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Autore: shuste    20/04/2009    1 recensioni
Alice il giorno in cui si ritrova vampira...pensieri e paure e le ombre della sua mente...jasper e la sua storia...
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Poi, come chi barcolli sotto

il peso delle sue stesse parole, stancamente

fece una pausa; e prima che riprendesse gridai:

“Fermo, chi sei?- “ Prima della tua memoria

conobbi la paura, l’amore, l’odio, il dolore, l’azione

e la morte. E se la scintilla con cui il Cielo accese

il mio spirito fosse stata alimentata con nutrimento

più puro, la corruzione non erediterebbe tanto

questa maschera occulterebbe

ciò che avrebbe dovuto rifiutarsi di portare.

P. B. Shelley, Il trionfo della vita

 

Fu in una notte di luna piena.

Ero appena tornata dalla caccia, seduta nella caverna dove avevo trovato rifugio.

Dopo qualche esitazione, al mio risveglio - quante settimane prima? - avevo capito che avrei solo potuto seguire l’istinto.

Così mi ero buttata nel fitto della foresta e avevo aggredito un cervo.

Sazia, avevo camminato fino a trovare un buco nella parete di roccia da cui non ero più uscita fino a quella sera.

Sentivo la sete ma non sembrava esserci spazio nella mia mente per pensare a nutrirmi.

Strane immagini vorticavano davanti ai miei occhi, flash cui non sapevo dare un preciso senso. Non capivo. Cosa vedevo? Cosa significavano tutti i volti sconosciuti che scorrevano dentro di me e che, ancor prima che potessi memorizzarli, sparivano?

Evanescenti come sogni. Ma sogni non erano. Non dormivo. Mai.

Forse stavo impazzendo.

Non ricordavo nulla, a parte il dolore accecante, a parte il fuoco.

Prima di tutto ciò, solo tenebre, eccezion fatta per il mio nome.

Alice.

Ricordavo una voce addolorata che ripeteva il mio nome mentre soffrivo. Poi più nulla, eccetto l’incendio che, dentro, mi aveva arsa per giorni.

 

Avevo percezione d’esser cambiata. La mia pelle sembrava roccia, ma aveva il colore del gesso. Mi sentivo forte, incredibilmente in forze. E poi quelle immagini, l’infinità di odori, colori, particolari che percepivo.

Non ricordavo nulla di prima ma sapevo che tutto questo era diverso.

Io ero diversa.

Non sapevo cosa fossi.

Provai a concentrarmi sulla mia mente.

Riuscii a separare dal caos alcuni volti troppo sfocati per sapere a chi appartenessero.

Erano persone che non mi dicevano nulla, non erano ricordi. Immagini che rivedevo da settimane.

Un uomo … forse come me, a giudicare dal colore della sua pelle … e una donna appena accanto … e dei capelli di … bronzo…

Era troppa la fatica. Rinunciai.

Appoggiai la schiena contro la roccia umida.

Era come se la mia mente fosse esausta ma il mio corpo si rifiutasse di esserlo. Posai la testa sulle ginocchia, rannicchiata.

Rimasi in quella posizione un’eternità, cercando di spegnere le visioni nel buio.

Cosa stava succedendo?

Ero frastornata ma non avevo paura. Era come se qualcosa di primordiale mi stesse guidando da quando avevo aperto gli occhi.

Qualcosa di totalmente irrazionale e folle, ma impossibile da eliminare. Dicono che la speranza è dura a morire. Io direi che fu la sola cosa che non seppi e non sarò mai in grado di uccidere.

Dentro di me qualcosa che si muoveva, strisciava, mi teneva lontano da una crisi di panico.

Sentivo che quello che vedevo DOVEVA avere un senso. Solo non lo intuivo.

 

Mi alzai in piedi e mi trascinai fuori. Vedevo una luce eccessiva per la notte, proveniente dall’apertura della caverna.

Quando uscii, compresi che era la luna.

Piena, in un cielo completamente sgombro da nuvole. Il suo chiarore illuminava ogni filo d’erba, ogni foglia, ogni minuscolo insetto. Li avrei visti comunque, ma quella luce li faceva brillare come fossero piccoli diamanti.

Fu un istante.

Un lampo di luce nella mia testa.

Come quel cielo la mia mente fu sgombra.

Si fece spazio improvvisamente nel caos un’immagine che divenne sempre più nitida tra le altre.

Un volto che mi era passato davanti più volte col passare dei giorni ma che non avevo saputo mettere a fuoco.

Un viso antico, d’altri tempi, incorniciato da una chioma bionda, corta, spettinata. I lineamenti duri, quasi contratti, color perla. Gli occhi cremisi, che avrei detto spaventosi se non avessi pensato che, in fondo ad essi, vi fosse qualcosa …

Era uno sguardo dolce … severo … sofferente …

Meraviglioso.

Ancora oggi, dopo quasi mezzo secolo, quando cerco risposte, mi metto davanti alla luna.

In quelle notti tutto appare chiaro, persino i pensieri, le visioni più confuse ed oscure.

Trovo la risposta che altrimenti faticherei a rintracciare.

Guardo dentro di me e so, ad un tratto, cosa debba fare, cosa avrei dovuto fare e cosa invece sarebbe stato meglio evitare.

Nessuno può darmi soluzioni, solo in fondo alla mia anima – sempre che ne abbia una - ho imparato che posso trovare quello che cerco.

E in quella notte, come in tante altre che seguirono, cercai.

 

 

Ed era una notte di luna piena.

 

 

Cosa trovai?

Cosa scoprii sotto la mia pelle granitica, sotto i miei muscoli, sotto le mie ossa d’acciaio … Tra i miei organi congelati?

Spolpata di ogni parte di me, vivisezionata … come solo io avrei potuto fare … al centro di me, al nocciolo, cosa rimase?

 

Rimase una strada polverosa al tramonto, che presto, sentivo, avrei dovuto percorrere.

 

Rimase un bambino che mi indicava una locanda.

 

Rimase un sorriso sul volto dagli occhi meravigliosi che avevo appena visto.

 

Gli stessi occhi, stavolta d’ambra.

 

Un bacio tra due persone sconosciute.

 

Un sussurro accennato nel buio.

 

Una rosa all’alba, coperta di rugiada

 

La felicità di un istante che non era rubata.

 

Il destino in un abbraccio.

 

Una casa nei boschi, bianca.

 

Jasper.

 

Jasper Whitlock.

 

Il nome del ragazzo con cui mi ero appena vista fare l’amore.

 

Mi sentii scossa.

Era come se dentro di me ogni pezzo di un enorme puzzle avesse trovato posto.

Immobile, fissando la luna, ad un tratto sapevo.

Volevo sperare di sapere. Ancora la speranza.

Una parte di me si ribellò. Cosa potevo fare nelle mie condizioni, senza vestiti decenti, come una selvaggia? Dove sarei potuta andare? Dove mi sarei diretta, chi mai avrei trovato?

 

L’altra parte di me sapeva esattamente cosa fare. Gridava, esultante.

Dovevo trovare Jasper Whitlock.

Dovevo trovarlo.

Sapevo, di colpo, che era lui ciò che cercavo.

Forse perché il suo viso era la sola cosa che possedevo.

Quel viso che avrebbe potuto mandarmi in estasi, ogni istante di più, sempre più nitido nei suoi particolari … una cicatrice a forma di mezzaluna di fianco al mento … una sul collo …

 

E poi cos’avrei fatto? Se ciò che avevo appena visto fosse stata solo fantasia o una botta in testa che non ricordavo di aver preso … e anche se fosse stato vero, se fosse accaduto ciò che avevo visto, chi mi poteva assicurare che l’avrei trovato? Dove mi sarei diretta? Avrei girovagato senza meta per il mondo in attesa di trovarlo?

 

 

Ancora oggi mi fermo a pensare a quell’istante.

 

Sai cos’ho capito in tutte le notti che sono trascorse con te, Jasper?

 

Non avrei mai dovuto pormi il problema, nemmeno per un millesimo di secondo, di cosa avrei potuto essere per te.

Non avrei dovuto avere paura di cercarti per tutto l’universo.

Perché, nonostante i chilometri che ci separavano, nonostante tu non immaginassi nemmeno la mia esistenza, già eri l’uomo della mia vita.

E il resto non aveva importanza.

 

Di fronte a tutto questo non avrebbe dovuto averne.

 

Forse, in modo più confuso, pensai qualcosa di simile quando la parte speranzosa di me prevalse, all’alba.

E cominciai a correre.

Sempre maggior chiarezza in ciò che vedevo.

Philadelphia.

Questa era la mia meta.

 

  
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