Il
collegio stava cambiando Steve, Fred l’aveva notato subito.
Il giovanotto, che
tornava a Valle due volte in un anno, solitamente per il Santo Natale e
alcune
settimane di vacanze estive, si faceva, con gli anni, sempre
più cupo e
solitario. Coltivava diverse passioni, suonava molto bene il piano e
dipingeva
divinamente, ma tali attività finivano a volta per
avvilirlo, perché sapeva di
non potervi dedicare tutto il tempo che desiderava. Fred sapeva che
Steve,
potendo, avrebbe voluto diventare un pittore, e che suo padre riteneva
i
passatempi del figlio assolutamente inutili, “una perdita di
tempo”, come
soleva ripetere.
Non
si somigliavano, Lorenzo e il figlio. Il ragazzo ricordava la madre nel
taglio
degli occhi e nei colori, ed era sì alto, ma non
esageratamente, per un uomo; o
almeno, paragonato al conte e a Fred, che erano due giganti, Stephen
Ranieri
non spiccava. Era comunque un bel giovane, molto affascinante a detta
delle
signorine che lo guardavano, che erano attratte dallo sguardo pensoso e
serio
del ragazzo più che da qualche dettaglio del viso.
Poiché
Stephen passava a Valle poco tempo e Lucilla era spesso impegnata in
“opere di
carità”, come le chiamavano il conte e il vescovo,
era difficile che i due si
incontrassero e, sebbene esistesse tra loro una corrispondenza, era
noto ai più
che tali lettere non contenessero il minimo segno di interesse da parte
di
Stephen. Non che il parere di Steve contasse tanto, in
realtà; il vescovo
sperava però che tra i due futuri sposi nascesse almeno una
piccola simpatia.
«Non
temete, monsignore» lo assicurò il conte. Era
agosto e Valle era in festa: il
vescovo aveva celebrato personalmente la funzione – onore che
non tutti i paesi
potevano vantare! – e, dopo la processione, si era fermato ad
assistere ai
balli di piazza. Altrove, non sarebbe accaduto: ma a Valle
c’era Lorenzo, che
era suo amico, e Lorenzo era un conte, e il figlio del conte avrebbe
sposato
Lucilla: insomma, quel paese sarebbe stato di sua nipote, un giorno.
«L’ultima
volta che Stephen ha visto vostra nipote era un quattordicenne che poco
pensava
alle fanciulle; ora ha diciassette anni e credo gli sarà
difficile ignorare la
bellezza di Lucilla.»
Il
vescovo annuì.
«Quest’anno,
però, a Natale, dobbiamo fare in modo che si incontrino.
Dirò a mia nipote di
non prendere impegni di alcun tipo; il mondo non cadrà, se
per una volta pensa
a se stessa e non agli altri.»
In
realtà, ciò che non doveva
“cadere” era la reputazione di Lucilla, osannata in
lungo e in largo come una sorta di santa, una fatina dei poveri; per
costruire
tale aura di santità c’erano voluti anni di
impegno e, alla fine, la ragazza si
era anche abituata al ruolo: fare del bene era ormai diventato
automatico.
L’unica cosa che le si sarebbe potuta rimproverare era
d’essere alquanto bigotta;
tuttavia, Lucilla era circondata da gente bigotta, ragion per cui
nessuno
poteva criticarla.
Quasi
fosse la sua ombra, Erika si spostava sempre assieme a Lucilla e,
dov’era
l’una, era immancabilmente anche l’altra. La
ragazza era stata educata bene, vestita
con eleganza, pettinata con riguardo; tuttavia non bisognava
dimenticare da
dove venisse e, perciò, era costantemente ricordato
– a lei e agli altri – che
si trattava solo di una dama di compagnia, salvata da un destino che
altrimenti
sarebbe stato triste, dato che i poveri genitori erano morti quando la
piccola
non era autonoma e senza lasciarle altro che debiti, saldati poi dai Di
Cosmo.
Insomma, Erika era una sorta di trofeo ambulante di Lucilla, un simbolo
della
sua bontà e carità.
Il
vescovo aveva stabilito di trovare un marito alla giovane, ma sarebbe
stato un
marito “della sua pasta”: buono, onesto, benestante
nei limiti del possibile, o
almeno non proprio un poveraccio, ecco, un bravo ragazzo che lavorasse
a Valle
e che potesse essere assunto al castello, per impedire ad Erika di
lasciare
Lucilla. Il vescovo, infatti, voleva che le due restassero
insieme
sempre. Erika avrebbe potuto fare benissimo da governante. Era un buon
lavoro,
decoroso. Certo, si voleva fare in modo che la ragazza non divenisse
mai
libera, ma a questo nessuno pensava. Dopotutto, Erika era stata
graziata. Cosa
sarebbe stato di lei, se non ci fossero stati i Di Cosmo?
Si
è detto che Erika fosse ben pettinata e vestita; ovviamente,
però, Lucilla era
vestita e pettinata magnificamente. Una sola occhiata alle due bastava
per
capire che non fossero “uguali”. Inoltre, la natura
era stata buona: se Erika
era molto carina, Lucilla era reputata da tutti una bellezza
assolutamente
straordinaria. I capelli nerissimi erano abbelliti da fermagli
preziosi, il
fisico ben proporzionato la rendeva desiderabile e, soprattutto, gli
occhi
parevano smeraldi: erano di un verde luminoso, che creava un bel
contrasto con
le lunga ciglia nere che la fanciulla sbatteva spesso, conscia del loro
fascino.
Erika,
che aveva occhi altrettanto belli e azzurri, era un po’
infastidita da questa
piccola astuzia dell’altra: lei, infatti, aveva le ciglia
chiare come i capelli
e non poteva ricorrere allo stesso espediente.
Per
incontrare, dopo tanti anni, il suo fidanzato, Lucilla aveva indossato
un abito
verde e bianco, e se ne stava seduta accanto alla sua giovane dama. Il
vescovo
era presente, e Lorenzo nervoso, perché Stephen tardava.
Quando Fred entrò per
servire del tè con biscotti – abitudine che il
conte aveva preso tempo prima,
col matrimonio con Lisa – egli chiese notizie del figlio,
rivelando una certa
inquietudine; il maggiordomo rispose che doveva essere ancora nelle sue
stanze,
giustificandolo perché in fondo il ragazzo era arrivato solo
la sera prima ed
era ancora stanco per via del lungo viaggio, e Lorenzo
s’innervosì ancor di più
perché Fred aveva la tremenda consuetudine di difendere
Steve sempre e comunque
ed egli proprio non riusciva a sopportarlo.
I
nervi dell’uomo poterono distendersi solo col sospirato
ingresso del giovane
Ranieri in salotto: allora il vescovo e Lorenzo si guardarono, felici.
Gli
abitanti del castello sapevano che Stephen non aveva un carattere
piacevole:
taceva per la maggior parte del tempo, con quell’espressione
perennemente
accigliata che sfoggiava con presunzione anche in presenza di ospiti, e
si
degnava di rivolger parola solo a Fred. Gli altri, neanche li guardava.
Tutto
il contrario del conte Lorenzo e della buon’anima della
contessa, insomma, che
con la servitù erano sempre stati gentili.
Entrando
nel salotto, comunque, Steve si comportò come previsto:
aperta la porta di
malavoglia, come se stesse facendo un immane sforzo,
manifestò poi un
improvviso interesse nel momento in cui i sui occhi si posarono su
Lucilla che,
alzatasi, gli augurò la buona sera.
Non
gli era mai sembrata così bella. Il giovane conte sorrise,
la raggiunse, si
chinò e la salutò col baciamano. Solo un lieve
cenno del capo fu dedicato ad
Erika, che ne fu ferita perché, come Steve era stato
illuminato dalla presenza
di Lucilla, Erika era stata colpita da quella di lui.
Lorenzo
esibì un’espressione soddisfatta quando il figlio
chiese a Lucilla il permesso
di ritrarla ed ella, lusingata, acconsentì: la sciocca
passione del ragazzo
avrebbe finalmente portato a qualcosa di buono, perché i due
avrebbero modo di
trascorrere del tempo insieme e poi, ormai era chiaro, Steve era
attratto da
lei.
Attratto,
non innamorato. Lorenzo non era sciocco. A diciassette anni si sentono
certe
esigenze – e Steve non aveva ancora avuto modo di placarle,
ne era certo – e
Lucilla era tanto graziosa… magari, l’urgenza di
possederla, avrebbe portato
Steve a stabilire al più presto la data delle nozze
– in fin dei conti, col
collegio aveva quasi finito – e certo, l’attrazione
fisica non è una buona base
su cui fondare un matrimonio, ma ormai loro erano già
fidanzati, e quindi,
meglio quello di niente.
Naturalmente,
Stephen fantasticò a lungo sulla sua fidanzata, pur sapendo
che solo dopo il
matrimonio gli sarebbe stato concesso toccarla. Tutta la sua foga fu
canalizzata nella realizzazione del ritratto, completato dopo una sola
settimana durante la quale, però, pittore e modella furono
costantemente
impegnati. Dovendo restare immobile per posare, Lucilla
parlò poco; e neanche
dopo, quando la frequentazione continuò, ella si
mostrò particolarmente
loquace. Tuttavia, passando tanto tempo assieme – durante le
vacanze di Natale
di quell’anno si separarono solo la notte – fu
inevitabile, per i due giovani,
rivelare il proprio carattere: agli occhi di Stephen, allora, Lucilla
risultò
generosa, elegante, composta, misurata, silenziosa, ben disposta ad
accontentare gli altri anche qualora le chiedessero di far cose a lei
poco
gradite. Contemporaneamente, la nipote del vescovo gli apparve
indifferente
alla quasi totalità del mondo che aveva intorno, noiosa,
bigotta, senza personalità:
pareva ripetere a memoria i precetti appresi dallo zio, si
scandalizzava
per poco, temeva qualsiasi animale, evitava i colori – o
qualsiasi altra
sostanza a sua detta “pericolosa” –
perché rabbrividiva all’idea di sporcarsi
le mani o, peggio, gli abiti, trattava Fred con sufficienza e riteneva
che il
suo fidanzato gli accordasse troppo rispetto, e si muoveva nel castello
come un
avvoltoio attorno alla carcassa che sta per cibarlo.
Come
se non bastasse, la ragazza aveva espresso – non davanti a
lui: l’aveva detto
ad Erika, ma egli aveva origliato – il desiderio di non avere
una famiglia
numerosa, poiché i bambini le piacevano poco. «Un
figlio basta e avanza» aveva
sentenziato, «anzi, direi che è meglio.
Così tutta l’eredità andrà a
lui.»
A
Stephen dei bambini interessava poco, ma immaginò che una
fanciulla tanto
pudica e certamente poco passionale gli avrebbe negato anche quelli
che,
normalmente, sarebbero stati i suoi “diritti di
marito”. Insomma, lui e Lucilla
avrebbero dormito insieme solo fino al concepimento del primo e unico
figlio.
«Non
possiamo sposarci» esclamò semplicemente,
lasciando sbigottiti il conte e il
vescovo. «Mi dispiace, ma vostra nipote non è
adatta a fare la moglie. Potrebbe
facilmente diventare una santa, ma è troppo virtuosa per
avere un marito. Credo
che i suoi desideri mal si concilino con i miei.»
Quel
che mandò in bestia Lorenzo fece invece ridere di gusto il
vescovo, che scoppiò
in una sonora risata che spiazzò il giovane e anche il conte.
«Vieni
qui, Stephen, vieni!» lo chiamò, ridendo, quel
grosso signore, invitandolo ad
avvicinarsi al camino.
«Sei
un bravo giovanotto, tu. Onesto, soprattutto. Perspicace, anche. Hai
proprio
ragione su Lucilla: è più adatta al cielo che
alla terra, e la cosa ti
spaventa, giustamente. Ma vedi, ragazzo, la tua ingenuità
non ti fa vedere la
realtà delle cose: credi forse che ogni uomo sia fedele alla
propria moglie?
Aspetta, aspetta; mi sono espresso male. Ecco, Steve, quando un uomo ha
una
moglie come la mia Lucilla… non può certo
obbligarla a fare certe cose quando
lei non vuole, no? Quindi, se intende rispettare la moglie, deve
lasciarla
stare tranquilla e… e sfogare altrove i propri
istinti.»
Steve
assunse un’espressione stranita, e si chiese cosa pensasse
suo padre, il suo integerrimo
padre, di una teoria simile. In pratica, il vescovo gli stava
suggerendo di
tradire sua nipote.
In
realtà egli sapeva – gli era stato spiegato
– cosa ci fosse dietro quell’idea
di farli sposare: la famiglia Ranieri ormai aveva solo il titolo, ma
pochi
beni; Lucilla, al contrario, era ricca ma non nobile e lo zio
desiderava
rimediare a ciò. “Ma io non vorrei mai che una mia
nipote, o una figlia, o una
sorella, passasse la vita con una persona che non la ama e la disonora
andando
con altre donne, solo per avere in cambio un titolo inutile”
pensava il ragazzo
che, a diciassette anni, era piuttosto virtuoso.
«Tu
hai mai dormito con una donna, ragazzo?»
Ancora
Steve fu preso alla sprovvista, tanto da arrossire, imbarazzato dalla
presenza
del padre più che dalla domanda in sé. Lorenzo,
che non aveva apprezzato per
niente quella discussione, guardava il figlio. Il ragazzo fece segno di
no con
la testa, guardando il pavimento.
«Be’,
direi che è ora di rimediare.»
Stephen
Ranieri aveva sempre temuto di essere l’unico, in quel
castello, ad avere pensieri
impuri. Il padre, ne era sicuro, viveva in piena castità,
come anche Fred, e
degli altri dipendenti al loro servizio non sapeva nulla, ma li
immaginava
piuttosto lontani dalle fantasie peccaminose che invece agitavano le
sue notti.
Quando
gli fu offerta la possibilità di placare i propri tormenti,
dunque, il ragazzo
fu ben felice di cogliere la palla al balzo, come si suol dire, sebbene
il
fatto che a lanciare la palla fosse stato proprio un uomo di Chiesa lo lasciasse vagamente perplesso.
Possedere
quella prostituta fu una liberazione, o così parve
all’inizio al giovane; era
stato con una donna adulta, con la quale non aveva parlato molto, in
realtà, e
di cui aveva presto dimenticato il nome. Si convinse, Steve, a
sposarsi; perché
abbandonare Lucilla se, comunque, era stato autorizzato a tradirla?
Mica doveva
per forza pagare una donna di malaffare: si sarebbe trovato
un’amante, che avrebbe
amato davvero. Era stato il vescovo stesso a suggerirglielo:
“l’importante è
che non si sappia mai in giro”, aveva detto.