II : Il Principe e il povero
La telefonata l’aveva messo di
cattivissimo umore. Era abituato, purtroppo, a non essere trattato molto bene,
ma c’era un limite a tutto e il fantomatico Sasuke Uchiha l’aveva
ampiamente superato. La sua boria e la sua arroganza erano stati talmente
scandalosi che c’era mancato poco che Naruto non scagliasse a terra il
cellulare e lo pestasse fino a farne briciole. Poi, circa due secondi dopo,
aveva lanciato un barrito per sfogare la collera e stabilito istantaneamente di
trovare comunque la dimora incriminata, per spaccare la faccia di quel cretino
come meritava. Per quello, e per l’annuncio che parlava di una “bella villa signorile, ampia e ariosa, con
vasto parco” in cui c’era “una
stanza libera in affitto per giovane studente “. Per giunta, si
trattava di “dimora in
proprietà, prezzo trattabile, precedenza alla sintonia tra i coabitanti
(maggiori informazioni sul posto).”
L’ideale per uno squattrinato
estroverso e attaccabottoni come lui, che non aveva mai avuto problemi a fare
amicizia con chiunque gliene avesse fornito
Per questo, mentre seguiva lo
sconosciuto che l’aveva introdotto al cancello, Naruto esitava tra il
prendere immediatamente tale Sasuke a pugni non appena l’avesse avuto di
fronte, cosa che aveva davvero molta
voglia di fare, e il cercare invece di vedere se poteva cavarne qualcosa di
buono, cosa che sarebbe stato saggio fare.
“Io sono Itachi,” lo
informò intanto l’estraneo, atono. “Il fratello maggiore.
Quello che si trasferisce.”
“Tanto piacere,”
borbottò Naruto, incerto. Quel tizio aveva qualcosa che metteva in
soggezione. Forse l’espressione seria, o quello sguardo di chi non ha
vita facile. “Uzumaki Naruto.”
E Itachi, incomprensibilmente,
accennò un sorriso.
“Già. Il primo
aspirante,” commentò, e gli parve sornione.
Che casa di matti.
Il giardino era grande proprio come
preannunciato, non molto curato ma verdeggiante e ricco. E la casa era una
favola: imponente, ma non ostentata, aveva l’eleganza discreta e sobria
delle grandi magioni di campagna.
“Wow,” mormorò
Naruto, saltellando sui gradini che conducevano alla porta d’ingresso.
E quella si spalancò in
quell’esatto momento, sotto lo sguardo curioso e avverso del ragazzino.
Nello spazio ritagliato dagli stipiti comparve la sagoma longilinea e riottosa
di un adolescente pallido, alto – più di lui, se non altro - e
slanciato. Naruto lo scrutò con antipatia: Sasuke Uchiha, se quello era,
se ne stava fermo in posa arrogante, fasciato in un paio di ampi e cadenti
pantaloni neri e una camicia azzurra fintamente trasandata che dovevano essere
usciti su misura dalle mani sapienti di un sarto. Il figlio di papà incrociò
le braccia al petto senz’ombra di un sorriso, con le labbra sdegnosamente
assottigliate sotto un nasetto snob che puntava in aria e due sterminati occhi
neri che lo osservavano freddi, con spregio.
Naruto decise immediatamente che, se per
caso fosse andato a vivere lì, gli avrebbe spezzato almeno un braccio
entro tre giorni. Due giorni, se Sua Maestà si fosse mai abbassato a
rivolgergli la parola.
“Naruto, mh?”
esordì appunto il Granduca, quasi con disgusto.
UN giorno, constatò Naruto sicuro.
“Sas’ke,” rispose
con tono altrettanto amichevole.
Itachi si schiarì la voce.
“Vogliamo accomodarci? Naruto
intende visitare la casa,” annunciò spiccio.
E il diretto interessato si tolse la
bella soddisfazione di vedere il Nemico accigliarsi ulteriormente, vinto.
Sasuke Uchiha comunque non emise verbo, si limitò a ruotare di un mezzo
giro su se stesso e addentrarsi nella villa, col fratello dietro e poi lui.
Naruto osservò con avversione il modo in cui le spalle dell’altro,
ritte e aperte, sembravano ritagliare l’aria, scavare lo spazio a suo
piacimento. Conosceva persone cosi, ne aveva già viste parecchie: quelle
che non avevano bisogno di chiedere, perché tutto era loro dovuto.
La categoria umana che lo mandava
più in bestia di tutte.
Sbuffò sommessamente, dedicando
la propria attenzione alla casa. La villa degli Uchiha, all’interno,
sembrava mantenere le promesse esterne. Era una casa chiara, con un arredamento
lineare, pulito. Sembrava che ogni pezzo – il camino, il grande tappeto
rossiccio, i mattoni a vista sull’arco che sovrastava l’imboccatura
delle scale verso il piano di sopra – fosse stato concepito esattamente
allo scopo di essere lì dov’era per creare un perfetto equilibrio
d’insieme. Naruto si domandò quanto potesse costare, una casa del
genere, e quanti soldi avrebbero potuto di chiedere a lui per viverci dentro.
Di sicuro, almeno dieci volte quelli di cui poteva disporre. Oltretutto,
l’annuncio diceva che si metteva l’accento sulla sintonia, e quella
tra lui e Sua Maestà non ci sarebbe mai stata.
Sasuke, proprio in quel momento,
imboccò le scale per il piano superiore.
“Sbrigatela, aniki, sai
come la penso,” biascicò annoiato, con un che di profondamente
indispettito.
Itachi seguì il suo
allontanamento con sguardo impassibile, senza proferire verbo.
“Eh?” guai Naruto
disorientato. “Ma…” balbettò, sommamente perplesso.
Voleva forse dire che la sua candidatura era già bocciata in partenza?
Non che la cosa fosse strana, visto l’andamento delle cose. Ma quello
spocchioso non aveva nessun diritto di trattarlo in maniera simile e per giunta
lui doveva ancora pestarlo. Era assolutamente fuori discussione che lo
lasciasse andar via così.
“Dove staresti andando?”
abbaiò, truce.
Sasuke Uchiha gli lanciò
l’ennesima occhiata vagamente schifata, con aria profondamente
insoddisfatta. Sembrò esitare superbamente per un istante, poi il suo
sguardo incrociò quello lontanamente beffardo del fratello maggiore e
Sasuke sollevò il mento, regale e superiore.
“Non sono fatti tuoi, dobe. Prima regola: io non ti riguardo, e tu non riguardi
me. Vedi di tenerlo bene a mente, se decidi di restare qui,”
intimò freddamente.
Naruto spalancò gli occhi,
allibito, perdendo per qualche secondo la facoltà di parola. Restò
lì impalato, mentre l’altro spariva definitivamente al piano
superiore, finché il dito indice di Itachi non picchiettò leggero
la sua spalla.
“Naruto?”
Lui si riscosse di soprassalto,
restando comunque un poco imbambolato. Guardo il ragazzo più grande e
per un paio di secondi la sua mente si affollo di domande che spingevano per
essere poste. Che razza di fratelli erano, quei due? Perché lui si stava
trasferendo e che senso aveva, per Sasuke, prendersi in casa un coinquilino se
non aveva la minima intenzione di calcolare la sua esistenza? E poi, non era
forse un po’ pazzo? Poteva essere pericoloso? E se l’avesse
aggredito nel sonno?
“Ti mostro il resto della
casa,” lo invitò Itachi, facendogli strada. “Come vedi,
questo è il salotto,” illustrò. “Sas’ke sa
accendere il camino, ma stiamo aspettando che ci mandino
C’era anche un piano americano,
e il forno pareva grande come una piscina.
“Sai cucinare?” chiese
Itachi senza particolare interesse.
Naruto si grattò la testa,
incerto.
“Non molto bene. Mangio quasi
sempre le stesse cose,” rispose, franco. “Mi piace il ramen.”
“E i dolci?”
continuò Itachi, vago.
“Beh, una cosa media,”
borbottò lui. “Non sono un fanatico di dolci.”
“Meglio così,” fece
l’altro, criptico.
Per Naruto fu l’ennesimo mistero
incomprensibile, ma Itachi non si dilungò oltre; continuò invece
a spiegargli come funzionava la casa e com’erano organizzate le stanze.
La camera da letto in affitto era una bomba, sebbene presentasse almeno un
gravissimo difetto: a quanto pareva era la porta accanto a quella della camera
di Sasuke. Ma trascurando quell’orrenda pecca era la stanza più
bella che avesse mai visto: una mansarda soppalcata, con un grande abbaino e un
pîccolo balconcino scavato nel tetto, un letto grosso come una piazza
d’armi e una scrivania da direttore di banca.
“E’ la casa più
strafantastica che abbia mai visto, ‘tebayo!”
commentò sinceramente Naruto, con un sorriso entusiasta. “Ma non
posso vivere qui,” aggiunse, stringendosi nelle spalle.
“Perché?”
“Non avrò mai abbastanza
soldi per pagare,” spiegò Naruto schiettamente, dignitoso.
S’infilò fluido le mani in tasca e la fodera interna della sua
giacca scelse quell’esatto momento per cedere, con un rumore di strappo
udibilissimo. “Ecco, appunto,” ridacchiò, tirando fuori la
mano dalla tasca bucata.
“Questo potrebbe essere un
problema secondario,” osservò distrattamente Itachi, precedendolo
fuori dalla stanza. “Prima di tutto vorrei…otouto?”
chiamò, bussando piano alla porta adiacente. “Vorresti venire a
bere un tè in cucina con noi?”
Il silenzio successivo fu abbastanza
lungo da lasciar sperare a Naruto che magari quello là fosse morto.
“Sto studiando,”
annunciò invece Sasuke d’improvviso, scostante.
Itachi si passò la mano sulle
guance. A Naruto sembrò cosi stanco che poco ci mancò si offrisse
di sorreggerlo giù per le scale. Trotterellò dietro di lui in
silenzio, invece, e gli si sedette diligentemente di fronte al tavolo della
cucina.
“Allora, Naruto. Tu sei ancora
minorenne, giusto?” iniziò Itachi quietamente, e il ragazzino
annuì. “Come mai vuoi vivere da solo? Cosa ne pensano i tuoi
genitori?”
Naruto si strinse nelle spalle,
scrollando la testa.
“Non ne pensano nulla, sono
morti quando avevo poche settimane. Il mio tutore si è appena sposato e
ho pensato che sarebbe stato carino levarmi dai piedi e lasciargli fare il
maritino in pace, dopo che ha badato a me per diciassette anni. Ma ho davvero,
davvero pochi soldi e…”
“Cosa pensi di fare dopo il
diploma?”
La domanda di Itachi interruppe il suo
ennesimo sproloquio sull’affitto sicuramente troppo alto, e lui sorrise
di slancio.
“Il pompiere,” rispose
schietto.
Itachi distese la fronte, sorpreso.
“Il pompiere?”
ripeté, tornando immediatamente impassibile.
Naruto lo osservò con sospetto.
“Mi piace aiutare le persone. E’
un problema?”
Itachi nicchiò lievemente col
capo, assorto.
“Né sì né
no,” rispose noncurante. “I nostri genitori sono morti in un
incidente. Hanno preso fuoco con la loro auto.” Naruto sussultò,
non sapeva se per l’orrore all’idea di quel tipo di morte o per
l’apparente disinteresse del suo interlocutore per il dramma. “Può
darsi cha andrai a genio a Sas’ke per questa tua idea, oppure che ti
odierà ancor di più. Comunque, finché non sarete in
confidenza non parlargliene.”
“Oh… Mi…mi
spiace,” farfugliò lui, senza sapere bene cosa dire. Itachi
liquidò la questione con un vago gesto della mano e si scostò i
capelli dal viso, signorile.
“Dove vai a scuola?”
continuò, pratico.
“Al Konoha…” annunciò,
tralasciando di specificare che i suoi voti erano pessimi e il comitato disciplinare
suo nemico giurato. “E Sas’ke?” chiese, cortese.
“All’Oto
school,” rispose Itachi.
Tipico: il liceo privato più in della città, frequentato dai
rampolli delle classi alte e pullulante di bambocci snob con le mutande piene
di soldi. La retta, da sola, costava quanto Naruto spendeva in alimenti in
tutto l’anno. E Naruto mangiava parecchio.
Annuì sperando che la sua
antipatia istintiva non trapelasse, ma Itachi sembrò scavare nella sua
testa con una sola occhiata e assunse una posa di lontana sufficienza.
“Mio padre avrebbe voluto che
studiassimo lì,” annunciò, a mo’ di spiegazione.
Naruto assentì ripetutamente, impacciato.
“E cosa fai nel tempo
libero?” proseguì l’altro, fermo.
“Oh, io…vedo gli amici e
gioco a basket,” rispose lui, poco abituato a rispondere a tante domande
su di sé. Per giunta, gli occhi neri di Itachi mettevano a disagio. Non
erano ostili, ma chiedevano deferenza. Si illuminarono comunque di
soddisfazione a quell’informazione. ”Mi piace andare al cinema e
bere qualche birra, ogni tanto. Sas’ke…non deve bere alcolici,
immagino,” ipotizzò incerto.
Itachi aggrottò leggermente la
fronte.
“Sas’ke fa quello che
vuole,” rispose, e Naruto fu sul punto di osservare che se n’era
accorto, ma si trattenne mordendosi la lingua. “Però è bene
che non ecceda,” precisò l’altro, moderandosi. Lo
osservò fisso per qualche secondo, parendo leggermente dubbioso, quindi
prese un lungo respiro, rassegnato, intrecciò le mani sul tavolo
e lo guardò ancora dritto in faccia, neutro. “Tecnicamente,
Sas’ke è sociopatico. Qualche anno fa la cosa era decisamente
più grave e durante un certo periodo ha sofferto anche di agorafobia.
Non…”
“Di che?” guaì
Naruto, sgranando gli occhi.
“Agorafobia, una forma
patologica di paura degli spazi aperti. E non ama le grandi concentrazioni di
persone. Per qualche tempo non ha potuto nemmeno andare a scuola. Attualmente
va molto meglio, ha anche un buon amico, un ragazzo dell’istituto che si
chiama Suigetsu.”
“E’…malato? Che
bisogna fare, va tenuto sotto control…?”
biascicò Naruto esterrefatto. Ci rimase quasi male, un po’
perché una parte maligna di lui pensava sprezzante che i ricchi erano
capaci di crearsi i problemi più cretini, un po’ perché
un’altra gli rimproverava quella cattiveria gratuita. Se quel ragazzo non
stava bene, non c’entrava il fatto che avesse troppi soldi.
Itachi aggrottò la fronte,
cupo.
“Mio fratello non è un
minorato,” scandì fermo, quasi minacciosamente. “E’
perfettamente autosufficiente, è intelligente e capace di avere una vita
normale, ed è il miglior studente della sua scuola. Non esce molto, ma
è un adolescente normalissimo, solo un po’ complicato. Probabilmente, se non ti avessi parlato
delle sue peculiarità, avresti semplicemente continuato a pensare che sia
soltanto molto antipatico.” E qui Naruto distolse lo sguardo, punto sul
vivo. “E a questo proposito, vorrei che quel che ci siamo detti restasse
tra me e te, Naruto. Sas’ke detesta che io parli alle persone di
lui.”
“I suoi compagni non lo
sanno?” si sorprese Naruto, sporgendo il capo in avanti.
Itachi scrollò lentamente la
testa.
“Solo alcuni insegnanti. Te
l’ho detto, non è una cosa evidente. Sas’ke è troppo
orgoglioso per mostrarsi debole e ha un ottimo dominio della propria
emotività.” Fece una pausa, osservandolo con quegli occhi come
sonde. “Allora, Naruto, ti interessa ancora questa casa?”
Ci pensò su soltanto per un
secondo: una villa enorme e favolosa, una stanza da sogno, un affitto ridicolo,
un giovane milionario psicopatico che comunque non l’avrebbe considerato
nemmeno di striscio come convivente. A conti fatti, lui e Itachi Uchiha si
sarebbero fatti un favore a vicenda.
“Posso telefonare al mio tutore.
Sarà qui per firmare il contratto in meno di un’ora,”
annunciò entusiasta, con ottimismo.
Itachi annuì, parendo
rilassarsi. Si dileguò al piano di sopra con un cenno mentre lui
chiamava Jiraiya, raccontandogli la novità e incitandolo a raggiungerlo
al suo nuovo indirizzo, e quando Naruto interruppe la chiamata lo vide
ricomparire seguito dal fratello minore. Sasuke aveva un’aria da martire
e sembrava al tempo stesso irritato. Lo guardava in silenzio e Naruto
pensò, forse influenzato da quello che aveva saputo da Itachi, che lo
stesso corpo del suo nuovo coinquilino trasmettesse un senso di allerta e
rifiuto. I suoi occhi neri, poi, giuravano eterno spregio.
“Beh, Sas’ke, sembra che
vivremo insieme,” tentò, per spezzare il ghiaccio.
“Fantastico,”
commentò l’altro gelido, con aperto sarcasmo. “Immagino che
dovrò sopportare i tuoi stracci a lungo, allora.”
Naruto si accigliò di
soprassalto e strinse i pugni, stizzito.
Avrà anche avuto tutti i
problemi che voleva, ma Sasuke Uchiha restava comunque uno stronzo.
Jiraiya fu lì e firmo il
contratto privato con Itachi - ad un prezzo talmente irrisorio da risultare imbarazzante, che Naruto non commentò soltanto in virtù dello sguardo d'intesa lanciatogli da Itachi stesso, che poi spiegò al suo tutore come gli interessasse avere qualcuno in casa col fratellino e non guadagnare altri soldi - nel giro di quaranta minuti, commentando
entusiasta la bella casa e tirando a Naruto una gomitata soddisfatta che per
poco non lo implaccò al muro. Per tutto quel
tempo, Sasuke non emise verbo. Naruto tentò persino di attirare la sua
attenzione e in uno slancio di disponibilità provò a chiedergli
quali fossero i suoi alimenti preferiti, ma l’altro si limitò a
sbuffare con tracotanza e lui valutò seriamente l’idea di
prenderlo a calci. Soltanto l’intervento minimizzante di Itachi
impedì la rissa e Naruto si chiese come sarebbe andata a finire una
volta che il fratello maggiore fosse partito.
“Quando posso venire?”
chiese soprassedendo, non appena i documenti furono sistemati.
“Quando vuoi,” rispose
Itachi disinteressato. “Queste sono le tue chiavi,” aggiunse,
porgendogli un mazzo che lui si affrettò ad afferrare, eccitato dalla
prospettiva.
“Anche domani?”
azzardò speranzoso.
Itachi annuì, vago.
“Bene, bene,”
commentò Jiraiya con una risata allegra. “Ben fatto, Naruto,
davvero un bel colpo.”
Il ragazzino sorrise, fiero,
seguendolo verso la porta.
“Allora a domani.
Arriverò nel pomeriggio, dopo la scuola,” salutò, fissando
dritto in faccia Sasuke.
Quello si ritrasse infastidito, con
una smorfia.
“Probabilmente passerò la
giornata in camera,” annunciò ostile. “Uscirò per
cenare. Con Itachi,” precisò, arrogante.
“Naruto farà cena con
noi, se vorrà,” scandì il maggiore, risoluto.
Si guardarono negli occhi in una sorta
di silenziosa contesa,ma fu Sasuke ad abbassare gli occhi davanti al fratello.
“Bene,” sibilò,
voltando loro le spalle.
Itachi li accompagnò alla
porta, salutandoli brevemente. I due ospiti attravarsarono il parco senza
parlare, pensosi.
“Sembra un po’ sciroccato,
il tuo coinquilino,” commentò poi Jiraiya bonario, con una pacca
sulla sua spalla.
Naruto scrollò vivacemente le
spalle, smargiasso.
“Me lo mangio per
colazione,” affermò sicuro.
Jiraiya sorrise indulgente, aprendogli
la portiera della macchina.
“Comunque,”
commentò placido, con un vago sogghigno, “quella casa è
grande abbastanza perché tu possa passare giorni interi senza
vederlo.”
Ridacchiarono, soddisfatti.
“Potresti parlarmi?”
Dalla porta chiusa non provenne ancora
risposta, e Itachi sospirò continuando a bussare.
“E’ un ragazzo simpatico,
solare. Gioca a basket. A te piace il basket,” tentò,
incoraggiante.
“Non toccherò più
un pallone da basket in vita mia, allora,” ringhiò Sasuke
dall’interno, bellicoso.
“Non c’è bisogno
che ti faccia danno per farmi dispetto, sai?” ribatté Itachi
grave, ma la nuova osservazione cadde ancora nel silenzio. Sospirò
un’ultima volta, rassegnato. “Io ceno, se vuoi raggiungimi,”
annunciò, prima di voltarsi per scendere le scale.
Ma sapeva che suo fratello non avrebbe
cenato, quella sera.
E per fortuna, non sapeva che lui aveva raccontato a Naruto come stavano le cose.
Beh, quasi.
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e Silver Moon, grazie mille dei commenti. Prometto che la prossima
volta rispondo, ma sono vagamente di corsa.
A presto
suni