Prima
di iniziare: la seguente FF è da considerarsi come un
seguito de L’impensabile
inaspettato... anzi lo è. Comunque, non
vi costringerò a leggere prima
l’altra e poi questa. Potete iniziare benissimo con la qui
presente... poi, magari,
se vi va, ve la andate a spulciare.
Loverman…
Capitolo Primo
“Never thought you'd make me perspire
Never thought I'd do you the same
Never thought I'd fill with desire
Never thought I'd feel so ashamed”
Il Jolly
Roger dei Mugiwara frusciava
fiero, alto, in cima alla coffa dell’albero di trinchetto,
sferzato da un vento
fresco che soffiava da nord-est; da lassù, il vessillo
dominava il mare; e la
sua presenza, monito per qualsiasi imbarcazione della Marina o di
masnadieri,
già imponeva con orgoglio l’egemonia del futuro Re
dei Pirati, il giovane
Monkey D. Rufy.
«Esattamente, proprio come mi sento... »
disse ironicamente un ragazzo biondo, osservando la bandiera nera dal
basso,
mentre, con le mani, si teneva al parapetto situato appena fuori
dall’ampia
cucina della Thousand Sunny.
«Così non va, Sanji» continuò
a parlare
a se stesso; poi, frugando nella tasca del suo
gilet doppiopetto, il
ragazzo tirò fuori un pacchetto di sigarette e un accendino.
«Non va, per niente». Con le labbra
acchiappò una sigaretta, la accese. Aspirò una
boccata e buttò fuori il fumo
dalle narici, disperato.
Intanto, la Sunny continuava a
veleggiare placida su un mare lievemente agitato e tinto di un azzurro
pallido
scaturito da un sole sonnacchioso da poco sorto nel cielo.
Nonostante
il suo
pessimo stato emotivo, il ragazzo si stava godendo l’alba;
infatti, quella
mattina, Sanji s’era alzato molto presto, per preparare
croissant e ciambelle
da servire a tutta la ciurma, con prezioso occhio di riguardo per
Nami-san e
Robin-chan, alle quali avrebbe fatto assaggiare delle paste con frutta
fresca e
marmellata. Voleva essere amato da entrambe solo per questo. Anzi,
avrebbe
dovuto desiderare unicamente l’amore delle donne, a suo
parere. Solo quello
delle donne.
«Sii
sincero, almeno con te stesso...
»
proseguì, con tono mesto.
In verità, non si era messo all'opera
unicamente per far colpo sulle ragazze e perché era il
responsabile cuoco della
ciurma di Cappello di Paglia: Sanji non aveva chiuso occhio per tutta
la notte;
in preda all'insonnia, era saltato giù dal letto in un
orario decisamente
antelucano. E nel tentativo di salvarsi da una certa tentazione, era
corso in
cucina: il tempio sacro dove purificare il proprio spirito.
Era riuscito a distrarsi giusto un paio
d’ore, ma oramai le prelibatezze erano pronte –
c'era solo da attendere il
risveglio dei suoi compagni, che con quel profumo invitante, sparso
come
incenso sulla Sunny, di sicuro non avrebbero tardato ad alzarsi
– e lui non
aveva più nulla da fare, così, era tornato a
riflettere: cogitava, elucubrava
serio, contorceva i pensieri, legandoli forte tra loro, tentando di
bloccarne
il flusso, ma inutilmente, fino a farsi venire un forte mal di testa.
Qual era la causa di tanto
tormento? Era un chiodo fisso, conficcato nella sua testa, in
profondità
nel cervello, impossibile da togliere senza far zampillare
sangue e
morire. Non voleva tenerlo, ma non lo poteva rimuovere, continuava a
fargli
male.
«Lo sapevo che sarebbe stata una
cattiva soluzione, dannazione!» inveì contro se
stesso, stringendo i pugni
dalla rabbia.
Con folate più forti, il vento gli rubò
parecchie boccate divorando la sigaretta, sbriciolando via molta
cenere; e le
vele della Sunny, riempite dalle correnti d’aria, risuonarono
tese, come a
sottolineare la gravità che trapelava dal soliloquio del
pirata.
«Non doveva accadere, Zoro... »
Il chiodo fisso, la sua monomania,
aveva anche un nome.
«Pensando troppo al Diavolo, si finisce
per evocarlo» sibilò Sanji, che non si aspettava
di veder comparire lo
spadaccino così presto e, di conseguenza, doverci fare
subito i conti.
«... Marimo!» gridò, chiamando la
monomania col nome che più le si addiceva, ma non troppo
forte per evitare di
svegliare le ragazze, giusto in un grado sufficiente per catturare la
sua
attenzione; tuttavia, lo spadaccino non gli rispose,
attraversò il manto erboso
della Sunny fino a trovarsi proprio sotto il parapetto del primo piano
e sotto
il naso del ragazzo biondo… che lo stava guardando
dall’alto, con malcelata
intensità.
«Già sveglio, e che è successo? Ti sei
stufato di fare il dormiglione scansafatiche!» lo
apostrofò il cuoco, urtato
dal non aver ricevuto alcun saluto in cambio e, soprattutto, per
apparire come sempre,
dandogli un equo buongiorno.
«Dormo quanto mi pare, la cosa non ti
riguarda. E oggi devo
allenarmi, mica sto
sempre a perdere tempo come te»
Furono parole pronunciate in malavoglia…
alla faccia del buongiorno!
Sanji sentì, oltre alla solita
“simpatia” a lui
riservata, una forte puzza di allusione, buona ad attaccar briga.
Corrugò inviperito le sue particolari sopracciglia
arrotolate e,
ovviamente,
replicò: «Ti faccio notare che sono sveglio da un
pezzo
prima di te, e poi cosa
stai cercando dire? Che quello che faccio in cucina è meno
impegnativo rispetto
alla tua dannata ginnastica?»
«Sì, anche» ammise Zoro, sorridendo di
sghembo.
Tra i due sfrigolava una esagerata
tensione, a prima vista immotivata.
«Ti avviso, testa d’alga: non
cominciare a provocarmi, perché ti giochi la
colazione! Che dici, lo vuoi
assaggiare latte e veleno?» lo minacciò il ragazzo
biondo, mordendo la
sigaretta.
«Ma guarda come ti scaldi di prima
mattina! Devi aver dormito poco stanotte, vero?!» lo
schernì Zoro, guardandolo
con attenzione.
A quell’insinuazione, sentendosi
addosso l’unico occhio dello spadaccino, Sanji
avvampò imbarazzato, ridicolo,
decisamente scoperto; perché ciò significava due
cose: la prima che Roronoa si
era accorto del suo letto vuoto appena lo aveva lasciato; la seconda
che non
solo Zoro aveva fatto caso alla sua assenza... ne conosceva anche le
motivazioni. Quest’ultima possibilità mise
immediatamente il cuoco in crisi.
La colpa della fuga notturna di Sanji era da attribuirsi al caldo che
non gli aveva permesso di dormire, e che gli
aveva creato una situazione conturbante e
avvenente... da farlo capitolare ai piedi di una deleteria
bramosia.
A causa dell’afa, nonostante la
presenza all’interno della cabina dei ragazzi di comodi letti
a castello, durante
la notte lo spadaccino aveva preferito dormire a terra, per giunta
mezzo nudo;
mentre gli altri, Rufy, Usop e Chopper si erano sistemati ai piani alti
– anche
se, la renna si addormentava volentieri tra le gambe di Zoro, ma non
era
accaduto in quell’occasione – e sotto, sui letti
bassi, stavano Franky e Sanji;
Brook era rimasto di vedetta nell’osservatorio.
E proprio Sanji si era trovato il
marimo srotolato accanto al suo letto, poco sotto di lui, a portata di
tocco,
quasi completamente nudo e profondamente addormentato.
Accorgendosi della sua presenza così
vicina – solo trenta centimetri d’altezza a
separarli – con tanta porzione di
pelle scoperta ad una possibile mercé, Sanji si era sentito
alla pari di un
tossicodipendente a cui erano state servite, gratuitamente e su un
piatto
d’argento, diverse sostanze stupefacenti, pronte da sniffare,
iniettare...
ingoiare. E quest’ultima attività era tra quelle
che, ossessivamente e da alcune
settimane, il cuoco anelava di provare insieme allo spadaccino, e
meglio se
fosse stato Zoro stesso a somministrargli tutto.
Farne uso e abuso, contorcersi e
rilassarsi ad ogni dose, abbandonare se stesso ai singulti, farsi
completamente
riempire e stravolgere dal loro effetto… farsi
fottere… il
cervello.
Ma prima di arrivare a riempirsi la
mano, afferrando tutto quello che c’era da afferrare, il
cuoco si
era bloccato, perché lo spadaccino aveva mosso appena il
viso,
così da far vibrare gli
orecchini con un lieve “tic” che, come un allarme,
avevano
svegliato il ragazzo biondo
dal pericoloso trance in cui era caduto.
Dopo essersi accorto d'essere tremante, orrendamente
sudato e appena eccitato, Sanji era schizzato via dal letto, sgusciando
veloce
dalle lenzuola madide e sperando che nessuno, tra i presenti
addormentati, si
fosse accorto del suo insolito comportamento, specie lo spadaccino, che
fortunatamente gli era sembrato stare ancora in coma profondo.
Il cuoco era andato verso il lavabo
interno alla cabina per affogare la propria faccia nell’acqua
fredda e spegnere
l’incendio che sentiva bruciargli le orecchie. Prontamente,
vi
aveva immerso anche
le mani in una sorta di abluzione purificatoria – soprattutto
per
sciacquare quella peccaminosa, che aveva desiderato andare oltre
– lavando entrambe in modo tanto energico da
togliersi la pelle con le unghie, da graffiarla fino a perdere del
sangue, come
se avesse potuto, in tal maniera, rimuovere ogni intenzione avuta,
scacciarla
via per sempre.
Chiunque lo avesse guardato in quel
momento, lo avrebbe descritto come un invasato in preda ad
un’orticaria
fulminante che, mentre tentava di pulire ogni singola traccia della
clandestina ed improvvisa voglia avuta, si voltava ininterrottamente e
a scatti
in direzione del marimo, assicurandosi di vederlo sempre dormiente.
Alla fine, che aveva compiuto di tanto scabroso
e perseguibile? Aveva semplicemente sfiorato la pelle di uno dei suoi
nakama,
non c’era nulla di strano o, meglio, non ci sarebbe stato
nulla di strano, se
non avesse desiderato al contempo di accarezzarlo su ogni centimetro
del corpo,
di aggrapparsi a lui e di provare un nuovo tipo di accoppiamento.
Dietro quelle carezze si nascondeva l’impurità,
una cloaca di curiosità, secondo Sanji.
Il cuoco
era arrivato a desiderare “la droga” a
tal punto perché, in realtà,
l’aveva già provata prima di quella
notte.
Era
accaduto all’incirca un mese prima, durante una disperata
perdita di autocontrollo,
probabilmente dovuta alla lunga permanenza sull’isola
Momoiro; quando,
all’apice del suo altruismo, Zoro era intervenuto contro la
volontà stessa di
Sanji – che non aveva saputo fermarlo –
per placare, a mano, gli incontenibili istinti del cuoco
attraverso miracolosi
e decisi massaggi. Un semplice aiutino, nulla di più, che
non avrebbe dovuto
dare adito a comportamenti recidivi, come quelli che il ragazzo biondo
stava
avendo.
Era stata questa la soluzione estrema,
che però lo aveva guarito: i travestiti di Kamabakka non si
intrufolavano più
nei suoi sogni tramutandoli in incubi, e lui poteva benissimo guardare
una
donna senza perdere sangue dal naso e mandare a quel paese
facoltà motorie e
intellettive. Inoltre, non si eccitava improvvisamente senza motivo.
Era stato
completamente risanato. Ma dal marimo e non da una femmina.
L’episodio doveva finire lì dove era
cominciato. Tuttavia, quel piccolo assaggio gli era piaciuto subito e
già da
quella volta Sanji era divenuto cosciente di volerne
dell’altro.
Inizialmente, non gli parve un
problema; il cuoco si comportava normalmente sia con Zoro che con le
ragazze,
ma col passar dei giorni, erano fioccati i sensi di colpa per la
nascita di una
sinistra attitudine: una sorta di attrazione morbosa per il marimo, non
per gli
uomini, per il marimo e basta; gli mancavano quelle particolari
attenzioni che
lo spadaccino gli aveva elargito bonariamente.
Il cuoco era praticamente
precipitato nell’astinenza, da sentirsene male; e non solo
per questo: l’attitudine
stessa cozzava con il suo concetto di “essere un uomo, essere
degno di
chiamarsi Mr. Prince”.
L'attitudine non andava assecondata in nessun
modo, e Sanji non aveva fatto altro che resistere da allora fino alla
notte del
misfatto.
Ora, lo
spadaccino era lì e gli aveva
fatto proprio quella sorta di domanda/allusione, guardandolo
addirittura con
l’espressione di chi sapeva. Se ne era veramente
accorto? Oppure, era
solo la paranoia a mostrargli un’alterata
realtà?
A Sanji venne voglia di volatilizzarsi
come la cenere della sua sigaretta; restò zitto, e non
perché non sapeva cosa
dire, piuttosto, non sapeva da dove iniziare.
Zoro interpretò il silenzio come un
segno di resa e, indisturbato, si mosse per salire le scale.
Il cuoco ancora lo osservava dall’alto,
confuso. Voleva chiedergli a sua volta se la notte era stata insonne
anche per
lui, ovvero, se si fosse accorto di qualcosa, ma questo avrebbe
equivalso una
dichiarazione. E Zoro avanzava; ogni gradino che saliva accorciava le
distanze
tra loro: i passi rumorosi che facevano scricchiolare le assi di legno,
gli
orecchini che dondolavano liberi, le spade che si toccavano; in poco
tempo
sarebbe subentrato anche il suo odore di pirata fatto e finito. Aveva
un
aspetto troppo invitante, pareva una cornucopia in formato spadaccino,
ricca di
frutti belli e succosi, da prendere e mangiare, e che stavano rinviando
Sanji
alla notte trascorsa, durante la quale aveva desiderato cibarsene.
Altroché frutti del Diavolo! Il demonio
ce lo aveva lì, in carne, muscoli e con pericolosi istinti
omicidi sopiti, che
si risvegliavano ogni volta ch’egli sguainava le
affilatissime katana.
Sanji non riusciva a levargli lo
sguardo di dosso, e continuando ad osservarlo la sua coscienza
elaborò
liberamente un’immagine: un’immagine in cui Zoro
gli era tanto vicino da
avvertire l’elsa della Wado’ premere contro il suo
addome, un’immagine in cui
lo spadaccino lo fissava languidamente e come il più
scorretto degli amanti gli
sussurrava all’orecchio una sorta di febbrile incantesimo: “ti ho sentito stanotte, non dovevi
andartene”, un’immagine che non
smetteva di prendere forma e nella quale Zoro, con poca grazia, tentava
di sfibbiare la cinta
che gli teneva su i
pantaloni, “adesso, cuoco, voglio
che finisci
quello che hai cominciato: toccami, forte!”...
«CHE FAI?!» gridò Sanji,
completamente posseduto dalle sue fantasie; vedendo lo spadaccino
avvicinarsi
veramente, ebbe il timore di esserne palpato.
Quasi stordito, perché l’idiota del cuoco
gli aveva urlato in faccia e all’improvviso, lo spadaccino
guardava Sanji con
aria perplessa, indeciso se gridare a sua volta, ma scelse una via
più
diplomatica e razionale: ignorare l’accaduto, per il momento:
« … Mi sembra
ovvio: vado a fare colazione, che tu lo voglia o meno» e
proseguì in prossimità
della sala da pranzo, dove il cuoco ne intralciava l’ingresso.
«Ah, solo questo... » esclamò Sanji,
tirando un sospiro di sollievo nell’avvertire la patta dei
suoi pantaloni ancora
serrata e il resto in sicurezza. Ma quel sospiro non sfuggì
all’accorto
spadaccino, che fece caso anche ad un certo rossore iniziato dal collo
e
arrivato ad imporporare le guance di quello stupido ricciolo biondo,
non
resistette alla tentazione di pungolarlo: «… Senti
un po’, che ti prende
stamattina? Sei più strano del solito»
«Assolutamente niente!» rispose subito
Sanji, correndo ai ripari del suo incontrollato comportamento, che lo
stava
cacciando in un guaio bello grosso, perché il marimo si
stava insospettendo, e
se non si era accorto di niente, come il cuoco sperava,
perché fargli
venire per forza dei dubbi.
«Be’, se non hai nulla, smettila di
fare lo scemo, sei alquanto fastidioso», e Sanji non
controbatté: gli importava
essere lasciato in pace per il momento. Poi, nel tempo, il cuoco gliela
avrebbe
fatta comunque pagare.
Finalmente, Zoro fece per andarsene
con grande gioia da parte di chi aveva parecchio da nascondergli, ma,
attratto
dalla vista di un piccolo particolare, lo spadaccino si
voltò ancora in
direzione del cuoco: «E quelli cosa sono? – chiese,
bloccandosi prima di
entrare nella sala da pranzo della Sunny – Che hai fatto
lì?» gli domandò,
cogliendo Sanji di sorpresa.
«Come? Lì dove?!»
Stavolta, Zoro si avvicinò tanto che
davvero l’elsa di una delle sue spade arrivò a
sfiorare Sanji, facendogli credere
d’essere un veggente: la situazione
stava precipitando trasformandosi quasi nella sconvolgente fantasia da
poco
svanita ma ancora vivida nella sua mente. Addirittura, Zoro gli
afferrò con fare impulsivo un polso, per
sottomettere la sua mano destra ad un’analisi attenta.
Il ragazzo biondo, nel percepire quella
presa d’acciaio, avvertì le membra farsi molli: lo
spadaccino lo stava toccando,
lo aveva preso proprio per quella mano furba che aveva osato cercare il
proibito.
Sanji non sapeva come comportarsi e
temeva che il suo viso cambiasse espressione contro la sua
volontà, in una
smorfia buona a far trapelare tutto quel torrente in piena che erano i
suoi
sconci pensieri sul marimo, i quali l’avrebbero sicuramente
tradito e fatto
scoprire.
«Cosa sono questi graffi?» domandò
secco e conciso lo spadaccino, con aria seria e clinica,
sbattendo in
faccia al cuoco l’evidenza che lo avrebbe incastrato.
Per il pirata Gamba Nera, era arrivato
il momento di comportarsi nel modo più pacato e distaccato
possibile. Il
depistaggio e la nonchalance gli parvero un’ottima
scappatoia: «Ah, questi… Me
li sono procurati pulendo il pesce spinato che abbiamo mangiato ieri
sera. Il
suo corpo coriaceo aveva spine affilate, lunghe più di
cinque centimetri –
disse, racchiudendo la misura delle ipotetiche spine tra due dita, con
un gesto della mano che aveva
libera – andavano tolte, altrimenti non avrei potuto tagliare
via il primo
strato di tessuto duro per giungere al suo ventre molle, la zona
più gustosa e
commestibile di questo pesce... Delizioso se viene cotto al forno,
accompagnato
da un ottimo vino bianco... Di che ti stupisci? Sono incidenti che
possono capitare
in cucina» confessò Sanji, con aria molto
professionale, ma inventando una
balla esagerata; che però aveva dignità e ragione
di esistere, perché la sera
prima la ciurma aveva mangiato davvero del pesce, ma nessuno era venuto
a
conoscenza del tipo e, di solito, in pochi si soffermavano a vedere il
cuoco ai
fornelli; tra l’altro, lo spadaccino non aveva mai fatto
parte dei curiosi.
Peccato solo che un cuoco del suo
calibro avrebbe fatto attenzione e non sarebbe mai arrivato a ferirsi
in quel
modo; Sanji era bravo in cucina e un chirurgo nell’uso dei
coltelli, ne era a conoscenza
anche lo spadaccino, che non la prese a bere. Inoltre, Zoro sapeva
benissimo
quanto quello stupido del suo compagno cercasse sempre di tenere
immacolate le
proprie mani.
Lo spadaccino scelse il silenzio, un
invito per dare a Sanji una seconda possibilità, il tempo di
farlo riflettere e
sputare il rospo, anziché blaterare cazzate.
Al contrario delle sue aspettative, il
cuoco tirò indietro il braccio, invitandolo a mollare la
presa.
Però, non accadde: Roronoa gli teneva stretto il polso e
continuava a fissarlo
tanto accuratamente dando l’impressione di essere in grado di
leggere gli
altrui pensieri. O così sembrava al ragazzo biondo, che non
ce la faceva più ad
essere scandagliato da quella testa d’alga inaspettatamente
attenta. Si sentiva
come un imputato sotto interrogatorio.
Passarono una ventina di tesissimi
secondi di nulla. Fino a quando scoccò
l’ultimatum, e Zoro tornò a dare la sua
imbeccata: «Che strano, giurerei di averti visto con le mani
intatte fino a
ieri sera, anche dopo cena, evidentemente mi sono sbagliato»
«Non ci avrai fatto caso, piuttosto
sono io che trovo strana la tua attenzione nei miei riguardi»
rispose il cuoco,
cercando furbamente di eludere la questione, persino volgendola contro
Zoro che
corrucciò ancor di più il suo cipiglio teso e
corrusco.
«Quindi, tutti questi graffi solo per
aver tolto le spine ad uno stupido pesce... E neanche sei andato a
farti
medicare da Chopper» osservò lo spadaccino
ignorando l’accusa; il suo tono era
stato leggermente enfatico per mettere in luce le evidenti falle
dell’alibi, a
sottolineare quanto il cuoco gliel’avesse sparata grossa, e
lui ovviamente non
c’era cascato.
Sanji deglutì rumorosamente, avrebbe
dovuto nascondere le prove fasciandosi le mani, non pensarci
era stato un madornale errore.
Lo spadaccino attendeva ancora
un’ultima risposta, «È andata davvero
così?»
«Sì.» confermò Sanji, senza
aggiungere
altro.
A quel monosillabo, e mantenendo la
stessa espressione ghiacciata, Zoro stritolò il polso del
cuoco con forza,
quella vera, la stessa forza che usava quando brandiva le katana per
sferrare i
suoi feroci fendenti. Guai a prendere in giro uno degli
spadaccini più
temuti al mondo.
Sanji non era una donnicciola, sapeva
resistere al dolore e, naturalmente, si era accorto che
l’intensità della presa
si era fatta pericolosa. Iniziò a temere una ovvia
eventualità, c’era un messaggio
implicito dietro tutto il loro tergiversare.
I due continuarono a guardarsi,
entrambi grevi; al cuoco tremava addirittura il braccio per resistere a
quella
stretta massacrante, tanto forte che la sua mano era diventata
d’un colore tendente al viola a
causa del sangue che non rifluiva correttamente.
«Hai qualche problema?» domandò Sanji,
cercando d'essere minaccioso, ma inutilmente: era vistosamente sudato a
causa dell’agitazione e dello sforzo.
«Io no, ma tu forse» rispose Zoro.
Altro ingombrante silenzio, la verità
non veniva fuori, il ragazzo biondo aveva scelto la reticenza e a Zoro,
poco
paziente, parve inutile continuare; gli bastava avergli fatto intendere
che lui
non era uno stupido da prendere per il naso. Allentò la
pressione delle dita
liberando Sanji, che aveva acquisito in poco tempo, oltre ai graffi
sulle mani,
pure degli evidenti segnacci rossi, proprio lì dove il suo
compagno lo aveva
stretto in modo micidiale.
E no! Il pirata Gamba Nera non ci
stava, da quando lo spadaccino era diventato tanto subdolo? E come si
era
permesso di usare quella forza con lui! Arrivato a quel punto, il cuoco
voleva
sapere.
«Marimo, aspetta un attimo…»
Zoro se ne stava andando ma si fermò,
curioso e speranzoso di sentire vuotare il sacco.
«Cosa vuoi ancora?»
Sanji aspirò l’ultima boccata di fumo
dalla sigaretta ridotta a un mozzicone, «È inutile
che ci giriamo in torno,
parla chiaro, a che ti riferisci?» fu una domanda a doppio
taglio, perché
insistendo era possibile che il cuoco arrivasse a sentirsi dire parole
che
avrebbero potuto confermare il disastro, cioè che lo
spadaccino si era accorto
lui e della sua mano svelta.
Sanji sapeva di non essere preparato a
tale eventualità, cosa gli avrebbe risposto? Come si sarebbe
giustificato con
lui? Il pirata Gamba Nera non era pronto a ricevere la condanna, ad
essere
giudicato; ma nemmeno voleva passare per fesso, se lo spadaccino aveva
qualcosa
da recriminare doveva solo accomodarsi.
«Per cosa?» gli domandò Sanji.
«Non andrò a lavarmi le mani dopo
averti toccato»
Chiuso il discorso.
Lo spadaccino scansò il cuoco con una
spallata; Sanji rimase imbambolato, non afferrò subito
l’appena svelata verità,
ma quando focalizzò tutta la sua attenzione ripensando alle
ultime parole di
Zoro, il ragazzo passò automaticamente a guardarsi le mani
offese dalle ferite
che lui stesso si era procurato. E iniziò a comprendere
immediatamente. Sgranò
le palpebre, persino gli cadde dalle labbra la sigaretta quasi spenta.
Provò
una sorta di forte vertigine, come se fosse stato affetto da
labirintite, unita
ad un crescente stato d’ansia.
«Tu.. !» con fare impetuoso e
sconvolto, il pirata Gamba Nera afferrò Roronoa per i lembi
della veste scura
che lo spadaccino indossava. Tante, troppe domande e avvenute prese di
coscienza erano riassunte in quel “tu”.
Così tante che si stavano incastrando
l’una sull’altra e non permettevano al cuoco di
proferire altro articolando la
lingua. Ma di voglia per picchiare forte lo spadaccino, ne aveva barili
pieni:
non solo Zoro si era accorto di lui, se ne era anche preso gioco per
tutto quel
tempo, atteggiandosi a finto ignaro e facendo fare al cuoco la figura
dell’idiota racconta balle.
Sanji avvertì la rabbia muoversi in
profondità, a partire dallo stomaco, accompagnata
dall’arrivo di una copiosa dose
bile, che gli avrebbe dato bruciori nei giorni a seguire. Voleva
prenderlo a
calci, l’avrebbe fatto, lo stava per fare, ci era vicino ma,
fortunatamente, gli
venne impedito.
«Sanji!
Sanji! È pronta la colazione?!
Mamma mia, ho una gran fame! C’è anche Zoro, ci
siamo svegliati tutti e tre
molto presto oggi!»
Quello che stava sbraitando allegro era
Rufy, il Santo Capitano che grazie al suo arrivo aveva salvato entrambi
i
ragazzi da un’animata baruffa.
Il cuoco non tolse mai lo sguardo da
quello di Zoro, anche quando, lentamente, si voltò con la
faccia verso Rufy che
li stava raggiungendo. Pure lo spadaccino non batté ciglio:
inamovibile, una
montagna.
«Ragazzi, ma state litigando?!» domandò
il Capitano, interpretando il siparietto che aveva davanti a
sé, con il cuoco
aggrappato allo spadaccino e quest’ultimo avente sul volto
una brutta cera, più
la mano sinistra sull’elsa di una spada.
«Non stiamo litigando, stiamo solo
cercando di capire chi tra i due è il vigliacco»
gli rispose Zoro, laconico,
lasciando Rufy sorpreso quel tanto da fargli assumere la sua classica
posa
inespressiva, con la testa inclinata da un lato, posa che montava su
mentre
iniziava a riflettere nel tentativo di capire le dinamiche che si
stavano
agitando dinnanzi ai suoi occhi.
«Vigliacco a chi?!» ringhiò Sanji,
simile ad una belva idrofoba.
«Dimmelo tu» contrattaccò lo
spadaccino.
Dopo una breve riflessione sui due,
Rufy si pronunciò: «Be’, a me questa
vostra storia non interessa. Io ho fame,
Sanji dammi qualcosa!» probabilmente il ragazzo di
gomma intuì che era
meglio non intromettersi. Erano i suoi compagni, poteva accadere che
litigassero e che poi, risolte le cose, facessero pace. Senza contare
che non era
nemmeno la prima volta che quei due finivano con
l’azzuffarsi. E mangiare era
più importante.
«Adesso sarai subito servito» disse il
cuoco al capitano, ma la frase sembrava tutta indirizzata a Roronoa.
«Dai Sanji, lascia stare Zoro,
discuterete dopo. A proposito, che hai preparato di buono
oggi?!» ribadì Rufy, perché
il cuoco pareva proprio assente, eccetto che con lo spadaccino dal
quale non si
staccava.
«Sanji?!» niente, neanche gli
rispose; il ragazzo di gomma pensò di attuare una strategia
per riavere l’attenzione
del cuoco, la strategia del “diventare assillante fino a far
scoppiare l’altrui
pazienza”: cominciò ad agitare le mani compiendo
ampi archi con le braccia e a
dire a voce alta “cibo, cibo, cibo, cibo!” stando
vicinissimo al cuoco. Era incontenibile, pareva una
sirena; ma fu immediatamente interrotto.
«E che ti si è incantato il disco?! Smettila
di gridare o sveglierai le dolcissime Nami-san e
Robin-chan!!!»
Centro! Il cuoco mollò definitivamente
la presa dallo spadaccino, con quella piattola intorno non ci sarebbe
stato più
modo per continuare ad approfondire la questione.
«Che problema c’è? – rispose
Cappello
di Paglia, tranquillo e felice – È mattina, devono
svegliarsi, e poi Nami deve
dirmi quanto manca per arrivare alla prossima isola, bisognerebbe
chiamarla...
Naamii!», Rufy iniziò a gridare in direzione della
cabina delle ragazze.
«MA SEI IMPAZZITO!», il pirata Gamba
Nera, tramutatosi in un momentaneo uomo-squalo dai denti aguzzi, con un
colpo
deciso gli mollò un calcio in testa… e con la
scusa, ne approfittò per sfogare
parte della rabbia che non si era consumata con lo spadaccino.
«Ahiaaa!!! Perché mi hai colpito?!»
«Così la smetti di fare baccano, non si
svegliano due signore che dormono, maleducato!»
«Ti faccio notare che stai alzando la
voce anche tu!» replicò il ragazzo di gomma,
andando a toccare un doloroso
bernoccolo appena cresciutogli in prossimità della fronte.
«Finiscila!»
«D’accordo Sanji – esordì il
Capitano,
diventando improvvisamente serio – tu dammi la colazione e io
non andrò a
svegliare nessuno» concluse, molto convinto di aver formulato
un efficacie
ricatto. Ma col cuoco non attaccava, anzi: «Se non la pianti
non ti darò
niente, a parte qualche altro colpo in testa!»
«Sei crudele, io ho fame e tu non mi
fai mangiare... »
«Non ho detto che non ti faccio
mangiare, ma che devi stare zitto se vuoi del cibo!» Sanji lo
riprese come
avrebbe fatto con un bambino.
«Wow! Ma da qui vedo tante cose dall’aspetto
squisito! Sono pasticcini quelli con la frutta?!» disse Rufy
estasiato, dopo
aver buttato un occhio oltre Sanji e aver notato la tavola imbandita
all’interno della sala da pranzo, la quale, secondo lui,
aveva tutta l’aria di
dover essere assalita.
Zoro, rimasto in disparte, ripose nel fodero la Kitetsu che
aveva sfilato di appena qualche centimetro. Anche lui
lasciò stare
l'idea di continuare la discussione. Perciò, si mosse
seguendo
Cappello di Paglia; dando volentieri le spalle al
cuoco e approfittando
dell'occasione per un’ultima bottarella:
«Sì, oggi
ho molta fame anche io,
speriamo che toccando il cibo con queste mani non venga contagiato da
una
qualche malattia strana», ennesima frecciatina scoccata
contro
Sanji ,che
incassò il colpo e non rispose.
«E perché dovrebbe venirti una “qualche
malattia strana”?» gli domandò Rufy.
«Chi lo sa… » rispose Zoro,
vago,
chiudendo lì la questione.
«Si mangia, evviva!» strillò ancora
Rufy, che alla vista del cibo dimenticò quel che lo
spadaccino aveva appena
detto.
«Ricorda di lasciarne anche agli altri, non fare il solito
ingordo!» lo
redarguì nuovamente il cuoco che,
Quello che stava ascoltando era l'inconfondibile
suono di un violino: Brook
suonava, dando un delicato buongiorno a tutta la ciurma.
Per un attimo, Sanji tornò a fissare il
vessillo pirata, come a dedicargli una devota preghiera; il Jolly Roger
era
scosso da un vento fortissimo che sembrava animarlo di vita propria.
Non
sono un vigliacco...
Il
cuoco e il
marimo avevano un impellente conto in sospeso.
“Never thought I'd have to retire
Never thought I'd have to abstain
Never thought all this could back fire”
Continua...
Note
dell'autrice: ed eccoci qui! Sto ritrovando il piacere di trattare One
Piece. Però devo scaldare meglio le mani e
ricordare come si scrive
Comunque,
i Jolly Roger presenti sulla Sunny sono due, l’altro
è in cima all’albero
maestro. Anzi credo si possano considerare tre se ci infiliamo pure
quello
dipinto sulla vela.
L’immagine
presente ad inizio pagina, co’ i primi piani, è
una mia fan art. Lo so, Pandroso
scritto in fucsia fa schifo, però la firma ce la dovevo
mettere. Spero che vi
piaccia, l’immagine non la firma, ovvio.
Rispetto
a L’impensabile inaspettato,
questa ff ha e
avrà un clima diverso. Ve ne
accorgerete.
Attendo
vostri commenti, impressioni, pareri.
Un
salutino! ^^
PS:
il testo della canzone scelta è My sweet Prince, dei
Placebo, non a caso,
potete ascoltarla qui:
LINK.
Sanji
ha un urgente problema.
Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione
alle note.
E a voi la lettura.
Pubblicata:
03/11/13 |
Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
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Meno
di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo della
Sunny chi può si
riposa, altri non dormono: si incontrano casualmente, o per mistico
volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però
spetta a voi
valutarlo.
Buona lettura.
Pubblicata:
20/10/13 |
Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami
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Curami
(Zoro/Perona/Mihawk)
Una
convivenza forzata, un addestramento in corso e forse
un’attrazione accidentale
che non vuole nessuno. L’isola Kuraigana non è
solo un luogo di morte; e Perona
e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla stessa
macchia
di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
III capitolo on-line
Pubblicata:
11/09/13 |
Aggiornata: 02/10/13 | Rating: Arancione
Genere: Azione, Romantico | Capitoli: 3 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
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