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Autore: Saratrix    26/07/2016    5 recensioni
Vernon è riuscito a convincere Petunia ad affidare Harry alle cure dell'orfanotrofio St. Luise di Londra, rinunciando ad accoglierlo nella loro casa. Il bambino cresce e ben presto si rende conto di non essere come gli altri ospiti dell'istituto, ma di avere qualcosa di speciale dentro di sé, dei poteri magici. Così decide d'iniziare ad affinare queste sue capacità, imparando a sfruttarle come e quando desidera attirando l'attenzione del Ministero che è costretto a intervenire immediatamente.
Un misterioso Harry Potter che nasconde un demone sotto la patina dorata del Salvatore condurrà il Mondo Magico verso un futuro mai così incerto.
DAL TESTO:
«So bene che ti sto chiedendo molto, so anche che ti ritroverai tra poco a dovermi dare una risposta difficile, Narcissa ne è all’oscuro ma dobbiamo agire in fretta prima che la situazione peggiori. Devi dirmi solo ‘sì’ oppure ‘no’. Lucius, amico mio, ti sto chiedendo di adottare e crescere come se fosse tuo figlio Harry Potter.»
Genere: Dark, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Silente, Famiglia Malfoy, Il trio protagonista, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Draco/Harry, Lily/Severus, Lucius/Narcissa, Ron/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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~Capitolo 7~       
SOMETHING DIFFERENT

Lucius ripiegò la copia del Profeta di quella mattina e la appoggiò alla sua destra sul tavolo. Era passato quasi un mese da quando Harry Potter era entrato nella sua vita e in quella della sua famiglia. Inizialmente si era aspettato uno stravolgimento completo di tutte le sue abitudini e invece non era cambiato pressochè nulla e stranamente si stava trovando quasi a suo agio nel trovarsi quel marmocchio a gironzolargli per casa. Sì, Draco non era ancora riuscito ad accettare la realtà di avere un fratello ma alla fine avrebbe capito che l’unica cosa da fare era scendere a patti con l’evidenza, riuscendo così a instaurare una qualche sorta di convivenza pacifica con l’altro.

L’uomo si portò alle labbra la tazza e con un sorso finì il poco caffè rimasto al suo interno, spostando poi lo sguardo su Harry seduto al fianco di Narcissa. Quando quella mattina lui e sua moglie erano scesi a fare colazione lo avevano trovato già seduto al suo posto con un libro di Erbologia in grembo ad aspettarli per iniziare a mangiare. Si era rivelato una sorpresa con quel suo modo di fare così educato ed elegante, insolito per un bambino cresciuto in orfanotrofio, e per quella sua maturità e quel suo intelletto entrambi così sopra la media che lo rendevano in grado di apprendere al volo la maggior parte dei campi della magia completamente irraggiungibili per quasi tutti i suoi coetanei.

In quel momento si ricordò della chiacchierata avvenuta tra lui e Severus solo qualche giorno prima e di colpo qualcosa nel suo stomaco si contorse, portandolo a serrare le labbra in una smorfia stizzita. Piton gli aveva suggerito – ordinato – di raccontare a Potter tutto sulla Prima Guerra Magica. Sosteneva che prima lui e Narcissa avessero affrontato quel discorso con Harry più lieve sarebbe stata la sua reazione, sempre se “lieve” si può definire la reazione di una persona che scopre di essere stato adottato dai seguaci di chi ha assassinato i suoi genitori quando era ancora in fasce; sosteneva che se non glielo avesse detto lui, presto o tardi il bambino avrebbe scoperto da solo l’atroce verità e in quel momento allo sconvolgimento che la notizia porterà in lui si aggiungerà anche la rabbia causata da una verità celata per troppo tempo. Lucius aveva risposto che sì, gliel’avrebbe detto ma dopo, quando Harry sarebbe stato pronto, come se si potesse mai essere pronti a una rivelazione del genere.

In tutto quello Potter era completamente all’oscuro dei pensieri che in quel momento frullavano nella testa di Lucius Malfoy. Dal canto suo, solo un mese fa avrebbe facilmente scommesso che sarebbe rimasto in quell’orfanotrofio fino al compimento della maggiore età: di solito le famiglie tendono ad adottare i neonati o comunque bambini ancora piccoli, lui a sette anni aeva superato da un bel pezzo “l’età per l’adozione”. Non avrebbe mai pensato che sarebbe potuto appartenere a un mondo completamente diverso da quello in cui era vissuto fino ad allora e dove quelli come lui erano normali e, soprattutto, che sarebbe finito per essere il figlio adottativo di una famiglia così ricca, passando dal non aver nulla all’aver quasi tutto. Alzò lo sguardo dalle uova  con il bacon che aveva nel piatto, spostandolo fuori dalla finestra dove alcuni fiocchi di neve iniziavano a danzare nell’aria fredda di quella mattina di Dicembre così vicina al giorno di Natale.

«Harry.»

Sentendosi chiamato, Potter si voltò e incrociò gli occhi del padrone di casa «Sì?»

L’uomo impugnò il bastone con la mano destra e iniziò a farlo tamburellare appena sul pavimento «Come ben saprai, tra poco è Natale.» fece una breve pausa, aspettando che l’altro annuisse, per poi proseguire «Siamo soliti dare una festa, un ballo di gala la sera della Vigilia qua al Manor. Saranno presenti moltissimi maghi e streghe importanti e influenti e per questo mi aspetto da te un comportamento esemplare, degno di un principe, ma so che saprai esattamente cosa. Questo pomeriggio tu e Draco vi recherete con la Metropolvere a Diagon Alley per farvi confezionare degli abiti su misura da Madama McClane per l’occasione; io e Narcissa abbiamo va svolgere delle commissioni questo pomeriggio e non potremo essere con voi. Capito?»

Harry annuì, non facendo trapelare quanto gli scocciasse dover rimanere solo per un pomeriggio intero con l’altro: non aveva voglia di fare da balia a un bambino che vuole giocare a fare il rancoroso.

«Entrambi?» chiese Lucius rivolgendosi al figlio, marcando la parola per intendere che, nel caso qualcosa andasse storto, sarebbe stato lui a passare dei guai seri.

«Sì, padre

… … … …

Draco era a braccia conserte davanti al camino nel salone principale e picchiettava sul pavimento con la punta del piede, attendendo l’arrivo di Harry, sbuffando anche di tanto in tanto. Era lì ad aspettarlo oramai da una buona decina di minuti e sì era arrivato in anticipo ma non per quello doveva attendere l’altro così tanto. Ancora non capiva come mai suo padre gli aveva affidato l’altro per quel pomeriggio, l’ultima cosa che voleva fare in quel momento era badare allo Sfregiato per le vie di Diagon Alley; se Potter era così convinto di essere tanto più bravo e responsabile di lui, tanto meglio: sarebbe benissimo potuto andare per conto suo e lasciarlo in pace.

La porta del salone si aprì e fece capolino Harry, vestito di tutto punto e con già il mantello sulle spalle, un’espressione sicura e spavalda al tempo stesso sul volto. Malfoy contrasse appena la mascella nel vederlo, gli dava fastidio come l’altro si fosse già integrato nel suo Mondo, nella sua famiglia e nella sua vita. Nonostante fisicamente non avesse nulla dei Malfoy – capelli corvini invece che biondissimi e occhi smeraldini al posto di un paio in grado di racchiudere dentro di sé tutte le gradazioni del cielo –, dal punto di vista caratteriale poteva benissimo esser scambiato per uno di loro: il suo perfetto autocontrollo in ogni situazione, il gentile sorriso di circostanza presente sul suo volto che accompagava i suoi modi educati e la sua parlantina sciolta.

Alla fine, come Theodore non aveva mancato di fargli notare un paio di volte con una punta d’ironia nella voce per stuzzicarlo, a volte Harry sembrava essere il Malfoy tra loro due mentre lui, Draco, pareva il figlio adottato e cresciuto in un orfanotrofio con quegli attacchi di gelosia e invidia.

«Sei arrivato finalmente!» disse aspramente il biondo arricciando il labbro in una smorfia infastidita.

Potter diede una rapida occhiata all’orologio, quasi annoiato come se dovesse controllare per l’ennesima volta qualcosa che già sapeva essere giusto «Sono le quattro in questo preciso istante Draco, guarda caso l’ora in cui tu mi avevi dato appuntamento.» rispose mestamente, come se stesse spiegando a un bambino che il cielo è blu.

Malfoy digrignò i denti, voltandosi di scatto verso il camino per prendere un’urna di vetro nero decorata con dei bassorilievi d’argento contenente la metropolvere. «Come ha detto mio padre questa mattina, per andare a Diagon Alley useremo la Metropolvere. Sicuramente non saprai come–­»

«Ho letto qualcosa sulla Metropolvere questa mattina, so come funziona.» lo interruppe l’altro con un gesto annoiato della mano mentre gli si avvicinava.

Draco nel sentire quelle parole non poté far a meno di scimmiottarlo appena, sicuro che l’altro non potesse vederlo poiché gli dava le spalle, per sbollire la frustrazione dell’esser stato interrotto. Prese una manciata di polvere e passò di malagrazia il contenitore a Harry, spingendoglielo contro il petto con un gesto secco.

Il moro stirò appea le labbra, esasperato dai continui comportamenti infantili dell’altro «Credevo sapessi che non è buona educazione fare i versi alle spalle delle persone.» disse semplicemente, con tutta la calma del mondo, mentre prendeva anche lui una manciata di cenere e riponeva l’urna al suo posto.

Malfoy divenne rosso fin sulla punta delle orecchie, un colorito talmente simile a quello del cappello indossato dalla prozia Susan nel ritratto alla fine del corridoio del terzo piano dell’ala destra del Manor, quello vicino alla porta di una vecchia camera riservata agli ospiti inutilizzata da anni. Non disse nulla, s’infilò nel camino con il mento all’insù e le spalle salde in una postura rigidissima; pronunciò “Diagon Alley” a voce alta prima di buttare la cenere a terra e sparire tra magiche fiamme verdi.

Harry roteò gli occhi, a volte proprio non lo capiva e in momenti come quello doveva seriamente pregare Merlino affinché gli desse la forza di sopportarlo senza dir nulla e sopprimere l’impulso di tirargli un pugno in pieno volto. Si strinse meglio nel suo mantello ed entrò anche lui nel camino. In quel momento una parte di sé avrebbe voluto che Lucius fosse dietro di lui: nonostante fosse sicuro di se stesso e si fosse informato su come funzionasse, non aveva mai viaggiato prima d’allora con la Metropolvere e pian piano il dubbio – sì, perché non era paura era una possibilità – di poter sbagliare gli si stava creando nella mente.

Prese un profondo respiro, della polvere gli finì su per le narici, costringendolo a tossire. «D-Diagon Ally!» pronunciò tra un colpo di tosse e l’altro per poi lanciare a terra la cenere e sparire anche lui nelle medesime fiamme verdi.

… … … …

Tossì un paio di volte mentre con una mano smuoveva appena l’aria davanti a sé per scacciare la polvere che riempiva la stanza, si mise in piedi traballando appena, ancora il vuoto nello stomaco causato dalla Metropolvere. Avanzò a tentoni, appoggiandosi a un tavolo di legno, marcio e usurato dal tempo, per aspettare che la vista appanata si abituasse al buio che lo circondava. Non passò nemmeno un minuto che lentamente iniziava a distinguere i contorni dei mobili attorno a lui; ‘Sicuramente non sono a Diagon Alley’ pensò amaramente e con un velo rabbia Potter, lanciando una veloce occhiata alle finestre, troppo impolverate per riuscire a vedere cosa ci fosse al di là di esse. Iniziò a compiere un paio di passi incerti nella stanza, pensando a cosa potesse fare per uscire da quella scomoda situazione nella quale si era cacciato.

Il problema principale, ora come ora, era riuscire a capire dove si trovasse. Almeno, era sicuramente ancora nel Mondo Magico a giudicare da tutti quegli strani oggetti – mani impagliate, teschi dentro a delle bottiglie, collane con pendenti azzuri e barattoli pieni di occhi – sparsi ovunque; si avvicinò a uno di essi e notò un cartellino con un prezzo: si trovava in un negozio, evidentemente chiuso dalla mancanza di personale e dalle luci spente.

Si avvicinò alla porta, pregando con tutto se stesso che non fosse chiusa, e posò la mano sulla sucida maniglia d’ottone – non senza una smorfia di disgusto. Girò il pomello, tirando appena. La porta non si mosse di un millimetro. Riprovò con più forza, ma tutto quello che ottenne fu un rumore chiassoso prodotto dal legno cigolante che riempì il silenzio dell’ambiente.

Una luce si accese alle sue spalle. Harry si voltò di scatto e vide una rampa di scale illuminate da un fascio di luce proveniente dal piano di sopra; un rumore di passi e poi una voce, gracchiante e roca come quella di un uomo anziano appena svegliato.

«Chi è? Non leggete i cartelli?! È chiuso!»

Un brivido percorse la schiena del bambino che riprese con forza a provare ad aprire la porta. ‘Giustamente il negoziante vive sopra il suo emporio…’ pensò sarcasticamente mentre la consapevolezza d’essere in trappola si faceva sempre più nitida nella sua mente mano a mano che i passi si avvicinavo, lentamente.

«Sto arrivando! Sto arrivando! E smettetela di tirare la porta prima che me la scardiniate!» la voce era sempre più vicina, così come i passi che lentamete si trascinavano sul pavimento scricchiolante. Aveva iniziato a scendere le scale ed Harry ruscì a vedere le sagome dei piedi dell’uomo riflessa nei vetri fare molto lentamente uno scalino dopo l’altro.

Harry aveva la fronte imperlata di fredde gocce di sudore mentre cercava con tutto se stesso di mettere da parte il panico che gli stava attanagliando le meningi per provare a rangionare, a pensare come potesse uscire da quel luogo e scappare il più velocemente possibile. Chiuse gli occhi, cercando, per quanto fosse possibile, di esternarsi completamente da quella situazione; sospirò e serrò maggiormente la presa sulla maniglia.

La serratura scattò, quello fu l’unico suono che le orecchie del bambino riuscirono a registrare ignorando completamente la voce del vecchio negoziante che, stupito, gli stava urlando dietro prendendolo per un ladro. Aprì di scatto la porta, facendola cigolare, prima di buttarsi in strada e iniziare a correre il più velocemente possibile.

Non si girò a guardare l’uomo che era riuscito a trascinarsi verso la porta inveirgli contro urlando ‘al ladro’ il più forte possibile nella speranza di veder qualcuno correre ad aiutarlo. Ma Harry non era un ladro, no quello era tutto uno stupido equivoco nato dalla troppa sicurezza che aveva di sé e ora si ritrovava in un posto che non conosceva, lontano da casa e senza alcun modo di chiamare qualcuno per chiedere aiuto.

Corse finché aveva fiato nei polmoni lungo quella via sporca e stretta, costeggiata da entrambi i lati da edifici mal ridotti e pericolandi che davano l’imressione di poter cadere da un momento all’altro. I muri dei palazzi erano incrostati di strane sostanze, o forse era solamento il poco intonaco che rimaneva a dare quell’effetto, le persiane erano rotte e pericolanti e molti vetri erano rotti oppure mancavano direttamente. La strada era una grossa buca unica, erano più i punt in cui il vecchio ciotolato era saltato via che quello in cui c’era ancora ed Harry dovette recuperare l’equilibrio diverse volte per non cadere dopo aver messo il piede dentro quelle aperture.

Svoltò un angolo, finendo in uno stretto vicolo malodorante i cui muri erano pieni di scritte e qua e la c’erano vecchi manifesti, strappati e sgualciti dal tempo. Potter appoggiò la nuca al muro alle sue spalle e chiuse gli occhi nella speranza di riuscire a regolare il respiro, il petto gli si alzava e abbassava velocemente all’interno della camica mentre alcune ciocche di capelli gli si erano attaccate alla nuca per il sudore. Teneva le labbra socchiuse cercando di far arrivare dell’aria ai polmoni e al cuore che in quel momento stava battendo talmente forte da poter rompergli la cassa toracica da un momento all’altro.

Si alzò appena gli occhiali sulla testa per massaggiarsi il naso con il pollice e l’indice cercando di far pulizia nella mente. Doveva riuscire a capire dove si trovava. Sentì in lontananza il rumore di un treno che frenava, un cane che litigava con un gatto e i loro versi, le sirene delle volanti della polizia e il rombo di un tuono in lontanza; stava tendendo spasmodicamente le orecchie nella speranza di captare un suono qualsiasi in grado di fornirgli indicazioni più precise sul luogo in cui si trovava. Pochi secondi dopo il rintocco potente di un orologio seguto a ruota da delle campane gli squarciò la mente come un fulmine a ciel sereno, alzò lo sguardo e gli smussati contorni della scura sagoma del Big Ben dietro le nuvole lo colpì. Era ancora a Londra.

Riuscì a malapena a formulare quel pensiero che si sentì afferrare per le spalle e sollevare da terra, la sua schiena sbattè contro il freddo umido muro alle sue spalle. Sgranò gli occhi e il volto di un uomo sulla cinquantina occupò totalmente il suo campo visivo, aveva una zazzera di unti brizzolati capelli color carota, la barba sfatta e il viso sporco così come i lorgori vestiti che indossava.

«Ti sei perso ragazzino?» chiese ridendo.

Il pesante puzzo di alcol che emanava il suo alito trapassò violentemente le narici di Harry, nauseandolo. Strinse i denti impedendo a un conato di vomito di formarsi dentro di lui. «Mi lasci andare.» sibilò, freddo e controllato puntando gli occhi smeraldini in quelli marroni dell’altro.

«Ma senti un po’ mocciosio, credi di potermi dare ordini?» l’uomo rovesciò la testa all’indietro mentre si lasciava andare a una bassa risata, una risata di gusto.

Harry iniziò a scalciare, senza riuscire a colpire quello sconosciuto «Le ho detto di lasciarmi andare!» quasi ringhiò, iniziando a perdere la pazienza mentre gli occhi sembravano essere in grado di sputare fuoco.

L’uomo non parve sentirlo, preso dall’osservare il mantello del bambino. Ne prese l’orlo tra le tozze dita osservandolo rapito, per poi finire a ridere quando Potter gli assestò una gomitata per fargl mollare la presa. «Dimmi un po’ moccioso…» iniziò facendosi più vicino, una luce pericolosa ad animargli gli occhi «Devi avere un sacco di soldi per permetterti degli abiti così fottutamente costosi… chi sono la tua mammina e il tuo papino?»

Il moretto impiegò una frazione di secondo per capire quale idea fosse nata nella mente di quell’individuo: voleva rapirlo e chiedere un riscatto nella speranza di venir assecondato. Digrignò i denti mentre ondate di rabbia sempre più forti e frequenti lo squotevano «Le ho detto di lasciarmi andare! E le conviene farlo se non vuole morire come i miei genitori!» quasi urlò, oramai aveva perso il controllo di sé.

L’altro si mise a ridere nuovamente, sbeffeggiandolo. «Ma chi ti credi di essere, eh marmocchio?» Talmente era preso da se stesso, dal suo ego e dal ridere che non si accorse di come gli occhi di Harry stavano lentamente acquisendo una sfumatura cresimi, così in netto contrasto con l’usuale verde.

«Mi sembra che il bambino sia stato chiaro. Lascialo.» una voce fredda, che non ammetteva repliche, risuonò alla spalle dell’uomo che solo in quel momento si acorse di avere la punta di una bacchetta premuta contro la nuca.

Harry ebbe un sussulto nel riconoscere quella voce, alzò lo sguardo, le tracce cremisi sparite dalle sue iridi, sulla nera figura. Severus Piton era lì in piedi in quel sudicio vicolo con la bacchetta tesa e un’espressione indecifrabile sul volto, non rivolse nemmeno una fugace occhiata al moretto, concentrato invece sull’uomo.

«Non sono solito ripetere quello che dico, ma questa volta farò un’eccezione: lascia il ragazzo, subito, sudicio magonò.» ringiò, ma era un ringhio controllato, volta solamente a intimorire con la sua freddezza e pacatezza così assoluti.

La mano che stringeva il colletto della giacca di Harry si aprì di scatto, lasciandolo libero di spostarsi con due falcate dietro il professore di Pozioni. In quel momento fu grato con tutto se stesso al caso che quel pomeriggio aveva condotto Severus Piton in quella sudicia via; il bambino era consepevole che in ogni caso aveva tutta la situazione sotto controllo e che in una manciata di secondi il magonò – come l’aveva chiamato Piton – l’avrebbe lasciato – del resto, Harry, era sempre stato un tipo molto persuasivo – ma poter contare sulla presenza del mago in un momento come quello, dove era sperduto in un posto che non conosceva, lo faceva incredibilmente sentir tranquillo.

Il professorenon aggiunse una parola, limitandosi a rinfoderare la bacchetta in una tasca interna del suo mantello, e così fece Potter mentre lo seguiva fuori dal vicolo. Appena misero piede nella via – così presumeva Harry – principale di quel posto, Severus poso una mano sulla spalla del bambino, stringendola appena come per assicurarsi che restasse al suo fianco. Camminarono in silenzio per quasi una decina di minuti, uno a fianco all’altro, con solo il rumore dei loro passi a fare da sottofondo.

«Si può sapere cosa ci fai a Nocturn Alley, Potter?» sbottò a un certo punto l’uomo, tenendo lo sguardo fisso sulla strada «Non è un posto per bambini e soprattutto non va bene che ti si veda da queste parti.»

Harry alzò lo sguardo su di lui, piegando appena la testa di lato mentre chiedeva: «Perché? Che cos’è Nocturn Alley?»

Piton arricciò appena le labbra in una smorfia infastidita per l’esser stato interrotto «Il quartiere più malfamato, oscuro e sudicio di tutto il Mondo Magico. Per questo non devi stare da queste parti, se quell’uomo ti avesse riconosciuto non si sarebbe fatto scappare l’occasione di prenderti e consegnarti a qualche seguace dell’Oscuro Signore ancora in circolazione.» si fermò per quasi un minuto prima di riprendere «Non sviare la domanda, Potter.»

Il moretto spostò lo sguardo dal mago, trovando stranamente interessanti i suoi piedi «Ho sbagliato a usare la Metropolvere, sarei dovuto andare con Draco a Diagon Alley ma invece sono finito qua…» disse mentre le sue gote si coloravano appena di rosa.

Severus sbuffò sonoramente, ignorando la domanda del piccolo su cosa ci facesse invece lui in quel posto. ‘Lucius è sempre il solito incosciente! Lasciare che un bambino appena entrato in contatto con il Mondo Magico usi la Metropolvere da solo è da pazzi! Chissà cosa sarebbe successo se non fossi dovuto venire a Nocturn Alley per prendere degli ingredienti per le pozioni…’.

«Seguimi.» disse semplicemente il professore mentre aumentava il passo, costringendo Harry ad accelerare per stargli dietro.

Il bambino osservò l’uomo camminare alla sua sinistra, il mantello nero che gli frusciava appena dietro dandogli un’aria misteriosa. Era molto alto, forse anche più di Lucius pensò, mentre osservava le sue lunghe gambe fasciate in un paio di pantaloni neri come la casacca e il mantello, neri come i suoi capelli e i suoi occhi. ‘Evidentemente è il suo colore preferito’ pensò ironicamente Harry mentre il suo sguardo veniva catturato dalle iridi dell’uomo, due profondi pozzi neri senza fine, misteriosi e intriganti, avvolgenti e pericolosi.
«Come mai si trova da queste parti?»

«Non ti interessa Potter. Zitto e cammina.»

Harry non fece altre domande, limitandosi a seguire silenziosamente l’uomo, come se ne fosse l’ombra. Si infilarono in un paio di vicoli, salendo poi alcune scalinate; ad Harry sembrava di girare in tondo, perdendo la cognizione di dove si trovasse ogni volta che girava a destra alla fine di un cunicolo per poi entrare immediatamente in una stretta trasversale sulla sinistra. Ogni mezzo minuto Severus lanciava delle veloci occhiate al bambino per controllare che fosse sempre al suo fianco, sempre a portata di mano e sempre abbastanza lontano da qualunque pericolo.

Quando iniziarono a salire una lunga scalinata, il vociare delle persone, la tipica confusione della via principale piena di negozi nel periodo natalizio si avvicinava sempre di più alle orecchie del giovane Potter. Spostò lo sguardo sulla destra dove un cartello, consumato dal tempo, indicava in grosse lettere Diagon Alley, sempre dritto. Tirò mentalmente un sospiro di sollievo mentre seguiva Piton nella trafficata strada, i colori sgargianti lo abbagliarono di colpo e i toni allegri dei maghi e delle streghe presero possesso delle sue orecchie insieme alle felici risate, così diversi da quelli cupi di Nocturn Alley e dal silenzio interrotto di tanto in tanto solamente da urla e imprecazioni o vetri e cose che venivano buttate al suolo, rompendosi. Le persone s’incontravano e si fermavano per salutarsi e chiacchierare anche in mezzo alla strada, ostruendo il passaggio alle altre persone, troppo felici per l’arrivo delle feste per irritarsi a causa di qualcuno che decideva di fare salotto nel bel mezzo del corso. Maghi e streghe uscivano dai negozi con le braccia piene di pacchetti regalo tutti colorati e dalle più svariate dimensioni.

«Signore?»

Severus alzò gli occhi al cielo «Dimmi Potter.»

«Cosa potrei regalare a Lucius, Draco e Narcissa?» chiese genuinamente alzando lo sguardo su di lui.

«Non c’è bisogno che tu gliene faccia uno. E poi, quali soldi useresti?» concluse con una vena di sarcasmo nella voce.

Harry infilò la mano destra nella tasca dei calzoni e ne tirò fuori una sacchetta di cuoio, stretta in cima da un laccio verde di cauciù; l’aprì e ne mostrò il contenuto all’uomo: una dozzina di banconote e due manciate di monete babbane. «Sono miei. All’orfanotrofio per il compleanno e per Nataleerano soliti darci qualche sterlina a testa – non ho mai speso i soldi che mi davano perché non ho mai sentito il bisogno di comprarmi qualcosa – e quando me ne sono andato il direttore e la segretaria dell’orfanotrofio mi hanno dato venti sterline a testa; so che non è molto ma è tutto quello che ho e pensavo di andare a far cambiare tutto alla Gringott.» spiegò per poi continuare più impacciato «E poi voglio farglielo, nel senso, sono le prime persone di cui mi ricordo e di cui mi ricorderò che posso definire famiglia e…»

«Risparmiati i sentimentalisimi, Potter.» lo fermò il professore sbuffando e con un’espressione disgustata sul volto «A Draco puoi prendere qualcosa inerente al Quidditch, mentre a Narcissa un libro o un qualcosa per i capelli, per Lucius credo possa andar bene un libro o qualcosa per lo studio come una penna o un tagliacarte.»

Il bambino lasciò spazio sul suo volto a un largo luminoso sorriso «Grazie!»

… … … …

Harry entrò nel negozio di Madama McClane, chiudendosi la porta alle spalle dopo essersi pulito la suola delle scarpe sullo zerbino ai suoi piedi. Si tolse il mantello, piegandolo ordinatamente, quando la sarta fece capolino nella stanza dalla porta che Harry sapeva portava al camerino prova dove la donna prendeva le misure per gli abiti.

«Oh, Signor Potter, ben arrivato!»

«Buon pomeriggio Madama McClane.» salutò mentre seguiva la strega nella piccola stanzetta.

Draco era in piedi su uno sgabello al centro della saletta, le braccia aperte e un espressione annoiata sul volto mentre un metro magico finiva di prendergli le ultime misure per aggiustare il vestito che indossava in quel momento. Era un abito da sera classico composto da una camicia di seta argentea dello stesso colore della cravatta, il tutto pefettamente intonato con i calzoni e la giacca, appena più lunga sul dietro, colore del ghiaccio; quel completo faceva risaltare incredibilmente i suoi occhi azzurri e i suoi capelli biondissimi.
Dopo esser uscito dal camino, il giovane erede di casa Malfoy si era ritrovato all’interno del Paiolo Magico e ben poca voglia di stare lì ad aspettare l’altro ma si disse che doveva farlo perché era un Purosangue e suo padre gli aveva detto di badare a Potter e un degno Purosangue segue sempre gli ordini del patriarca del suo casato. Attese per quelle che a lui parvero ore – mentre in realtà erano soltanto una decina di minuti stando a quello che segnava l’orologio a pendolo appoggiato al muro – prima di decidere di mandare Potter al Tartaro e avviarsi per conto suo da Madama McClane: l’ultima cosa di cui aveva voglia quel giorno era perdere il suo preziosissimo tempo, voleva tornare a casa il prima possibile per continuare a mettere in ordine la sua preziosissima collezione di Gobbiglie.

Insomma, del resto Potter si vantava tanto di essere un gran genio, no? Bene. Allora sarebbe potuto benissimo essere in grado di trovare la strada anche da solo e poi c’era già andato con sua madre. Arrivato quindi da Madama McClane non si preoccupò più di tanto, confidando che l’altrosarebbe comparso – imponendogli la sua odiosa presenza – di lì a pochi minuti. Mano a mano che il tempo passava e la sarta iniziava a chiedergli dove fosse finito Harry, qualcosa dentro di lui iniziò a fargli pensare che, magari, avrebbe dovuto aspettarlo e che se gli fosse successo qualcosa suo padre non gliel’avrebbe fatta certamente passare liscia.

Harry si sedette su uno sgabello libero in un angolo ella stanza, incrociando appena le caviglie, e Draco sospirò internamente di sollievo nel notare che l’altro sebrava non riportare su di sé alcun livido o taglio, solo un po’di polvere sull’orlo del mantello.

«Si può sapre dove eri finito?» chiese scocciato Draco mentre Madama McClane riprendeva da dove si era interrotta poco prima, accorciando una manica della giacca.

«Sapevo che tu saresti stato il primo così ho deciso di farmi un giro per ingannare il tempo.» rispose semplicemente, volgendo lo sguardo fuori dalla finestra mentre alcuni fiocchi di neve iniziavano a scendere dal cielo. Non era esattamente una bugia quella che gli aveva appena raccontato, era una sorta di mezza verità, una verità celata dove lui aveva solamente taciuto come mai aveva fatto un giro. Non avrebbe mai detto a Draco di essersi perso, sarebbe stata come una piccola sconfitta per lui: un’ammissione del fatto che aveva bisogno del suo aiuto per usare la Metropolvere.

Seguirono minuti di silenzio, interrotto solamente ogni tanto dai tacchi della strega che risuonavano sul pavimento di legno, che Harry occupò facendo vagare lo sguardo sulla via principale di Diagon Alley, ora interamente ricoperta da candida neve. Quando Madama McClane annunciò di aver finito, Draco non disse nulla: scese dallo sgabello e si mise il mantello sulle spalle allacciando gli alamari d’argento.

«Io vado a casa. Ti aspetto là.» annunciò sempilcemente mentre apriva la porta del negozio e usciva sulla strada trafficata dove i maghi non si lasciavano intimorire dal maltempo, troppo impegnati nel riuscire ad acquistare tutti i regali per il Natale oramai alle porte.

Potter roteò gli occhi, prendendo il posto lasciato libero dal fratellastro sullo sgabello. Quando avrà finito con l’abito avrebbe fatto un giro per Diagon Alley alla ricerca di un buon regalo per Lucius, Narcissa, Severus – dopotutto lo aveva salvato poco prima, no? – e, sì, anche per Draco solo per ribadire quanto fosse maturo e quanto le sue continue frecciatine e i suoi scherzi stupidi non lo toccassero minimamente.

«So che non dovrei chiederlo, ma si comporta sempre così?» domandò la strega mentre gli si avvicinava dopo aver piegato e appeso al suo posto il vestito del giovane Malfoy.

Harry si limito a scrollare le spalle «A volte è difficile abituarsi alle novità.» rispose vago facendo scorrere lo sguardo sugli scaffali pieni di rotoli di stoffe di svariati tessuti e colori.

La sarta non aggiunse altro, con un veloce colpo di bacchetta fece apparire addosso a Potter un abito con lo stesso taglio di quello di Draco, solo i colori erano diversi: un chiaro verde smeraldo e un grigio perla. «Non avendo ricevuto particolari indicazioni dalla Signora Malfoy per il suo abito, Signor Potter, ho pensato di adottare lo stesso stile di quello del Signorino Malfoy, cambiando solamente i colori in modo che mettessero in risalto i suoi occhi.» spiegò mentre sistemava le maniche della giacca, accorciandole appena e segnando i punti con degli spilli «Allora, cosa ne pensa?» aggiunse notando che il bambino non diceva nulla.

Il moretto ammirava la sua figura riflessa nello specchio a figura intera davanti a lui. Quello era davvero un gran bell’abito, non c’erano obbiezioni, e anche la scelta dei colori gli calzava a pennello facendo risaltare l’avvolgente nero dei suoi capelli e il brillante verde dei suoi occhi. Però… C’era quel però che Harry non sapeva bene cosa fosse, a cosa si riferisse. Il taglio di quel completo era così diverso da quello a cui si era abituato a vedere nel Mondo Babbano: simboleggiava un ulteriore distacco da quella che era stata la sua vita prima d’allora, il centro del suo mondo e forse non era ancora pronto a separarsi da quella cultura. Voleva che quell’abito gli ricordasse da dove veniva, qual’era il luogo che lo aveva reso com’era in quel momento: forte, intelligente, astuto, ambizioso e pieno di risorse in qualsiasi momento; voleva che quella sera, durantequel ballo, chiunque lo guardasse si ricordasse dove era cresciuto e che una parte della sua vita era e sarebbe per sempre costituita da quello che c’era al di fuori della magia.

«I colori mi piacciono, sono perfetti.» disse Harry mentre controllava come il tessuto dei calzoni gli fasciava le gambe «Però… volevo chiederle, è possibile apportare delle modifiche?» domandò senza distogliere lo sguardo dalla sua immagine riflessa nello specchio.

«Delle modifiche?» ripeté con una nota incerta nella voce.

«Sì, delle modifiche, crede che si possano effettuare? Niente di grosso: solamente dei piccoli accorgimenti qua e là.» spiegò il bambino sorridendo.

«Non so se la signora Mlafoy–» iniziò la sarta.

«Narcissa mi ha datocarta bianca per questo abito, mi ha autorizzato ad apportare delle modifiche se lo ritenevo opportuno.» spiegò con un tono pragmatico l’altro, con un piccolo movimento della mano a sottolineare le sue parole.

«Molto bene, in questo caso allora… Mi dica a cosa aveva pensato, Signor Potter.»

Harry, sorrise e con un luccichio di trionfo negli occhi negli occhi smeraldini iniziava a spiegare alla sarta quello che aveva in mente. Narcissa non lo aveva autorizzato a decidere da solo quali modifiche e come effetturale, ma, ne era sicuro, né lei né Lucius avrebbero trovato qualcosa da obbiettare.






***ANGOLINO DI SARATRIX***
E anche questa volta sono in super ritardo, ma sono dovuta partire per il mare dove non ho potuto partarmi dietro il computer e non avevo nemmeno il Wi-Fi e, vi giuro, scrivere e pubblicare i cpitoli dal telefono è davvero difficilissimo e la connessione dove mi trovavo era devvero pessima e ogni due per tre mi ricaricava la pagina dell'editor per l'hatml.
In ogni caso, inizio con lo scusarmi per gli eventuali errori di battuta qua e là, ma non so come mai il correttore automatico di Word ha gentilmente deciso di smettere di funzionare e non riesco a farlo ripartire; digitando sulla tastiera molto velocemente, spesso mi lascio alle spalle alcuni errori di battitura e troppo spesso rileggendo il capitolo non me ne accorgo.

Detto ciò, spero che il capitolo vi piaccia e che mi lasciate presto delle recensioni per farmi sapere cosa ne pensate
Un bacio e a presto


Saratrix
   
 
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