COME
UNA LEONESSA BRUNA
<< Hai intenzione di tenere il muso tutto il
tempo?
Perché qui ci vorrà ancora un po' >>.
Eravamo di nuovo in officina, Lindsay piegata sulla moto, io
al mio solito posto.
Il clima era particolarmente afoso per una giornata
autunnale. In strada sembrava di camminare in calda gelatina solida ma
l'officina di Lindsay era un porto sicuro, fresco e buio. Ci si stava
bene, una
volta abituati alla penombra.
<< Non ho il muso >>, protestai.
Ok, forse solo un pochino.
Era la prima volta che aprivo bocca da quando ero arrivata,
circa due ore prima.
<< No, certo. Non hai spiccicato parola da quando sei
qui >>. Ecco, appunto. Se n'era resa conto anche lei che non ero
chiacchierona come al solito.
Nonostante fosse una taciturna, e di sicuro apprezzasse il
mio insolito silenzio, doveva essersi accorta che qualcosa non andava.
Fece una lunga pausa, interrotta solo dal cri-cri di bulloni
che venivano avvitati.
<< Per caso vuoi parlarne? >>, mi chiese infine,
tenendo gli occhi ben piantati sul motore.
Rimasi sbalordita.
<< Me lo stai davvero chiedendo? >>. Non aveva
mai voluto sapere nulla di me, né della mia vita privata. A malapena
sapeva il
mio nome.
<< Guarda che l'offerta verrà ritirata tra tre...
due... >>.
<< Va bene, va bene! Beh... c'entra una donna
>>. Forse parlare con qualcuno mi avrebbe fatto bene.
<< Fammi indovinare. Capelli scuri, occhi verdi,
smorfia di disgusto perenne? >>, chiese, storcendo il naso.
<< Se la conosci non è così male >>, mi
affrettai a difenderla. È vero, forse quell'espressione glaciale non
era il
miglior biglietto da visita per farsi voler bene... ma io l'avevo vista
sorridere. Ed era stato speciale proprio perché succedeva raramente.
<< Non capisco cosa ci trovi in lei, Eliza. Porta solo
guai >>.
Schioccai la lingua contro il palato ed assunsi
un'espressione pensierosa, cercando le parole giuste.
<< Ha qualcosa di diverso negli occhi, Lin. Non sembra
aver dovuto fare quello che abbiamo fatto io e te per essere qui. Ci
sembra
capitata >>, dissi, guardandola dritta negli occhi, per cogliere
una
scintilla di comprensione.
<< Non ha negli occhi quello che abbiamo fatto io e te
>>, ribadii sottovoce, quasi per non farmi udire. Non aveva
capito, ci
avrei scommesso: Lindsay era una donna pragmatica, non si lasciava
andare alle
smancerie. E doveva avere ferite ben profonde cosparse di sale.
<< Non farti prendere dall'istinto di crocerossina
>>, disse fissando i grandi occhi scuri nei miei. << È
grande
abbastanza per scegliere quale strada percorrere e quale abbandonare
>>.
<< Si ma... >> provai a protestare. Non feci in
tempo a finire la frase che lei mi si parò di fronte, afferrandomi il
mento tra
due dita e costringendomi ad alzare gli occhi su di lei. Era
arrabbiata.
<< Dimmi cosa sai di lei, Eliza >>, ringhiò. Non
l'avevo mai vista così.
<< Io... >>
<< “Io” niente. Conosci il suo nome, sai dove lavora e
che è fidanzata. Basta. Vedi di fartela passare Eliza: non è tempo per
le cotte
estive >>. Tutta quella ferocia mi colpì al petto.
Era davvero così sbagliato quello che sentivo? Era meglio
fermarsi lì e lasciarla a quel principe che per me aveva sembianze di
drago?
Un battito di ciglia e lo sguardo le si addolcì. Spostò le
dita dal mento alla guancia con un movimento fluido e asciugò con i
pollici
qualcosa di bagnato: una lacrima.
Mi si imporporarono le guance. Da quanto non mi succedeva?
Che imbarazzo...
<< Facciamo già fatica a pagare una cosa semplice come
i pezzi di ricambio, non serve una donna a complicare le cose. Perché
lo
sappiamo che le donne complicano sempre le cose >>.
Le sorrisi. Era dannatamente vero.
<< La moto è a posto. Pronta a guadagnarti qualche
giorno di sopravvivenza in più? >>.
Dovetti guidare a lungo per
arrivare al luogo dell'incontro. Molto più del solito, fino ad arrivare
ai
confini della città.
Il luogo prescelto era totalmente
diverso da quelli che di solito frequentavamo. La cittadina era
tranquilla,
spaccata a metà da una sottile lingua di terra chiamata Jeffrey Open
Space
Trail. Era uno di quei posti in cui le mamme portavano i bambini a
giocare dopo
scuola. Ma di notte, tra i suoi sentieri sterrati, i piccoli ponti
rustici e
una grossa via sterrata che creava percorsi dalle mille possibilità,
poteva
diventare il regno di chi, come noi, correva.
C'era già un nutrito gruppo di
persone assiepate tra gli alberi e molti concorrenti già pronti alla
linea di
partenza. Mi stavo per posizionare al mio posto quando mi si affiancò
una moto.
Non mi girai nemmeno a controllare chi fosse. Era abbastanza chiaro.
Ormai lo
riconoscevo dal cigolio dei suoi stivali sul selciato.
<< Che vuoi Marcus? >>
<< Solo augurarti buona
fortuna, Wanheda >>, rispose lui. Sembrava quasi sincero
e per un
attimo vacillai, indecisa su cosa rispondergli.
<< Alla fine hai seguito il
consiglio, eh? I miei uccellini mi hanno detto che non ti sei più
presentata al
diner >>. Bene, era il solito idiota di sempre.
Gli scoccai un'occhiataccia.
<< Sei contento Marcus?
>>, gli chiesi, pronta per lanciargli una stoccata. Si sarebbe
arrabbiato, ne ero certa. Sorrisi al pensiero. << È palese che
Alycia non
sappia nulla delle tue strategie di gara. Non le interessa. Quindi, mi
chiedo:
di cosa hai paura? Che una donna possa soffiarti la ragazza? >>,
lo
provocai
Marcus divenne paonazzo. Il
rossore gli salì dal collo fino alle guance. Gli sorrisi, accelerando
il passo
e posizionandomi in griglia.
La solita ragazza bionda venne al
centro della pista. Stessi pantaloncini di jeans scosciati, stessi
stivaloni di
pelle marrone e stessa camicetta annodata sotto al seno. Si, il copione
era
davvero sempre uguale.
Girai il viso di lato: al mio
fianco c'era Marcus, l'immancabile tuta verde indosso. Anche lui mi
fissò a
lungo, sgasando e facendo ruggire la sua moto. Doveva essere davvero
arrabbiato.
Di nuovo, come la prima volta, incrociai lo sguardo
con una
figura familiare. Veniva sempre più spesso alle gare e la ruga tra le
sue
sopracciglia si faceva sempre più marcata. Ma non potei guardarla a
lungo: la
starter abbassò le braccia, e partimmo.
Fu subito chiaro come la gara non
fosse tra me e gli altri concorrenti, ma tra me e Marcus. Non avevamo
percorso
nemmeno cento metri e già mi si era messo davanti, totalmente incurante di
chi ci passava
accanto superandoci. Buttarmi a destra o a sinistra non aiutava. Mi
tagliava la
strada in ogni caso.
Gli alberi ci sfrecciavano a pochi
centimetri dalla pelle. Superammo la biforcazione del primo tratto di
tracciato, salimmo sul ponte che permetteva di superare la strada
urbana, e
discendemmo in un corridoio sotterraneo. Ma niente. Rimaneva davanti
col
preciso obiettivo di non concedermi nemmeno un briciolo di spazio.
Che bastardo…
Ormai mancava pochissimo al
traguardo. Dovevamo superare solo un altro ostacolo: una grande strada
che si
avvolgeva su sé stessa come una serpe che si morde la coda, creando un
cerchio
perfetto. Li, forse, avrei potuto sorpassare Marcus passando
all'interno della
sua traiettoria.
Entrammo in curva. Mi piegai,
dando gas e accelerando. La moto non era stabile, non era nulla in
confronto a
una da corsa. Sperai reggesse.
E invece uno scossone mi
sorprese, ma non era stata lei a tradirmi. Marcus aveva dato un calcio
alla
fiancata! E piegata con un angolo simile fu maledettamente facile
perdere il
controllo. Sbandai.
Dio no, ma l'asfalto si avvicinava.
L'impatto fu devastante.
Sentii il tessuto dei vestiti strapparsi, i sassolini
infilarmisi nella carne. La testa sbattere contro il duro cemento.
Rimasi intontita al suolo, la testa annebbiata. Nemmeno il
suono delle moto che mi sfrecciavano al fianco riusciva a penetrare il
fitto
muro d'ovatta. I limiti del campo visivo erano sfocati, quasi neri. Il
cuore mi
batteva all'impazzata, in un misto di adrenalina e spavento. E mi
veniva da
vomitare, dio se mi veniva da vomitare.
Il cielo pieno di stelle venne invaso da due enormi punti
verdi.
<< Eliza, stai bene? >>.
Accennai un sorrisino al sentire quella voce inconfondibile.
Brutta mossa: << Mi viene da vomitare >>, mugugnai.
<< Respira profondamente con la bocca >>,
suggerì una voce. Lindsay.
<< Dobbiamo chiamare un'ambulanza >>.
<< Niente ambulanze >>.
<< Ma potrebbe avere qualcosa di rotto! >>.
<< Lasciamola a terra. Vediamo se riesce ad alzarsi da
sola. Se no, siete sole. Libere di chiamare chi volete >>.
<< Alycia, se parla e si lamenta sta bene, fidati
>>.
<< Continuo a pensare che ci voglia un medico.
Possibile che organizziate qualcosa di così pericoloso senza avere
nessuno che
sappia intervenire?! >>.
Quella discussione stava diventando una cacofonia
insopportabile alle mie orecchie. Si sommava al fischio che producevano
i
timpani e mi stordiva. Ero così confusa da non riconoscere la maggior
parte di
quelle voci. Alla fine divennero sempre più ovattate: probabilmente
stavano
discutendo poco più lontano.
Non so quanto rimasi a terra, ma piano piano la mente si
schiarì almeno un po'.
<< Ehi, principessa >>. Il viso di Alycia,
storto, spuntò nel mio campo visivo. Doveva essere rimasta seduta
vicino alla
mia testa per tutto quel tempo. << Che dici, te la senti di
provare ad
alzarti? >>.
Nonostante il braccio fosse tanto pesante da farmi pensare
che si fosse fuso con il cemento, tentai di alzarlo per farle capire
che si, ci
volevo provare.
Alycia mi afferrò la mano e, tenendomi una mano sulla
schiena per sorreggermi, mi aiutò a mettermi in piedi. Al suo tocco il
mio
corpo rabbrividiva spontaneamente.
<< Contenti? Si è alzata da sola. Il vostro business è
al sicuro >>, esclamò sprezzante lei, rivolgendosi al capannello
che si
era formato e che stava evidentemente discutendo sul da farsi.
Da quella massa si staccò Lindsay, che accorse nella nostra
direzione. Scivolò sotto al mio braccio, prendendo su di lei tutto il
peso di
una persona instabile sulle gambe.
<< Così capiranno che ci conosciamo >>, le dissi
preoccupata, con la voce ancora attutita dal casco.
<< Ah, ma se il mio capo muore, io non avrò più un
lavoro >>. I suoi tratti latini si sciolsero in un sorriso, e mi
fece
l'occhiolino.
Ma chi era quella ragazza? Io non la conoscevo. Possibile si
fosse davvero preoccupata per me, addirittura due volte in un giorno
solo?
<< Non ti preoccupare, il tuo... >>, stavo
ancora parlando quando uno scoppio di urla attirò l'attenzione di tutti.
<< Ti dovrei dire bravo? Darti un bacio? Sei davvero
meschino! >>. Alycia camminava a grandi passi verso l'uscita, già
sul
prato, poco avanti a noi. Dietro di lei la seguiva tuta-verde, che
doveva
averla raggiunta poco prima.
<< E dai, piccola, non è successo niente! >>,
disse Marcus, con il tono spazientito.
Alycia si girò verso di lui in un vortice di capelli scuri.
Sembrava una leonessa bruna dalla furia che le leggevo negli occhi.
Gli puntò il dito al petto.
<< Avrebbe potuto. Ti piace vincere così? È proprio da
gran pilota quel che hai fatto! >>.
Mi stava forse difendendo?
<< Ah, sei una vipera! Ora è tua amica eh? Non basta
la tua disapprovazione per il mio modo di guadagnarmi da vivere, ora
devi pure
allearti con i miei avversari? >>.
<< Non c'entra l'alleanza. È questione di vita o di morte:
sembra che non te ne renda conto! >>. La discussione prendeva
toni sempre
più accesi.
Anche Lindsay seguiva quella che si stava rapidamente
trasformando in lite: << È davvero incazzata>>, di limitò a
sussurrare, sbalordita.
Ero del tutto sicura che anche la maggior parte del
pubblico, una volta finita la gara e decretato il vincitore, stesse
seguendo
con grande attenzione quello spettacolo da soap opera. Guai in
paradiso? Non
potei fare a meno di sorridere dentro di me.
Ma poi qualcuno urlò: << La polizia! >>.
Ed esplose il caos.
Eravamo entrambe in macchina, Alycia ed io. Fissavamo davanti a noi, le
espressioni ancora allucinate dalla folle fuga attraverso il parco.
Lindsay mi
aveva caricata di peso su quell'auto ed eravamo partite sgommando. Lei
però era
sparita. Le avevo mandato un messaggio ma non aveva ancora risposto.
Sperai che
stesse bene.
<< Già >>, si limitò a dire. Pareva anche lei
abbastanza sconvolta.
<< Qui devi girare a sinistra. Siamo quasi arrivate.
Ecco, parcheggia pure qui >>. Eravamo arrivati davanti al mio
caro e
vecchio palazzo: un grosso mostro scrostato e ammuffito. Ma almeno non
colava
acqua dal soffitto.
Non so se fosse stata la botta a farmi impazzire o se pazza
lo ero sempre stata, ma mi avvicinai ad Alycia, sporgendomi sul posto
di guida,
pronta per schioccarle un bacio sulla guancia come ringraziamento.
<< Che fai? >>.
Mi si congelò il sangue nelle vene. Possibile che
fossi così stupida? Era proprio da masochisti...
<< Beh, io... io volevo solo... >>, balbettai.
<< Io ti accompagno in casa. Dopo la caduta che hai
fatto non ti lascio certo da sola >>.
Spalancai gli occhi, presa totalmente in contropiede.
<< Ma non c'è bisogno, davvero >>, tentai.
<< Sono caduta altre volte e... >>.
Si girò a guardami negli occhi: << Eliza >>,
disse seria. << Sono irremovibile. Qualcuno deve stare con te.
Non mi
perdonerei se stessi male e fossi da sola >>.
Non mi diede nemmeno il tempo di obiettare. Era già alla mia
portiera, per sorreggermi mentre facevamo i pochi passi verso il
portone.
Contro il suo fianco, il mio corpo formicolava. E dividere il minuscolo
spazio
dell'ascensore scassato non era molto meglio: il suo profumo di fiori
saturava
l'aria e mi avvolgeva, dandomi alla testa.
<< Sicura che lo fai solo perché sto male? >>,
le chiesi, caricando la frase di malizia. Ma sotto sotto ero seria.
Volevo
sapere la verità: ero sicura di non sentire quel fuoco solo io.
Peccavo
di arroganza? Probabilmente.
Ignorò la mia domanda: << Dimmi quale pulsante devo
schiacciare >>.
Non era né una conferma né una smentita, dopotutto. Sorrisi
sorniona.
Salimmo e salimmo, fino quasi all'ultimo piano.
<<4b. È il mio >>, annunciai. Era la prima volta
che qualcuno entrava nel mio appartamento da quando ci abitavo.
Tutto lì era imbarazzante: dalla luce al neon del
pianerottolo -che ronzava come se al posto del gas avessero messo le
api-, alle
grosse macchie di muffa lattiginosa negli angoli delle pareti. Ma
Alycia non
parve nemmeno farci caso. Vederla lì, in casa mia... faceva un effetto
così
strano. Lei sempre elegante e curata in un ambiente trasandato come
quello. Se
avessi saputo d'avere ospiti avrei almeno dato una sistemata.
<< Okay, allora... Credo sia il caso che ti cambi e ti
stenda. Devi dormire. Domani avrai dolori a non finire >>, disse,
per
carcare di organizzarci al meglio.
<< Mh... che prospettiva allettante... >>.
<< Ora non ci pensare. Hai qualche medicinale che
possa essere utile? >>.
<< Di la, in bagno >>, le indicai ed Alycia vi
sparì dentro.
I dolori già si stavano facendo più acuti. I muscoli erano
totalmente indolenziti.
Quando tornò, con le braccia cariche di pomate e bende, mi
trovò in una posizione a dir poco imbarazzante: avevo tolto, con non
poca
fatica, stivali e pantaloni, ma con la maglia non c'era proprio
verso, le
mie braccia si rifiutavano di concludere il movimento.
Così ero rimasta incastrata, la testa piegata nel tessuto e
la maglietta mezza su e mezza giù.
Non mi sfuggì il risolino di Alycia.
<< Mi trovi divertente?>>, le chiesi, mettendo
su un broncio che lei proprio non poteva vedere.
<< Tu sei sempre divertente >>, soffiò.
La sua voce si era fatta più vicina. Troppo.
Sentii le sue mani gelide contro la pelle ed esplosi in una
sinfonia di brividi. Mi afferrò i lembi della maglietta, tirandola su e
aiutandomi a liberarmi, accarezzandomi il ventre, i fianchi, le spalle
in quel
movimento.
Libera, mi trovai davanti quegli occhi profondi come una
foresta vergine. Ed ero nuda.
Con grande sorpresa afferrai il suo sguardo che cadeva giù,
in basso. Qualcosa che ti piace, Alycia?
Arrossì come una bambina.
Io ancora la fissavo e la tensione era così forte che
avrebbe potuto creare elettricità.
Era così vicina... le sue labbra tumide parevano aver
scritto sopra il mio nome. Ma non potevo prendere la decisione per lei.
Mi
limitai a fissarla, in attesa di una sua mossa.
Hey
Michael, hear what I said, I'm tired of lookin' at the back of your
head...
Le note attutite di una suoneria invasero il silenzio
intorno a noi, spezzando quella bolla dorata.
Alycia afferrò il cellulare dalla borsa per controllare chi
fosse lo scocciatore.
<< Scusa, è Marcus. Devo rispondere >>. E chi
altri poteva essere...
<< Certo. Fai con comodo >>.
Alycia sparì dietro l'armadio che fungeva da separé tra zona
notte e cucina, aprì una finestra, e si mise a parlare.
<< Si, sto bene... Davvero... No, sono contenta che
non ti sia successo nulla... >>.
Rispuntò qualche minuto dopo. Io mi ero già preparata per la
notte. Il sapore fresco del dentifricio in bocca e il tocco morbido del
tessuto
della maglia che indossavo per dormire -e che avevo infilato con
trucchi da
circo, peggio di un prestigiatore- mi rinfrancavano sempre.
Alycia mi spalmò creme su creme, su ogni singolo livido. Mi
mise cerotti a non finire, e mi bendò da capo a piedi. Non tralasciò
nulla,
agendo con mani esperte. Pareva averlo fatto mille e mille volte.
Evitò sempre di guardarmi.
Una volta finito mi intimò di mettermi sotto le coperte.
La guardai esitante mentre sistemava tutto ciò che aveva
utilizzato nella scatola, indecisa se proporle ciò che mi era venuto in
mente.
<< Senti Alycia... Se vuoi c'è spazio qui, nel letto
>>. Lei spalancò gli occhi, raddrizzandosi di scatto.
<< È una proposta da amica, davvero >>, mi
affrettai a spiegare, ed ero sincera. << Mi hai già aiutato
tanto.
L'unica cosa che posso offrirti è un materasso >>.
Il suo sguardo si addolcì immediatamente. << Non ti
preoccupare. Sto in piedi ancora un po', mi va un the. Ne vuoi una
tazza?
>>
<< Volentieri >>. Avrebbe trovato l'unica
scatola di the, quella che tenevo “perché-non-si-sa-mai”, per qualche
ospite
mai arrivato.
Aspettavo una tazza di the, avevo una donna che mi faceva
stringere lo stomaco al solo guardarla in casa, eppure non riuscii a
resistere.
Nonostante tutta la buona volontà che ci misi, il sonno mi
vinse. Quando Alycia tornò in camera, due tazze fumanti in mano, mi
trovò già
abbandonata al mondo dei sogni.
No, non mi va di alzarmi... Le coperte erano così
calde e soffici...
Ma anche la sveglia si mise a squillare, proprio in quel
momento. Ed era maledettamente lontana dal letto -messa lì apposta, in
realtà.
Per evitare che la mia pigrizia prevalesse su tutto.
Con uno sbuffo stizzito feci per allungarmi a spegnerla
quando una fitta in mezzo alle spalle spezzò la nebbia del sonno.
Ricordai di
essere caduta, ricordai la retata, e ricordai che una donna
dannatamente
sensuale era ancora lì, in casa mia.
Mi girai per guardare l'altra parte del letto ma la trovai
intatta. La poltrona davanti a me, invece, portava chiari segni di
qualcuno che
vi aveva dormito sopra. C'era un cuscino tutto stropicciato e la mia
coperta
rossa gettata su uno dei braccioli. Che testona, mi ritrovai a
pensare.
Ora i dolori doveva averli pure lei.
Dalla cucina provenne un rumore di acciaio tintinnante.
Subito dopo comparve lei, con addosso i vestiti del giorno prima e un
paio di
occhiaie del tutto nuove.
<< Non ho trovato niente di vagamente somigliante ad
un vassoio >>, disse indicando il piatto che aveva tra le mani.
<<
Ma ho pensato di portarti la colazione a letto. Immagino avrai dolori
>>
<< Ovunque. Grazie mille Alycia, non avresti dovuto
>>.
<< Non ho fatto molto. Ti ho preparato un caffè visto
che le due bustine striminzite che ho trovato mi hanno suggerito che
non sei
una grande estimatrice del the >>.
<< Beccata >>
<< E ho rimediato qualche merendina confezionata.
Anche con le mie scarse doti culinarie posso dirti che il tuo
frigorifero fa
pena >>.
Le feci la linguaccia.
<< Come giustificazione ti dico che venivo sempre a
mangiare al diner >>, le dissi affondando i denti in una brioche
piena di
burro. Poteva occludermi le arterie, farmi schizzare il colesterolo
alle
stelle, ma era la merendina più buona del mondo, di questo ero certa.
Alycia sparì di nuovo dietro l'armadio, lasciandomi a bere
il caffè in solitudine. << In bagno c'è una scatoletta i
antidolorifici.
Ti conviene prendere una pillola o due >>, mi gridò dalla cucina.
Una pillola o due... sempre se ci arrivo, al bagno.
Mi avvicinai da dietro per spiare da sopra la sua spalla,
attraverso la finestra posta proprio sopra il lavabo. Trasalì quando
sentii le
mie mani appoggiarsi ai suoi fianchi.
La mia scusa? L’equilibrio precario per sporgermi a
guardare, ma la verità era che il suo tocco non mi bastava mai.
Nel palazzo di fronte, un piano sotto a noi, una famigliola
stava attorno ad un tavolo per la colazione. Il marito in giacca e
cravatta che
divorava il pasto, la moglie che cercava di far aprire le labbra al
neonato
solleticandogliele con le dita e un ragazzino assonnato che infilava i
cereali
in bocca svogliatamente.
<< Penseranno che li spii in casa loro. E che sei inquietante
>>.
<< Hai ragione >>, si limitò a dire. Ma il suo
tono era freddo come il marmo. C'era qualcosa che non andava?
Calò il silenzio, interrotto solo dalla spugna che passava
velocemente sulle stoviglie.
Quel gelo cominciava a farsi pesante, così dissi la prima
cosa che mi venisse in mente mentre andavo a prendere una sedia:
<< Non
pensavo ti avrei rivista così presto >>, le confessai.
<< Perché? >>.
Perché quello sguardo... ti vergogni forse di me? Ho
pensato di essere solo un gioco, uno di quelli imbarazzanti, che
nascondi
quando vicino ci sono le persone per te importanti.
Tacqui e censurai: << Sembri felice con il tuo ragazzo
>>, mi limitai a dire, ricordando la risata di quel giorno. Quello
che
ha cercato di uccidermi meno di 10 ore fa.
Ma Alycia non era stupida. Capì al volo. << Per il
fiore? >>
<< Si >>. Dopotutto, si poteva riassumere tutto
in quel delicato oggetto.
<< È solo che è molto geloso. Non volevo metterti nei
guai >>.
<< Tanto geloso da creare problemi per un fiorellino?
>>
<< Lo sappiamo bene entrambe che non è solo un
fiorellino >>, mi mancò un battito.
Le carte erano state scoperte. Quella era la conferma che
aspettavo -lei sapeva, aveva capito-, ma ora, una volta avuta, non
sapevo bene
cosa farmene.
<< Ha i suoi difetti, ma non è cattivo >>,
continuò, << Mi ha aiutato moltissimo quando mio padre...
>>. La
sua voce si spezzò come legno secco. C'era qualcosa sotto.
<< Tuo padre cosa? >>, indagai.
Alycia piantò i suoi occhi nei miei. Cercai di farle capire
che di me si poteva fidare: volevo solo che stesse bene. Alla fine
sospirò ed
iniziò quel breve racconto.
<< ...quando mio padre è stato arrestato per truffa.
Aveva il vizio del gioco, scommetteva sulle corse clandestine. Nessuno
in
famiglia lo sapeva. Poi è sparito. L'abbiamo cercato a lungo, fino a
quando un
ufficiale giudiziario non è piombato in casa nostra con un'istanza di
pignoramento.
A quanto pare mio padre era stato sbattuto dentro per giri di soldi non
del
tutto legali. Si finanziava le scommesse. Mia madre ha cominciato a
smettere di
mangiare. Alla fine si è chiusa in camera. Era nata in una famiglia
povera,
aveva lavorato sodo per ottenere tutto ciò che aveva ed ora le veniva
sottratto. E suo marito l’aveva ingannata. L'abbiamo trovata morta in
bagno,
qualche mese dopo. L'unica cosa che mi rimane di lei è questa collana,
ma non è
abbastanza >>. Si infilò la mano nella camicetta e ne estrasse
una
collana: un sottilissimo filo e un cuore a metà. Aveva parlato atona,
con il
maggior distacco possibile. Ma sotto la superficie di quel lago
ghiacciato si
agitava un mare in tempesta.
Non servivano parole. Solo, mi avvicinai a lei, intrecciando
la mia mano nella sua e portandomela alle labbra. La vidi trattenere le
lacrime.
<< Ora però devo andare. Ho un turno che inizia tra
pochissimo >>. Sciolsi le nostre mani a malincuore e
probabilmente lesse
la delusione nei miei occhi perché mi sorrise e disse: << Ti
aspetto alla
tavola calda. Lunedì ho il turno della mattina, martedì il pomeriggio,
mercoledì faccio la notte >>.
Feci una faccia saccente. << Lo so >>.
<< Lo sai? >>.
<< Potrei aver preso in prestito il foglio dei turni
>>, confessai.
<< Ah, ecco dove era finito! Non ti hanno proprio
insegnato le buone maniere, Eliza! >> disse ridendo.
Poi si asciugò le mani e prese il copri spalle.
<< Vado >> annunciò. Mi si avvicinò, più di
quanto fosse lecito a quel punto e mi lasciò un'impronta incandescente
sulla
guancia. Poi sparì come era solita fare.
Ma ora avevo una traccia ben precisa su dove stanarla, anche
solo per esserle amica.
Intanto la pelle tirava e si arrossava dove le sue labbra si
erano posate.
Nella foresta del Panda
Ecco di nuovo qui. Devo dire che mi sono divertita a scrivere questo capitolo.
Cominciano a delinearsi le dinamiche tra i personaggi: Lindsay inizia ad ammorbidirsi -ma non sarà mai una tenerona!-, Marcus mostra un bel po' di cattiveria -ma non è fatto solo di quella-, e mentre Eliza è disposta a fare un passo indietro, Alycia sembra non essere del tutto indifferente alla nostra biondina e sfodera addirittura le unghie, dimostrando di non essere solo un bel visino.
Negli avvertimenti inserirò "AU", perchè ho iniziato a scrivere questa ff prima che _Ackerman_ mi spiegasse bene tutti gli universi collegati a The100, ed ero ancora un po' confusa. Quindi grazie per aver avuto pazienza Ackie! E ovviamente ringrazio chi ha dato un po' del suo tempo per recensire -ripeto spesso questa frase, ma credo che sia uno "sforzo" e come tale va riconosciuto!
(La canzone della suoneria di Alycia è "Motorcycle Michael", di Jo Ann Campbell, del 1961)
Blu Panda