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Autore: zippo    22/04/2009    2 recensioni
Sono passati diversi mesi dalla morte di Dark Threat, Rebecca sta per diventare un angelo bianco e al suo fianco c’è Gabriel. Ma non sempre le cose sono così semplici come appaiono. In un angolo, in un respiro, in una lacrima…il Male è continuamente presente. E se lui non fosse morto? E se ritornasse? Il potere, dopotutto, è piacevole…e per corrompere l’animo innocente di una ragazza bastano poche finte promesse.
Il sequel di: Angelus Dominus - Il Bene -
Il secondo capitolo della saga: ALONE IN THE DARK. 
Genere: Romantico, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 13 - LA BANALITÀ DEL MALE  -

[Oggi potrebbe essere
il giorno più bello delle nostre vite.
Prima che tutto finisca,
prima che il nostro tempo scada
resta vicino a me, resta vicino a me.

Il mondo inizia a tornare in vita
quando tu resti vicino a me]

Take That - Greatest day -



***



Rebecca osservava Bastian che la osservava a sua volta. Erano seduti uno di fronte all’altra e si guardavano come se si vedessero realmente per la prima volta. Bastian tamburellava le dita sopra il tavolo provocando un fastidiosissimo rumore mentre Rebecca vagava con gli occhi per tutta la stanza, nella disperata ricerca di trovare qualcosa di interessante su cui soffermarsi.

Ad un certo punto, ormai stanca di quel silenzio, si schiarì la voce.

“Uhm, sì…ehm, mi avevi chiamata…?”

“Per la missione”

“Sì, già”

Bastian scosse la testa come per riprendersi da uno stato di incoscienza. “Scusa, allora…vediamo…sì, beh, intanto la partenza è domani”

“Domani?!” esclamò la ragazza sgranando gli occhi a dismisura. “Possibile che io venga a saperlo sempre il giorno prima?”

“Sì, partirai domani con un gruppo di uomini, sarete pressappoco una ventina. Come sempre si parte all’alba e il ritrovo è nella piazza del villaggio. Portati dietro il minimo indispensabile, ovviamente più armi che viveri o effetti personali. Il villaggio che dovrai raggiungere…” mise sopra la tavola una vecchia e impolverata cartina geografica. “…dista dal nostro circa un mese di cammino”

Rebecca spalancò anche la bocca. “Un mese per raggiungerlo? E un mese per tornare! Senza contare i giorni che passeremo là. Bastian, è davvero tanto tempo, non sono mai stata così lontana da casa. Sarebbero quasi tre mesi di lontananza! No, è troppo pericoloso”

“Pericoloso per cosa?” chiese meravigliato.

“Se doveste venire attaccati io mi troverei all’altro capo del mondo e non potrei raggiungervi in tempo! È un rischio, Bastian. Non penso che tu debba correrlo, io servo più qui che in altri villaggi. È questo, il villaggio di Chenzo, la più importante offensiva contro il nemico, che io devo proteggere”

“Questa missione è fragile e delicata, solo una persona come te può portarla a termine. Per questo non posso chiamare nessun altro”    

“Ma io posso farcela” gli disse, e i suoi occhi si accesero di una strana luce. “Da sola”

Bastian ricadde sullo schienale della sedia e si passò le mani sulla faccia con un gesto esausto. “No, da sola è ancora più rischioso”

“Ma Bastian, se mi fai partire con un gruppo di uomini mi rallenteranno il passo. Io posso volare e volando ci metterei la metà del tempo. Sono i tuoi soldati ad intralciarmi e io non posso lavorare se vengo ostacolata”

“E anche se fosse? Arrivi là volando da sola e poi come fai a portare qua Salazar? Lo trasporti in braccio mentre voli?”  

“Come? Chi è Salazar?” domandò Rebecca. “Dopo questi discorsi noto che non mi hai ancora spiegato in cosa consiste la mia missione”

“Hai ragione, ora te lo dico. Salazar è un potente stregone che vive nel villaggio di Primo, il primo villaggio che fu costruito a Chenzo. Si dice che questo stregone sia in vita dalla sua costruzione”

“È immortale, quindi. Cos’è? Una creatura del paradiso che ha deciso di scappare sulla terra?” sorrise.

“Non ne ho idea, la sua storia…” Bastian parve misurare le parole. “Sarebbe molto interessante sapere la sua vita, peccato che lui l’abbia tenuta un suo segreto. Comunque questo Salazar dimora a Primo ed è considerato il più potente stregone di tutti i tempi” dopo di me, avrebbe voluto aggiungere Rebecca. “Io voglio che tu lo porta al nostro villaggio, le sue capacità magiche ci saranno d’aiuto”

“In cosa può esserci d’aiuto?”

“Può divinare la mente dei sacerdoti di Atreius. Grazie a lui potremmo capire cosa sta succedendo e cos’ha in mente il tuo fratellastro”

Un vampata di freddo e caldo fece rabbrividire la ragazza. Strinse i pugni sotto il tavolo fino a farsi venire le nocche bianche. Se solo fossero venuti a sapere i piani di Atreius avrebbero anche scoperto ciò che lei stava con cura tenendo nascosto. E doveva impedirlo a tutti i costi, non si sarebbe macchiata di vergogna e di tradimento. Non avrebbe visto sul volto di Gabriel lo sconforto e la delusione.

“Ragion per cui è meglio che vada da sola” pensò la ragazza a voce alta.

Bastian parve improvvisamente stanco di discutere, fissava il vuoto e per un attimo Rebecca credette che stesse dormendo ad occhi aperti. Poi lui parlò. “Non lo so…”

Lei vide un briciolo di speranza farsi sempre più vicino. “Oh, andiamo! Ti fidi di me, no?”

Era una domanda retorica?

Era una battuta sarcastica?

“Sì, ma non è questo il punto…”

Lei lo interruppe. “Allora è perfetto! Parto domani mattina da sola e mi arrangio io a portarti Salazar”

“Come farai a tornare indietro?”

Anche a questo ci aveva già pensato. “Posso usare i miei poteri, ho imparato da poco ad usare il teletrasporto”

“Ma hai imparato a teletrasportare te stessa! Portare un’altra persona con te richiede il doppio della fatica, delle forze e delle energie”

“Appunto, teletrasporterò me e Salazar per brevi tratti e mi riposerò ogni volta per riprendere le forze necessarie ad affrontare il successivo spostamento”

“Se dovessimo procedere così…”

“In un mese sarei di ritorno, al massimo” terminò Rebecca in tutta la sua fierezza e contentezza per essere riuscita a raggirare Bastian.

Ma Bastian scosse la testa, quasi impaurito. “Gabriel mi ucciderà” la verità di quelle parole lo fece tremare.  

“A Gabriel ci penso io, e se solo tira fuori storie è la volta buona che lo attacco ad un pilastro” sbottò la ragazza.

Bastian rise. “Già, eh, sarebbe veramente forte da vedere”

Anche Rebecca sorrise e si alzò dalla sedia. Porse la mano al capo-villaggio e lo aiutò ad alzarsi, dopodichè gli diede un bacio sulla guancia.

“Ce la farò, hai fatto un affare con me”

Bastian la guardò con sarcasmo. “Sì, come no”

Lei si finse offesa ma non potè non ridere. “Guarda che io sono brava!”

“Sì, sì. Dai, và dal tuo ragazzo che ti aspetta fuori” disse spingendola verso la porta d’uscita.    



***



Gabriel era fuori in giardino, in piedi e con le gambe divaricate. Le braccia incrociate al petto e lo sguardo torvo che non smetteva di fissare la porta in legno. Alan se n’era andato. Via con sua madre, concluse lui con acidità.

Non appena vide la porta aprirsi e la figura di Rebecca uscire le andò incontro. Non gli piaceva l’occhiata rassegnata che gli lanciò Bastian, come a dire: “io ci ho provato a farla ragionare ma niente”

“Che succede?” chiese guardando la ragazza.

Rebecca si strinse a lui in un abbraccio ma Gabriel era talmente teso da non riuscire neppure a ricambiare quel gesto. Continuava a vedere nel volto di Bastian quella strana sottomissione.

“Che succede?” ripetè, stavolta indirizzato al capo-villaggio.

Sembrò quasi che Bastian indietreggiasse, prendesse una distanza di sicurezza. Se era timoroso della sua reazione significava che si sarebbe incazzato. E si sarebbe incazzato solo uno era il motivo.

“Rebecca partirà per Primo domani mattina…” vedere la faccia di Gabriel trasformarsi pian piano gli fece perdere per poco la capacità di continuare. “…da sola”

Ecco, l’ho detto, pensò Bastian.

Il petto di Gabriel si gonfiò dallo sforzo di trattenersi. Rebecca, che era appoggiata a lui, sentì i battiti del suo cuore accelerare. Si staccò da lui e incontrò due occhi furiosi.

Gli occhi furiosi di Gabriel si posarono glaciali su Bastian. “Ti dispiace se la porto via un attimo?”

“No” disse con un filo di voce il capo-villaggio e lanciò un’occhiata di riguardo a Rebecca. “Te l’avevo detto” le mormorò a bassa voce.

Gabriel prese Rebecca per il polso e se la trascinò con sé. Continuarono a camminare e lui non faceva altro che tirarla con forza, poi Gabriel si fermò.

Si trovavano in un sentiero secondario, vuoto e nascosto dagli alberi. Gabriel la lasciò andare e mise tra di loro una distanza di almeno tre metri. Poi si voltò verso di lei con il corpo scosso e in fermento. Era scioccato, prima di parlare dovette cercare accuratamente le parole.

“Cosa c’è che non va in te?”

Il cuore di Rebecca prese a martellarle nel petto. “Niente” si difese.

“Non ti ho forse supplicata di stare attenta, di salvarti, di non correre rischi?”

Lei annuì.

“E allora perché questo? Sei impazzita?” disse alzando la voce. “Tu lo sapevi che le missioni così finiscono sempre male? Quando parte una persona soltanto il più delle volte non ritorna! Cosa ti costava andare con il resto della truppa? L’esercito ti avrebbe protetta, sareste stati in di più! Vuoi ogni volta farmi morire di paura?”

“No!” esclamò Rebecca, indignata dalle sue ingiuste accuse.

“E allora perché? Lo sai che mi agito solo saperti lontana in missione. Come pensi che mi sentirò nel saperti da sola in una missione? Da sola! Non sei pronta, dannazione!”

“Mi è parsa la soluzione migliore. Preferivi che stessi via tre mesi?” urlò per sovrastare la sua voce.

“Sì, avrei preferito tre mesi con i soldati che due mesi da sola!”

“Un mese”

“Come?” esclamò.

“Ci metterò un mese, non due”

“Me ne sbatto di quanto ci metti!” urlò e con un pugno fendette l’aria. “Maledizione!” imprecò cominciando a camminare sul posto, incapace di restare fermo.

Rebecca ciondolò sul posto, combattuta tra il buttarsi tra le sue braccia e il rimanere ferma come una statua al suo posto. Aveva fatto la cosa migliore per lei ma non per lui. Non era stupida, era a conoscenza del rischio che correva nell’andare da sola in un posto così lontano e pericoloso. Così vicino al territorio nemico e a suo fratello. Ma d’altronde non poteva neppure permettere a Salazar di svelare i suoi segreti. Qualcosa si sarebbe inventata, qualche soluzione. L’importante era che andasse da sola, senza orecchie indiscrete. Solo lei e il mago.  

“È inutile che ti arrabbi, la mia scelta l’ho già fatta” gli disse e si meravigliò di sé stessa per l’audacia delle sue parole.

Infatti Gabriel si bloccò. I suoi occhi azzurri erano freddi e impenetrabili. Parevano, da quella distanza, di un grigio, di un grigio duro e intenso.

“Sì infatti, con te è inutile che mi arrabbia, fai sempre quello che vuoi. Non t’importa niente degli altri” sibilò con voce graffiante.

Per qualche ragione le sue parole la ferirono. “Non è vero, io ci tengo a te”

“Se davvero ci tenessi a me non saresti contenta del fatto che mi vengano gli infarti ogni volta. Non ti importa di Bastian, non t’importa di questo pianeta né di questo villaggio. Gli amici non ti toccano e…” con falcate minacciose si avvicinò a lei. “…non t’importa niente neanche di me”

La vicinanza di Gabriel le diede le vertigini. Tentò di allontanarlo premendo i suoi palmi aperti sul suo petto ma lui la prese per i gomiti tenendola stretta.

“Smettila, non è vero, lo sai che ti amo”

“Lo so che mi ami, ed è per questo che non capisco le tue decisioni”

“Se mi rispettassi davvero come dici di amarmi allora dovresti avere un po’ più di fiducia” lo sgridò.

“Oh! Siamo in guerra, Rebecca! La fiducia, la fede, la speranza…sono belle parole ma quando combatti, quando vedi donne e bambini morire per strada, quando ogni colpo di spada che scagli spezza una vita…sì, hai capito bene, queste belle parole vanno a quel paese. Conta solo la tua sopravvivenza e quella delle persone che ami. Una macchina di morte non ha tempo per pensare alla speranza”

“Non sono una macchina di morte. E ora lasciami”

Gabriel la lasciò e fece qualche passo indietro.

“Senti, fa come ti pare” disse buttando in aria le braccia, chiaro segno di resa.

Fece per andarsene ma lei si aggrappò alle sue braccia. “No, dove vai?”

Gabriel lesse nei suoi occhi la paura. Si sentì sciogliere sotto il tocco delle sue piccole mani che gli premevano il petto. Sbuffò, irritato.

Lei gli passò le mani tra i capelli biondi. “Non andartene”

Gabriel appoggiò la sua testa fiacca sulla spalla della ragazza e solo i suoi occhi azzurri erano visibili, la schiena di Rebecca copriva il suo naso e la bocca. Sembrava quasi che lui si volesse nascondere tra la figura della ragazza e mostrasse solo gli occhi angosciati. I raggi del sole rendevano le pupille di un azzurro ancora più chiaro, e quegli occhi fissavano con sfida il sole senza rimanerne accecati. Le sue mani, posate sulla schiena di Rebecca, strinsero forte i vestiti.

Sentendo il respiro di Gabriel accelerare Rebecca lo guardò. Lui fissava il sole, o meglio, un punto lontano, impreciso, impalpabile.

Gli accarezzò la guancia. “Che succede?”

“Guardo il sole” rispose con voce inespressiva.

“Davvero?”

“Lo sapevi che il sole per certi popoli è fonte di vita? Sono gelosi, del loro sole. Traggono dai suoi raggi calore, conforto, amore. Esso diviene quasi un tesoro, come una cassa contenente degli oggetti inestimabili e ben racchiusa in un museo”

“E quando arriva la sera?”

“Quando arriva la sera e il sole sparisce si sentono derubati del loro più grande amore”

“Oh, Gabriel…tu stai guardando il sole” non era una domanda, senza accorgersene cominciò a piangere contro il suo petto.

“Guardo le mie casse che vengono portate via dal museo” sospirò.

Rebecca si chiese perché faceva così male. Perché ogni suo respiro era una fitta tagliente e le causava qualche livido dentro. Guardò anche lei il sole ma a differenza di Gabriel i suoi occhi bruciarono subito e dovette richiudergli.



***



Quella notte Rebecca sognò, dopo tanto tempo. Tra le sue coperte, avvolta nelle lenzuola di seta bianca, con il braccio protettivo di Gabriel che le circondava i fianchi morbidi. La sensazione orribile, nervosa e assillante arrivò come un’esplosione di emozioni. Ma non poteva fare nulla per aprire gli occhi, era condannata a vedere quelle visioni nella sua testa. Così nitide, così reali, così famigliari…

Era il tramonto, Rebecca stava camminando lungo i corridoi di casa sua: il castello di Dark Threat. Scendeva sempre di più, le scale, le rampe, parevano volerla portare sottoterra, dentro una fossa oscura e fredda. I muri di pietra ad entrambi i lati erano solcati da goccioline d’acqua che scorrevano fino al pavimento, disperdendosi in un piccolo fiumiciattolo silenzioso e viscido. Il soffitto odorava di muffa e il pavimento era scivoloso, ripido.

E Rebecca odiava la strada per le segrete. Di norma le celle si trovavano all’ultimo torrione del castello ma per quella creatura trovarsi all’ultimo piano era una benedizione, era fin troppo facile saltare dalla finestrella e volare via. Era più sicuro tenerla intrappolata sottoterra, in una cella protetta e ben sorvegliata. Rebecca portata addosso un lungo mantello nero, il cappuccio era alzato e le copriva il volto. Era più grande e largo rispetto agli altri mantelli che portava, forse per coprire qualcosa. Forse perché nessuno sapeva apparte suo padre e Atreius. E ora l’avrebbe saputo anche lui. Perché doveva sapere, sarebbe stato divertente vedere come la sua faccia avrebbe reagito ad una simile notizia.

Da sotto il cappuccio Rebecca sorrise, una smorfia bassa e penetrante. Sollevò la testa di scatto quando sentì la presenza davanti a lei delle due guardie che sorvegliavano la cella. I suoi occhi neri squadrarono le sentinelle, una ad una, e queste si guardarono a vicenda in preda al panico.

“Lasciatemi sola” un unico sibilo per farle scappare a gambe levate.

Rebecca ghignò. Era sempre un piacere vedere come metteva in soggezione le persone, come agli occhi degli altri appariva così potente.

Guardò la porta blindata di fronte e lei. La finestrella che mostrava l’interno della stanza era aperta, e lei vide la creatura ferma, immobile contro il muro. Non le servivano le chiavi, strizzò gli occhi e la serratura si aprì.

Aprì la porta, accompagnata da un lento cigolio. Lui alzò la testa. Rebecca lesse nel suo sguardo un susseguirsi impetuoso di emozioni: rabbia, collera, dispiacere, passione, pentimento, nostalgia, desiderio…

Con passi controllati e inumani Rebecca si avvicinò alla figura.

“Gabriele” lo chiamò.

Il volto del ragazzo si deformò al suono di quella voce. Troppi ricordi, troppo amore, un’altra vita, un’altra persona.

Troppo tempo.

Gabriel era incatenato al muro. Delle manette gli bloccavano entrambi i polsi ed era posto sopra una pedana di sassi, accanto ad un tavolo logoro e distrutto. Per andare da lui Rebecca fece un paio di scalini e guardò le manette per controllare che fosse imprigionato per bene. Lui provò a liberarsi, si divincolò con le braccia, ma la magia che lo teneva stretto a quelle catene era stata una sua magia e lei era più forte di lui. Gli andò così vicino che Gabriel si sentì inebriato dal suo profumo, che era rimasto sempre lo stesso di prima. Non riusciva a parlare, lei lo guardava da sotto il cappuccio, provocante e sensuale, e lui non riusciva più a connettere il cervello.

La odiava, questo era vero. Era diventata una sua nemica, un soggetto pericoloso da abbattere. Una macchina di morte e sangue. Ma non poteva riuscire a controllare il desiderio bruciante che provava per lei. Sebbene si era imposto di dimenticarla, di non amarla, non aveva ancora smesso di esserne attratto. E tutto di lei, forse anche più di prima, l’attraeva.

Si sentì mancare il respiro quando la vide farsi sempre più vicina.

Sempre più vicina…

Rebecca premette il suo corpo contro quello di Gabriel e non appena il suo seno toccò il petto del ragazzo, lui si paralizzò. Era troppo, bruciava tutto e troppo. Gabriel sentì chiaramente il sangue defluire dalla testa verso il basso. E lei si strofinava contro di lui in un modo che gli fece perdere il senno. Doveva odiarla, ma aveva un così disperato bisogno di lei che se solo Rebecca gli avesse dato una possibilità l’avrebbe posseduta lì sul tavolo.

Come l’ultima volta che era venuta a trovarlo.  

Rebecca gli mise le mani sul petto e le fece scivolare fino ai fianchi. La camicia che Gabriel indossava era sporca e strappata, lasciava nudo gran parte del busto. E questo la eccitava come non mai. Passò la bocca e la lingua sul collo del ragazzo tracciando delle scie infuocate sulla pelle. Gabriel gemette così forte che lei lo guardò negli occhi. Rimasero a fissarsi in silenzio per pochi secondi e poi Rebecca ritornò a baciarlo, questa volta sulla bocca.

Le labbra di Rebecca, dopo tanto tempo, sapevano di dolce e di salato allo stesso tempo. Di amaro e di frizzante. Erano morbide, piene e sensuali. Si muovevano su quelle di Gabriel sicure e avide. Gli mise una mano sul collo, sulla guancia, tra i capelli e lui fremette di nuovo.

Lei si staccò un’altra volta, perplessa. Camuffò immediatamente il suo sconcerto con una maschera di freddezza e di indifferenza.

Il suo cuore aveva smesso da tempo di batterle nel petto ma era sicura che, se solo avesse avuto un cuore, avrebbe preso a batterle all’impazzata per quello che stava per fare.

Si portò una mano sul primo laccio del mantello. I suoi occhi fissavano quelli confusi e desiderosi di Gabriel che a sua volta guardava i lacci del mantello sciogliersi. Rebecca fu, ad avviso di Gabriel, di una lentezza frustrante ma non appena si tolse il mantello e la veste cadde sul pavimento lui sperò che non l’avesse mai fatto.

Guardò con un’espressione orripilata e incredula il lieve, ma già visibile, gonfiore sul ventre. Era incinta. Non riusciva a crederci. Eppure quel pancione, quell’arrotondamento era lì davanti ai suoi occhi, reale e vero. Gli venne da vomitare. Voltò la testa di lato per non guardare. Non voleva pensare ad Atreius dentro di lei, a loro mentre facevano l’amore. A lei a letto con lui, tra le sue braccia. Non gli pareva possibile che lei stesse per avere un bambino dalla persona che odiava di più al mondo.

Era corroso dalla gelosia più nera, voleva una Rebecca incinta di suo figlio. Non di un altro uomo. Tremando, osservò l’anulare sinistro di Rebecca. La fede nuziale era ancora lì, un cerchietto d’oro che brillava nella mano. Poi guardò il suo dito e vide la sua fede. Erano sposati, e un matrimonio magico non si poteva sciogliere una volta dati i voti. Ma lei aspettava un bambino da un altro. E a lui sembrò di morire.

Rebecca gli prese la testa fra le mani e lo obbligò a guardarla negli occhi. Non c’era fretta né odio nel suo sguardo, per un attimo parve tornata umana. Così Gabriel fu costretto a guardarla. Rebecca mise una mano su quella incatenata di Gabriel e liberò quella mano. La mano non più imprigionata cadde come un peso morto lungo i fianchi del ragazzo. Gli occhi di Gabriel non smettevano di fissare quelli di lei e, in una muta preghiera, supplicavano. Rebecca portò la mano di Gabriel sul suo ventre rotondo e gliela tenne posata sopra.

Sussurrò con il respiro caldo, contro il suo orecchio: “Sei tu il padre. Io porto in grembo tuo figlio, Gabriele”

Il sogno cambiò e mutò anche scenario.

Ora si trovavano lei e Gabriel su una rupe rocciosa, da soli. Entrambi impugnavano le loro spade, erano esausti, stanchi e madidi di sudore.

Da quanto stavano combattendo?

Da quanto durava quella guerra?

I respiri erano affannosi, i corpi sfiniti e martoriati. Le ali bianchi di Gabriel erano aperte, pronte per spiccare il volo. Dietro di lui c’era il sole e il suo corpo era invaso dai raggi, la sua pelle pareva emanare luce. Anche Rebecca aveva le ali aperte: nere e graffianti come quelle di un rapace. Ma dietro di lei non c’era nessun sole ad illuminarla. La notte, oscura e tenebrosa, le dava la schiena e la rappresentava.

Si trovavano uno di fronte all’altra. Gabriel la guardò un’ultima volta prima di attaccare, con eterno amore, con rassegnazione e con un’immensa commozione. Poi, tutto avvenne troppo in fretta: corpi che si ammassavano, spade che si incrociavano, colpi che partivano. E Rebecca si ritrovò infilzata contro la parete rocciosa, perforata all’addome mentre la spada di Gabriel affondava ancora nella sua carne grondante di sangue.   

Rebecca si svegliò come nel suo sogno: sudata e sconvolta. Si toccò con una mano fredda e tremante la pancia. Era piatta: non era incinta. Era intatta: non era stata trapassata da una lama. Prese un bel respiro e si strofinò la faccia con le mani, per riprendersi da quell’incubo. Si portò una mano al cuore e lo sentì battere come una mitragliatrice. Era stato orribile, non voleva più fare un sogno simile. La sensazione di essere incinta, l’odore delle prigioni e il sapore della bocca di Gabriel, l’impressione della spada nella sua carne e il dolore acuto al ventre. La percezione di sentire il flusso di vita scorrere via dal suo corpo fino a portarla alla morte. Per mano di Gabriel. Corse in bagno a vomitare, quel sogno l’aveva sconvolta. Le sembrava di aver realmente vissuto quei momenti, e ora aveva il rigetto.

Ma ancora più sconvolgente fu sentire, dopo secoli di silenzio, la voce di suo padre dentro la sua coscienza.

Non avevo mai partecipato a delle visioni così ben definite.

“Era un sogno!” gridò con rabbia, poi si ricordò di Gabriel che dormiva ancora nel suo letto e abbassò la voce. “Era soltanto un sogno”

Sì, un sogno che mostra il futuro.

“È un sogno” ribadì, stava perdendo la pazienza.

Un sogno che mostra il tuo futuro, cantilenò la voce di Mortimer e fu così insopportabile da sentire che Rebecca si tappò con forza le orecchie e scivolò verso il basso.

Cadendo, andò a sbattere contro il lavandino e l’ultima cosa che vide prima di svenire fu il pavimento tingersi di sangue.



***



La mattina seguente Gabriel trovò Rebecca in bagno, era seduta sopra la tavoletta del water e si teneva premuto un panno sul labbro inferiore. Ciondolava avanti e indietro con il corpo e il suo sguardo era vacuo, assente. Gabriel entrò in bagno e la salutò, lei non rispose. Allora lui la guardò meglio. Profonde occhiaie, pelle bianca e cadaverica. Il panno che teneva tra le mani era sporco di sangue.

“Oh santo cielo, che hai fatto?” prese dalle mani di Rebecca lo straccio e fissò impietrito il profondo taglio che le aveva squarciato metà labbro. La ferita era ancora aperta.

Impallidì. “Quando te lo sei fatto?” domandò con voce tremante.

Lei non lo guardò neppure negli occhi. “Stanotte”

Gabriel alzò la testa verso la finestrella e vide che era l’alba.

“Stanotte?” era scioccato. “Non può essere, a quest’ora il taglio dovrebbe essersi già richiuso” non capiva, gli angeli non avevano forse il potere dell’autorigenerazione?

“Non so come mai ma non si è richiuso. Il taglio. Continua a sanguinare”

“Vuoi che ti faccia un incantesimo?” le mise una mano sotto il mento e le accarezzò dolcemente la guancia.

Senza farlo apposta lo sguardo di Rebecca cadde sui boxer che Gabriel stava indossando. E tutto le ritornò alla mente. Il bambino, la guerra, l’odio. La morte. E provò rabbia, irritazione, inquietudine di vivere. Velocissima si alzò e prese lo straccio dalle mani del ragazzo, lo riportò a tamponarsi il labbro e si avviò verso la porta.

“Dove vai?” le urlò dietro lui.

Rebecca scese le scale e andò in cucina. Sentì che Gabriel la stava seguendo.

“Forse non dovresti andare in missione, sei un po’ scombussolata. Posso parlare io con Bastian, e spiegargli” disse Gabriel. “Non ti conviene fare un viaggio così lungo da sola, oggi”

Lei gesticolò con la mano. “Ci vado. Devo solo trovare una garza” rispose, secca.

“Ma non puoi farti un incantesimo?”

“No”

“Vieni qui con me, ti pulisco io la ferita”

“No!” gridò voltandosi furiosa verso di lui.

L’espressione di Gabriel si corrucciò come non mai. “Ma che ti succede?”

Un’altra ricaduta? avrebbe voluto chiederle.

“Niente” sbottò. “Niente. Devo solo trovare una maledetta garza, infilarmi la divisa, prendere le armi e andarmene da questo villaggio”

“Ti posso aiutare” si offrì il ragazzo, cominciando a sentire un nodo allo stomaco.

“Non mi serve il tuo aiuto” gli passò davanti e lo fulminò con gli occhi, cercò le garze tra gli armadietti in salotto.

Gabriel rise, una risata amara, triste.

“Perché ridi?” domandò la ragazza sbirciandolo da sopra la sua spalla.

“Rido per non piangere”

“Sono contenta per te” brontolò.

Come poteva dirgli ciò che aveva visto nel suo sogno?

Sarebbe andata da lui e gli avrebbe detto: “ciao, tesoro. Sai, io diventerò cattiva e farò una strage di innocenti. Farò sesso con il mio fratellastro nel castello di mio padre che sarà la mia nuova casa ma mi prenderò incinta di te. Nell’ultima battaglia tu mi impianti una spada sulla pancia e mi uccidi. Allora, ti piace il nostro futuro? Non lo trovi elettrizzante?”

No, certo che non poteva dirglielo. E questo la rendeva una belva, non sopportava di avere altri segreti, di dire altre menzogne. Trovò le garze e non potendo farne a meno diede un pugno alla mensola, più per sfogo che per resto. L’intera mensola si ruppe, il legno si spaccò come carta sotto la sua mano racchiusa.

“Maledizione” imprecò Rebecca.

Ora, oltre ad avere il labbro sanguinante, aveva anche le nocche lacerate.

“Lascia che ti aiuti” Gabriel venne in suo soccorso ma lei gli schiaffeggiò la mano quando lui tentò di prendere la mano ferita tra le sue.

“Faccio da sola” le mani le tremavano.   

“Quando parti?” chiese Gabriel, e il nodo si attorcigliò così forte alle sue budella da lasciarlo per un attimo senza fiato.

“Ora. Subito. Appena riesco a fasciarmi”

Riuscì a mettersi la benda sul labbro ma non ce la fece con la garza da mettere sulla mano poiché tremava troppo. Un’altra volta Gabriel riprovò ad aiutarla. Con un sospirò frustrato Rebecca si lasciò toccare.

Quando Gabriel ebbe finito abbandonò per qualche secondo la sua mano sulla bocca fasciata di Rebecca. Si chinò e la baciò teneramente, facendo attenzione a non farle male. Mormorò sottovoce un incantesimo guaritore per richiuderle il taglio sulla bocca.

“Puoi toglierti la fascia sul labbro, ora”

Rebecca se la tolse e la fece scomparire con un battito di mani.  

Gabriel ritornò a baciarla senza chiederle il permesso. Però, prima che il bacio si approfondisse, Rebecca si tirò indietro. Gabriel ne rimase deluso e un tantino spaesato da quel distacco.

“Sarebbe meglio che vada a cambiarmi”

“Ora?” c’era ansia nella sua voce e un pizzico di terrore.

“È l’alba, arriverò in ritardo altrimenti”  

“Ah, già”

“Bene”

“Vuoi che ti accompagni?”

“No, vado da sola” era infastidita. Da cosa?

“Allora…mi raccomando. Stai attenta, e torna presto”

“Sì”

Lei se ne andò sbattendo la porta nel giro di cinque minuti.



***




Mentre Rebecca correva verso il punto di partenza, che aveva astutamente spostato dalla piazza del villaggio al confine est del bosco, fece mente locale di quello che si era portata dietro. Armi, armi, armi, una bussola, armi, una cartina geografica presa da casa, armi, armi, armi e armi. Poteva sopravvivere senza mangiare o bere per almeno quattro giorni, e grazie all’allenamento quotidiano sperava di poterne fare a meno per tempi molto più lunghi. Aveva imparato a non respirare, poteva trattenere il respiro per più di una settimana (aveva fatto una scommessa con Gabriel e aveva vinto lei), ora mancava solo il record sull’alimentazione.

Si sentì a disagio, le sue gambe correvano ad una velocità disumana. Qualcosa in lei la spingeva ad affrettarsi, a muoversi e andarsene via di lì. Non pensava le sarebbe mai successo, ma aveva una voglia spasmodica di partire. Forse cambiare aria le avrebbe aperto gli occhi su alcuni aspetti della sua vita: le bugie e i segreti che doveva tenere nascosti a Gabriel, la sua condizione attuale, il veleno che si muoveva sempre più velocemente. Si accorse di trattenere il respiro, così fece un bel respiro profondo e si fermò al confine del bosco est. L’attendeva Bastian, appoggiato ad un albero nella sua salopette, non appena la vide la salutò con una smorfia poco convinta in volto.

Rebecca smise di correre e camminò velocemente verso di lui. Bastian teneva tra le mani uno zaino che, a parere della ragazza, doveva essere bello pieno.

Infatti…

“Ti ho portato una sacca con del cibo, dell’acqua e una tenda per la notte”

“Sei riuscito a farci entrare una tenda?” domandò lei con un sorriso accigliato.

“Ehi, non vivi sulla Terra! Ricordati che siamo in un pianeta magico e la magia può fare qualunque cosa, persino farci stare una tenda da campeggio in uno zainetto scolastico”

Lei lo guardò e sorrise scuotendo la testa. “Non mi serve”

Bastian notò che non aveva nessuna borsa o zaino appresso. “E come pensi di partire? Con solo le tua armi?”

“Era quello che avevo in mente, in effetti” con uno scatto fulmineo tirò fuori dalla fodera la sua magnifica spada e la rigirò tra le mani. “Questi gioielli mi servono più del cibo e dell’acqua. Ma grazie del pensiero”

Il capo-villaggio grugnì. “Vedo che fai sempre quello che vuoi”

“Sempre” rispose con un sorriso luminoso e larghissimo.

“Vedo che è cambiata” disse Bastian facendo un cenno del capo verso la spada che Rebecca teneva accuratamente tra le mani.

“Cambiata? Davvero?”

“Sì, una volta era blu, se non sbaglio”

Il cuore di Rebecca cominciò a mancare dei battiti. “Ah, ti riferisci al colore! Sì, già, potendo cambiare il colore l’ho fatto. Mi piaceva la lama blu ma questa rossa è ancora più bella e accattivante”

“Sembra che lanci dei messaggi provocatori a tutti coloro che la vedono”

“E cosa dice?” chiese lei seriamente e con una nota di cedimento nella voce.

“Mah, pare che dica: “chiunque mi guardi assaggerà il sapore della mia lama”! Un rosso veramente inquietante, Rebecca. A me non piace” disse in tutta sincerità con una scrollata di spalle. “Trovo molto più adatto per un angelo bianco un colore un po’ più tenue, come l’azzurro, il bianco o il blu”

Lei si risparmiò dal dirgli che la sua spada si era cambiata colore da sola. Chissà che infarto che avrebbe fatto Bastian. Si limitò a sorridere, un po’ troppo forzatamente forse.

“Lo terrò a mente, ma per come mi sento combattiva ora il rosso è il colore che più mi rappresenta!”

“Sono felice che tu ti senta in vena di combattere. Peccato che la tua missione non comprenda attacchi o sabotaggi ma soltanto portare qui un uomo. In teoria”

“La teoria manca della pratica! Per questo mi sono attrezzata come si deve. Mai sottovalutare un viaggio all’altro capo del mondo”

Bastian assunse un’espressione angustiata e sofferente. “Oddio, non farmi pensare a queste cose! Mi vengono i brividi se penso a quanto andrai distante!”

“Ti ricordo, tra virgolette, che mi ci hai spedita tu”

Bastian emise un ghigno tra il divertito e il colpevole. “Allora piccolo impiastro, ricordati di andare a Primo, evita di fare molte deviazioni per strada. Arrivata là prenditi il tempo necessario per riposarti e poi torna con Salazar. Dai poca confidenza alla gente, quelli sparlano, te l’assicuro. Non fare gli occhioni dolci a nessun ragazzo altrimenti se si viene a sapere Gabriel mi incolpa e mi ammazza. Durante la via del ritorno bada a Salazar, lui non è forte come te e avrà bisogno di più attenzioni e pause”

“Tornerò con il teletrasporto” aggiunse con noncuranza.

“Se ce le fai, altrimenti non sforzati. Torna pure a cavallo o a piedi”  

“Ce la farò” era sicura di quello che diceva, per questo Bastian sorvolò sull’argomento.

“Se ti serve aiuto…” prese dalla tasca dei suoi pantaloni una tastiera con due bottoni: uno rosso e uno giallo. “…premi quello giallo se sei ferita o in difficoltà e quello rosso se ti trovi in casi disperati”

“Tipo?” domandò, cercando di soffocare una risata.

“Tipo se ti hanno catturata, se sei prigioniera in qualche segreta o se hanno ammazzato Salazar”

“Bastian!” esclamò Rebecca scoppiando in una risata.

“Che c’è?”

“Ti pare il caso di portare sfiga?!” intrecciò il dito indice con l’anulare in segno di anti-sfiga e sbandierò la mano davanti agli occhi del capo-villaggio che subito rise.

“Cercavo di essere il più chiaro possibile”

“Non mi sono mai piaciuti i tuoi modi chiari e tondi”  

“Lo puoi ben dire, come quella volta che tu e Gabriel vi siete rinchiusi in casa tre giorni per far sesso e non siete mai venuti alle mie riunioni”

Rebecca avvampò, divenne tutta rossa. “E questo cosa centra? Oddio, che imbarazzo…” si coprì il viso con le mani.

“Per farti capire che quella volta il mio discorsetto chiaro e schietto ha fatto sì che voi due non abbiate più saltato una riunione”

“Sì, sì, ok! Ho capito dove vuoi parare!” brontolò. “Sei il genio del villaggio e il miglior sofista mai esisto”

Bastian le sorrise poi i suoi occhi si spostarono e fissarono un punto preciso dietro la schiena della ragazza. Quando ritornò a guardarla Rebecca lesse nei suoi occhi ciò che stava succedendo.

“Sarà meglio che vada” si caricò lo zaino in spalla e le diede la tastiera SOS. “Fai buon viaggio. Ci vediamo tra un mesetto”

“Anche meno, spero” disse lei, mettendosi in tasca l’aggeggio.

Bastian le mandò un bacio con la mano e pian piano s’incamminò. Rebecca si voltò e vide Gabriel infondo alla strada che le stava correndo incontro.

“Ciao” gli disse Rebecca quando lui la raggiunse.

“Ciao” rispose Gabriel, un po’ teso.

“Sei venuto a salutarmi?”

Gabriel annuì, lei capì che non aveva neppure il fiato per parlare.

“Vedo che stai bene, sei felice. Sono contento”

“Scusa per prima”

“Eri arrabbiata con me o con le garze?”

Rebecca rise e si ciondolò sul posto. “Con me stessa. Con me stessa” ripetè suo malgrado. “Come potrei arrabbiarmi con te? Sei così dolce e tenero…”

Gabriel fece una risata amara. Alzò lo sguardo per non guardarla negli occhi. “Stai cercando di fare la smorfiosa con me prima di andartene?”

“È quello che avevo in mente” ammise lei facendosi più vicina.

“Quando torni?” la paura era stampata a grandi caratteri sulla sua fronte.

“Un mese o anche meno, non starò via molto”

Lui sbuffò e i suoi ciuffi biondi oscillarono al vento. “Che palle” la guardò. “Non ti porti via niente?”

“Ho tutto” indicò con un dito il cuore e la tempia.

Quando lui inarcò le sopraciglia Rebecca indicò anche la fodera e la serie di pugnali legati alla cintola. Lui parve approvare. Rebecca storse il naso.

“Gli uomini e le armi”

Lui si chinò in avanti e la baciò. “L’ho fatto solo per essere sicuro che fossi protetta”

“Lo sono”

“La mia offerta di venire con te è sempre valida”

“No, grazie, è una cosa che devo fare da sola. Diciamo che mi metterò alla prova con questa missione, tu hai già fatto in passato delle missioni da solo. Ora tocca a me, è il mio turno” questa volta fu lei a mettersi in punta di piedi e a baciarlo sulle labbra.

Gabriel acconsentì di buon grado quel bacio inaspettato.

Non appena si staccarono Rebecca vide sulla faccia di Gabriel un sorrisino che non le piacque per niente.

“Che trami?” gli chiese riducendo gli occhi a due fessure.

Gabriel rise forte. “Ma niente!”

“Ti ordino di dirmelo” gli puntò un dito contro.

“Dammi un altro bacio e te lo dico” disse con strafottenza e in tono di sfida.

Come se non sapesse già che lei l’avrebbe fatto!

Infatti Rebecca gli gettò le braccia al collo e attorcigliò una lunga gamba attorno ai suoi fianchi. Lo baciò profondamente, con passione. Fu un bacio che fece venire le vertigini al ragazzo, tanta era l’intensità di quel gesto. Gabriel barcollò indietro, lei non sospettava minimante l’effetto che aveva su di lui. Rebecca gli morsicchiò esasperatamente il labbro inferiore e poi si staccò.

Avevano entrambi il fiato corto.

“Credo di essermi meritata la verità”

Gabriel sbarrò gli occhi. “Altrochè! Porca miseria…”

“Su, avanti!” lo incitò con un gran sorriso che le incorniciava il viso allegro.

“No, niente, stavo pensando che…” Gabriel cadde in imbarazzo e si grattò la testa con una mano. “Insomma, tu stai via un mese, no?” lei fece segno di sì con la testa. “Ecco, allora pensavo che in questo mese, approfittando della tua assenza, potevo fare un salto da Ares”

Cadde il silenzio. Rebecca scivolò in una sorta di coma apparente, in uno stato di trance che non le fece capire più nulla. Pian piano arrivò la consapevolezza di quelle parole e allora si portò sconvolta una mano alla bocca.

Ingoiò un groppo che le ostruiva la gola. “Mi stai forse dicendo che…?”

“Sì” disse Gabriel con una serietà nello sguardo che Rebecca si sentì le gambe molli.

“Proprio quell’Ares? Quello quello?”

“Sì” era incredibile come in quel momento Gabriel apparisse così possente e forte.

“Oh”

“Era un “oh” felice o un “oh” da farti prendere in considerazione il suicidio?” scherzò.

“Oh! Era un “oh” felice!” disse con la bocca spalancata in un sorriso tremolante. “Vai a prendere gli anelli!”

“Sì, gli anelli nuziali”

“Ci sposiamo!”

“A quanto pare…” la osservò meglio per capire se stava delirando.

“Quando torno!”

“Quando torni” ormai la guardava con la fronte aggrottata. “Sei sotto shock?” le chiese.

“Sì!” urlò.

“Riesci a respirare?”

“Non tanto, ad esser sincera”

Gabriel si abbassò e scrutò con occhio attento il suo viso. “Questo spiega il colore cianotico della tua faccia”

Rebecca gli si buttò addosso e lo abbracciò forte. “Non sai che contenta che sono”

“Sono felice di aver provocato la reazione che speravo”

“E ora chi me la fa fare di partire?!”

“Sei un’idiota, te l’avevo detto o no?”

Gli tirò un pugnetto sul petto. “Taci, Gabriel”

“Per te sarò marito, moglie mia” disse gonfiando il petto per l’orgoglio e la contentezza.

“Sposati” sussurrò tra sé e sé. “Quanto durerà?”

Gabriel le prese il mento tra le mani e le fece alzare lo sguardo. “Un’eternità” la baciò dolcemente e senza fretta. Intrecciarono le dita e bevvero il loro stesso respiro.   

Quando si staccarono Rebecca non potè non osservare il sole. Si era alzato di molto, la mattina si avvicinava e l’alba era già passata.

A malincuore si sistemò i capelli e le armi legate alla divisa nera. “È tardi, devo andare”

Lui l’attirò prendendola per la nuca e accostò un’ultima volta le sue labbra sulle sue. “Guarda che quando torni ci sarà una bella sorpresa, quindi fai in fretta, ok?”

“Solo sapendo che mi aspetta un anello, un futuro marito stra-figo e la consumazione della prima notte di nozze vedrai come corro. Tra tre giorni sono a casa”

“Esagerata” disse con una smorfia.

“Il solo pensare alla prima notte di nozze mi mette le ali anche ai piedi”

Gabriel le diede una pacca sul sedere e lei fece un saltino in avanti. “Muoviti, ci vediamo tra un mese”

“Ci vediamo, Gabriel”

Si guardarono con immenso amore, poi Rebecca spalancò le ali e volò veloce come una saetta verso il cielo. Gabriel rimase impasse ai margini della radura, fissando il punto in cui lei era sparita.



***



Finito, mi scuso se nell'altro capitolo non ho fatto in tempo a scrivere il commento
finale ma, come ho già scritto, il tempo scarseggiava!!
Questo e il precedente capitolo sono stati dei capitoli che ho aggiunto, altrimenti il capitolo veniva
troppo lungo e a me non piacciono i capitoli troppo lunghi, rischiano di essere pallosi
oh, è un mio pensiero ;-)

Il prossimo capitolo si intitolerà (questa volta è giusto il nome): "AL PASSO CON LA FOLLIA"
e vedremo cosa combina Rebecca con questo Salazar!!!

Anche ora non ho molto tempo per commentare e rispondere ai vostri commenti,
ma ringrazio tutti voi che recensite
e che leggete o seguite la mia storia!!!
Fatemi sapere, come sempre prego, che ve ne pare...sono importanti le vostre
recensioni e giudizi...

Alla prossima, a non fra tanto...fede.





 
  
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