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Autore: BrokebackGotUsGood    17/07/2016    4 recensioni
Per Sherlock l'amore non è altro che uno svantaggio pericoloso. Riuscirà John a fargli ammettere di essersi...beh, sì, sbagliato?
«Credo di star attraversando una...u-una crisi d' identità, ecco».
[...]
«Di identità sessuale?»
«Per l'amor del cielo, non pronunci quella parola!!».

[Johnlock]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo due ere glaciali e un triassico, ecco il nuovo ed ultimo capitolo! (Scusatemi davvero, ma ho avuto un blocco terribile). Vi avverto che molti di voi potrebbero trovarlo alquanto sdolcinato, ma...ecco, dovete capire che io non so scrivere una storia senza almeno un capitolo di questo genere :c Spero possiate perdonarmi e che lo troviate comunque apprezzabile :c
Detto questo volevo subito passare ai ringraziamenti, perché mi sento decisamente in dovere di farli.
Come ho già detto in precedenza, questa storia è nata come un semplice esperimento, non avevo in mente una trama ben precisa e ho letteralmente improvvisato in ogni singolo capitolo, cercando almeno di collegare gli eventi tra di loro alla bell'e meglio (in effetti non ha una trama vera e propria. Se qualcuno mi chiedesse di riassumerla non saprei da dove cominciare); di certo non mi aspettavo così tanto entusiasmo da parte vostra e, ragazze, sul serio, le vostre recensioni sono semplicemente SPETTACOLARI, mi avete sbalordito a dir poco. Vi adoro :')
Perciò grazie mille a Koa__, CreepyDoll, emerenziano, Hotaru_Tomoe, Fox writer, Bluemoon97 e Wight_yiang per aver commentato (e naturalmente grazie a coloro che eventualmente commenteranno in futuro) e per avermi invogliata a continuare. Siete fantastiche <3
Grazie anche a tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle ricordate e alle seguite e, last but not least, a coloro che hanno letto in silenzio, soprattutto due ragazzuole di nome Valeria e Simona ;).
Per chi segue anche la mia nuova storia, ci sentiamo lì! E un bacio a tutti gli altri :*
A presto <3
Melissa



 

Capitolo V




 

«Ed è allora che ho deciso di venire qui».
Accavallò le gambe e intrecciò le mani sul ginocchio, incontrando lo sguardo comprensivo di Ella.
«È normale che non sappia come comportarsi», disse gentilmente la terapista, la penna che tamburellava sul blocco degli appunti, a cui John ogni tanto non poteva fare a meno di dare una sbirciata. «È una situazione totalmente nuova per lei»
«Nuova e spaventosa, direi»
«Perché la spaventa?».
La domanda era più o meno la stessa che gli era stata posta all'inizio della seduta, ma, nonostante avesse scavato in se stesso per quasi un'ora, ancora non sapeva darle una risposta precisa.
Sin dal primo istante in cui aveva capito di provare qualcosa per Sherlock (e in quell'insignificante ''qualcosa'' erano racchiuse tutte le volte in cui gli era bastata la mera presenza del detective per sentirsi a casa in qualunque posto si trovassero, o tutte le volte che per stare bene gli era bastato veder nascere sulle sue labbra uno di quei rari sorrisi sinceri) la paura aveva fatto da padrona su tutte le sue emozioni; non era la paura di essere attratto da un altro uomo, questo ormai lo aveva capito, e non si trattava nemmeno del timore causato dal pensiero di non aver mai provato niente di così forte in tutta la sua vita.
Fu quando ripensò a ciò che Mycroft gli aveva rivelato al Diogenes che finalmente capì.
Sherlock era innamorato di lui, ma per Sherlock l'amore altro non era che "uno svantaggio pericoloso": aveva cercato persino di trovarvi un rimedio, santo cielo.
Non voleva essere innamorato.
John aveva paura che se un giorno avesse voluto andare fino in fondo al loro legame, aggiungere un gradino in più alla loro vita di sempre, costruire un futuro insieme, Sherlock si sarebbe tirato indietro con un freddo "no, grazie", lasciandolo da solo a raccogliere i pezzi del suo cuore, distrutto, deluso e amareggiato come il giorno in cui era tornato in Inghilterra dopo essere stato congedato dall'esercito.
«John» lo incoraggiò Ella, come faceva spesso quando il suo paziente si perdeva nei suoi pensieri (Sherlock lo avrebbe trovato fisicamente fastidioso).
«Mi spaventa perché...Non sono sicuro che lui voglia quello che voglio io» disse titubante, abbassando lo sguardo sul tappeto.
Dirlo ad alta voce rendeva tutto dannatamente più reale e, malgrado si fosse imposto di mantenere il controllo, non riuscì a fermare il groppo che gli si formò in gola, minacciando di portare con sé lacrime pungenti.
Ciò che gli chiese la donna qualche secondo di silenzio più tardi fu totalmente inaspettato.
«Lei lo ama?».
Il dottore riportò l'attenzione su di lei, sbattendo le palpebre con stupore e sentendo il battito accelerare.
"Per l'amor di Dio, un momento fa hai pensato all'eventualità di progettare un futuro insieme a lui e stavi per metterti a frignare come un bambino! Prova a dare un altro nome a ciò che ogni singola parte di te ti sta urlando a squarciagola e giuro che la prossima pallottola non sarà così gentile da centrarti solo la spalla".
Vivere nell'illusione che i suoi sentimenti potessero ancora essere incatenati sul fondo di un pozzo, che ci fosse ancora tempo per rimediare, non avrebbe di certo migliorato le cose, e John era stanco di mentire a se stesso.
Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, inumidendosi le labbra.
«Sì» rispose in un sussurro.
«Allora dovrebbe fare almeno un tentativo, sa? Le cose potrebbero andare meglio di quanto immagina»
«E se non dovesse andare così?»
«Beh, non lo saprà mai, se non ci prova».
Dio, quanto aveva ragione.
Se doveva essere sincero, la terapia non gli era mai stata di grande utilità nel corso di quei due anni: sì, gli aveva impedito di tenersi dentro ciò che invece necessitava disperatamente di essere detto e questa era una cosa buona, molto buona, ma non poteva di certo dire che Ella fosse una preziosa dispensatrice di consigli salvavita; forse invece quel giorno, per la prima volta, gli aveva dato la giusta spinta che gli avrebbe permesso di cambiare per sempre la sua esistenza (ancora da vedere se in meglio o in peggio).
Ma sì, in fondo cosa aveva da perdere? Avrebbe imparato a convivere con il sapore amaro del rifuto piuttosto che affogare nel rimpianto.
Poteva ancora avere una possibilità.
Loro potevano avere una possibilità.
Un nuovo barlume di speranza si fece strada sul suo volto sottoforma di sorriso; poi, notando che il tempo era scaduto, si alzò dalla sedia rivestita in pelle e strinse energicamente la mano alla terapista.
«La ringrazio molto»
«Grazie a lei, John, buona fortuna. A presto».
John si fermò sulla porta dello studio. «No, spero di no. Perché se mi vedrà qui presto, sarà un cattivo segno».



 

Quando tornò al 221B udì le note di un violino giungere da sopra le scale e propagarsi per l'intero edificio: era una melodia dolce e malinconica, che parlava di emozioni celate e gridava il desiderio di liberarle,  implorava di essere ascoltata, in certi punti sembrava quasi chiedere aiuto.
Impiegò qualche istante per riconoscerla: era lo stesso pezzo che Sherlock gli aveva fatto ascoltare la sera del compleanno di Greg.
Probabilmente preso dal nervosismo per ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, decise di non salire subito e, anzi, si prese del tempo per godersi quella bellissima musica fino alla fine, chiudendo gli occhi e sospirando. Sperava che Sherlock avesse allungato il brano almeno di qualche pagina...
"Andiamo, eri un soldato, tira fuori le palle e smettila di cercare scuse per rimandare il fatidico momento dell'attacco".
Oddio, messa così sembrava che dovesse aggredire il suo coinquilino, mentre la sua massima priorità era essere il più cauto possibile per non spaventarlo.
Quasi come a volerlo punire per la sua mancanza di coraggio, le note, come la prima volta che erano giunte alle sue orecchie, cessarono di aleggiare nell'aria molto prima di quanto avesse sperato e quando si ritrovò immerso nel silenzio cominciò a salire i diciassette gradini scricchiolanti, ma prima che potesse arrivare a metà rampa sentì qualcun altro farli scricchiolare dietro di lui.
Si voltò con sguardo curioso, incontrando quello sorpreso della signora Hudson. «Oh, salve» salutò con un sorriso, che però svanì quando vide la preoccupazione sul volto gentile della padrona di casa.
«John, caro, finalmente è tornato!»
«È successo qualcosa?»
«È proprio quello che volevo chiederle. Da quando lei è uscito Sherlock non ha fatto altro che suonare il violino, sparare al mio povero bel muro e causare piccole esplosioni con uno dei suoi esperimenti. Non ha nemmeno voluto il té... È di nuovo annoiato, forse?».
John sbatté le palpebre e aprì la bocca per formulare una risposta, ritrovandosi invece a guardarla in silenzio con un'espressione da ebete.
Poco prima di uscire per recarsi da Ella aveva sentito Sherlock parlare al telefono con Lestrade riguardo ad un caso i cui dettagli gli erano ignoti, ma che sembrava essere abbastanza interessante, perciò non credeva che la noia fosse la causa del comportamento del suo coinquilino.
«O forse é successo qualcosa tra voi due?» tentò la signora, e a quelle parole John cominciò a sentirsi a disagio: se fino a quel momento Sherlock aveva passato il tempo a pensare a ciò che era successo tra loro due, il violino e soprattutto gli spari (non credeva che le esplosioni fossero di particolare rilevanza) indicavano che quel pensiero non gli era esattamente gradito, proprio come la noia.
Perfetto, quello era un ottimo inizio.
Sospirò rumorosamente e si prese il ponte del naso tra il pollice e l'indice, scuotendo la testa.
«Sì, in effetti è così» si ritrovò a rispondere, troppo stanco persino per mentire alla signora Hudson.
«Non vorrei impicciarmi nei vostri affari, ma...»
«L'ho baciato» la interruppe di getto, avendo ormai capito che girarci intorno non sarebbe servito a nulla, perché, qualunque cosa fosse accaduta (sia che il giorno dopo avesse avuto un enorme sorriso stampato in faccia in caso fosse filato tutto liscio, sia che fosse stato il ritratto della tristezza in caso contrario) avrebbe dovuto comunque darle delle spiegazioni. 
«Come?!» 
«I-io l'ho...baciato».
L'anziana donna, dopo il primo istante di stupore, unì le mani con un sonoro "clap!", emettendo un verso gioioso.
«Oh, ma che cosa meravigliosa! Era ora che si decidesse!»
«Sì, ma vede, è un po' complic...Aspetti, cosa?»
«Oh, John, me lo aspettavo da parecchio, sa? Tra voi due c'è sempre stato quel qualcosa che vi rendeva più legati di quanto non abbiate mai voluto ammettere. Era palese»
Dio, non ci poteva credere.
Non solo Ella gli aveva già fatto notare con franchezza di essere sempre stato palese, ora la signora Hudson gliene aveva anche dato la conferma. 
Non poté fare a meno di paragonare la situazione ad uno dei casi su cui lavoravano lui e Sherlock: molto spesso il detective non si degnava nemmeno di spiegargli con quale contorto ragionamento fosse arrivato a certe conclusioni, perché, naturalmente, dava sempre per scontato che anche lui ci potesse arrivare.
La signora, vedendo l'incredulità sul suo viso, sorrise sorniona e gli mise una mano sulla spalla, facendo poi un cenno con la testa verso la porta del loro appartamento.
«Coraggio, vada e faccia ciò che deve fare» lo incoraggiò dolcemente.
Il medico deglutì incerto. «Come fa ad essere sicura che lui voglia...sì, insomma...impegnarsi?»
«Oh, non sia sciocco!». Ed era anche la seconda volta che qualcuno gli dava dell'idiota per aver dubitato dei sentimenti di Sherlock (anche se la signora Hudson aveva usato un termine più gentile). «Prima d'ora non ho mai avuto occasione di vedere quel giovanotto acceso da qualcosa di vagamente simile all'amore, ma è più capace di provare sentimenti di tutti noi messi insieme, sa? Per questo è stato così facile capire cosa stava succedendo in quella sua folle testa, nelle ultime settimane: non è bravo a nascondere certe emozioni, perché non vi è abituato».
Lo sguardo di John venne attraversato da un luccichio di curiosità e speranza. «E cos'è che stava... succedendo, nella sua testa?»
«Povero caro. Proprio non riesce a vederlo, vero?» rispose lei con sincera compassione (non sapeva se verso di lui o nei confronti di Sherlock, che si ritrovava come innamorato un tale imbecille).
John si trattenne dal sospirare e sorrise debolmente, inumidendosi le labbra e lanciando una veloce occhiata alla porta che stava aspettando di essere oltrepassata.
«Forse è davvero meglio che vada» disse infine, annuendo all'anziana come cenno sia di ringraziamento che di saluto. «Penso di aver già perso troppo tempo».
La signora Hudson lo salutò, tornando poi nel suo appartamento con quella che sembrava un'aria decisamente più serena, e lui salì gli ultimi gradini, sperando che Sherlock non avesse origliato l'intera conversazione (tra la notevole moltitudine di doni che la  natura aveva generosamente dato  al suo migliore amico vi era, sfortunatamente, un udito incredibilmente sviluppato).
Arrivò in cima alla rampa, spinse piano la porta semiaperta, il fiato inconsciamente trattenuto.
Sherlock era sdraiato sul divano con le mani congiunte sotto il mento e fissava il soffitto senza vederlo davvero, forse non accorgendosi nemmeno della presenza di un'altra persona nella stanza.
John restò a guardarlo senza proferire parola per qualche secondo, cercando di non farsi prendere dall'ansia, e sobbalzò violentemente quando, senza aspettarselo, fu il consulente investigativo a rompere il silenzio.
«Immagino tu voglia parlarne» disse con voce bassa e grave, senza particolari inflessioni.
Il medico deglutì è increspò le labbra, abbassando lo sguardo sul pavimento. «Credo che dovremmo, per quanto possa non piacerti».
Sherlock sì alzò dal divano e si avvicinò a lui con passo lento e felpato, sguardo gelido e tagliente.
«Senti, Sherlock, io...»
«Non cambierà niente, puoi stare tranquillo».
John, la bocca ancora aperta per essere stato interrotto, aggrottò la fronte. «Cosa?»
«Cancellerò quel bacio dalla mia mente, non ti chiederò spiegazioni e andremo avanti come sempre»
«Non è questo che voglio»
«Allora cosa vuoi, John?»
«È ovvio che le cose cambieranno, d'ora in avanti, Sherlock»
«Invece non devono, non possono cambiare!».
La confusione di John si fece più evidente a quell'improvviso e notevole aumento di volume nella voce di Sherlock, il quale cominciò, come suo solito, ad andare avanti e indietro per il salotto, le dita premute sulle tempie.
«Ti vedo in ogni stanza del mio palazzo mentale, impiego ore per risolvere un banale caso di furto con scasso e compongo musica pensando a te, quando invece dovrebbe aiutarmi a fare esattamente il contrario!» sbottò con rabbia, fermandosi poi buscamente per voltarsi verso l'amico. «Volevi sapere che cosa intendevo con "svantaggio pericoloso", no? Beh, ecco cosa!».
John, cercando di non pensare al fatto che Sherlock avesse composto quella melodia per lui, gli si avvicinò e gli afferrò una manica della vestaglia. «Ti ho già detto quello che provo per te, Sherlock, e se tu senti le stesse cose potremmo...»
«Io non sono così, John. Io non provo questo tipo di emozioni»
«Sì, invece» disse John, riducendo la distanza tra di loro a pochi centimetri. «Hai mai preso in considerazione la possibilità che questo non debba essere per forza negativo?».
Il detective si scostò dalla sua presa e si arruffò nervosamente i capelli, emettendo qualcosa di molto simile a un ringhio. «Ne va di mezzo il mio lavoro, John!»
«Non stiamo parlando del tuo stramaledetto lavoro, adesso!» gridò il dottore con voce più stridula di quanto avesse voluto, lasciando prendere per un attimo il sopravvento all'esasperazione.
Le sue paure si stavano avverando.
Non era così che sarebbe dovuta andare.
"Calmati, è solo spaventato, tutto questo è nuovo per lui" cercò di convincersi senza molto successo.
Calò un soffocante velo di silenzio, rotto solo dal suo respiro accelerato, ma cercò di ricomporsi subito dopo, ammorbidendo l'espressione e rendendola quasi supplicante.
«Ti fa tanto orrore l'idea di svegliarti accanto a me ogni mattina, di condividere con me momenti che ci siamo negati per tutto questo tempo, di...di baciarmi ancora?». La voce gli si spezzò a metà frase e dovette prendere un profondo respiro per recuperare le forze. «Senti, io lo so che sei sempre stato orgoglioso e che ti piace essere indipendente da tutto e da tutti, e ti posso assicurare che il fatto che io voglia starti accanto e prendermi cura di te non influirà su questo. Non devi cambiare per me, non è questo che voglio. Io voglio te, te e tutto ciò che ti riguarda. E potrebbe essere bellissimo, sai? Se tu lo volessi, se solo tu volessi provarci, io so che potrebbe diventare qualcosa di meraviglioso».
Sherlock lo guardava con un'espressione indecifrabile, il petto che si alzava e abbassava più velocemente del normale e un leggero tremore lungo tutto il suo corpo.
Il medico indietreggiò di qualche passo. «Ma se tu non lo vuoi, Sherlock, allora non ti chiederò di mettere il lavoro in secondo piano».
Detto questo, si voltò e salì velocemente le scale che portavano alla sua camera da letto.
Si chiuse la porta alle spalle, precipitando nel buio della stanza, le cui tapparelle non erano state alzate da quella mattina.



 

Non si parlarono fino a sera: John se ne stette tutto il tempo (esclusa la cena) al piano di sopra a navigare su internet senza uno scopo preciso, mentre Sherlock rimase di sotto a fare esperimenti in cucina, a vagare per il suo palazzo mentale e, di tanto in tanto, a suonare col violino tutti i brani che conosceva tranne quello che aveva composto pensando a John.
Quest'ultimo era seduto sul letto a gambe incrociate, il computer appoggiato su di esse, il volto illuminato dalla sola luce dello schermo.
Naturalmente i suoi pensieri non erano rivolti minimamente alle pagine web che in un modo o nell'altro si ritrovava ad aprire ("Divorzio tra Ben Affleck e Jennifer Garner", "Ricette facili di piatti italiani", "Il meteo dei prossimi giorni"), bensì alla sua imminente fuga da Baker Street e al suo conseguente ritiro come eremita.
Sì, si sarebbe goduto l'aria limpida di montagna, la pace, la natura incontaminata e la solitudine...soprattutto la solitudine, dal momento che sembrava essere quello il suo destino.
"Oh, ma bravo, dovresti scrivere uno di quei romanzetti strappalacrime, al posto del tuo blog".
Sbuffò rumorosamente, passandosi una mano sui corti capelli biondo cenere e, dopo aver chiuso il computer e averlo posato sul comodino, si lasciò andare a peso morto sul materasso, un braccio lasciato sul suo stomaco e l'altro disteso lungo il fianco.
Restò per un po' a fissare il soffitto con sguardo assente e malinconico, seguendo distrattamente le ombre e le luci che correvano lungo l'intonaco bianco al passaggio delle automobili.
Dio, perché niente andava mai come avrebbe voluto? Sentiva l'irrefrenabile desiderio di correre giù per le scale, afferrare Sherlock per le spalle, scuoterlo e urlargli di lasciarsi andare per una volta nella vita, ma non sarebbe di certo servito a convincerlo.
Chissà, magari, se gli avesse lasciato un po' di tempo per pensarci, avrebbe cambiato idea.
La speranza era l'unica cosa a cui poteva aggrapparsi, a quel punto.
Molti, anzi, praticamente tutti (soprattutto il sergente Donovan) gli avrebbero dato del pazzo scuotendo la testa con disapprovazione, non riuscendo proprio a capire cosa ci trovasse nella persona apparentemente meno adatta ad una relazione sentimentale che potesse esistere, ma John ormai aveva smesso di porsi quella domanda, poiché, da inguaribile romantico quale era, era convinto che l'universo avesse scelto proprio quella persona per completare l'altra metà della sua anima e lui non avrebbe potuto fare assolutamente niente per cambiare le cose.
Passarono minuti, un quarto d'ora, mezz'ora; aveva voglia di una tazza di tè, ma a scendere non ci pensava nemmeno.
Poi, del tutto inaspettatamente, la porta si aprì piano, cigolando leggermente sui cardini e facendo entrare uno spiraglio di luce; John voltò il capo, sorpreso.
La figura alta e slanciata di Sherlock fece timidamente il suo ingresso nella stanza e John si alzò a sedere, guardandolo col cuore che già batteva a mille.
«Sher...».
Non finì nemmeno di pronunciare il suo nome, non lo ritenne necessario.
Rimasero in silenzio a guardarsi nella semioscurità, l'imbarazzo più che percettibile, finché il detective, vulnerabile come il medico non lo aveva mai visto (sembrava davvero un'altra persona), si avvicinò al letto e si sedette sul bordo senza più guardarlo negli occhi.
John non pensò due volte a come agire.
Gli posò una mano sulla nuca, lo tirò verso di sé e lo strinse forte, quasi per assicurarsi che fosse effettivamente lì, affondando il volto nella sua spalla e respirando il suo profumo.
Sherlock nascose il suo, di volto, nell'incavo del collo di John e avvolse le braccia attorno alle sue spalle.
John gli accarezzò dolcemente i capelli, come aveva desiderato fare da tempo immemorabile, poi lo fece sollevare per poter avere il suo viso di fronte al suo; gli accarezzò le guance con i pollici e, non riuscendo più a resistere, catturò le sue labbra in un bacio tenero e casto, stavolta venendo ricambiato senza indugio.
Dio, fu a dir poco paradisiaco poter sentire di nuovo la morbidezza e il calore di quella bocca perfetta, sentirne il sapore delicato, percepirla muoversi languidamente contro la sua.

Ora era tornato tutto al suo posto, ora era tutto perfetto: ogni traccia di paura e tristezza sembrava improvvisamente scomparsa e John si meravigliò di quanto velocemente fosse successo, di come qualche istante prima stesse rimuginando su come sarebbe potuto andare avanti e di come ora, invece, fosse tutto così meraviglioso.
Certo che era strana, la vita.
Beh, specialmente la vita con quel folle genio di Sherlock Holmes. 
Si separarono con un lieve e umido schiocco, che provocò un brivido a entrambi, e per qualche secondo lasciarono che i loro respiri si mescolassero.
Poi John trascinò Sherlock giù con sé, facendolo sdraiare al suo fianco e facendogli appoggiare la testa contro il suo petto.
Ovviamente non era tutto sistemato, sarebbe stato troppo semplice; c'era ancora molto in sospeso, molto di cui parlare, molto da affrontare, ma per il momento John voleva soltanto godersi quella prima volta che stringeva Sherlock tra le braccia in una maniera così meravigliosamente intima.
«Ho dato un titolo alla melodia» disse improvvisamente il detective, lasciando una quasi impercettibile carezza sul petto di John.
«Ah sì?» rispose quest'ultimo, nascondendo il volto tra i suoi soffici riccioli e posando un bacio tra di essi. «E quale?»
«L'ho chiamata "Dannazione, sto ancora pensando a John"».
Il medico, che per qualche motivo si era aspettato che dalle sue labbra uscisse qualcosa di profondo e significativo, rise sommessamente. «Sei terribile, lo sai?».
Anche l'altro si unì brevemente alla  sua risata. «Ma ti piace, non negarlo».
Stettero in silenzio per un po', beandosi l'uno del respiro quieto e del calore dell'altro e lasciandosi sfuggire qualche carezza di tanto in tanto, il petto gonfio di gioia, incredulità e curiosità verso ciò che li avrebbe aspettati da allora in avanti.
John non vedeva l'ora di scoprire dove li avrebbe portati quel sentiero folle, curioso e decisamente interessante che avevano deciso di imboccare insieme.
«John?» chiamò Sherlock in un flebile sussurro, stringendo di più il suo maglione.
«Sì?».
Ci fu qualche secondo di esitazione, ma questa volta, con grande sollievo da parte di entrambi, non era fatta di quel silenzio opprimente che per troppo tempo aveva dominato i momenti di tensione tra loro due.
«Posso restare...?».
John non sapeva per certo se gli stesse chiedendo di poter restare con lui per la notte (cosa che supponeva sarebbe sempre successa, da allora in avanti. Insomma, era logico, no?) o di poter restare nella sua vita; in entrambi i casi la risposta era ovvia, elementare
«Tu devi restare, idiota. D'ora in poi non ti lascerò mai più andare da nessuna parte, sai?».



 

The end

   
 
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