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Autore: wannabesodumb    03/07/2016    0 recensioni
Conoscevo il suo profumo, ma non quello che si spruzza prima di uscire la sera, bensì il profumo della pelle, quello che "ognuno ne ha uno, ma nessuno sente il proprio". Io il suo lo avrei riconosciuto da un miglio.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Grace ha preso le sue cose dalla mia stanza e sta andando verso la veranda, dove dormirà.
Le prendo la mano, si gira verso di me.
Le luci della città filtrano dalla finestra e aprono uno spacco giallognolo sul suo viso.
I suoi occhi sono stanchi, gli occhi di chi ne ha viste di tutti i colori. Ha le mani fredde. Mi avvicino al suo collo.
"Grazie."
non sono sicura di avere il controllo di quello che sto dicendo, ho paura di sbagliare.
Increspa le labbra e si limita a un sorrisetto finto, abbassa lo sguardo e mi lascia la mano.
 
Sono le 6 del mattino e non riesco ad addormentami più; un camion mi ha svegliata e ora sono fin troppo arzilla.
Sento che non circola più alcool nelle mie vene e ne sono felice in parte.
Non posso fare a meno di ricordarmi che nella stanza accanto si trova la persona che amo.
Mi alzo dal letto senza fare troppo rumore e mi dirigo nella veranda.
Grace dorme: ha le braccia sotto al cuscino che le ho dato quando abbiamo sistemato i divani, una gamba sul bracciolo e una fuori dalle lenzuola.
Sembra così leggera la sua anima. La potei portare in capo al mondo se solo me lo chiedesse, lei e i suoi sorrisi.
Maledetto il giorno di cui me ne sono innamorata.
Ricordo quando l'ho baciata per la prima volta..
 
Era il 26 Gennaio, il giorno del suo compleanno. C'erano forse 10°C ed eravamo in una pizzeria vicino al centro della città per festeggiare.
La serata stava per concludersi così decisi che era arrivato il momento di mostrarle il mio regalo.
Le presi la mano e la portai in un corridoio che conduceva all'uscita d'emergenza.
Ricordo che vi era una  piccola luce soffusa che illuminava il suo pallido viso.
"Perché mi hai portata qui?". Rideva mentre parlava: probabilmente le sembrava una situazione strana o forse era solo felice. Si leggeva la gioia nei suoi occhi.
Io invece tremavo come una foglia: l'ansia mi stava mangiando da dentro.
Presi in fretta il telefono dalla tasca e aprii il video. Le porsi il cellulare e mi sedetti a terra.
Grace era concentrata su quello schermo: le stavano passando davanti agli occhi tutti i momenti della nostra amicizia, se così si può definire. Dalle prime partite giocate insieme, alle cene di squadra, agli abbracci dopo una vittoria e alle serate passate tra amici.
Vidi una lacrima scendere sul suo volto, poi un'altra, poi un'altra.
Dopo un quarto d'ora circa il video era finito, ma le sue lacrime no.
Mi affrettai ad alzarmi. Lei mi guardava con gli occhi rossi e le mani che stringevano il cellulare.
Si avvicinò lentamente e mi abbracciò senza dire niente.
Non ricordo cosa dissi, ma lei rise e mi sentii come quando lanci una pallina e fai centro nel bicchiere.
Non riuscivo a staccarmi da lei. Avevo le braccia intorno ai suoi fianchi e il suo corpo a contatto con il mio.
Dopo qualche minuto tornammo al nostro tavolo e la serata continuò come prima.
 
Una volta arrivata la torta e spente le candeline, iniziai a sentirmi schiacciata da quel contesto, così tante persone che mi volevano bene e che mi parlavano e io che pensavo solo ad una.
Avevo bisogno di staccare per un attimo.
"Cass, sto uscendo a fumare, vieni con me?"
"Sto mangiando, magari ti raggiungo tra un po'".
Sapevo che quello era un no definitivo, ma avevo bisogno di qualcosa che mi facesse tornare sulle righe.
Uscii fuori dalla pizzeria e mi accesi una sigaretta.
Il fumo mi entrava nei polmoni e pian piano riuscivo a riacquisire il controllo di me stessa.
La città era deserta e, se non fosse stato per le risa e gli schiamazzi provenienti dal locale, non si sarebbe sentito niente.
Sentii la porta aprirsi e chiudersi in un attimo: era Grace.
Indossava un paio di pantaloni strappati a vita alta color cenere, un top bianco e una giacca di pelle aderente.
"Ti va se andiamo a fare un giro?". Mi prese la mano e ci incamminammo verso il parcheggio.
Ricordo che iniziammo a parlare del gusto della torta: io la ritenevo troppo dolce e lei troppo rosa. Aveva detto a sua madre che l'avrebbe voluta poco sofisticata ma lei aveva fatto di testa sua.
Arrivammo ad un angolo e lei si appoggiò al muro: aveva le gambe incrociate, probabilmente per via del freddo, e le mani in tasca.
Improvvisamente le squillò il cellulare. Lo prese dalla tasca e lo infilò di nuovo con espressione stufa.
"Chi è?"
"Nessuno di importante."
La squadrai ridendo; non mi nascondeva niente perché sapeva sempre che l'avrei scoperto dopo. Mi sembrò troppo strano così iniziai a farle il solletico per cercare di estrarre il telefono dalla sua giacca.
Rideva come una bambina. Le sue braccia tenevano ferme le mie e aveva il viso girato verso destra.
Si intravedeva parte del suo collo, forse era la parte che mi intrigava di più di lei. Mi stressi le mani l'una dentro l'altra per trattenermi, ma non bastò.
Mi fiondai sul suo collo e le diedi un bacio, prima lentamente, poi altri.
Lei era ferma, e stringeva la pelle del mio avambraccio con le sue unghie.
Alzai la testa e la baciai. 
Un bacio lento, di quelli che si danno nei momenti di noncuranza.
Sapeva di cioccolato e menta, sapeva di felicità. 
   
 
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