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Autore: shuste    23/04/2009    2 recensioni
Alice il giorno in cui si ritrova vampira...pensieri e paure e le ombre della sua mente...jasper e la sua storia...
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi con un nuovo capitolo dalla parte di Jasper questa volta … commentate, commentate, commentate, non può che farmi piacere!

 

 

 

 

 

 

[…]

Così sperso tra i vimini e le stuoie

grondanti, giunco tu che le radici

con sé trascina, viscide, non mai

svelte, tremi di vita e ti protendi

a un vuoto risonante di lamenti

soffocati, la tesa ti ringhiotte

dell’onda antica che ti volge; e ancora

tutto che ti riprende, strada portico

mura specchi ti figge in una sola

ghiacciata moltitudine di morti,

e se un gesto ti sfiora, una parola

ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,

nell’ora che si scioglie, il cenno d’una

vita strozzata per te sorta,e il vento

la porta con la cenere degli astri.

 

Eugenio Montale, Arsenio

 

 

 

 

 

Erano ore che vagavo.

Perso.

Senza una meta.

Ricorderò per l’eternità quella tormenta di neve.

Ero giunto a Philadelphia dopo un lungo viaggio. Il conto dei giorni, o meglio delle notti, di cammino l’avevo del tutto perso. Avevo lasciato Peter e Charlotte da un paio di giorni.

Ero solo al mondo. E non avevo certo lo spirito del nomade.

La mia gola bruciava per la sete ma non potevo pensare di farlo ancora.

Sarebbe stato troppo.

La mia ultima vittima era stata una donna.

Ogni sua sensazione mi aveva pervaso completamente, dal fascino che avevo suscitato su di lei, all’inquietudine, al terrore, al dolore lancinante un attimo prima del suo ultimo respiro.

Avevo sentito l’inquietudine farsi strada in lei, strisciante come un serpente.

L’avevo sentita diventare anche mia.

 

Angoscia, disperazione, morte.

Questo portavo assieme a me, nel mio cammino, nella mia vita.

Questa la mia maledizione.

 

Cercai la zona più malfamata della città per non dare nell’occhio.

Quello solo poteva essere il mio posto, tra assassini, delinquenti e puttane. Un piccolo inferno terrestre.

Come se la mia vita già non lo fosse.

Come se questo, dopo tutte le battaglie, potesse spaventarmi.

Come se questo assomigliasse anche solo vagamente al mio inferno.

 

Perché non potevo dimenticare?

 

...

 

Non basta essere coraggiosi per apprendere l'arte dell'oblio.

Un simbolo, una rosa può ferirti. Un accordo di chitarra straziarti.

Nulla può farti dimenticare.

 

...

 

Non sarei mai stato felice.

 

I miei piedi segnarono un breve sentiero in mezzo alla neve e mi sedetti a terra.

Sentii i fiocchi contro il viso picchiettare come tanti piccoli aghi, facendomi socchiudere gli occhi.

 

I miei capelli erano grondanti e un rivolo d'acqua gelata mi scese da dietro un orecchio nel collo.

Gli occhi ormai chiusi.

In quel turbinio di vento e neve nemmeno le lacrime potevano rigarmi le guance. I miei occhi non potevano piangere.

 

Nemmeno un po’ di calore in quel ghiacciaio che mi sentivo dentro.

 

 

Vidi una piccola locanda. Un posto isolato e malfamato. Perfetto per non dare nell’occhio. Perfetto per aspettare la fine della tormenta.

Mi infilai dentro in fretta e mi diressi verso il punto più buio del locale.

Nessuno sembrava avermi notato. Mi sedetti ad un tavolo, lo sguardo basso, cercando di isolarmi da tutto il resto.

Ma, come sempre, era impossibile.

… rabbia … vendetta … ira … desiderio …

… rimpianto … paura …

… amore …

… amore? …

 

 

 

Alzai di scatto la testa in quella direzione.

Non avevo mai sentito quel sentimento. Nemmeno tra Peter e Charlotte, tanto legati tra loro.

Non era così … puro.

Incondizionato. Irrazionale.

 

I miei occhi incrociarono i suoi all’istante.

Oro liquido.

Non avevo mai provato nulla di così irresistibile in più di un secolo di vita.

Sorridendo mi venne incontro, tanto elegante che sembrava danzasse.

Si fermò a pochi centimetri da me e mi guardò fisso.

… Felicità? … Così si chiamava quello che sentivo nascere in lei?

 

Mi hai fatto aspettare, pensavo non saresti più arrivato” disse con sollievo.

... Aspettare? …

 

 

“ Mi dispiace molto signorina”

“ Non importa Maggiore Jasper Whitlock.” Sussurrò timida, con un sorriso, scandendo piano il mio nome.

Come lo conosceva?...

 

Ci siamo già incontrati per caso?” le chiesi confuso.

“ No. Ma io ho sempre saputo che saresti stato tu. So chi sei dalla notte dei tempi. Eri tu nel buio, sei tu nella luce.”

Dolce e rassicurante.

Ma rimasi di stucco a quest’informazione.

Dovevo aver a che fare con una vampira squilibrata. Sicuramente. Che creatura bizzarra.

Capelli corti, scuri. Minuta. Minuscola a dire il vero. Un viso da folletto.

 

 

“ Non mi chiedi nemmeno come mi chiamo? Dove sono finite le tue buone maniere da giovanotto del sud?” mi interruppe ridendo, maliziosa.

Una risata cristallina. Meravigliosa.

 

“ Perdonatemi signorina, qual è il vostro nome?”

“ Alice.” disse in un bisbiglio.

 

… Alice.

Musica. Questo fu per il mio cuore privo di vita.

Se solo avesse potuto, avrebbe ricominciato a battere.

Era felice. Era il primo essere felice dopo più di cent’anni di terrore, angoscia e rabbia cieca.

Chi era? Come poteva provare cose simili?

 

 

“ Sapevo che avresti reagito così ma non pensavo di poterti spaventare!” esclamò.

“ Perdonatemi signorina, sono solamente stanco. Volete sedervi qui con me?”

“ Sì grazie. Ah, so che tenterai di nascondere le tue cicatrici, non è necessario, non mi spaventi.

 

Come poteva aver notato la fitta trama di cicatrici di guerra sul mio corpo col mantello a coprirmi e quel buio? …

Come sapeva che il mio pensiero era di coprirle il più possibile?

Si sedette di fronte a me con un gesto aggraziato e fluido, in un attimo. I suoi occhi continuavano a guardarmi come se fossi stato un vecchio parente, ritornato dopo un lungo viaggio.

Come se sapesse tutto, pensai. E rabbrividii, cosa mi saltava in mente? non l’avevo mai vista prima.

Ascoltai più a fondo. Davvero non c’era paura in lei.

 

 

“ Una signorina come voi, sola, non dovrebbe frequentare posti come questo, soprattutto durante la notte.”

“ Saresti arrivato, lo sapevo.” rispose sibillina.

“ Saperlo?”

“ Sì, l’ho visto. Era così nella mia testa…

… Ecco, una vampira spostata con le visioni!

 

“ … poi mi avresti guardata con un’espressione confusa e mi avresti chiesto cos’ altro avessi visto. Sbaglio?” continuò imperterrita.

“ … no, non vi sbagliate …”

“ Tanto vale parlarne subito di modo da toglierci il pensiero: ho fatto chilometri per arrivare fin qui questa notte ed incontrarti. So tutto di te. So che non ucciderai più e mi seguirai. So che ci sarai. So quello che stai cercando.  Quello che potrai diventare. Quello che sarai per me.”

Ma io non so di cosa…

“ Non interrompermi Jasper. Sei la sola cosa che possiedo. Non ti lascerò scappare. Sei la mia vita, lo sarai. Fidati di me.”

 

Come potevo non darle ascolto? …

Mettere a tacere la speranza che proveniva da lei e poco a poco mi pervadeva completamente?…

Il senso di fiducia da cui mi lasciavo inconsapevolmente invadere.

 

Bellissima. Ecco cos’era questa creatura.

Alice.

 

 

“ Seguimi, voglio farti vedere una cosa.” mi interruppe di nuovo, prendendomi per mano senza preavviso.

Sobbalzai a quel contatto. Non ero abituato a tanta vicinanza con quelli della mia specie, a tanta delicatezza.

Calore. La sua mano morbida a stringere la mia.

Mi condusse verso la porta della locanda, superando vari avventori del locale.

Aprì la porta.

 

Fu come un flash.

 

Conservavo pochi ricordi della mia vita umana a parte la notte in cui Maria mi aveva trasformato.

 

Una mattina, quando ancora ero bambino, mi ero svegliato e il solito paesaggio che vedevo sempre dalla finestra era diventato simile, in una sola notte, a quei biglietti natalizi che si spediscono per le feste.

Non avevo mai visto la neve, non era usuale dalle mie parti.

Ero corso giù per le scale di casa e avevo spalancato la porta.

Estasiato nel vedere il giardino coperto da una coltre di neve immacolata, mi ero bloccato.

 

In quel momento non ero riuscito a muovere un solo passo e a profanare il miracolo, rovinare una cosa tanto bella.

 

Ora, un’altra volta, non era possibile vedere nulla che non fosse interamente coperto dalla neve.

La tempesta si era placata, finalmente.

 

Il solo rumore che si poteva percepire, a volte, era un leggero fruscio e subito dopo un lieve tonfo per quella che, in eccesso, cadeva dalle grondaie, dai cornicioni, dai davanzali delle finestre delle case.

Per il resto regnava il silenzio.

Il silenzio che solo la neve crea, innaturale e unico, che avvolge tutto.

Il silenzio che toglie la parola.

Che ferma le chiacchiere e le sciocchezze di tutti i giorni.

Che isola.

Fa tacere ma dice tutto.

 

 

Di fronte a quello spettacolo dovetti star zitto o avrei sentito la mia voce far eco dentro di me.

Avrei udito, pensai, un'eco nel vuoto.

Mi sentivo vuoto, completamente vuoto.

 

Poi fu un attimo. Quel vuoto fu riempito dal suo amore.

Mi voltai verso di lei che, tenendomi la mano, mi guardava.

Occhi negli occhi.

 

Immensamente Alice.

 

“ Siete l’essere più meraviglioso che abbia mai incontrato nel mio cammino” sussurrai ormai stregato.

Lei si fece più vicina con un passo.

 

Guardai in fondo a quell’oro.

Non sapevo nulla di lei. Né chi fosse né da dove venisse.

Mi fissò, trapassandomi l’anima, sempre che ne avessi una.

Ma il suo sguardo mi disse che sì, ce l’avevo ancora da qualche parte. Sentivo affiorare sentimenti mai provati.

 

“ Sapevo che ti avrei trovato … Jasper … avrei atteso secoli di silenzio per una tua parola .. avrei riconosciuto il tuo volto tra altri mille …” disse a pochi centimetri dal mio viso.

 

 

Si alzò sulle punte dei piedi per arrivare alla mia altezza, mi abbracciò in modo leggero e posò le sue labbra sulle mie.

Un soffio.

 Il tempo di un battito d’ali.

La sua bocca calda come la vita, gli occhi diamanti del mattino.

Ammaliato. Affascinato.

Suo.

Ad un tratto suo. Speranza. L’ombra di un sogno che non osavo immaginare ormai più.

 

 

“ Andiamo, avremo tempo per parlare, camminiamo un po’ …” mormorò sulle mie labbra.

 

Amore.

 

Dentro di me ogni cosa prese posto e riemersi da quel limbo dorato.

Dopo un secolo, pensavo che gli abiti che indossavo fossero ormai sudici di guerra. Che non avrei mai più potuto lavare la mia anima. Che fosse troppo tardi.

Sempre straniero, mai innocente. A vivere una continua violenza. Terribile, perché silenziosa e fredda.

E’ inutile provare a spiegare la crudeltà.

Si finisce per ignorare i propri compagni, uniti nello stesso destino ma tenuti lontani perché, in ogni caso saremmo destinati a perderli.

Morti per espiare colpe che non erano loro. Per ideali inesistenti. Per gli interessi di pochi sui molti.

Morti ovunque, per un fazzoletto di terra che non sarebbe nemmeno bastato a seppellire tutti quei corpi.

 

Dopo un secolo, desideravo solo che fosse la morte a baciarmi, a condurmi lontano.

Senza memoria, senza peccato. Cieco. Forse finalmente felice.

Ma la morte ignora giustizia e non mi avrebbe preso con sé. Nemmeno lei, credevo, potesse desiderarmi.

 

Ma questa creatura …

 

Strinsi il suo esile corpo in un abbraccio, posando le mie mani sui suoi morbidi fianchi.

Nascosi il viso nel suo collo, chinandomi verso di lei, annegando nel suo dolce profumo.

Baciai il suo collo di porcellana, inspirando profondamente.

Mi allontanai un poco, dopo un attimo che era durato un’eternità.

Mi sorrise, felice, e con la punta dell’indice tracciò sulla mia pelle la rete dei miei segni di guerra, guardandoli come se fossero la cosa più bella del mondo. Una scia di fuoco.

Accarezzò la mia guancia e scese con la mano sul collo, fino ai bottoni del mio mantello.

Delicata.  

E semplicemente la seguii. La sua mano nella mia.

Piccola viandante sconosciuta, chi potevi essere se non la donna della mia vita?

 

 

 

  
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