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Autore: blu panda    30/06/2016    5 recensioni
L.A., prospettiva di nuove speranze o gabbia opprimente.
Due donne diverse, agli antipodi nella loro vita precedente, si incontrano nelle sue strade che di angelico hanno ben poco. Due angeli scagliati giù dal paradiso, caduti tra la polvere e i detriti di un'esistenza che rasenta il criminale, ma che forse, insieme, riusciranno a rialzarsi.
E poi... poi Eliza brucia sotto lo sguardo della sua Dama di Ghiaccio.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DAME DE GLACE


Arrivare in orario è un talento, arrivare in ritardo è una dote.
Lo diceva spesso mia nonna che cantava in miseri bar ma che di apparizioni spettacolari doveva saperne ben più di me. Crescendo, avevo fatto mio quel consiglio nonostante lavorassi anni luce lontano dallo showbiz. Mi si era sempre rivelato utile.
Aspettare che tutti si chiedessero di chi fosse quella motocicletta abbandonata in mezzo a tutte le altre, quasi con distrazione; osservare tutti gli altri concorrenti in disparte, memorizzando dove i loro meccanici infilassero le mani per gli ultimi ritocchi. Ritocchi ai loro punti deboli.
Poi comparire poco prima dello scadere del tempo, tuta indosso e casco in testa. Era divertente osservare le reazioni degli altri concorrenti: c'erano gli infastiditi, i confusi, gli arrabbiati...
Arrivare in ritardo era una dote, si. Spezzare la concentrazione, rimescolare le carte, introdurre una variabile che non avevano potuto analizzare.
Diedi un discreto cinque al mio capo meccanico -nonché unico elemento della squadra-, nascondendo le mani con i nostri corpi, facendolo passare per un gesto casuale. Non amavo che quella gente sapesse a chi mi rivolgessi per le riparazioni: Lindsay era la migliore sulla piazza ed era mia esclusiva. Volevo che rimanesse tale.
Mi feci largo tra la piccola folla che si era accalcata ai bordi del canalone senza dover nemmeno spintonare e poi affrontai la pendenza che mi divideva dalla pista.
La mia creatura mi aspettava lì come una fedele compagna, chiavi nel quadro e un motore pronto a ruggire. Non era la due ruote più performante per una gara ma era ciò che potevo permettermi al momento. E poi, mi faceva vincere: squadra che vince non si cambia.
Montai in sella.
La pista non era altro che il canalone prosciugato che passava sotto il 6
th Street Bridge. La partenza era in sua prossimità, così che gli spettatori potessero guardare anche dal ponte dismesso. L’arrivo era fissato sotto al viadotto di Main Street. Pochi minuti di corsa, abbastanza per attirare persone, e abbastanza pochi per non attirare la polizia.
Una ragazza in abiti succinti e stivaloni da cowboy si diresse con molta calma verso il centro della pista improvvisata.
<< Oggi abbiamo un nuovo concorrente! >>, gridò perché tutti potessero sentirla. << Facciamogli un piccolo applauso di incoraggiamento >>. Ci fu un leggero accenno di battiti di mani, ma niente di così convinto.
Pubblico difficile... La ragazza mi guardò serrando gli occhi, come se valutasse qualcosa. Sembrò essere soddisfatta.

<< Concerrenti! >>, esclamò, alzando le mani verso il cielo, << Che la gara abbia inizio! >>. Le abbassò e tutti partirono in un nugolo di polvere, passandole tanto vicino da sfiorarla.

Ben pochi, in quella gara, erano avversari temibili. La maggior parte del gruppo semplicemente sparì nelle tenebre della notte. Nemmeno a metà della pista improvvisata rimanemmo in cinque. Cinque capre arroganti che non mi ritenevano un avversario abbastanza pericoloso, tanto da lasciare abbastanza buchi per far passare un camion. Ero ultima di quegli ultimi sopravvissuti, era vero. Ma mancava un’infinità di tempo al traguardo. La luce dei lampioni della strada vicina erano ben visibili da li, e scorrevano così veloci da diventare quasi un'illusione.
Era ora di smettere di giocare. Con una forte sgasata passai nel collo di bottiglia formato da “arancio” e “blu”. “Giallo” venne sorpassato poco dopo, sulla destra. Era un guidatore disattento.
Il più difficile si riverlò l'uomo in verde, in testa alla gara fino a quel momento. Era bravo, sapeva destreggiarsi bene sul bolide che portava, dovetti ammettere. Appena riuscivo ad avvicinarmi quel tanto da minacciarlo, lui accelerava, distanziandomi. Sorrisi leggermente. Almeno aveva capito che non ero un novellino da sottovalutare.
In lontananza individuai una curva. Era l'unica occasione per passare in testa. Sfruttando la scia del mio avversario gli tenni dietro. Preciso come un orologio, in prossimità della curva sentii, più che vedere, la moto davanti a me decelerare. Con una mossa azzardata perfino per me diedi gas. La moto rischiò di slittare via sull'asfalto liscio, ma alla fine la creatura resse, confermando di essere la moto affidabile di cui avevo bisogno.
Ero in testa! Pensavo sarebbe stato più facile, e avevo addirittura dubitato di non farcela, cosa non da me.
Potevo solo immaginare le loro espressioni sbigottite. Sorpassati da quella nuova!
Il traguardo si avvicinava sempre di più. Vedevo le mille luci delle auto puntate nel canalone. L'aria vibrava di aspettativa.
La moto ebbe un calo improvviso di potenza. “Ma che diavolo...?”.
 Una vampata di gelo mi investì. Mi guardai frettolosamente indietro, cercando di capire dove fossero tutti gli altri: si avvicinavano. Sperai di non aver parlato troppo presto. Mancava così poco...
Il motore d'un tratto riprese grinta, sobbalzando in avanti di colpo. Non mi accorsi quasi di aver superato il traguardo. Soprattutto per prima.
Avevo vinto... ero quasi incredula della fortuna che avevo avuto.
Se la libertà avesse un odore, sarebbe stato quello che avvertivo nelle narici in quel momento: polvere, benzina e notte.
Gridai, alzando un pugno in segno di vittoria alla folla. Non potevano vedere la mia espressione scomposta in quel momento. Per il mondo io non avevo mai avuto dubbi sulla mia vittoria.
In quel momento così concitato una figura attirò il mio sguardo: era una donna, che spiccava tra la folla. Sembrava un'elegante signora capitata lì per sbaglio. Vestiva con una gonna di un pallido rosa e una camicetta bianca, tutto il contrario dei colori scuri che portava il resto del pubblico. non pareva importargliene nulla della corsa che si era appena conclusa. Guardava tutti e nessuno dall’alto, l’unica figura immobile tra mille in festa
E poi il suo sguardo... freddo e verde come le foglie coperte di brina. Erano occhi indagatori: ci stava giudicando. D’improvviso mi sentii bruciare dentro, uno scoppio devastante nel petto che era tutt’altra cosa rispetto a ciò che provavo in sella.
Quella era fame, fame autentica, quella che ti mangia dal di dentro e ti fa sentire lo stomaco in fiamme.
I suoi occhi incontrarono i miei per una frazione di secondo e non ci furono fulmini e saette di sorta: passò su di me e oltre a me, riservandomi null’altro che quello che aveva mostrato agli altri.
La ragazza che aveva dato il via alla corsa si avvicinò a me, incitando la folla. Il copione doveva essere stato messo in scena molte volte, perché tutti parevano seguire un tacito schema ben preciso.
Mi trascinò fin sotto quelle tribune improvvisate, cercando di mettermi in mostra il meglio possibile: cercava di esibirmi. Gli organizzatori avrebbero fatto una fortuna se avessi vinto ancora e la gente avesse scommesso su di me.
Mi tolsi il casco, liberando finalmente in riccioli biondi compressi nel casco. Ed eccola la sorpresa.
Potevo quasi udire i loro pensieri: “una donna?!”. L'unica a non scomporsi fu Madame de Glace, ma potevo intuire una vaga sorpresa anche nei suoi occhi.
Lo dedicai a lei quell'inchino beffardo da ballerina, con un piede avanti all'altro e un plié accennato.
Fissai la ragazza di sottecchi mentre ancora stavo piegata in quel modo a prendere applausi, ma notai che non mi stava più guardando. Stava invece quasi ruzzolando giù dai fianchi scoscesi del canale.
Veniva da me? Non la facevo così intraprendente... Beh, un bel bacio non si rifiuta a nessuno dopotutto.
E invece mi sorpassò, talmente vicina da poter sentire il profumo di fiori che la circondava. Si dirigeva verso l'uomo in verde, che nel frattempo aveva scagliato il casco lontano e digrignava i denti. Gli si avvicinò, circondandogli le spalle con il braccio esile e gli sussurrò qualcosa all'orecchio.
Parve calmarsi. Improvvisamente bruciai dalla voglia di sapere cosa si erano detti in maniera così intima.
L'uomo in verde, infine, la seguì lontano. Nel caos generale la accompagnai con lo sguardo, osservando come la gonna le danzasse mossa al vento che spirava quel giorno. Forse la fissai con troppa insistenza perché ad un tratto, in lontananza, mi parve vederla voltarsi verso di me. Questa volta sentii io quegli occhi bucarmi la nuca.
<< Eliza? Eliza, prenditi questi applausi, non essere scortese >>, ringhiò tra i denti la ragazza vestita succinta tirandomi per un braccio.
Tornai alla realtà di colpo: era meglio seguire quel consiglio dato a denti stretti e forse avrei tirato su più soldi la prossima volta. A malincuore distolsi lo sguardo, ritrovandomi al centro di una fiumana umana che si congratulava con me con sonore pacche sulle spalle o circondava i suoi idoli decaduti.
Quella donna... dovevo assolutamente trovarla.
 
Lindsay lavorava come meccanico un'officina sperduta tra le stradine malfamate di L.A.
Portare li la moto era sempre un'impresa perché andava tenuta ben nascosta da occhi indiscreti: volevo che la mia arma segreta, il mio meccanico di fiducia, non potesse essere in alcun modo collegabile a me. Non volevo che provassero a soffiarmela da sotto il naso.
Il giorno dopo la gara mi presentai puntuale da lei. Mi aspettava al di là della serranda mezza abbassata, lavorando sotto al cofano di una vecchia Mercedes. Era così concentrata che quando bussai alla serranda sobbalzò tanto da rischiare di battere la testa. Nello stesso istante però afferrò una chiave inglese abbandonata li vicino.
<< Calmati tigre! >>, la sbeffeggiai. << Sono solo io. Fammi entrare, dai >>.
La mia presa in giro non dovette farle così piacere, ma alla fine mollò la presa sull'arnese e si alzò, permettendomi di entrare nell'officina.
Sistemai la moto in angolo e poi le lanciai al volo delle banconote arrotolate. Lindsay le afferrò senza nemmeno guardarmi in faccia, mettendosi a contare.
<< Non è il compenso previsto >>, mi informò, guardandomi con aria di sfida.
Le accennai un sorriso beffardo: << Lo so. Ma il motore si è surriscaldato >>.
<< Già, ho notato >>, si limitò ad ammettere. Lasciò perdere all'istante la Mercedes, spostando tutti gli attrezzi più vicini alla moto.
<< Questa riparazione non è gratis, sappilo >>.
<< Si, lo so che sei uno squalo quando si parla d'affari. Ma se la sistemerai, forse potrei restituirti tutto il pattuito... >>.
Lindsay si mise a testa bassa a lavorare sul motore. Ogni tanto borbottava, grugniva o annuiva. Era inutile parlarle in quel momento. Era totalmente assorbita dal lavoro. La osservai per un tempo che mi parve infinito. Avrei voluto essere da tutt'altra parte, a mangiare un gelato magari, ma quello tra le sue mani era il mio unico mezzo di locomozione. Quindi dovetti starmene buona buona, appollaiata su un bancone a giocare con viti e bulloni.
Quando esclamò un << Ho finito >> soddisfatto io avevo già costruito una famigliola di uomini-vite, tutti schierati al mio fianco.
<< Le fasce elastiche erano troppo usurate. Sei fortunata che le avessi in casa >>. Tutto l'entusiasmo della precedente esclamazione si era smorzato. Avevo come l'impressione di non piacerle. Le sorrisi, porgendole le banconote che rimanevano di ciò che le dovevo. Lindsay cercò di afferrarle con le mani sporche ma io le feci sparire velocemente.
<< Sgancia i soldi Eliza. Non fare scherzi >>.
<< Rispondi alla mia domanda prima: chi era la donna alla corsa? >>
<< A chi ti riferisci? >>, mi chiese, ma sapevo che aveva capito. << Gonna rosa? È la donna di Marcus. Di solito non si fa vedere alle gare >>.
<< Sai dove posso trovarla? >>, chiesti sperando che nella mia voce non ci fosse troppa aspettativa.
<< Non frequento quei posti >>
<< Fallo per me... >>, implorai mettendo su la mia migliore espressione da cane bastonato. Lindsay pareva inamovibile, così tentai la mia ultima carta: << Quindici percento in più sulla prossima vincita >>.
<< Vedrò che posso fare >>, rispose a tempo record Lindsay, afferrando i soldi che le dovevo e infilandoseli in tasca. << Ora fuori di qui Eliza. Ho da lavorare >>.
Sorrisi, più a me stessa che a lei.
<< Lin! Lin! Va che ci conto! >> le urlai una volta, assecondando il movimento della serranda che Lindsay stava lentamente abbassando.
Ero del tutto certa che l'avrebbe trovata. Il mio meccanico era intelligente. Non mi amava particolarmente, ma amava i soldi che le avrei potuto fornire. Sperai solo di aver preso la decisione giusta.
 
Passarono i giorni e persi quasi del tutto la speranza. Forse Lindsay mi odiava davvero così tanto da rinunciare ad un compenso per farmi un dispetto? Cominciavo a pensare di sì. E cominciavo anche a chiedermi perché mi fossi fissata in quel modo con quell'idea di ritrovare la ragazza. Era assurdo. L'avevo vista una sola volta, non ci avevo mai parlato. Ma appena chiudevo gli occhi mi tornavano alla mente quegli occhi ghiacciati e la curiosità mi accendeva un fuoco nello stomaco. Chissà come si chiamava? Chissà dove viveva... chissà se preferiva il giallo al verde, chissà se le piaceva il gelato alla fragola.
Erano pensieri da folle.
Alla fine dopo giorni di attesa, mi sorprese uno squillo di telefono.
<< Lavora al Joe's, nei pressi dell'Echo Park. Se ti sbrighi la trovi ancora la >>. Non un saluto né qualche parola gentile: era Lindsay.
<< Grazie del favore. Sei il mio meccanico preferito! >>, esclamai afferrando al volo il mio giubbotto marrone.
<< Non è un favore. È lavoro. C'è l'accordo >>, ci tenne a precisare lei.
<< Si Doc, ricordo il patto >>. Le attaccai il telefono in faccia, troppo impaziente di poter correre via, verso questo fantomatico Joe's.
 
E Joe's si rivelò un'autentica delusione. Uno squallido bar-tavola calda dipinto di un giallino spento. Gli arredi all'interno erano fermi agli anni '60, con tavolini di formica variopinta e gli sgabelli di finta pelle davanti al bancone. Era nello stile che molti bar moderni cercavano di ricreare: peccato che li fosse tutto vero. Un fottuto vero incubo.
Parcheggiai la moto addossata al muro, sperando che nessun automobilista pazzo la centrasse con dei parcheggi azzardati.
Entrai, cercandola con gli occhi. Dovetti rimanere sulla porta per troppo, perché ad un tratto qualcuno mi richiamò: << Hai intenzione di ordinare o rimarrai impalata li tutta la sera? >>.
Era lei. Mi scrutava con la caffettiera in mano, non lontana dalla porta dalla quale era appena riemersa.
<< Nono... mi siedo >>, mormorai con un filo di voce. Presi posto su uno sgabello dalla copertura sventrata. Mostrava con sfacciataggine tutti i segni degli anni e insieme agli anni anche tutta l'imbottitura.
<< Cosa ti porto? >>.
<< Un caffè, per favore >>.
Mi mise sotto al naso un tazzone blu, di quelli con il naso in rilievo, gli occhi e la bocca disegnata. Mi versò del caffè e io ci immersi subito le labbra. La sentivo scrutarmi e sorrisi sotto i baffi.
<< Ma tu... >>, iniziò. La guardai mentre sgranava gli occhi. << Sei la ragazza della corsa >>.
Le sorrisi.
<< Che ci fai qui? >>. Sembrava infastidita. Possibile che nella città degli angeli fossero sempre tutti così imbronciati?
<< Beh... Hai perso una cosa l'altro giorno >>, le dissi, appoggiando sul bancone quell'arnese che mi ero portata dietro.
La Dame de Glace lo scrutò, ma poi me lo rimise tra le mani. << Non è mio >>.
Le strizzai l'occhio: << Ma ora si >>.
<< Non credo tu sia venuta per riportarmi qualcosa che non è mio. Ne vedo tanti di corridori che vengono qui per sapere segreti di Marcus. Ho sempre tenuto la bocca chiusa e tu non sarai l'eccezione >>.
<< E se invece non fossi venuta per il tuo ragazzo? Se fossi qui per te? >>.
Spalancò gli occhi: un'espressione durata un attimo ma che mi fece capire d'avere davvero tutta la sua attenzione.
<< ALYCIA! Muoviti! Ci sono clienti che aspettano! >>.
Colsi al volo l’occasione. Afferrai una penna lasciata li per caso e un tovagliolo, vi tracciai su qualche parola, e poi lasciai il locale.
Fuori, infilandomi il casco, osservai la ragazza -Alycia- tornare al bancone. Sembrò sorpresa di non trovarmi. Poi vide il biglietto, con l’omino di ferro appoggiato li accanto. Li prese entrambi tra le mani.
“Se davvero non è tuo, trovami e restituiscimelo”.
E sulla musica del suo sorriso appena accennato, avviai il motore e me ne andai.

 

Nella foresta del Panda

Alla fine, dopo non so quanti anni e quanti account cambiati dopo, mi sono decisa a buttare giù ancora qualcosina. 
Forse anche io, anche grazie a questo "universo alternativo" che ho creato, sto cominciando a superare il trauma della 3x07.... chissà!
Un ringraziamento doveroso va alla persona che mi ha mostrato la fanart che ha ispirato la storia e ovviamente alla mia beta, che con le sue chiacchiere mi ha convinto che forse (forse!) questo è un esperimento che vale la pena continuare. Vedremo cosa ne uscirà!
E ovviamente grazie ad ogni lettore giunto fin qui! :)

Blu Panda
 
 
  
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