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Autore: blu panda    14/07/2016    4 recensioni
L.A., prospettiva di nuove speranze o gabbia opprimente.
Due donne diverse, agli antipodi nella loro vita precedente, si incontrano nelle sue strade che di angelico hanno ben poco. Due angeli scagliati giù dal paradiso, caduti tra la polvere e i detriti di un'esistenza che rasenta il criminale, ma che forse, insieme, riusciranno a rialzarsi.
E poi... poi Eliza brucia sotto lo sguardo della sua Dama di Ghiaccio.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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COME UNA LEONESSA BRUNA

<< Hai intenzione di tenere il muso tutto il tempo? Perché qui ci vorrà ancora un po' >>.
Eravamo di nuovo in officina, Lindsay piegata sulla moto, io al mio solito posto.
Il clima era particolarmente afoso per una giornata autunnale. In strada sembrava di camminare in calda gelatina solida ma l'officina di Lindsay era un porto sicuro, fresco e buio. Ci si stava bene, una volta abituati alla penombra.
<< Non ho il muso >>, protestai.
Ok, forse solo un pochino.
Era la prima volta che aprivo bocca da quando ero arrivata, circa due ore prima.
<< No, certo. Non hai spiccicato parola da quando sei qui >>. Ecco, appunto. Se n'era resa conto anche lei che non ero chiacchierona come al solito.
Nonostante fosse una taciturna, e di sicuro apprezzasse il mio insolito silenzio, doveva essersi accorta che qualcosa non andava.
Fece una lunga pausa, interrotta solo dal cri-cri di bulloni che venivano avvitati.
<< Per caso vuoi parlarne? >>, mi chiese infine, tenendo gli occhi ben piantati sul motore.
Rimasi sbalordita.
<< Me lo stai davvero chiedendo? >>. Non aveva mai voluto sapere nulla di me, né della mia vita privata. A malapena sapeva il mio nome.
<< Guarda che l'offerta verrà ritirata tra tre... due... >>.
<< Va bene, va bene! Beh... c'entra una donna >>. Forse parlare con qualcuno mi avrebbe fatto bene.
<< Fammi indovinare. Capelli scuri, occhi verdi, smorfia di disgusto perenne? >>, chiese, storcendo il naso.
<< Se la conosci non è così male >>, mi affrettai a difenderla. È vero, forse quell'espressione glaciale non era il miglior biglietto da visita per farsi voler bene... ma io l'avevo vista sorridere. Ed era stato speciale proprio perché succedeva raramente.
<< Non capisco cosa ci trovi in lei, Eliza. Porta solo guai >>.
Schioccai la lingua contro il palato ed assunsi un'espressione pensierosa, cercando le parole giuste.
<< Ha qualcosa di diverso negli occhi, Lin. Non sembra aver dovuto fare quello che abbiamo fatto io e te per essere qui. Ci sembra capitata >>, dissi, guardandola dritta negli occhi, per cogliere una scintilla di comprensione.
<< Non ha negli occhi quello che abbiamo fatto io e te >>, ribadii sottovoce, quasi per non farmi udire. Non aveva capito, ci avrei scommesso: Lindsay era una donna pragmatica, non si lasciava andare alle smancerie. E doveva avere ferite ben profonde cosparse di sale.
<< Non farti prendere dall'istinto di crocerossina >>, disse fissando i grandi occhi scuri nei miei. << È grande abbastanza per scegliere quale strada percorrere e quale abbandonare >>.
<< Si ma... >> provai a protestare. Non feci in tempo a finire la frase che lei mi si parò di fronte, afferrandomi il mento tra due dita e costringendomi ad alzare gli occhi su di lei. Era arrabbiata.
<< Dimmi cosa sai di lei, Eliza >>, ringhiò. Non l'avevo mai vista così.
<< Io... >>
<< “Io” niente. Conosci il suo nome, sai dove lavora e che è fidanzata. Basta. Vedi di fartela passare Eliza: non è tempo per le cotte estive >>. Tutta quella ferocia mi colpì al petto.
Era davvero così sbagliato quello che sentivo? Era meglio fermarsi lì e lasciarla a quel principe che per me aveva sembianze di drago?
Un battito di ciglia e lo sguardo le si addolcì. Spostò le dita dal mento alla guancia con un movimento fluido e asciugò con i pollici qualcosa di bagnato: una lacrima.
Mi si imporporarono le guance. Da quanto non mi succedeva? Che imbarazzo...
<< Facciamo già fatica a pagare una cosa semplice come i pezzi di ricambio, non serve una donna a complicare le cose. Perché lo sappiamo che le donne complicano sempre le cose >>.
Le sorrisi. Era dannatamente vero.
<< La moto è a posto. Pronta a guadagnarti qualche giorno di sopravvivenza in più? >>.

Il messaggio era arrivato a mattina inoltrata, poco prima della mia visita a Lindsay. Era per quello che mi ero precipitata da lei immediatamente.
Dovetti guidare a lungo per arrivare al luogo dell'incontro. Molto più del solito, fino ad arrivare ai confini della città.
Il luogo prescelto era totalmente diverso da quelli che di solito frequentavamo. La cittadina era tranquilla, spaccata a metà da una sottile lingua di terra chiamata Jeffrey Open Space Trail. Era uno di quei posti in cui le mamme portavano i bambini a giocare dopo scuola. Ma di notte, tra i suoi sentieri sterrati, i piccoli ponti rustici e una grossa via sterrata che creava percorsi dalle mille possibilità, poteva diventare il regno di chi, come noi, correva.
C'era già un nutrito gruppo di persone assiepate tra gli alberi e molti concorrenti già pronti alla linea di partenza. Mi stavo per posizionare al mio posto quando mi si affiancò una moto. Non mi girai nemmeno a controllare chi fosse. Era abbastanza chiaro. Ormai lo riconoscevo dal cigolio dei suoi stivali sul selciato.
<< Che vuoi Marcus? >>
<< Solo augurarti buona fortuna, Wanheda >>, rispose lui. Sembrava quasi sincero e per un attimo vacillai, indecisa su cosa rispondergli.
<< Alla fine hai seguito il consiglio, eh? I miei uccellini mi hanno detto che non ti sei più presentata al diner >>. Bene, era il solito idiota di sempre.
Gli scoccai un'occhiataccia.
<< Sei contento Marcus? >>, gli chiesi, pronta per lanciargli una stoccata. Si sarebbe arrabbiato, ne ero certa. Sorrisi al pensiero. << È palese che Alycia non sappia nulla delle tue strategie di gara. Non le interessa. Quindi, mi chiedo: di cosa hai paura? Che una donna possa soffiarti la ragazza? >>, lo provocai
Marcus divenne paonazzo. Il rossore gli salì dal collo fino alle guance. Gli sorrisi, accelerando il passo e posizionandomi in griglia.
La solita ragazza bionda venne al centro della pista. Stessi pantaloncini di jeans scosciati, stessi stivaloni di pelle marrone e stessa camicetta annodata sotto al seno. Si, il copione era davvero sempre uguale.
Girai il viso di lato: al mio fianco c'era Marcus, l'immancabile tuta verde indosso. Anche lui mi fissò a lungo, sgasando e facendo ruggire la sua moto. Doveva essere davvero arrabbiato.
Di nuovo, come la prima volta, incrociai lo sguardo con una figura familiare. Veniva sempre più spesso alle gare e la ruga tra le sue sopracciglia si faceva sempre più marcata. Ma non potei guardarla a lungo: la starter abbassò le braccia, e partimmo.
Fu subito chiaro come la gara non fosse tra me e gli altri concorrenti, ma tra me e Marcus. Non avevamo percorso nemmeno cento metri e già mi si era messo davanti, totalmente incurante di chi ci passava accanto superandoci. Buttarmi a destra o a sinistra non aiutava. Mi tagliava la strada in ogni caso.
Gli alberi ci sfrecciavano a pochi centimetri dalla pelle. Superammo la biforcazione del primo tratto di tracciato, salimmo sul ponte che permetteva di superare la strada urbana, e discendemmo in un corridoio sotterraneo. Ma niente. Rimaneva davanti col preciso obiettivo di non concedermi nemmeno un briciolo di spazio.
Che bastardo

Ormai mancava pochissimo al traguardo. Dovevamo superare solo un altro ostacolo: una grande strada che si avvolgeva su sé stessa come una serpe che si morde la coda, creando un cerchio perfetto. Li, forse, avrei potuto sorpassare Marcus passando all'interno della sua traiettoria.
Entrammo in curva. Mi piegai, dando gas e accelerando. La moto non era stabile, non era nulla in confronto a una da corsa. Sperai reggesse.
E invece uno scossone mi sorprese, ma non era stata lei a tradirmi. Marcus aveva dato un calcio alla fiancata! E piegata con un angolo simile fu maledettamente facile perdere il controllo. Sbandai.
Dio no
, ma l'asfalto si avvicinava.
L'impatto fu devastante.
Sentii il tessuto dei vestiti strapparsi, i sassolini infilarmisi nella carne. La testa sbattere contro il duro cemento.
Rimasi intontita al suolo, la testa annebbiata. Nemmeno il suono delle moto che mi sfrecciavano al fianco riusciva a penetrare il fitto muro d'ovatta. I limiti del campo visivo erano sfocati, quasi neri. Il cuore mi batteva all'impazzata, in un misto di adrenalina e spavento. E mi veniva da vomitare, dio se mi veniva da vomitare.
Il cielo pieno di stelle venne invaso da due enormi punti verdi.
<< Eliza, stai bene? >>.
Accennai un sorrisino al sentire quella voce inconfondibile. Brutta mossa: << Mi viene da vomitare >>, mugugnai.
<< Respira profondamente con la bocca >>, suggerì una voce. Lindsay.
<< Dobbiamo chiamare un'ambulanza >>.
<< Niente ambulanze >>.
<< Ma potrebbe avere qualcosa di rotto! >>.
<< Lasciamola a terra. Vediamo se riesce ad alzarsi da sola. Se no, siete sole. Libere di chiamare chi volete >>.
<< Alycia, se parla e si lamenta sta bene, fidati >>.
<< Continuo a pensare che ci voglia un medico. Possibile che organizziate qualcosa di così pericoloso senza avere nessuno che sappia intervenire?! >>.
Quella discussione stava diventando una cacofonia insopportabile alle mie orecchie. Si sommava al fischio che producevano i timpani e mi stordiva. Ero così confusa da non riconoscere la maggior parte di quelle voci. Alla fine divennero sempre più ovattate: probabilmente stavano discutendo poco più lontano.
Non so quanto rimasi a terra, ma piano piano la mente si schiarì almeno un po'.
<< Ehi, principessa >>. Il viso di Alycia, storto, spuntò nel mio campo visivo. Doveva essere rimasta seduta vicino alla mia testa per tutto quel tempo. << Che dici, te la senti di provare ad alzarti? >>.
Nonostante il braccio fosse tanto pesante da farmi pensare che si fosse fuso con il cemento, tentai di alzarlo per farle capire che si, ci volevo provare.
Alycia mi afferrò la mano e, tenendomi una mano sulla schiena per sorreggermi, mi aiutò a mettermi in piedi. Al suo tocco il mio corpo rabbrividiva spontaneamente.
<< Contenti? Si è alzata da sola. Il vostro business è al sicuro >>, esclamò sprezzante lei, rivolgendosi al capannello che si era formato e che stava evidentemente discutendo sul da farsi.
Da quella massa si staccò Lindsay, che accorse nella nostra direzione. Scivolò sotto al mio braccio, prendendo su di lei tutto il peso di una persona instabile sulle gambe.
<< Così capiranno che ci conosciamo >>, le dissi preoccupata, con la voce ancora attutita dal casco.
<< Ah, ma se il mio capo muore, io non avrò più un lavoro >>. I suoi tratti latini si sciolsero in un sorriso, e mi fece l'occhiolino.
Ma chi era quella ragazza? Io non la conoscevo. Possibile si fosse davvero preoccupata per me, addirittura due volte in un giorno solo?
<< Non ti preoccupare, il tuo... >>, stavo ancora parlando quando uno scoppio di urla attirò l'attenzione di tutti.
<< Ti dovrei dire bravo? Darti un bacio? Sei davvero meschino! >>. Alycia camminava a grandi passi verso l'uscita, già sul prato, poco avanti a noi. Dietro di lei la seguiva tuta-verde, che doveva averla raggiunta poco prima.
<< E dai, piccola, non è successo niente! >>, disse Marcus, con il tono spazientito.
Alycia si girò verso di lui in un vortice di capelli scuri. Sembrava una leonessa bruna dalla furia che le leggevo negli occhi.
Gli puntò il dito al petto.
<< Avrebbe potuto. Ti piace vincere così? È proprio da gran pilota quel che hai fatto! >>.
Mi stava forse difendendo?
<< Ah, sei una vipera! Ora è tua amica eh? Non basta la tua disapprovazione per il mio modo di guadagnarmi da vivere, ora devi pure allearti con i miei avversari? >>.
<< Non c'entra l'alleanza. È questione di vita o di morte: sembra che non te ne renda conto! >>. La discussione prendeva toni sempre più accesi.
Anche Lindsay seguiva quella che si stava rapidamente trasformando in lite: << È davvero incazzata>>, di limitò a sussurrare, sbalordita.
Ero del tutto sicura che anche la maggior parte del pubblico, una volta finita la gara e decretato il vincitore, stesse seguendo con grande attenzione quello spettacolo da soap opera. Guai in paradiso? Non potei fare a meno di sorridere dentro di me.
Ma poi qualcuno urlò: << La polizia! >>.
Ed esplose il caos.

<< È stato... intenso>>.
Eravamo entrambe in macchina, Alycia ed io. Fissavamo davanti a noi, le espressioni ancora allucinate dalla folle fuga attraverso il parco. Lindsay mi aveva caricata di peso su quell'auto ed eravamo partite sgommando. Lei però era sparita. Le avevo mandato un messaggio ma non aveva ancora risposto. Sperai che stesse bene.
<< Già >>, si limitò a dire. Pareva anche lei abbastanza sconvolta.
<< Qui devi girare a sinistra. Siamo quasi arrivate. Ecco, parcheggia pure qui >>. Eravamo arrivati davanti al mio caro e vecchio palazzo: un grosso mostro scrostato e ammuffito. Ma almeno non colava acqua dal soffitto.
Non so se fosse stata la botta a farmi impazzire o se pazza lo ero sempre stata, ma mi avvicinai ad Alycia, sporgendomi sul posto di guida, pronta per schioccarle un bacio sulla guancia come ringraziamento.
<< Che fai? >>.
Mi si congelò il sangue nelle vene
. Possibile che fossi così stupida? Era proprio da masochisti...
<< Beh, io... io volevo solo... >>, balbettai.
<< Io ti accompagno in casa. Dopo la caduta che hai fatto non ti lascio certo da sola >>.
Spalancai gli occhi, presa totalmente in contropiede.
<< Ma non c'è bisogno, davvero >>, tentai. << Sono caduta altre volte e... >>.
Si girò a guardami negli occhi: << Eliza >>, disse seria. << Sono irremovibile. Qualcuno deve stare con te. Non mi perdonerei se stessi male e fossi da sola >>.
Non mi diede nemmeno il tempo di obiettare. Era già alla mia portiera, per sorreggermi mentre facevamo i pochi passi verso il portone. Contro il suo fianco, il mio corpo formicolava. E dividere il minuscolo spazio dell'ascensore scassato non era molto meglio: il suo profumo di fiori saturava l'aria e mi avvolgeva, dandomi alla testa.
<< Sicura che lo fai solo perché sto male? >>, le chiesi, caricando la frase di malizia. Ma sotto sotto ero seria. Volevo sapere la verità: ero sicura di non sentire quel fuoco solo io. Peccavo di arroganza? Probabilmente.
Ignorò la mia domanda: << Dimmi quale pulsante devo schiacciare >>.
Non era né una conferma né una smentita, dopotutto. Sorrisi sorniona.
Salimmo e salimmo, fino quasi all'ultimo piano.
<<4b. È il mio >>, annunciai. Era la prima volta che qualcuno entrava nel mio appartamento da quando ci abitavo.
Tutto lì era imbarazzante: dalla luce al neon del pianerottolo -che ronzava come se al posto del gas avessero messo le api-, alle grosse macchie di muffa lattiginosa negli angoli delle pareti. Ma Alycia non parve nemmeno farci caso. Vederla lì, in casa mia... faceva un effetto così strano. Lei sempre elegante e curata in un ambiente trasandato come quello. Se avessi saputo d'avere ospiti avrei almeno dato una sistemata.
<< Okay, allora... Credo sia il caso che ti cambi e ti stenda. Devi dormire. Domani avrai dolori a non finire >>, disse, per carcare di organizzarci al meglio.
<< Mh... che prospettiva allettante... >>.
<< Ora non ci pensare. Hai qualche medicinale che possa essere utile? >>.
<< Di la, in bagno >>, le indicai ed Alycia vi sparì dentro.
I dolori già si stavano facendo più acuti. I muscoli erano totalmente indolenziti.
Quando tornò, con le braccia cariche di pomate e bende, mi trovò in una posizione a dir poco imbarazzante: avevo tolto, con non poca fatica, stivali e pantaloni, ma con la maglia non c'era proprio verso, le mie braccia si rifiutavano di concludere il movimento.
Così ero rimasta incastrata, la testa piegata nel tessuto e la maglietta mezza su e mezza giù.
Non mi sfuggì il risolino di Alycia.
<< Mi trovi divertente?>>, le chiesi, mettendo su un broncio che lei proprio non poteva vedere.
<< Tu sei sempre divertente >>, soffiò.
La sua voce si era fatta più vicina. Troppo.
Sentii le sue mani gelide contro la pelle ed esplosi in una sinfonia di brividi. Mi afferrò i lembi della maglietta, tirandola su e aiutandomi a liberarmi, accarezzandomi il ventre, i fianchi, le spalle in quel movimento.
Libera, mi trovai davanti quegli occhi profondi come una foresta vergine. Ed ero nuda.
Con grande sorpresa afferrai il suo sguardo che cadeva giù, in basso. Qualcosa che ti piace, Alycia? Arrossì come una bambina.
Io ancora la fissavo e la tensione era così forte che avrebbe potuto creare elettricità.
Era così vicina... le sue labbra tumide parevano aver scritto sopra il mio nome. Ma non potevo prendere la decisione per lei. Mi limitai a fissarla, in attesa di una sua mossa.
Hey Michael, hear what I said, I'm tired of lookin' at the back of your head...

Le note attutite di una suoneria invasero il silenzio intorno a noi, spezzando quella bolla dorata.
Alycia afferrò il cellulare dalla borsa per controllare chi fosse lo scocciatore.
<< Scusa, è Marcus. Devo rispondere >>. E chi altri poteva essere...
<< Certo. Fai con comodo >>.
Alycia sparì dietro l'armadio che fungeva da separé tra zona notte e cucina, aprì una finestra, e si mise a parlare.
<< Si, sto bene... Davvero... No, sono contenta che non ti sia successo nulla... >>.
Rispuntò qualche minuto dopo. Io mi ero già preparata per la notte. Il sapore fresco del dentifricio in bocca e il tocco morbido del tessuto della maglia che indossavo per dormire -e che avevo infilato con trucchi da circo, peggio di un prestigiatore- mi rinfrancavano sempre.
Alycia mi spalmò creme su creme, su ogni singolo livido. Mi mise cerotti a non finire, e mi bendò da capo a piedi. Non tralasciò nulla, agendo con mani esperte. Pareva averlo fatto mille e mille volte.
Evitò sempre di guardarmi.
Una volta finito mi intimò di mettermi sotto le coperte.
La guardai esitante mentre sistemava tutto ciò che aveva utilizzato nella scatola, indecisa se proporle ciò che mi era venuto in mente.
<< Senti Alycia... Se vuoi c'è spazio qui, nel letto >>. Lei spalancò gli occhi, raddrizzandosi di scatto.
<< È una proposta da amica, davvero >>, mi affrettai a spiegare, ed ero sincera. << Mi hai già aiutato tanto. L'unica cosa che posso offrirti è un materasso >>.
Il suo sguardo si addolcì immediatamente. << Non ti preoccupare. Sto in piedi ancora un po', mi va un the. Ne vuoi una tazza? >>
<< Volentieri >>. Avrebbe trovato l'unica scatola di the, quella che tenevo “perché-non-si-sa-mai”, per qualche ospite mai arrivato.
Aspettavo una tazza di the, avevo una donna che mi faceva stringere lo stomaco al solo guardarla in casa, eppure non riuscii a resistere.
Nonostante tutta la buona volontà che ci misi, il sonno mi vinse. Quando Alycia tornò in camera, due tazze fumanti in mano, mi trovò già abbandonata al mondo dei sogni.

Un raggio di sole sfuggito alle tende mi colpì in pieno viso.
No, non mi va di alzarmi...
Le coperte erano così calde e soffici...
Ma anche la sveglia si mise a squillare, proprio in quel momento. Ed era maledettamente lontana dal letto -messa lì apposta, in realtà. Per evitare che la mia pigrizia prevalesse su tutto.
Con uno sbuffo stizzito feci per allungarmi a spegnerla quando una fitta in mezzo alle spalle spezzò la nebbia del sonno. Ricordai di essere caduta, ricordai la retata, e ricordai che una donna dannatamente sensuale era ancora lì, in casa mia.
Mi girai per guardare l'altra parte del letto ma la trovai intatta. La poltrona davanti a me, invece, portava chiari segni di qualcuno che vi aveva dormito sopra. C'era un cuscino tutto stropicciato e la mia coperta rossa gettata su uno dei braccioli. Che testona, mi ritrovai a pensare. Ora i dolori doveva averli pure lei.
Dalla cucina provenne un rumore di acciaio tintinnante. Subito dopo comparve lei, con addosso i vestiti del giorno prima e un paio di occhiaie del tutto nuove.
<< Non ho trovato niente di vagamente somigliante ad un vassoio >>, disse indicando il piatto che aveva tra le mani. << Ma ho pensato di portarti la colazione a letto. Immagino avrai dolori >>
<< Ovunque. Grazie mille Alycia, non avresti dovuto >>.
<< Non ho fatto molto. Ti ho preparato un caffè visto che le due bustine striminzite che ho trovato mi hanno suggerito che non sei una grande estimatrice del the >>.
<< Beccata >>
<< E ho rimediato qualche merendina confezionata. Anche con le mie scarse doti culinarie posso dirti che il tuo frigorifero fa pena >>.
Le feci la linguaccia.
<< Come giustificazione ti dico che venivo sempre a mangiare al diner >>, le dissi affondando i denti in una brioche piena di burro. Poteva occludermi le arterie, farmi schizzare il colesterolo alle stelle, ma era la merendina più buona del mondo, di questo ero certa.
Alycia sparì di nuovo dietro l'armadio, lasciandomi a bere il caffè in solitudine. << In bagno c'è una scatoletta i antidolorifici. Ti conviene prendere una pillola o due >>, mi gridò dalla cucina.
Una pillola o due... sempre se ci arrivo, al bagno.

Quando tornai, trovai Alycia con le mani immerse nella schiuma del lavandino. Probabilmente stava lavando caffettiera e pentolino quando aveva trovato qualcosa di molto interessante da guardare fuori. Sperai non fossero i due pazzi che ci davano dentro giornalmente davanti a tutti.
Mi avvicinai da dietro per spiare da sopra la sua spalla, attraverso la finestra posta proprio sopra il lavabo. Trasalì quando sentii le mie mani appoggiarsi ai suoi fianchi.
La mia scusa? L’equilibrio precario per sporgermi a guardare, ma la verità era che il suo tocco non mi bastava mai.
Nel palazzo di fronte, un piano sotto a noi, una famigliola stava attorno ad un tavolo per la colazione. Il marito in giacca e cravatta che divorava il pasto, la moglie che cercava di far aprire le labbra al neonato solleticandogliele con le dita e un ragazzino assonnato che infilava i cereali in bocca svogliatamente.
<< Penseranno che li spii in casa loro. E che sei inquietante >>.
<< Hai ragione >>, si limitò a dire. Ma il suo tono era freddo come il marmo. C'era qualcosa che non andava?
Calò il silenzio, interrotto solo dalla spugna che passava velocemente sulle stoviglie.
Quel gelo cominciava a farsi pesante, così dissi la prima cosa che mi venisse in mente mentre andavo a prendere una sedia: << Non pensavo ti avrei rivista così presto >>, le confessai.
<< Perché? >>.
Perché quello sguardo... ti vergogni forse di me? Ho pensato di essere solo un gioco, uno di quelli imbarazzanti, che nascondi quando vicino ci sono le persone per te importanti.

Tacqui e censurai: << Sembri felice con il tuo ragazzo >>, mi limitai a dire, ricordando la risata di quel giorno. Quello che ha cercato di uccidermi meno di 10 ore fa.
Ma Alycia non era stupida. Capì al volo. << Per il fiore? >>
<< Si >>. Dopotutto, si poteva riassumere tutto in quel delicato oggetto.
<< È solo che è molto geloso. Non volevo metterti nei guai >>.
<< Tanto geloso da creare problemi per un fiorellino? >>
<< Lo sappiamo bene entrambe che non è solo un fiorellino >>, mi mancò un battito.
Le carte erano state scoperte. Quella era la conferma che aspettavo -lei sapeva, aveva capito-, ma ora, una volta avuta, non sapevo bene cosa farmene.
<< Ha i suoi difetti, ma non è cattivo >>, continuò, << Mi ha aiutato moltissimo quando mio padre... >>. La sua voce si spezzò come legno secco. C'era qualcosa sotto.
<< Tuo padre cosa? >>, indagai.
Alycia piantò i suoi occhi nei miei. Cercai di farle capire che di me si poteva fidare: volevo solo che stesse bene. Alla fine sospirò ed iniziò quel breve racconto.
<< ...quando mio padre è stato arrestato per truffa. Aveva il vizio del gioco, scommetteva sulle corse clandestine. Nessuno in famiglia lo sapeva. Poi è sparito. L'abbiamo cercato a lungo, fino a quando un ufficiale giudiziario non è piombato in casa nostra con un'istanza di pignoramento. A quanto pare mio padre era stato sbattuto dentro per giri di soldi non del tutto legali. Si finanziava le scommesse. Mia madre ha cominciato a smettere di mangiare. Alla fine si è chiusa in camera. Era nata in una famiglia povera, aveva lavorato sodo per ottenere tutto ciò che aveva ed ora le veniva sottratto. E suo marito l’aveva ingannata. L'abbiamo trovata morta in bagno, qualche mese dopo. L'unica cosa che mi rimane di lei è questa collana, ma non è abbastanza >>. Si infilò la mano nella camicetta e ne estrasse una collana: un sottilissimo filo e un cuore a metà. Aveva parlato atona, con il maggior distacco possibile. Ma sotto la superficie di quel lago ghiacciato si agitava un mare in tempesta.
Non servivano parole. Solo, mi avvicinai a lei, intrecciando la mia mano nella sua e portandomela alle labbra. La vidi trattenere le lacrime.
<< Ora però devo andare. Ho un turno che inizia tra pochissimo >>. Sciolsi le nostre mani a malincuore e probabilmente lesse la delusione nei miei occhi perché mi sorrise e disse: << Ti aspetto alla tavola calda. Lunedì ho il turno della mattina, martedì il pomeriggio, mercoledì faccio la notte >>.
Feci una faccia saccente. << Lo so >>.
<< Lo sai? >>.
<< Potrei aver preso in prestito il foglio dei turni >>, confessai.
<< Ah, ecco dove era finito! Non ti hanno proprio insegnato le buone maniere, Eliza! >> disse ridendo.
Poi si asciugò le mani e prese il copri spalle.
<< Vado >> annunciò. Mi si avvicinò, più di quanto fosse lecito a quel punto e mi lasciò un'impronta incandescente sulla guancia. Poi sparì come era solita fare.
Ma ora avevo una traccia ben precisa su dove stanarla, anche solo per esserle amica.
Intanto la pelle tirava e si arrossava dove le sue labbra si erano posate.




Nella foresta del Panda
 

Ecco di nuovo qui. Devo dire che mi sono divertita a scrivere questo capitolo.
Cominciano a delinearsi le dinamiche tra i personaggi: Lindsay inizia ad ammorbidirsi -ma non sarà mai una tenerona!-, Marcus mostra un bel po' di cattiveria -ma non è fatto solo di quella-, e mentre Eliza è disposta a fare un passo indietro, Alycia sembra non essere del tutto indifferente alla nostra biondina e sfodera addirittura le unghie, dimostrando di non essere solo un bel visino.
Negli avvertimenti inserirò "AU", perchè ho iniziato a scrivere questa ff prima che _Ackerman_ mi spiegasse bene tutti gli universi collegati a The100, ed ero ancora un po' confusa. Quindi grazie per aver avuto pazienza Ackie! E ovviamente ringrazio chi ha dato un po' del suo tempo per recensire -ripeto spesso questa frase, ma credo che sia uno "sforzo" e come tale va riconosciuto!

(La canzone della suoneria di Alycia è "Motorcycle Michael", di Jo Ann Campbell, del 1961)  
 
Blu Panda
 
  
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