino di quel ragazzo, la sua risata quando arrivava talmente in alto che rischiava di fare il giro. O quando passavano il loro tempo a parlare di cose prive di importanza, dondolandosi appena con noncuranza, più attenti alle parole dell’altro che al movimento ondulatorio dell’altalena.
I minuti trascorsero lenti e inesorabili allo stesso tempo. La bambina e la madre se n’erano andate, rendendo nuovamente Hoseok l’unico abitante di quel giardinetto, ma il ragazzo non se ne rese neanche conto. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, le palpebre diventavano mano a mano più pesanti mentre quei maledetti ricordi sfumavano nel torpore che lo stava cogliendo, e cadde preda di un sonno buio, nero, senza sogni – per una volta Morfeo era stato clemente con lui, e aveva preferito lasciarlo stare, pensando che forse per una sera avesse sopportato abbastanza.
Si risvegliò solo un paio d’ore più tardi. Era ancora solo.
 
***

- Adesso hai capito? – domandò paziente Jungkook.
- Mh… sì, credo di sì. – Taehyung regalò un ultimo sguardo semi-disgustato al libro di Fisica che giaceva sulla sua scrivania, prima di rispondere definitivamente al suo interlocutore: - Okay. Ho capito.
Jungkook lo guardò divertito sollevando un sopracciglio. Le braccia erano appoggiate sul quaderno degli appunti, che era stato riempito, in quelle ore di studio, di schemi su schemi per semplificare gli argomenti di quella materia che tante vittime aveva mietuto tra gli studenti della Korea University.
Taehyung sbuffò, spingendosi indietro facendo forza sulla scrivania e guardando scocciato il ragazzo di fronte a lui. – Quanta fiducia, eh? Se ti dico che ho capito, vuol dire che ho capito!
- Sì, sì, va bene, stai tranquillo! – rispose l’altro ridacchiando. – Sono felice di annunciarti che, per nostra, ma soprattutto mia, immensa fortuna, per oggi abbiamo finito.
A quelle parole, il ragazzo lanciò un urlo di giubilo sollevando le braccia al cielo e rovesciando la testa all’indietro, scatenando la risata di Jungkook. Gli sembrava impossibile che qualcuno potesse essere così felice per aver finito di studiare: a lui piaceva davvero Fisica. A volte faceva storie, diceva di non avere voglia o di esserne mortalmente annoiato, ma in realtà quella materia lo aveva sempre interessato, tanto che alle scuole superiori, con grande stupore e invidia dei suoi compagni di classe, otteneva sempre il massimo dei voti. Tuttavia a Jungkook non piaceva vantarsi dei suoi risultati, anzi: tendeva sempre a sminuire il proprio lavoro o l’impegno che impiegava per andare bene a scuola, e ogni volta che poteva aiutava i propri amici con piacere. Era tremendamente soddisfacente, per lui, vedere che grazie alle sue spiegazioni gli altri riuscivano dove, altrimenti, avrebbero avuto molte più difficoltà. Era per questo che, quando Tae gli aveva chiesto di aiutarlo, aveva accettato.
Be’, forse non solo per questo. Quel ragazzo che in quel momento stava gioendo per la fine del pomeriggio di studio era bello. Molto bello. Alto più o meno quanto lui, aveva una muscolatura appena accennata e dei profondi occhi color pece, che sembravano voler divorare con lo sguardo tutto ciò su cui si soffermavano. I capelli lilla chiaro gli donavano un’aria dolce e infantile, nettamente in contrasto con la voce bassa e profonda.
Si dice sexy, Jungkook, sexy. Il ragazzo dai capelli corvini scosse la testa con decisione, poco prima di schiarirsi la voce per riportare all’ordine Taehyung.
- Dato che per oggi abbiamo terminato… io torno a casa.
La felicità del ragazzo si smorzò improvvisamente, ma Jungkook fece finta di non accorgersene. Per il bene della propria sanità mentale, doveva assolutamente tornare a casa. Magari avrebbe potuto parlare un po’ con Jimin di quella situazione, gli avrebbe sicuramente dato i giusti consigli. Con Jimin aveva sempre parlato di tutto... non sapeva per quale motivo non gli avesse ancora menzionato Taehyung. Scacciò in fretta il pensiero del proprio coinquilino.
Si alzò dalla sedia che aveva occupato appena era arrivato a casa di Tae, e si avviò verso l’attaccapanni in corridoio, dove aveva lasciato la giacca. L’altro lo seguì con passo felpato, trascinando le ciabatte per casa guardandolo fisso, facendo attenzione a ogni suo più piccolo movimento. Lo sguardo di Taehyung pesava come una cappa su Jungkook, che sentiva il proprio battito cardiaco accelerare sempre di più. Ora che si stava rimettendo la giaccia, il ragazzo dai capelli lilla si era appoggiato con un fianco al muro, una gamba davanti all’altra, i piedi incrociati in una posa che voleva apparire disinteressata e tranquilla. Se però si faceva più attenzione, si poteva notare che il suo respiro era lievemente alterato, e che il suo pomo d’Adamo faceva su e giù più rapidamente del solito. I suoi occhi guizzavano da una parte all’altra del corpo di Jungkook, divorando quanti più dettagli poteva, e Jungkook lo sapeva.
Sapeva che lo sguardo scuro e avvolgente di Taehyung era su di lui e non si sarebbe staccato tanto facilmente.
Sapeva che doveva andare via il prima possibile, prima che per lui fosse troppo tardi per tornare a casa – e no, non si stava riferendo all’orario.
Senza pensare troppo a quello che stava facendo, il ragazzo raccolse frettolosamente da terra la borsa con i libri e si diresse verso l’uscita, ma prima che potesse raggiungerla la voce dell’altro ragazzo lo fermò.
- Jungkook, stai dimenticando qualcosa…
Quello, dubbioso, spaventato più che dal ragazzo dietro di sé da se stesso, si voltò, e vide Taehyung raggiungerlo con in mando la sua sciarpa. Jungkook si diede mentalmente dello stupido per non averci pensato subito: quello di aver dimenticato quel piccolo particolare poteva essere un errore fatale, e lui lo sapeva.
Tae gli si avvicinò fino a essere a pochi centimetri da lui, poi gli avvolse la sciarpa intorno al collo, sfiorandogli appena la pelle mentre compiva quei gesti che stavano dando i brividi a Jungkook. Il respiro gli si fermò in gola, e le mani gli si andarono a posare istintivamente su quelle di Tae, ancora posate sugli estremi della sciarpa.
- Tae…
- Stai zitto.
E, per la seconda volta in quel giorno, il ragazzo lo zittì con un bacio esigente, attirandolo a sé. Bacio che divenne fin da subito una lotta che non prevedeva vincitori né vinti tra le loro lingue, uno scambio di morsi e di carezze decise. Jungkook non sapeva cosa fare, si sentiva come in trappola, schiavo di sensazioni che percepiva come sbagliate ma alle quali non sapeva – e non voleva – opporsi. Preso da un impulso scaturito dai recessi più profondi della propria mente, afferrò Tae per il colletto della maglia e lo sbatté contro il muro, mettendo le proprie mani ai lati della sua testa. Percepì un mugolio lamentoso provenire da lui, ma lo soffocò in un altro bacio, premendolo sempre di più contro la parete, come se dall’esito di quell’azione dipendesse la sua stessa vita.
Tae, intanto, avvolse le proprie braccia attorno alla vita stretta di Jungkook, facendo poi vagare con decisione sempre crescente la sua schiena inarcata. La giacca che il ragazzo portava ancora indosso, però, cominciava a diventare un ostacolo decisamente troppo scomodo. I due si staccarono qualche secondo, i respiri pesanti e affannati, le labbra già gonfie per la foga con cui si erano baciati, per permettere alle mani lievemente tremanti di Tae di abbassare la zip e sfilare frettolosamente la giacca a Jungkook.
I due tornarono subito all’attacco, riprendendo a toccarsi senza alcun freno. La bocca rossa del ragazzo dai capelli corvini scese a baciare con trasporto il collo niveo dell’altro, che posò una mano sul suo capo.
- Resta con me stasera… - disse con voce tremolante, rotta dai gemiti che cominciavano a salirgli su per la gola, - …e stanotte.
Jungkook si fermò, abbandonando quel lembo di pelle che stava baciando, come impietrito. Riportò lo sguardo, reso liquido dal piacere ma allo stesso tempo incerto sul da farsi, sugli occhi scuri di Tae, la mano di quest’ultimo ancora tra i capelli restia a lasciare quel comodo rifugio.
- Io… - il ragazzo deglutì pesantemente, consapevole più che mai del proprio corpo sempre più vicino a quello di Tae, del proprio respiro ancora flebile e alterato – io devo tornare a casa… da Jimin-hyung…
L’altro lo guardò fisso, non una nota di indecisione. – Non mi interessa di Jimin, mi interessa solo di te. – Se lo avvicinò nuovamente, le loro labbra si sfioravano appena senza toccarsi davvero. – Resta con me – ripeté infine, facendo incontrare le loro bocche in un nuovo bacio, questa volta più lento, passionale, privo della fretta smaniosa di prima.
E in quel momento, Jungkook non pensò all’effetto che ciò che stava per fare avrebbe avuto, non pensò alle cause, ai motivi che l’avevano condotto a quella decisione. Semplicemente, quando Taehyung si scostò nuovamente dal suo viso, si riavvicinò a lui e catturò le sue labbra per l’ennesima volta, in un ennesimo bacio, seguito da ennesime carezze.
Eppure... eppure sentiva che c’era qualcosa di strano, qualcosa che non tornava nelle sue azioni. C’era qualcosa di sbagliato in quello che stava facendo, qualcosa che urlava dentro di lui per fermarlo, per fargli capire che no, quella non era la cosa giusta da fare. Jungkook, però, era troppo sordo per sentire.
 
***
 
Era ormai notte fonda, ma Seokjin non riusciva a prendere sonno. Continuava a ripensare a ciò che era successo quel pomeriggio, a ciò che aveva fatto.
Era sempre stato così, fin da quando era bambino: non riusciva a sopportare di vedere le persone piangere, anche se non le conosceva. Ogni volta che un suo amico piangeva, Seokjin correva ad aiutarlo, ad abbracciarlo, anche, se poteva servire a qualcosa.
Con la maturità dovuta agli anni – quasi trentuno ormai, rifletté, solo due in più rispetto a Namjoon – poi, questo suo bisogno quasi spasmodico di impedire agli altri di stare male si era acuito, soprattutto nei confronti di chi aveva meno anni di lui. A volte gli succedeva di ritrovarsi a consolare i suoi alunni, magari troppo stressati per il carico di studio, per problemi familiari o di cuore: insomma, per i motivi più disparati, accadeva che si ritrovasse a fare le veci – un po’ maldestre, lo ammetteva – del suo compagno.
Più che altro sembri un prete, a volte, si corresse mentalmente.
Non appena aveva visto le lacrime rigare il volto rotondo di Yoongi, non era stato capace di trattenersi, e si era affrettato ad andare a consolarlo, a fare tutto ciò che era in suo potere perché stesse meglio. Namjoon sapeva che cosa lo aveva spinto a fare ciò che aveva fatto: per questo non aveva detto nulla e aveva lasciato che se la cavasse da solo.
Si voltò destra, dove lo psicologo dormiva placidamente ormai da diverse ore. Si soffermò sul suo viso rilassato, sulle ciglia che gettavano una lievissima ombra proiettata dalla luce fioca della luna proveniente dalla finestra, su quel sorriso onnipresente sulla sua bocca.
Forse avrebbe fatto meglio a seguire l’uomo di fianco a sé tra le braccia del sonno.
Si sistemò meglio sul materasso: prima però si sarebbe goduto ancora un po’ la vista.









Angolo autrice (parte 2):
Allora, che ne dite? Spero che vi sia piaciuta la scena dei Namjin con il nostro caro piccolo Yoongi. Cosa starà mai architettando? Be', gran parte della risposta ve l'ho già data in questo capitolo, per il resto... dovrete aspettare ancora un po'. Come al solito vi invito a lasciarmi la vostra opinione in una recensione, perché per me è molto importante sapere se la storia vi piace. Ci si vede al prossimo capitolo!
Ireth
  
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