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Autore: Suicide Crown    23/07/2016    1 recensioni
"Quale angelo mi sveglia dal mio letto di fiori? Ti prego, grazioso mortale, canta ancora. Il mio orecchio si è innamorato delle tue note come il mio occhio è rapito dal tuo aspetto. Il potere irresistibile della tua virtù mi spinge fin dal primo sguardo a dirti, anzi a giurarti che t'amo".
-Whilliam Shakespeare.
Tutto...iniziò quel giorno.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Scolastico
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Capitolo 3.




Erano ormai le 12:30 di notte, quando mi buttai letteralmente sul comodo divano del salotto, con ancora il pesante accappatoio che mi fasciava il corpo, quest'ultimo ancora parzialmente umido.

Erano le 12:30 e Drake non arrivava. Ero in pensiero, anche se odiavo ammetterlo, ma probabilmente stavo solo esagerando. Non essendo abituata al suo stile di vita, non sapevo come comportarmi. Mi tirai il cappuccio di panno sul capo ed iniziai a strofinarmi i capelli bagnati, facendo al contempo scorrere lo sguardo sullo spesso vetro della finestra. Stava ancora piovendo, sembrava che non avrebbe mai smesso. Come un pesante e monotono giochetto, le fredde gocce cadevano dal cielo, gelando ogni cosa che si trovava sotto di loro, inesorabile. Mi morsi appena il labbro e presi l'anellino con i denti, iniziando a giocherellarci.

Mi sentivo inquieta, senza qualcun altro in casa: strano a dirsi, dato che ero sempre stata sola, ma probabilmente quella situazione mi angosciava. Con uno scatto, afferrai il cellulare tra le mani, come se dapprima mi fossi sforzata di non prenderlo, e composi il numero di mio fratello. Mi portai la cornetta all'orecchio e attesi.

Ma nessuno rispose.

Stranamente sfinita, posai il cellulare sotto il cuscino e mi alzai di scatto dal letto, tanto che ebbi un forte capogiro, costringendomi così a barcollare all'indietro. Mi portai una mano ancora fredda, nonostante la doccia bollente, alla fronte, nel tentativo di fermare quegli incessanti giramenti di testa. Ma, come se avessero ascoltato le mie flebili suppliche, il mio corpo ristabilì un decente equilibrio. Chiusi delicatamente le tendine e lasciai che l'accappatoio scoprisse la mia figura, per poi adagiarsi a terra, con un fruscio provocato dalla stoffa. Dopodichè, mi affrettai ad indossare solamente una felpa bordeaux, con la scritta "Skyline", a carattere nero. Tirai giù l'orlo della stoffa, in modo tale che coprisse le parti interessate, e mi legai i capelli con un mollettone, lasciando che alcune morbide ciocche mi sfiorassero il pallido viso.

Sospirai leggermente ed aprii la finestra, per poi scavalcarla e sedermi esternamente sul gelido cornicione di legno, mentre molteplici gocce di pioggia iniziavano a ticchettarmi sulla pelle, come se quest'ultima fosse fatta di bianca ceramica. Iniziai a dondolare dolcemente le esili ginocchia nel vuoto ed allungai una mano verso il cielo tuonante, sentendo in un attimo le fredde goccioline che, come se volessero appropriarsene, scorrevano lungo il mio esile braccio. Chiusi gli occhi e l'odore umido del temporale mi invase, facendomi scappare un sorriso. Trovavo serenità, con una cosa banale come questa. Che sempliciotta.

Stavo per sporgermi ancor più, per poter intravedere la candida luna, quando due mani forti mi afferrarono per le spalle e mi tirarono indietro, facendomi sbattere l'esile schiena contro un corpo maschile. Per l'agitazione, cacciai un urletto, anche se sapevo che non poteva essere nessun altro, oltre Drake.

Invece mi sbagliavo.

Il mio aggressore mi tappò rudemente la bocca e pressò la mano sul mio stomaco, costringendomi ad avvicinarmi sempre più a lui, come se volesse incatenarmi. Tentai invanamente di liberarmi, ma le mie inutili forze non bastarono per sovrastarlo. Mi sentii afferrare per i capelli e strattonare con foga, tanto che i capogiri non attardarono ad arrivare, e solo allora riuscii ad intravedere il suo viso, per via del riflesso sullo specchio. Iniziai ad esaminare velocemente il suo viso, seppur la mia vista si era ormai appannata per l'indebolimento. Tuttavia, riuscii a constatare più o meno l'eta: sulla ventina d'anni, probabilmente solo più vecchio. L'ultima cosa che, però, riuscii a vedere furono i capelli corti, rasati di lato, di un colore castano dorato. 

Non appena le sue mani iniziarono a sfiorarmi ogni centimetro del collo, un istinto irrefrenabile di protezione mi costrinse a ritornare a lottare, nonostante sapessi che non sarei mai riuscita ad oppormi. Gli tirai un assestato calcio in mezzo alle gambe e lo sentii mugolare di dolore. Sorrisi, soddisfatta: non ero mai riuscita a scalfirlo minimamente, fino ad ora.

Ma un tremolio irrefrenabile mi percorse l'intero corpo, non appena sentii che le mani dell'aggressore iniziarono a stringermi con più foga, facendomi male. Il mio sorriso soddisfatto svanii troppo presto, lasciando il posto ad un'espressione frustrata. Serrai gli occhi e mi morsi il labbro, nel vano tentativo di tenere a freno gli urli, per via dell'atroce dolore alle ossa fragili delle spalle.

"Sta' ferma, brutta puttana!" Esclamò lui, ringhiando successivamente.

All'appellativo che mi diede, non riuscii a trattenere un'espressione rabbiosa. Strinsi i denti e trattenni un lieve gemito di dolore, nel percepirlo stringere la presa sulle mie spalle. Mi mise un fazzoletto di stoffa davanti alle labbra, ma io, prontamente, smisi di respirare e presi quest'ultimo tra i denti, facendolo successivamente cadere a terra.

"L-lasciami, idiota, chi sei...!?" Chiesi, non riuscendo più a controllare la mia voce tremante. Il mio corpo iniziava a tremare, quasi in preda a vere e proprie convulsioni, e l'aggressore sembrava divertirsi. Alla fine, le mie gambe cedettero e dovetti abbandonarmi tra le luride braccia che mi tenevano stretta. Socchiusi lentamente le palpebre e le sbattei più volte, cercando di riprendere almeno un minimo di lucidità. Invano. Sentivo che le mie iridi di stavano inumidendo, cosa che mi fece letteralmente incazzare. Mi promisi di non piangere davanti a lui, solo per non dargli alcuna soddisfazione.

Egli, però, rispose alla mia domanda con un pugno assestato nelle costole, che mi costrinse a sputare un rivolino di sangue dalla bocca, che percorse lentamente il mento, fino ad arrivare al collo. Ormai in preda al pianto, iniziai a guardarmi furtivamente intorno, nel tentativo di trovare un modo plausibile per fuggire, ma l'aggressore mi afferrò nuovamente per i capelli, portandomi così il capo all'indietro, non permettendomi più la visuale della stanza.

A quel punto trattenni il respiro e spalancai le palpebre, con lo sguardo puntato sul monotono e bianco soffitto. Mi morsi lentamente il labbro ed una lacrima incerta solcò perfettamente i tratti del mio viso; sembrava quasi una perla, al contatto con la mia pelle diafana.

"Tu..hai ucciso mio fratello!" Sbraitò lui, prima di portare entrambe le mani sul mio collo ed iniziare a stringere violentemente. Soffocai un lamento, dovuto probabilmente al dolore e all'impossibilità di respirare decentemente. Le parole dell'uomo continuavano a rimbombarmi nella mente, anche in quella pericolosa situazione. Mi avrebbe uccisa. Ne ero sicura. Un'altra lacrima nera mi rigò una guancia, a causa del connubio con la matita ed il mascara.

E invece, dopo il suono della sirena della polizia, l'aggressore mi lasciò andare immediatamente, scese in tutta fretta le scale e uscii dalla porta sul retro, scomparendo nel buio del vicolo più vicino.

                                                                                          ___

Rimasi lì, immobile per qualche minuto, ad osservare il vuoto davanti a me. Cosa voleva dire quella frase? Varie domande mi percorsero la mente, confusionandomi ancor di più. Mi accasciai a terra, sulle ginocchia ancora tremanti, prima di passarmi una mano su entrambi gli occhi per asciugare le lacrime. Solo che, così facendo, i segni neri del mascara rimasero impressi, facendomi sembrare un mostro con le occhiaie. Tuttavia, mi sarei curata dopo del mio aspetto. Ero talmente disorientata e ancora in preda al panico, che non riuscivo neanche a rimettermi in piedi. il suono freddo del campanello mi ricondusse bruscamente alla realtà.

Deglutii un groppo in gola. No. Fa' che non sia di nuovo lui, pensai. Gattonai lentamente fino al cornicione della finestra e vi poggiai debolmente le esili braccia, per poi sporgermi appena verso l'esterno. Era la polizia. Tirai un flebile sospiro e mi appoggiai di schiena contro la gelida parete, chiudendo gli occhi. Stavolta, però, iniziarono a bussare.

"Vi porgiamo le nostre scuse per il disturbo, ma abbiamo sentito dei rumori simili a delle grida, e provenivano proprio nei dintorni. Potrebbe aprirci?" Mi portai una mano tremante sullo stomaco e lo accarezzai gentilmente, dato che ancora mi doleva parecchio. Mi asciugai il rivolino di sangue con il dorso della mano e, successivamente, nella gamba, avvicinando le ginocchia al petto. Optai per non andare ad aprire. Inoltre, non ci sarei riuscita comunque. Deglutii nuovamente e mi portai una mano alla bocca, simulando un colpo di tosse. Emisi una smorfia di dolore, ma, non appena ritrassi il palmo, quest'ultimo era intriso di altro sangue. Sbuffai amaramente.

"Cazzo, che seccatura... " Mi sforzai di mettermi in piedi, ma riuscii solamente a strisciare contro la parete, fino al bagno. Fortunatamente, quest'ultimo era già posto dentro la camera. Scostai la porta di legno socchiusa e mi affrettai ad appoggiarmi sul lavandino, prima di aprire il getto d'acqua fredda. Formai una conca con le mani e la riempii d'acqua, per poi bagnarmi il viso, ripulendomi così dal nero e dal sangue sul mento. Dopodichè, mi asciugai con l'asciugamano e posai lo sguardo sulla mia figura riflessa. Avevo ancora un aspetto a dir poco orribile: gli occhi, gonfi dal pianto, erano anche arrossati, mentre i capelli sembravano peggio di un nido di uccelli. Mi scostai il ciuffo scarlatto dalla fronte e mi massaggiai per brevi attimi entrambe le costole con due dita. Ma, non appena emisi un gridolino soffocato, le ritrassi subito, ritornando così a tremare. Il mio fidanzato deceduto mi diceva sempre che per combattere la paura o l'ansia, bisognava solamente stringere qualcosa di duro e contare fino a venti, fino a quando ti calmi. Altrimenti, mi aveva consigliato le sue coccole. Ed io annuivo sempre, quando me lo diceva. Stare con lui, mi provocava un senso di serenità così forte che non avrei desiderato più nient'altro. Ora, però, quella intensa ed amata medicina era svanita, dissolvendosi con i ricordi. Emisi un piccolo mugolio, mischiato alla rabbia ed allo sgomento. Non riuscivo a farmene una ragione. La mia morte era iniziata con la morte di Simon, ed io non possedevo un telecomando per indietreggiare, fino al passato. L'unica cosa che mi rimaneva da fare era quella di sopravvivere. Perchè gli umani, si sa, non vivono più, ma sopravvivono. E le strade quotidiane ne erano un esempio ben chiaro. Uscii dal bagno e socchiusi le palpebre, per via dell'accecante luce della camera. I miei occhi, ultimamente, erano diventati sensibili alla luminosità. Chissà... probabilmente, avevo bisogno degli occhi. Prima di buttarmi di peso sul morbido materasso del letto, però, emettendo un versetto piacevole, la porta si aprii lentamente. Inevitabilmente, cacciai un urletto, terrorizzata dal fatto che potesse essere nuovamente l'aggressore. Così, in tutta fretta, mi raggomitolai su me stessa e strinsi convulsamente le esili ginocchia al petto, terrorizzata.

"Ehy, principessa, sono io... Calmati." Mormorò una voce ben familiare, prima che un'altra figura maschile, quest'ultima conosciuta, varcasse la soglia e si avvicinasse di qualche passo verso di me. Drake. Tirai un sospiro di sollievo e la mia tensione, velocemente, si allentò, lasciandomi un sorriso ebete stampato sulle labbra.

"Ahn... Drake... " Egli soffocò una risata, divertito dal mio strambo ed insolito comportamento, ed io ricambiai, solo un po' nervosamente. Mi portai lentamente le mani fredde al petto e socchiusi le palpebre, rimanendo a guardarlo, rassicurata dalla sua presenza.

"Chi pensavi che fossi?" Continuò lui, con un sorriso intenerito in volto. Si sedette accanto alla mia tesa figura e mi scostò il ciuffo scarlatto dalla fronte, per poi ritrarre lentamente la mano, quasi contrariamente. Alla sua domanda, io deglutii un groppo in gola. Lasciamo perdere, pensai immediatamente. 

"Mi sei mancato così tanto, Dio... " Dopo le mie parole, io serrai le labbra e mi tappai la bocca con una mano, distogliendo immediatamente lo sguardo dal suo. Come mi era venuto in mente di dire una cosa del genere, a Drake? Imprecai mentalmente e mi affrettai a coprirmi il viso con entrambe le esili braccia, maledicendomi per quel che avevo detto. Tuttavia, era la verità. Se potevo scegliere, non glielo avrei detto così espressamente, o probabilmente non glielo avrei proprio accennato. Ma, dato che le mie azioni se ne sono andate a farsi fottere, il mio volere non aveva più importanza. Scostai lievemente il gomito dal viso, scoprendo appena l'occhio destro, ed osservai il suo viso. Notai subito che le sue guance, seppur fosse quasi invisibile, erano velate da un sottile strato di rossore. Mi morsi il labbro.

Okay, ho detto una cazzata, pensai. Mi misi lentamente a sedere e, timidamente, posai lo sguardo sul suo. Lui, in tutta fretta, si passò una mano sul viso e l'imbarazzo svanii, lasciando il posto ad un sorrisetto divertito.

"Mh... Scommetto che hai approfittato della mia assenza per bere, eh?" Domandò lui, mentre il suo sorriso continuò a farsi ancor più sornione. Aveva cambiato discorso. Meglio così. Bel modo di sviare un argomento imbarazzante, che io stessa, da brava cogliona, avevo creato. Mi morsi il labbro inferiore ed incrociai le esili braccia al petto, mentre un ghigno di sfida mi comparve lentamente sulle labbra.

"Puoi anche andare a vedere, idiota. La bottiglia è sigillata." Lui, in tutta risposta, tirò fuori la lingua, ed io la afferrai tra pollice ed indice, a 'mo di tenaglia. Soffocai una risatina divertita, ma la mia soddisfazione scomparve, non appena egli si avvicinò lentamente al mio viso e posò la punta della lingua su una fossetta che mi si era formata sulla guancia. Sgranai impercettibilmente gli occhi e, in men che non si dica, il mio viso prese lo stesso colore di un pomodoro. Letteralmente. Lo lasciai istintivamente e mi coprii il viso con entrambe le mani, in evidente imbarazzo. Tuttavia, non riuscii a trattenermi dallo scoppiare in una risata cristallina.

"Idiota, non si fa, hai barato!" Esclamai, mordendomi il labbro.

"Non era un gioco, quindi è inutile che ti inventi le scuse!" Ribattè lui, tirando nuovamente fuori la lingua, per simulare una linguaccia.

Continuammo a ridere incessantemente, come non facevamo da molto tempo. Eravamo insieme, e questo mi bastava. L'importante era rimanere uniti. Non importava cosa sarebbe accaduto. Alla fine, se si doveva sopravvivere, preferivo avere qualcuno di fidato al mio fianco.

Dopo qualche minuto, però, le risate di Drake si sfumarono, prima di cessare del tutto, lasciando il posto ad un'espressione strana: era un misto tra malinconia e triste serietà. Anch'io, non appena intravidi il suo viso, mi fermai. Un punto interrogativo mi comparì sul viso, mentre il mio sorriso svanii, insieme alle emozioni.

"Che... che c'è?"

---

"Devo parlarti di una cosa."



 

Angolo Autrice:

 

Ehilà, miei cari lettori e lettrici! <3

Scusate il ritardo nell'aggiornare questa storia, ma spero vivamente che vi piaccia. Ci ho messo tutto il cuore per scrivere questo capitolo.

Recensite e, se vi aggrada, lasciate anche una stellina! >3<

 

Bacioni,

HellMoon.

 

   
 
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