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Autore: Takeshi Inazuma    02/08/2016    0 recensioni
Mi chiamo Takeshi Inazuma (稲妻 武), maestro ninja dell'Ordine Dei Cinque Elementi.
Quello che sto per descrivervi qui è un ordine antichissimo, risalente probabilmente alla nascita dei primi ninja, e dell'arte del ninjitsu.
Cercherò di descrivere approfonditamente l'Ordine, aggiungendo anche parecchie mie avventure con i miei compagni.
Se credete mi stia inventando tutto, bhe, sappiate che è così. Sono solo le storie fittizie di un pazzo esaltato che crede di far parte di chissà quale fantomatico ordine segreto.
Ma se vi capitano cose strane, se siete in grado di fare cose come camminare sui muri, o battere un bullo in un solo colpo, cercate l'uomo dall'occhio rosso. E ricordatevi che, la fiamma più brillante non è visibile a chiunque...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era il lontano 1999, quando sono arrivato per la prima volta al Palazzo Del Sole (Taiyō No Kyūden). Avevo solo otto anni.
Avevo fatto un lungo viaggio per arrivare fin lì. Dovete sapere infatti, che il palazzo sorge sulle cascate Shiraito (白糸の滝 Shiraito no taki), sul Monte Fuji, tra le prefetture di Shizuoka e Yamanashi. Per chi non conoscesse questi posti, diciamo che si trova più o meno sulla costa sud-orientale dell'arcipelago giapponese, bagnata dall'oceano Pacifico (la costa, non il monte).
Comunque. Dovete sapere che ho perso i genitori quando avevo sei anni. Nessuno mi voleva credere, ma erano stati uccisi da un perfido aka-oni (oni rosso), creatura di cui parleremo nei prossimi capitoli.
Figurati se gli abitanti della città di Hiroshima mi avrebbero mai creduto. Io ero l'occidentale, il mezzosangue. Già, perché mia madre (Ella Jones) non era giapponese come mio padre, Takehiro Inazuma, uno degli uomini più ricchi del Giappone, discendente dagli antichi Shinpan (ovvero i daimyo, ossia i signori feudali, che erano imparentati con lo shogunato Tokugawa).
Andai a vivere dai miei nonni paterni, Takeshi Inazuma e Aiko Inazuma.
Abitavano in un'enorme villa appena fuori da Hiroshima. Non avevano mai approvato il matrimonio di mio padre con una straniera, ma non mi trattarono male. Non mi fecero mancare niente, mi educarono, mi fecero partecipare agli eventi dell'alta società (ad esempio la cerimonia del thè. Non vi consiglio di provarla. Immaginate di stare in ginocchio per ore senza potervi muovere).
Lui sapeva che io avevo l'hono.
Ce l'aveva lui, mio padre, il mio bisnonno...
La famiglia Inazuma discende dai primi sei possessori dell'hono della leggenda. Non so bene quale di essi. Mio nonno diceva fosse il ninja protagonista della leggenda, quello che aveva inciso il codice Kaze To Kasai sulle tavole di pietra. In realtà preferirei discendere da quella che aveva aiutato Susanoo a ritrovare la sua mistica spada, e che poi l'avesse ricevuto in dono dal kami (divinità), oltre ai poteri dell'hono. Ma non importa ora.
Un volta che ebbi raggiunto gli otto anni, quando inizia l'addestramento da ninja, mi disse che avrei dovuto raggiungere il Palazzo Del Sole, sulle cascate di Shiraito. Sì esatto, da solo. Mi caricò in spalla un grosso zaino con le provviste, tipo riso, carne, bottigliette d'acqua. 
Lo so cosa direte: Ma come! I tuoi nonni ti hanno lasciato andare da solo da Hiroshima a Shizuoka a otto anni?! Vi capisco. Ma non dimenticatevi che io ho l'hono. Non sapevo usarlo, questo è vero.
Dovete capire che secondo le antiche tradizioni, avrei dovuto dimostrare di essere degno. E poi, pensateci. Un bambino che viaggia da solo. Anche se non fossi riuscito ad arrivare, probabilmente in molti sarebbero stati disposti a darmi il loro aiuto per tornare a Hiroshima.
Per quanto riguarda i mal intenzionati, l'hono mi avrebbe comunque protetto. Avrei potuto atterrare in una mossa qualunque comune mortale.
Comunque, dopo parecchi giorni di marcia raggiunsi finalmente le pendici del monte Fuji.
Oramai avevo finito il cibo, e avevo fame.
Fu allora che la vidi. Era una volpe. Si avvicinò a me, senza paura, comportamento alquanto  insolito per un animale selvatico. Notai però un particolare. La volpe stringeva tra le fauci una grossa perla.
Ella corse via, e io la seguii. Passò l'intera giornata, e verso sera la volpe si posò davanti a delle cascate. Le cascate Shiraito!
Sopra di esse sorgeva un tempio alquanto singolare.
Si trattava di diversi edifici che sorgevano ognuno su una roccia diversa delle cascate.
Erano edifici antichi, lo stile era quello dei monasteri shintoisti.
Questi erano collegati fra di loro da ponti di legno dipinti di rosso.
Era primavera, e visto che le cascate sono ben distanti dai ghiacciai perenni che si trovano sulla punta, tutt'intorno era verde e rigoglioso. 
Appena di fianco alle cascate sorgeva un boschetto di ciliegi in fiore.
In piedi su una roccia c'era un vecchio.
Era giapponese, con una barba grigia che gli arrivava al petto, i capelli legati in una piccola crocchia.
Indossava un kimono bianco. Sopra di esso portava un haori, il soprabito che arrivava alla coscia, anch'esso bianco, con una leggere fantasia a griglia diagonale.
Aveva un hakama (si tratta di una specie di pantalone, ma così largo da sembrare una gonna) pieghettato bianco, con un motivo a righe strette verticali nere. 
L'haori era stretto con un haori-himo, una corda per stringere appunto l'haori, decorata con una nappa bianca.
Ai piedi calzava i tabi, i calzini corti bianchi, con l'alluce separato, e sopra di essi non aveva i classici zori, i sandali formali, ma aveva i waraji, ossia i sandali di corda usati dai monaci, un tempo calzature dei contadini giapponesi.
Portava una katana alla cintura (in realtà era un ninjato, la spada dalla lama dritta, ma io ancora non lo sapevo)
Mi guardò negli occhi. Aveva uno sguardo penetrante, come se ti stesse scrutando l'anima.
La volpe scappò.
-Ehm... buongiorno- dissi con un inchino (se ve lo state chiedendo, sì, quel buongiorno è la traduzione di "konnichiwa") -non vorrei disturbare, quella volpe mi ha condotto qui e io...-
-Se il dio Inari ha mandato una kitsune a guidarti al Tempio Del Sole, non sei un mortale smarrito-
-Inari? Il dio shintoista del riso e dell'agricoltura? Perché avrebbe dovuto mandare una delle sue messaggere a guidare me? Riguardo al mortale avrei qualche dubbio, ma sono smarrito eccome- dicevo, senza smettere di inchinarmi. Ero un bambino timido. E avevo appena scoperto che uno degli dei più amati dai giapponesi aveva mandato uno yokai per guidarmi, sapete com'è...
-Come ti chiami- chiese il vecchio
-Mi chiamo Ta-takeshi Inazuma- risposi, indovinate, inchinandomi un altra volta.
-Inazuma... mi dispiace per quello che è successo- mi disse chinando il capo.
-Si riferisce a...-
-Conoscevo i tuoi genitori. Due dei ninja più abili che avessi mai incontrato-
-Avevano anche loro l'hono?-
-Oh sì, la fiamma- rispose.
-Vo-voi chi...-
-Sono il maestro Ishigawa Goemon-
-Goemon... tipo il samurai di Lupin?- chiesi.
Lui sorrise -come il leggendario ninja del 1500 in realtà. Al tuo servizio- disse saltando dalla roccia e atterrando davanti a me, con un agilità decisamente inaspettata per un vecchietto.
-ma quindi l-lei avrebbe...-
-più di quattrocento anni. Quattrocento quarantuno per la precisione-
Ricordo che rimasi a bocca aperta.
-Immagino tu sia venuto qui per addestrarti. A quale scopo se posso chiedertelo-
Assunsi una specie di ringhio. Avete presente l'espressione che Eren Jaeger ha nell'ottanta percento del manga de "L'Attacco Dei Giganti"? Ecco, tipo così.
-Voglio vendicare i miei genitori! Voglio essere in grado di rispedire quegli stupidi yokai da dove sono venuti- il tono era meno sicuro di quanto possa sembrare dalle parole in realtà.
Lui non si scompose. In effetti per un bambino educato in Giappone erano parole di una maleducazione inaudita, quindi la sua disinvoltura era notevole.
-Singolare Takeshi. In genere ci si addestra per il proprio nobile lignaggio, e tu, rampollo di una delle più nobili famiglie di ninja del mondo, vuoi diventare ninja per vendetta-
Io avevo capito poco di quello che aveva detto, in realtà, ma credo voi comprendiate.
Avrà visto quanto fossi confuso, alche disse -non ti preoccupare, ci sarà tempo per capire. Ora entriamo nell'edificio principale- e così dicendo, saltò su una delle rocce più in basso (tipo tre o quattro metri), dove si trovava il primo edificio. Io mi arrampicai, e dopo un po' lo raggiunsi.
L'edificio non era niente di speciale, conteneva solo delle armi. Katane, ninjato e altre armi erano disposte ordinatamente. Il maestro Ishigawa (lo chiamerò così d'ora in poi) mi spiegò che quella era l'armeria. Attraversando un ponte che attraversava una cascata arrivammo in un'altro edificio, molto più in alto dell'altro. Entrati, mi accorsi di quanto fosse spazioso. Era occupata da centinaia di tavoli bassi, ognuno dei quali aveva quattro cuscini intorno. Quella era la mensa. Ora era occupata solo da qualche persona. Uno era vestito con un kimono da karate nero, e il volto era coperto da una maschera da ninja, un'altro indossava un kimono diverso, più simile a quello di un samurai, e un altro ancora, anzi, un'altra, indossava una corazza blu sopra una tuta nera.
Attraversarono un altro ponte, raggiungendo un edificio ancora più in alto. Questo conteneva parecchi cuscini, e su ognuno di essi c'era un tipo (ognuno di età differente) che meditava. C'era anche una bambina cinese, che avrà avuto più o meno la mia età.
Il maestro si avvicinò a lei, che faceva evidente fatica a rimanere concentrata.
-Lo trovi un esercizio difficile Shan?- chiese con voce gentile.
La bambina aprì gli occhi -si maestro-. Ecco una cosa che non avevamo in comune. Sapeva riconoscere di non essere capace di fare qualcosa.
-Per adesso puoi smettere, perché non mi aiuti a mostrare il tempio a Takeshi?- disse girandosi verso di me.
La bambina mi sorrise -Mi chiamo Shan Long Jin- disse. Io mi inchinai (si va bene, ero fissato con gli inchini, ma provate voi a crescere in mezzo all'alta società giapponese).
-Mi chiamo Takeshi Inazuma.
-Quindi imparerai a padroneggiare il fulmine?- mi chiese ("inazuma" in giapponese vuol dire fulmine). Io ero visibilmente confuso, dunque il maestro Ishigawa intervenne.
-Shan, Takeshi non sa ancora molto dei poteri dell'hono, dobbiamo portarlo all'edificio principale- e così dicendo uscì dall'edificio e si diresse sul ponte rosso che conduceva direttamente dietro una cascata. Da ogni roccia partivano duo o tre ponti, ma quello in particolare era quello che portava più in alto. Arrivati davanti alla cascata il maestro e Shan entrarono senza esitazione, e io gli imitai.
Ci ritrovammo in uno spiazzo di roccia, con una grande gong al centro.
In fondo allo spiazzo c'era un'altro edificio, ma molto più grande di quelli visti fin'ora.
Entrammo. C'era subito una stanza affollata. Al centro della stanza c'era una specie di scrivania, con un uomo anziano i kimono che scriveva tranquillamente degli ideogrammi su antiche pergamene. Non aveva i lineamenti asiatici, e notai che anche altri in quella sala erano occidentali. Il maestro Ishigawa si avvicinò a lui -maestro Olson, questo è Takeshi Inazuma- a sentire quel nome il vecchietto si alzò dalle sue pergamene e mi guardò.
-Oh my goodness- esclamò in inglese, ma poi passò al giapponese -dunque sei il discendente della famiglia Inazuma. Wonderful.-
Un po' di inglese lo conoscevo, visto che mia madre era di Detroit, anche se in realtà non è che ci volesse un traduttore internazionale.
-Ehm... perché è wonderf... cioè, perché è meraviglioso maestro Olsen?-
-Il tuo lignaggio. La tua discendenza. E' una cosa straordinaria-
Dovevo essere particolarmente confuso, allora il maestro Ishigawa mi spiegò -il maestro Olsen si occupa degli alberi genealogici di ogni famiglia in possesso dell'hono.-
-Quindi ad essere impressionante e il mio cognome?- chiesi
-Oh, no. Ad essere impressionante sono i tuoi antenati caro Takuro-
-Takeshi, signore- lo corressi.
-Takeshi, naturalmente-.
Ci dirigemmo in un'altra stanza, poi in un'altra ancora. Ognuna aveva al suo interno parecchie persone.
Scusate se la descrizione delle stanze è tirata via, ma descriveremo meglio il tempio nei prossimi capitoli.
Raggiungemmo una stanza chiusa.
Quando entrammo, vidi che conteneva due grosse tavole di pietra, scritte in una lingua incomprensibile.
Adesso questo passaggio lo salto, perché il maestro raccontò la storia del codice e la leggenda del ninja, che io vi ho anticipato nel capitolo precedente.
E credo di poter concludere qui anche il racconto. Nel prossimo capitolo vi descriverò le armi di un ninja.
   
 
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