Wenn die Sterne leuchten.
Capitolo Ottavo.
-Interlude-
https://www.youtube.com/watch?v=UIzjNZs6y2c&index=1&list=PL371CF9A0A0185B35
Anno 844
La fine dell’estate e l’arrivo dell’autunno nella Capitale.
Nina
non credeva che avrebbe mai rimpianto quella stanza polverosa dai soffitti
alti, ma nell’esatto istante in cui aveva messo piede in città Adelaide Müller, avrebbe soppesato volentieri l’idea di uno scambio
pur di non sentire più la voce della madre chiamarla ogni dieci secondi. La sua
libertà in cambio di un po’ di pace e silenzio, non era male.
L’appartamento
di due stanze e una zona giorno che Erwin aveva ereditato da uno zio paterno in
Capitale s’era fatto saturo già nelle prime ore e il fratello maggiore doveva
averlo predetto, perché aveva avvisato
sin da subito che non avrebbe soggiornato li con loro, ma che, per impellenti
questioni militari, avrebbe fatto meglio a rimanere in caserma.
“Così
vi lascio sole” aveva commentato con tono amabile mentre se ne andava. Nina
l’aveva odiato con sentimento sincero, ma con quella spalla fuorigioco non
aveva avuto i mezzi per opporsi. O per fargliela pagare nell’immediato. Sapeva
che la Legione sarebbe ripartita di lì a pochi giorni e tutto ciò che voleva era tornare a casa con i Meier per
permettere al suo corpo di rimettersi del tutto, curando al contempo anche la
mente che s’era parecchio scossa. La spalla ancora doleva, la ferita di fucile
faticava a rimarginarsi a dovere e non le permetteva di dormire bene. La sua
indole solitamente dolce e solare era poi messa a dura, durissima prova dal
temperamento di Adelaide, che non accettava un no come risposta e non conosceva
il significato della parola inopportuno.
“Il
figlio del dottor Meier ancora non s’è dichiarato?”
Sia
Nina che Levi alzarono gli occhi dal banchetto delle erbe officinali,
puntandoli con rassegnazione sulla donna che li staccava di qualche metro,
presa nell’osservare delle vesti. Era tremenda oltre ogni dire. Arrivata
quattro giorni prima, non aveva parlato d’altro. La bionda pagò il mercante,
passando a Levi il sacchetto con l’acquisto usando la mano libera, visto che
l’altro braccio pendeva appeso al collo con una benda bianca di lino. “Da ieri
sera non si son visti cambiamenti” sottolineò con un leggero sarcasmo ad impregnarle
la voce, non guardando la madre.
Adelaide
osservò Levi disporre i sacchetti con ordine nella cesta che portava per la
ragazza, prima di rilanciare “Wölf Bender è ancora
celibe” le fece sapere fingendo non
curanza, mentre passava le mani magre e cariche di anelli su delle stoffe
pregiate. Ne accostò una di un pizzo candido alla figlia facendola sussultare
per la sorpresa “A lui sei sempre piaciuta molto. Chiede di te a Fried ogni volta che lo vede.”
“Peccato
allora che lui, a me, non sia mai piaciuto. Levi vuoi delle mele?”
L’uomo
non fu collaborativo, permettendo così alla signora Müller
di continuare ad ignorarne la presenza.
“Quel
giovane è figlio del notaio più famoso
del distretto. Cosa deve avere un uomo per entrare nelle tue grazie?”
“Un
cervello” fu la replica in fine acida che venne strappata alla giovane, la
guardò la madre con astio “Puoi smetterla? Non intendo sposarmi, né ora né mai.
Vai ad importunare Erwin che ha più di trent’anni e ancora non s’ha da
fidanzarsi.”
“Erwin
sa il meglio per se stesso.” La risposta sommessa di Adelaide sottolineava che
invece non credeva affatto che la figlia fosse padrona del suo destino. Peccato
non glielo volesse permettere lei “Poi se non ne parliamo ora, quando dovremmo?
Fra due giorni riparto per Stohess e tu non vieni mai
a casa.”
Chissà
perché.
Nina
sospirò sollevata, alzando gli occhi verso le nuvole “Grazie al cielo.” fu la
sola replica che sfuggì alle sue labbra sottili e che Adelaide finse di non
sentire. “Smettila lo stesso. Più me lo dici, meno mi convinci.”
“Sei
una bambina.”
“E tu un arpia.”
Il soldato che camminava
accanto alla giovane prese un lungo respiro, prima di concedersi di spiare la
bella donna, che aveva il vanto di aver messo al mondo Erwin Smith, di
sottecchi. Non c’era nulla da dire, era di un’avvenenza indiscutibile nonostante
l’età; vestiva bene, a dispetto del ceto sociale medio a cui apparteneva. Levi
avrebbe potuto anche scambiarla per una nobile se l’avesse vista per la prima
volta o se non ne conoscesse la famiglia. Il viso era solcato da rughe, certo,
ma le vadano un aspetto elegante, raffinato, non la abbattevano affatto. I
capelli biondi, striati da stille grigie qua e la, erano acconciati nel
migliore dei modi in una crocchia sulla nuca, tenuta insieme da decine di
forcine brillanti. Il vestito, di un pallido verde, sembrava aver visto tempi
migliori, ma era indiscutibilmente di ottima fattura. In totale contrasto con
la figlia che vestiva un paio di braghe nere sotto agli stivali militari e una
camicetta marrone smanicata, che lasciava ben
visibili le bende che le fasciavano la spalla sinistra e parte del braccio.
Nina non s’era ancora ripresa, andava detto; era pallida e le occhiaie che le
cerchiavano gli occhi unici erano evidenti; eppure, anche con i capelli un po’
sfatti a causa della calura, rimaneva comunque la sola persona che il moro non
riusciva a non guardare, per quanto si sforzasse.
Se non aveva ancora zittito
in malo modo Adelaide, era solo perché la figlia ci pensava da sola.
Era strano vederla così, in
ogni caso. Nina di solito era sorridente, non sembrava abbattersi mai. Lui
stesso la portava sempre più al limite, insultandola o schernendola per
spronarla, ma lei non sembrava esserne toccava.
Si sa però, i genitori hanno
un effetto diverso su un figlio.
Levi poteva ricordare ogni
epiteto che l’uomo che l’aveva cresciuto gli aveva affibbiato, senza però
rimanerne minimamente toccato. Eppure, nel momento in cui era stata Gretha a rimproverarlo, l’aveva ferito più di uno schiaffo.
“Il giovane Bender ha una bellissima casa al lago, lo sapevi Nina? In
questo periodo deve essere incantevole.”
Ci risiamo.
“Cosa me ne farei mai di una
casa al lago, se venissi mangiata da un gigante?” chiese retorica la ragazza,
rallentando il passo per affiancarsi del tutto a Levi e prendere dalla cesta
una mantella nera. Questi la lasciò fare, scambiando con lei un semplice
sguardo di intesa.
“Mi aspetterei che, una volta
preso marito, tu decida di chiedere di essere inviata di istanza ad oriente”
proseguiva intanto Adelaide, prendendo in mano una mela dall’aspetto succoso
che certamente avrebbe fatto bene alla figlia provata “Magari potresti
addirittura chiedere di essere spostata nella guarnigione di Stohess insieme a Rielke,
portando avanti la tradizione dei Müller, che sono
sempre stati una famiglia di stazionari. Come tuo padre prima che s’ammalasse
al-”
Non terminò nemmeno il
discorso.
Piegò semplicemente le labbra
in una smorfia di disapprovazione, guardando il punto in cui fino a qualche
secondo prima, sua figlia e quello strano uomo dall’aria tetra sostavano in
piedi.
Erano spariti nel nulla.
Di nuovo.
“Non metterti in quella
posizione ridicola, non funzionerebbe in ogni caso; rilassa le spalle e alza il
mento, piuttosto”
Nina abbassò le mani,
portando istintivamente la destra alla spalla sinistra lesa, sentendo la pelle
tirare ad ogni movimento. Levi le fu dietro in un attimo, appoggiando le mani
sui suoi fianchi e facendole ruotare il bacino. Portando avanti il piede
destro, Nina gli lanciò un’occhiata veloce “Sono mancina. Non posso attaccare
usando la mano destra, sarebbe inutile.”
Come ricompensa, ricevette
una pacca sulla testa che la zittì “Puoi anche essere mancina, ma devi
proteggere la parte che hai ferita. Meglio ancora, non devi mostrare la tua
debolezza al nemico. Dobbiamo cambiare questa cosa, non puoi avere una parte
del corpo più debole dell’altra.”
La piazzola della caserma
della Legione nella Capitale era, come al solito deserta. Il luogo adatto per
diventare lo scenario dei loro incontri e degli addestramenti. Rispetto alle
sedie della Gendarmeria e della Guarnigione, che erano degli autentici palazzi
con tanto di corte e numerosi dormitori, quello della ricognitiva altri non era
che una piccola casa privata adibita a uso militare. La motivazione era ovvia,
dopotutto; non c’erano molti Legionari in Capitale e i pochi che di lì
passavano erano spesso ufficiali con una residenza donata dalla corona o
comprata con gli stipendi più alti. Nonostante tutto, a Nina piaceva.
L’edera che cresceva sulla
facciata bassa sino al tetto spiovente le dava un’aria vissuta, quasi bucolica.
Ed il cortile era, per
l’appunto, immenso e nascosto da un’alta siepe. Nessuno l’avrebbe vista fare la
figura della scema.
Quando Levi le fu di nuovo di
fianco portò le mani sotto al mento della ragazza, alzandoglielo “Devi sempre
guardarli negli occhi, quei maiali. Prima ancora delle mani, sono essi a
rivelarti le intenzioni di un uomo. Non solo, però. Spesso basta uno sguardo
deciso che non ammette repliche per vincere uno scontro, non arrivando nemmeno
alle mani.”
“Ti sembro una persona che
possa incutere tanto timore?”
“Lo diventerai.” L’uomo
incrociò le braccia sul petto, guardandola. Poi, per giusta misura, le tirò i
capelli.
“Levi!”
“Devi legarli” fu la sola
cosa che le disse, non ammettendo repliche.
Con uno sbuffò risentito,
Nina slacciò la strisciolina di cuoio che teneva sempre al polso, sollevando
poi i capelli e arrotolandoli in modo da creare un concio un po’ storto ma
funzionale sulla cima del capo “Potresti chiedere senza farmi del male, non
pensi?”
“Voglio che arrivi il concetto.
Se durante il combattimento ti avessi affettata per i capelli e tirata a terra,
avrebbe fatto molto più male di così.” Questo doveva concederglielo. Con un
altro sospiro, Nina si rimise in posizione. Lui le fu addosso di nuovo “Non
stare rigida, le braccia tienile morbide. Se i muscoli sono tesi, il movimento
risulta meno rapido e tu non devi nemmeno pensarci. Deve essere l’istinto a
dirti dove parare e dove colpire.”
“Devo aspettare che mi
vengano addosso?”
“Non attaccare mai per prima,
studia il nemico” le girò attorno come un avvoltoio “Non hanno senso le
posizioni statiche a meno che non ti sia stata insegnata una disciplina in
particolare. Anche in quel caso, comunque, devi padroneggiarla molto bene o
rischi di concentrarti troppo sui tuoi colpi e non su quelli che ti vengono
dati.”
Nina prese appunto mentale di
ogni singola parola, annuendo “Devo aspettare, non attaccare per prima. Un
piede avanti per la stabilità, ricordandomi di proteggermi se ho delle ferite,
senza però darlo a vedere. Sguardo fisso e braccia morbide. Registrato.”
Fu il turno di Levi, di
sbuffare “Non ti dimentichi proprio nulla, vero?”
Lei sorrise, allegra “Questa
è una cosa di famiglia. Il bisnonno lo diceva sempre: Un Müller non può dimenticare.”
Levi scosse piano il capo,
prima di prendere un respiro e riempire i polmoni “Va bene, attaccami.”
Nina sgranò gli occhi,
guardandolo prendere posizione di fronte a lei. Lo guardò come avrebbe guardato
un geco parlante, tanto era stupita e sopraffatta dalla richiesta. Non poteva
essere serio “Ammesso e non concesso che mi hai appena detto che non dovrei mai
attaccare per prima…” lasciò cadere la frase,
sottolineandone l’incoerenza “Sono ferita, Levi. Cosa potrei mai farti?”
“Io non ti colpirò di
rimando. Mi limiterò a schivare. Voglio vedere quanto sei lenta. Puoi usare i
calci se credi che la tua mano destra non sia abbastanza forte.”
Lei non sembrava volerci
credere, ma quando lo vide portare avanti il piede sinistro e fissarla
intensamente negli occhi con espressione seria, comprese il motivo per cui le
stava spiegando tutte quelle cose sull’atteggiamento da tenere. Nessuno, sano
di mente, avrebbe mai attaccato un uomo con quello sguardo.
A Nina faceva già male tutto
solo a guardarlo.
“Non fare quella faccia. Se
parti già scoraggiata, allora tornatene a casa” la riproverò con tono duro,
“Non ho né la voglia né il tempo di aspettarti, ragazzina. Fa la tua mossa e
mettici un po’ di impegno.”
“E va bene, proviamoci.”
Nina portò una ciocca di
capelli dietro all’orecchio, prima di mettersi in posizione nuovamente. Lo
guardò, studiandolo un istante e cercando di capire dove colpirlo. Alla fine
scattò in avanti, colpendolo con un pugno nello stomaco.
Levi non si spostò di un
centimetro, non sembrò nemmeno sentirlo, mentre a Nina sembrò di aver tirato un
pugno al terreno. Strinse il polso che si era storto con la mano sinistra,
soffocando un’imprecazione con un ringhio.
“Quello cos’era?” domandò
apatico Levi, “Sei più debole di quello che pensavo.”
Il bello di Nina era proprio
la tenacia. Se sbagliava o falliva, provava e riprovava sino a che non
riusciva. Per questo iniziò ad inveire, lasciando perdere l’intorpidimento al
polso e cercando di colpirlo con un calcio.
Non le sembrava di essere
lenta, ma non riusciva nemmeno a raggiungerlo nonostante le gambe molto più
lunghe di quelle dell’uomo. Schivava ogni singolo colpo senza nemmeno
scomporsi, mentre lei iniziava a barcollare con la stessa grazia di un ubriaco.
Alla fine, dopo quelle che
parevano ore, ma che furono di fatto pochi minuti, cadde a sedere a terra col
fiato corto.
“Cosa ti fa male?” le domandò
l’uomo, che non aveva risentito di niente.
“Tutto” ammise lei,
appoggiando la schiena al terreno per stenderla, mentre portava il braccio sano
sulla fronte per asciugarla dal sudore. Faceva anche caldo e non aiutava “Mi
fanno male le gambe e gli addominali.”
“Questo perché non sei
allenata.”
“Sono un medico, Levi. Ho
fatto l’addestramento come tutti, ma non con la stessa intensità.”
L’uomo si domandò come avesse
fatto ad uccidere quel gigante di fronte ai suoi occhi, alla sua prima uscita.
In quel momento sembrava fatta di burro, ma forse la settimana passata a letto
aveva fatto qualche danno.
“Quando tornerò dovrai avere
messo su un po’ di muscoli o possiamo anche finirla qui ora.”
Nina aprì il braccio destro a
stella, tenendo gli occhi sul cielo azzurro “Va bene” gli disse, “Dimmi cosa
devo fare.”
“Corri” le rispose, sedendosi
accanto a lei, appoggiando i gomiti sulle ginocchia mentre la guardava. Se Nina
non stava sbagliando, gli sembrava annoiato dalla situazione “Flessioni, addominali…. Hai fatto l’addestramento, hai detto, no? Fai
gli esercizi, ma questa volta senza pensare che dovrai segare ossa o fare
qualche saltello su un gigante. Pensa che devi correre da Shigashina
a Briemer senza fermarti.”
La bionda si tirò seduta,
ignorando la camicia che si era sporcata. Ci pensò Levi a farglielo pesare,
battendogli la mano sulla schiena, ma questa volta senza farle male “Sarebbe
una bella maratona.” Lei glielo aveva chiesto, dopotutto. Doveva seguire quelle
indicazioni alla lettera “Lo farò” disse di fatto, abbracciandosi le gambe con
il braccio sano “Mi insegnerai anche a uccidere i giganti come fai tu?”
“Ora non mettere il carro
davanti ai buoi, ragazzina. Impara a tirare un pugno senza ferirti, prima.”
Incrociando le gambe, Nina si
mise diritta con la schiena. L’affanno era già passato e poteva riprovarci, ma
Levi non sembrava della stessa idea “A cosa pensi?”
Lui scosse il capo, una volta
sola “Che devi allenarti intensamente, perché ho intenzione di portarti nel
ghetto, quando farò ritorno dalla missione” gli occhi della ragazza si
sgranarono dallo stupore “Lì sotto ti insegnerò quello che è stato insegnato a
me.”
Lei gli sorrise, sporgendosi
per appoggiare il mento alla sua spalla.
Lo sentì irrigidirsi, cosa
che fece solo alzare maggiormente i lati della sua bocca “Levi…”
“Cosa c’è, adesso?”
Facendo perno sul braccio,
Nina si alzò. Fece un piccolo saltello sul posto, prima di colpirlo piano con
la punta dello stivale sulla coscia, facendogli segno di imitarla “Riproviamo.
Sento che posso colpirti se mi impegno di più.”
Levi non disse nulla, in un
primo momento.
La guardò dal basso,
appoggiando poi le mani a terra per alzarsi. Prese uno straccio dalla tasca posteriore
delle braghe nere, pulendosi i palmi, prima di guardarla “Molto bene,
attaccami.”
Nina si rimise in posizione,
convincendosi che poteva fare paura, se voleva.
Lo guardò seria, prima di
buttarsi di nuovo contro di lui.
Una, due, cento volte. Cadeva
in ginocchio, scivolava, sentiva i punti alla spalla tirare e iniziare a
cedere, ma riprovava ancora.
Sotto allo sguardo di Erwin,
che li guardava dalla finestra con pacato compiacimento, andarono avanti fino a
sera.
I pochi membri della Legione
rimasti, sotto gli ordini del Capitano Smith, partirono dalla Capitale l’ultimo
giorno del mese di luglio, ben dieci giorni dopo esservi arrivati.
Erwin aveva portato avanti un
po’ di impegni burocratici che Shadis aveva troppo a
lungo rimandato, poi era rimasto per impedire alla madre di uccidere la sorella
o viceversa. La missione oltre le mura era stata rimandata di un mese, per la
fine di agosto.
Levi sarebbe ritornato in
Capitale, in licenza, per la metà di settembre, se non dopo.
Nina aveva molto tempo per
rinforzarsi e guarire, non avrebbe perso
tempo.
Si era allenata strenuamente,
continuando a studiare e a frequentare i corsi per le abilitazioni che avrebbe
dovuto dare entro la fine di novembre, arrivando alla sera così stanca da trascinarsi
a mala pena a letto.
Fritz, che era ripartito per Renìn, aveva espresso più di una preoccupazione, ma non
aveva mai aiutato Nina nell’allenamento per paura di finire pestato nel suo
stesso giardino di casa. Il signor Meier, al contrario, sembrava incoraggiarla.
Jara si asteneva in modo molto democratico, ma doveva
ammettere che i segni del duro impegno iniziavano a manifestarsi.
“Sembri più sana ogni giorno
che passa” continuava a ripeterle, mentre la guardava annodare i lacci dei
calzari che le arrivavano poco sopra alla caviglia e con i quali Nina andava a
correre ancor prima che salisse l’alba, “Se continui così arriverai a
stenderlo, il tuo Levi.”
Inutile dire che Jara era stata un vero incubo per tutto il tempo che l’uomo
si era intrattenuto nella caserma della Capitale.
E le cose sembravano essere
prossime a degenerare, visto che Levi aveva richiesto una licenza prolungata di
un paio di mesi per ‘questioni famigliari’.
Avrebbe soggiornato dai Meier su invito stesso del padrone di casa, per
la gioia di Fritz che sarebbe dovuto tornare entro gli inizi di ottobre. Più
che gelosia, quella che Fritz provava nei confronti del moro era una sana
inquietudine.
I modi gentili del giovane
cerusico comunque nascondevano egregiamente quel sentimento.
Levi sarebbe quindi tornato
in Capitale per rimanere fin quasi all’anno nuovo. Forse Nina l’avrebbe
addirittura convinto ad andare a Stohess con lei ed
Erwin.
C’era però un’altra
incombenza nella quale le sarebbe piaciuto coinvolgerlo ed essa capitava,
guarda caso, proprio nei giorni in cui sarebbe dovuto tornare. Ogni anno, il
terzo giorno di ottobre, il Comandante Dot Pixis
della Guarnigione teneva un magnifico ricevimento nella casa che il Re in
persona aveva donato al recante di quel titolo, nelle campagne attorno alla
Capitale. Non era una data casuale, ma l’anniversario di nascita dell’unico
figlio che l’uomo aveva avuto e che purtroppo era venuto a mancare in tenera
età. Pixis
comunque, come si sapeva bene, preferiva aprire le sue porte ad ogni membro del
corpo militare che potesse raggiungere la sua casa, piuttosto che chiudersi in
quel lutto ormai lontano.
Nina aveva partecipato per la
prima volta a un ricevimento di quella portata a soli quattordici anni, come
accompagnatrice di suo fratello maggiore Friedelhm e
non aveva mai acquistato un solo abito dalla prima volta, perché aveva sempre
provveduto Nora Kessler a fargliene avere uno dismesso da lei o da sua figlia
Kara. In ogni caso, Nina non se lo saprebbe mai potuto permettere di così bello
nuovo.
Ogni anno, dopo il promo, ci
andava accompagnata Fritz e Leopold e ogni anno conosceva le persone più
disparate o salutava vecchie conoscenze.
Quell’anno non faceva
eccezione, anche se qualche novità c’era.
“Secondo me dovresti
smetterla. Inizi a essere un po’ patetico, visto che si è capito che aria tira.”
Fritz alzò gli occhi dalla
camicia bianca fresca di inamidatura, che aveva indossato sotto al pastrano
elegante per le grandi occasioni. Leopold, che indossava la medesima giubba ma
che, al posto delle Ali della Libertà impresse sulla schiena, recava l’unicorno
dei gendarmi, lo spiava con un certo disappunto. Sembrava fermo su ciò che
aveva appena detto, ma l’amico non aveva inteso.
“Puoi per favore inserire un
soggetto e un verbo principale nella frase? Perché non è molto chiara così” lo
rimbeccò, andando a raddrizzare il colletto della camicia color panna dell’amico.
Leo sbuffò “Nina” disse come
se fosse la cosa più ovvia del mondo, alzando il mento per lasciarlo fare “Tu
che vai al ballo con Nina.”
“Cosa che faccio da anni” gli
ricordò il dottorino, facendo poi scivolare le mani nelle tasche ed estraendo
due siringhe, un ricambio di garza e qualche cerotto. Come diavolo c’erano
finiti nella giacca di gala? “Non capisco quale sia il tuo problema.”
“Te lo dirò molto chiaro,
quindi sarò un po’ brusco: Nina viene al ballo con te perché quello non ha intenzione di venire.”
Più che brusco, l’effetto che
le parole del rosso ebbero su Meier furono paragonabili a una pioggia gelata
lungo la schiena. Senza nemmeno curarsi troppo di non esser visto, Fritz si
voltò verso la porta a vetrate che conduceva nel salotto in cui, seduto su
quella che solitamente era la sua poltrona, c’era Levi.
Trovarlo lì al suo arrivo,
che era avvenuto solo due giorni prima, non era stato esattamente esaltante, ma
dopotutto era stato suo padre ad offrirgli come alloggio la loro mansarda per
quella che sembrava una licenza insolitamente lunga e generosamente concessa. Fritz
studiò il profilo netto dell’uomo, facendo davvero fatica ad attribuirgli un’età
precisa. Sicuramente era un uomo maturo e fatto rispetto a lui, ma datarlo era
complesso. Poteva vagamente intuire il perché Nina fosse così affascinata da
lui, però-
“Lo ama follemente” di nuovo,
Leopold partì all’attacco “Lo guarda come se fosse il suo eroe. Lo ammira più
di quanto ammira Erwin e ho detto tutto con questo.”
“Questo l’hai deciso tu.”
“No, l’ho visto. Nina è
trasparente come l’acqua di sorgente; quello che pensa glielo si legge in
faccia.”
Per puro istinto di
sopravvivenza- ci teneva a mantenersi sano mentalmente- Fritz smise di
prestagli attenzione. Controllo che gli stivali nuovi fossero lucidi e si
specchiò nelle vetrate per verificare che non gli fosse rimasto del prezzemolo
fra i denti, dopo la cena. Ma questo avrebbe mai potuto fermare Leopold Schitz? Naturalmente no.
“Ti tratta come un povero
ritardato per non ferirti” proseguì nella sua orazione, sinceramente dispiaciuto
per essere lui la persona designata per quell’infame compito “Anche se dovesse
dirti che sarebbe venuta al ballo con te a prescindere dalla presenza o meno di
quel nano inquietante, sarebbe una menzogna. E tu lo sai. Lo sanno tutti. Se ci
fosse qui Rielke, ti prenderebbe a schiaffi.”
“Se Rielke
non si fosse preso mille permessi prima, sarebbe qui a farlo o meno.”
“Non cercare di distrarmi
parlando di Rielke” fu la ribeccata che Meier
ricevette, con tanto di alzata di indice e pacca sul braccio degna di una vera damina “Dovresti svegliarti adesso e trovarti una donna che
ti ami. Che ti voglia davvero. Se conosco abbastanza bene sia te che Nina, so
già che finireste infelici e compiacervi a vicenda per non ferirvi.”
“Per te è così difficile
credere che uno come me possa rendere felice una donna come Nina?”
Ci sarebbero stati tanti,
mille modi in cui Leopold avrebbe voluto rispondere. Scelse il peggiore, ma
anche il più incisivo di tutti.
“No, sono certo che tu
potresti renderla la donna più felice del mondo. Solo che lei non vuole te.”
Il silenzio che venne a
crearsi non piacque al rosso malpelo, ma non si incolpava di nulla se non di
essere stato un poco pesante. Lo faceva per Fritz, perché era da tempo che
avrebbe dovuto svegliarsi. Perché amava così tanto Nina da non vedere nient’altro
e da esserne del tutto schiacciato. E questo non andava bene per nessuno.
Non sapevano cosa dire,
nessuno dei due, per riprendere a parlare dopo quel bagno di realtà poco
gradevole da entrambe le parti. Come una salvatrice, fu la voce tonante e per
niente aggraziata di Jara a interrompere ogni
diatriba.
“Possiamo avere un po’ di
attenzione?”
“Stanno scendendo” Leo si
sporse nel salotto, attirando l’attenzione del signor Meier e di Levi, che si
alzarono insieme, appoggiando i libri che tenevano fra le mani e di cui stavano
disquisendo ormai dalla fine del pasto.
“Pensavo fossero morte, lassù”
disse l’ospite più recente, incrociando le braccia e fissando il suo solito
cipiglio severo su per le scale, dalle quali però ancora nessuno s’era
affacciato.
“Non conoscete le donne,
Levi?” chiese con un poco di baldanza Fritz, quasi compiaciuto perché a quanto
pareva, lui le conosceva eccome. Almeno dall’espressione che aveva pareva
convinto “Se s’hanno da prepararsi, allora ti fanno aspettare tutta la notte.”
“Tanto quella festa, se ben
ricordo, non ha orari” si permise di intervenire Franz, battendo una mano sulle
spalle di Leo, che gli sorrise divertito.
“Perché non venite anche voi,
signor Meier?” domandò proprio questi, incrociando le braccia mentre un
ticchettio di tacchetti iniziava a farsi sentire “Ci sarà da divertirsi.”
“Di feste di Dot Pixis ne ho viste tante nella mia vita. Ormai non ho più l’età!
Oh, ma guardate che splendore di figlia che ho!”
Dalle scale si stava
affacciando proprio la figlia del padrone di casa, avvolta in un abito dei
colori dell’autunno, che nonostante i fondi non le mancassero, aveva provveduto
a cucirsi da sola scegliendo con cura ogni stoffa e ogni merletto.
Fritz guardò divertito
Leopold, che pareva aver perso il dono della parola di fronte all’immagine
della donna che tanto bramava.
E che tanto lo ignorava.
Deciso a fare il degno fratello
minore, parlò da screanzato “Strano che non si sia ancora maritata, vero?”
domandò retorico, sporgendosi in avanti col busto quanto lei gli fu di fronte “Saranno
i modi più virili dei miei, magari?”
La ricompensa fu uno schiaffo
sulla nuca “Ci vuol poco ad essere più virile di te, Lotto! Taci o ti pianto di
testa nel porta ombrelli!” lo ammonì severa la valchiria, che lo superava anche
in altezza. Sistemandosi un poco i capelli acconciati, Jara
si voltò di nuovo verso le scale, non prestando di un solo sguardo a Leopold,
che era dopotutto il suo accompagnatore ufficiale “Preparatevi per Nina. L’abito di quest’anno è
meraviglioso?”
“Più bello di quello verde?”
domandò Fritz, già in un brodo di giuggiole.
“Di gran lunga. Nina! Andiamo!
Se il seno non rimane nello scollo ora, non lo farà nemmeno dopo!”
Improvvisamente, l’attenzione
generale si acutizzò. “Arrivo, arrivo!” fu il debole lamento della bionda “Il
problema è la gonna!”
“Un po’ ingombrante” li mise
al corrente Jara, incrociando le mani sul ventre, in
attesa come gli altri.
Nina si fece pregare ancora
un po’, prima di iniziare a scendere la scalinata. Da prima non si vide molto,
se non un oceano di tulle e organza azzurra, sorretto dalle mani sottili di
Nina. Gli stivaletti neri fecero gracchiare le assi delle scale, mentre un po’
precaria, la giovane scendeva i primi gradini. Quando lasciò cadere la gonna,
mostrando il volto, calò il silenzio.
Dei quattro uomini presenti,
nessuno riuscì a rimanere indifferente. Nemmeno e – soprattutto- Levi.
Nina, così come ogni membro
della famiglia Müller, era bella; non in via soggettiva, assolutamente. Nina era una ragazza
incredibilmente bella. Il vestito, come anticipato da Jara
scollato, lasciava scoperte le spalle e un po’ il petto, sorretto dal bustino
intrecciato. Un mare di lentiggini come quelle che portava sulle guance e sulle
tempie le inondavano la pelle chiara fino alle mani e nonostante la spalla
ancora fasciata – anche se era guarita,
la cicatrice ancora fresca non era bella da vedere- e il livido sotto all’occhio
frutto dei primi allentamenti dall’arrivo di Levi, era comunque incantevole.
“Sembri un sogno” fu il primo
commento che arrivò da coloro che la attendevano, precisamente dal signor
Meier, che le si rivolse incoraggiante. Lei sorrise raggiante, spostando gli
occhi su ciascuno di loro e arrossendo lievemente, solo un poco, quando
incontrò quelli chiari di Levi.
Lei, che non si imbarazzava
mai, si trovò un po’ in difficoltà nel non riuscire a decifrare la sua
espressione, così si limitò ad abbassare gli occhi, deconcentrandosi. Pestò il
tulle della gonna a ruota e lei sentì qualcosa strapparsi là sotto. Perse l’equilibrio
mentre scendeva il penultimo gradino, cadendo sul sedere, sepolta nella stoffa.
E rompendo l’incanto.
“Non importa” disse
diplomatico Leopold, mentre lui e Fritz accorrevano in suo soccorso, per
tirarla su “Ci hai provato, Nina. Peccato che tu sia la donna meno femminile
che conosco.”
“Guarda che conosci Jara” gli fece presente l’altro, rischiando un altro schiaffo.
Nina si sistemò a sua volta i capelli, nello stesso modo in cui l’aveva fatto l’amica,
mentre lui la guardava da vicino. Molto vicino “Sei…
Non so nemmeno come descriverti.”
Lei gli sorride, battendogli
una mano sul petto “Ti passerò un dizionario” lo prese in giro, lisciando il
tessuto azzurro della gonna per poi passare le mani sul corpetto lavorato “Bellissimo
vero? Più di quello verde.”
“Per me quello verde rimane
imbattibile” protestò Leo, prima di voltarsi verso la sua accompagnatrice per
complimentarsi.
“Il Comandante Kessler si è
superata questa volta, anche se addosso a lei non me lo figuro.”
“Questo era della figlia,
Kara” lo informò la ragazza, prima di passare le mani sulla sua giacca per
lisciarla “Siete splendidi.”
“Tutti gli uomini vestiti
uguali, sai che originalità” fu la lamentela di Jara,
che già aveva aperto la porta, mentre ancora si allacciava la mantella sulle
spalle. Il vento di ottobre entrò nella casa, facendo rabbrividire Nina, la
quale venne prontamente coperta col il suo mantello da Friederich.
“A me piace la giacca della
divisa da gala” si difese Nina, guardando verso la carrozza che già li stava
aspettando. Per quanto preferisse cavalcare, sarebbe stato complesso con quell’abito
addosso.
Mentre il signor Meier si
raccomandava ai figli di non fare gli
stupidi, Nina si accostò a Levi. Con quegli stivaletti, ai quindici
centimetri che aveva in più dell’uomo, ne poteva aggiungere almeno altri
cinque. Per questo lo guardò divertita, appoggiandogli le mani sulle spalle “Sto
bene?” domandò un po’ civettuola, guardandolo negli occhi.
“Non sei da buttar via” fu la
risposta laconica di Levi, che passò gli occhi dalla spalla fasciata allo
scollo molto rapidamente, per poi ripuntarli nelle
iridi eterocrome della giovane donna “Non fare tardi, domani abbiamo gli
allenamenti.”
“Non lo farò” rispose lei
velocemente, come per rendere chiaro che non sarebbe mancata. Non si scostò
ancora da lui “Sei certo di non voler venire? Nella carrozza c’è ancora posto….”
Levi non rispose subito. Lanciò
uno sguardo verso Jara che stava montandovi,
rifiutando l’aiuto del cocchiere, fino a Fritz che aspettava sulla porta con la
stessa fedeltà di un cane in attesa.
Nina decise di lasciar
perdere. Lasciò cadere le braccia lontane da lui, fino alla gonna, che strinse
appena “Sai, l’avrei voluto viola” disse, alludendo all’abito con un sorrisetto
un po’ pallido rispetto ai precedenti “Si sarebbe abbinato bene all’occhio
pesto, così.”
Gli fece l’occhiolino, prima di
voltarsi e andare alla porta. Non prima, però, di essersi chinata per
lasciargli un bacio sulla guancia con la stessa innocente sfacciataggine di una
bambina. La porta si chiuse e il signor Meier lo invitò a tornare a leggere
senza nascondere un sorrisetto lungimirante. La proposta venne accettata di
buon grado.
Prima, però, si perse in un
pensiero.
Come aveva potuto non
accorgersene mai?
Nina profumava di fiori di
lavanda e liquerizia.
La villa di campagna del Comandante
Pixis brulicava delle più disparate personalità
quando arrivarono, dopo quasi un’ora di carrozza per la zona rurale attorno
alla Capitale. Erwin era già lì ad aspettarli insieme a un uomo bello come ve
ne erano assai pochi, alto e con le spalle non troppo larghe, soprattutto se
paragonato a Smith.
Friedelhm Müller non era solo avvenente come la sorella, aveva
anche qualcosa di unico che non condivideva con nessun altro della famiglia ad
eccezione del padre Wilhelm; un occhio era azzurro come il cielo d’estate senza
una nuvola, mentre l’altro era marrone scuro, così tanto sa sembrare nero sotto
alle luci delle lampade ad olio che illuminavano la serata. Appena aveva visto
Nina se l’era coccolata bene, non perdendo però di vista il resto delle persone
che accalcavano il salone dei ricevimenti. C’erano solo due cose che il
Capitano di Gendarmeria Müller proprio non riusciva a
ignorare: il buon vino e le belle donne. Gusti che l’avevano fatto entrare di
prepotenza nella rosa di simpatie del Comandante Pixis,
ma che avevano reso sua moglie Marika un po’ infelice.
In quel tipo di eventi lui ci
sguazzava bene come una trota nel fiume; ovunque c’erano persone divertite,
belle donne agghindate e soldati pronti a complimentarsi con lui per la
gestione della polizia militare nel distretto di Stohess,
di cui era Capitano Esecutivo.
“Schultz?”
chiamò l’amico, indicando poco distante
qualcosa, mentre Nina stretta al suo braccio parlava con Mike Zacharius “La vedi anche tu quella bella mora insieme al
Capitano Erik Schmidt di Briemer?”
Il moro allampanato al suo
fianco si voltò, tenendo in mano il bicchiere di fronte a sé, nel tentativo di
prendere un sorso “Sì.”
“Andiamo a conoscerla” con un
sorriso smaliziato, fece cenno che era pronto a iniziare la caccia “Ci vediamo
dopo sorellina, non fare strage di cuori e trova marito, così che tua madre la
smetta di assillare anche me”disse a Nina, baciandole la fronte e lasciandola
lì con Fritz e Leo. Persino Jara si era buttata nella
mischia a far conoscenze, abbandonandoli.
“Non cambierà mai. E parlo di
lui, non di mia madre, che nemmeno me lo chiedo se mai smetterà di essere così
assillante con qualsiasi persona” sussurrò la biondina rassegnata , rendendosi
conto che Fried le aveva pure rifilato in mano il
bicchiere vuoto.
“Si gode la vita” rispose
Leo, prima di sistemarsi la giacca “Vado a cercare di farmi notare da Jara. A dopo”
“In bocca al lupo” fu il
commento divertito di Fritz, mentre con finta non cura prendeva la mano di Nina
tra le pieghe del tessuto azzurro, sentendo la stretta ricambiata senza
indugio.
Però non lo guardava, rivolta
a Mike “Nababa e Thoma?”
Lui alzò le spalle, infastidito
dall’essere costretto nella giacca elegante “Sono rimasti a Trost.
Qualcuno doveva pur rimanere lì.”
“Anche Hanji?”
si informò ancora quella. Era strano, solitamente la Zoë
non perdeva occasione di partecipare a frivolezze come quelle. Diceva che la
metteva di buon umore un alto concentrato di essere umani tutti nella stessa
stanza.
“Lei è venuta con noi, ma l’abbiamo
persa in Capitale.”
Quella frase, soprattutto riferita
a un tipetto come Hanji, era quasi inquietante. Nina non
ebbe però il tempo di rispondere, perché Erwin entrò nel suo campo visivo in
tutta la sua mastodontica presenza “Te la rubo per un ballo, dottore” disse
amabile a Fritz, che si ritrovò un po’ spiazzato quando Nina venne portava
verso la pista da ballo dal fratello maggiore.
Il giovane medico non avrebbe
mai detto nulla a Erwin, soprattutto in virtù del fatto che poco prima gli
aveva domandato un enorme favore. Fritz aveva fatto richiesta per essere
riassegnato. Sperava di venire spostato da Renin a Trost, così da poter andare laddove c’era davvero bisogno
di azione e insieme a Nina e il resto della loro compagnia di vecchi amici. Senza
una spinta del Capitano sarebbe stato difficile finire assegnato nel meridione
e non voleva rischiare di finire a Nedlay.
Nina sapeva che intanto il
fratello se ne sarebbe dimenticato. Gli avrebbe lasciato qualche nota qua e la
nello studio.
“Cosa succede?” domandò
proprio la ragazza in questione a mezza voce, prima di capirlo “No, non dirmi
che lo sta facendo di nuovo..”
Fratello e sorella si
guardarono complici, mentre, poco distanti da dove Erwin l’aveva condotta, il
Capitano Schäfer della ricognitiva, di istanza a Shigashina, parlava fitto con Shadis.
“Se ci fossero delle
premiazioni speciali per chi sa leccare bene il culo, lui sarebbe il campione
incontrastato.”
“Passare del tempo con Levi
non ti fa bene.”
Nina sbuffò, tirandolo poco
più avanti “Almeno balliamo, ora. Poi andremo da Shadis
e gli ricorderemo chi sarà il futuro Comandante della Legione.”
Erwin rise, appoggiando una
mano sul fianco della sorella e l’altre contro la sua, palmo contro palmo,
iniziando poi a girare su se stesso non appena anche Nina ebbe trovato il suo fianco opposto “Forse lui è meglio di
me.”
“Non lo pensi davvero” lo
corresse subito lei, anche se sapendo come era Erwin, si considerava
probabilmente il più qualificato anche se il meno adatto. O forse il contrario,
chi poteva dirlo. Il punto però rimaneva, Schäfer non
le piaceva, non le era mai piaciuto, con quel cipiglio di superiorità
nonostante la stazione della Legione di Shigashina
fosse vassalla della sede centrale del meridione, che era la loro di Trost. Come Briemer e Nedlay, per intenderci.
“Una cosa però è certa” Erwin
le parlò direttamente nell’orecchio, così da non farsi sentire “Shadis vorrebbe essere ovunque, se non qui. Forse anche in
mezzo a dei giganti.”
Per buona misura, Nina
scoppiò a ridere, attirando su di sé più di uno sguardo.
Levi si domandò perché si era
lasciato convincere da Hanji ad arrivare fino a lì.
La giacca che la donna gli
aveva prestato era bella, non si capiva che non fosse da uomo ma della donna,
peccato però che stringesse troppo sulle spalle e gli stesse lunga nelle
maniche.
Non era la sola cosa ad
irritarlo a morte, però.
C’erano troppe persone, che
lo guardavano incuriosite. Levi era stato vittima di quello che poteva
tranquillamente essere definito come un sequestro di persona; Hanji si era presentata a casa dei Meier con un bislacco
abito pervinca dall’aria vissuta, iniziando a riempirgli la testa di domande sul
perché non volesse andarci e cazzate,
trovando anche supporto nel padrone di casa nel momento in cui l’aveva invitato
a starsene zitto e salire a cavallo. Persino quando Levi le aveva detto, senza
giri di parole, “Non mi ero accorto tu fossi una donna prima di averti visto
ora con una gonna” lei non si era scoraggiata.
Alla fine, aveva vinto
tirando fuori la peggiore delle argomentazioni: a Nina farebbe così tanto piacere se tu venissi.
Lui aveva inizialmente
risposto con un gigantesco chi se ne frega,
prima di cedere alle insistenze di non una, ma di ben due persone. Non poteva
nascondere che non fosse lì per Nina, perché anche se era solo una ragazzina,
era gentile e aiutava sempre chiunque ne avesse bisogno e Hanji
aveva più e più volte rimarcato proprio su quel fattore.
“Lei è persa di te e tu sei
la sua ombra, Levi. Accettalo e metti questa giacca.”
Arrivato alla festa, però,
non poteva crederci di avere davvero accettato, sembrava uno scherzo. Ormai però
era lì e quindi dopo aver rubato un bicchiere di vino per stemperare l’atmosfera,
aveva cercato la ragazzina fra la folla. L’aveva trovata a ballare insieme a
Fritz, sorridente e divertita, saltellando qua e la come un passerotto avvolto
in una balla di tulle celestino. Lei non si era accorta di lui per due balli
interi, ma poi, la sorte ci aveva messo del suo. Fritz si era scostato per
tirare una spintarella a Leopold e lei l’aveva scorto oltre la spalla del suo
compagno di danze. Nell’esatto momento in cui i loro occhi si erano trovati,
Levi aveva provato un sensazione strana, che l’aveva portato a muovere qualche
passo verso di lei.
Da parte sua, Nina non aveva
esitato. “Scusami” aveva sussurrato a Fritz, scostandosi dalla sua presa e
camminando a sua volta verso l’uomo. Lei, nel momento in cui i loro sguardi si
erano incontrati a metà strada sulla pista da ballo, si era sentita come se in
quella stanza non ci fosse stato nessun altro se non loro. “Sono allibita” fu
la prima cosa che gli disse, sorridendo, quando se lo trovò di fronte “Non mi
aspettavo che alla fine saresti venuto.”
“Hanji”
fu la sola cosa che sputò fuori quello, non nascondendo la seccatura.
“Hanji”
ripeté Nina con una certa consapevolezza nella voce, mista al divertimento “Sono
felice che tu sia qui però…” gli alzò il braccio,
guardando il modo in cui la giacca cadeva sul polso e sulla mano “Questa non è
della tua misura.”
“Non mi hanno consegnato
nessuna giubba elegante quando mi hanno arruolato a forza, scusami” rispose
ancor più piccato il moro, prima di guardarla con un sopracciglio alzato “Allora,
come funziona?” domandò ammorbidendo il tono “Dovremmo ballare, oppure che ne
so-”
“Nina?” una voce li
interruppe, scocciando non poco Levi che scoccò un’occhiata poco gentile al
nuovo venuto.
“Capitano Schmidt” lo salutò cordiale Nina, allungando
la mano per stringergliela “Ancora non ci siamo salutati.”
“E abbiamo rischiato di non
farlo, perché io me ne sto andando. Non è cosa per me.” Ridacchiando, il biondone si grattò la nuca, dopo aver ritratto la mano, “Tuo
fratello l’ha combinata nuovamente.”
“Non devo nemmeno chiederti
di quale fratello parli” gli disse lei, arrendevole “Fried
è…. Unico. Dimmi che la mora non era tua moglie,
almeno.”
La bella mora in abito rosso provocante
che per tutta la sera aveva goduto della compagnia di suo fratello maggiore – e
che con lui si era allontanata non molto tempo prima- era arrivata proprio
insieme a Schmidt. Nina ci aveva
scambiato un paio di parole, con quella bella mora, mentre lei e Fritz
salutavano le vecchie conoscenze della Legione del nord.
“No, Lottie
è la mia seconda in comando” rispose lui “Speravo di farla mettere insieme a Schultz Smeltzer, ma tuo fratello
è stato più veloce di lui.”
“Come al solito” rilanciò
Nina, prima di realizzare che nonostante Levi fosse silenzioso, non era
trasparente “Come sono sciocca, non ho fatto le presentazioni” appoggiando una
mano sulla spalla del moro, lo sospinse appena in avanti “Lui è il Capitano
Erik Schmidt della ricognitiva” iniziò a dire mentre i due si stringevano la
mano “Coordina l’avamposto settentrionale di Briemer.
Lui invece è Levi e basta, la nostra
nuova arma di distruzione totale.”
Un leggero vociare si diffuse
attorno a loro, anche in virtù del fatto che la musica aveva cessato di suonare
proprio nel momento della presentazione per rallegrarsi in un motivetto più
incalzante. Ironico. Levi si guardò attorno, non conscio della popolarità che
iniziava già ad acquisire nonostante fosse arrivato da pochi mesi.
I soldati della Legione
parlavano, a casa e in osteria, dell’uomo che da solo aveva ucciso cinque
gigante e fatto breccia nelle preferenze del Capitano Smith.
“Un onore conoscere un uomo
con una fama così grande” fu il solo commento di Erik “Al nord ci farebbe
comodo una persona come te, Levi.”
“Fidati” gli fece eco Nina,
intenzionata a non spostare la mano dalla spalla del moro “A sud ne abbiamo
molto più bisogno.”
Come chiamato dal cielo,
anche Erwin arrivò da loro, facendo sciogliere un po’ le persone che attorno ai
tre parlavano guardando Levi. Tornarono tutti a ballare, forse per non
sfigurare di fronte al promettente Capitano, che invece guardò il moretto senza
velare nemmeno minimamente il suo divertito “Erik” disse però, salutando l’amico
e stringendogli la mano “Sono felice di vederti. Fa freddo al nord?”
Quella domanda gliela
rivolgeva sempre, ogni volta che lo vedeva. Erik infatti ruggì una risata,
dandogli un leggero colpetto con il gomito nelle costole “Così tanto che i
giganti non si fanno vedere tanto spesso! Come non capirli però, si sa che
problema hanno.”
“Sono nudi, dopotutto” lo
assecondò Erwin, facendo alzare gli occhi a Nina.
“Il discorso non assumerà un
tono migliore” fece sapere a Levi, prendendogli il polso e tirandolo verso la
pista “Divertitevi!”
“Spero di rivederti presto,
Nina!” Erik li guardò passare in mezzo alle persone, fino a trovarsi un posto
loro.
Anche Erwin non li perse di
vista, incrociando le braccia sul petto “Sai” disse al suo interlocutore,
attirando la sua attenzione “Non so se dispiacermi di più per Levi che è costretto
a sopportare le angherie di mia sorella…” fece una
breve pausa, notando il modo in cui Levi cercava di copiare i passi degli altri
uomini, mentre Nina lo rimproverava apertamente del fatto che non le stesse
dando retta e che era meglio se conduceva lei “Oppure per il dottor Meier che l’ha
accompagnata.”
“Ah, l’amore giovane” fu il
solo commento di Erik, mentre prendeva un bel respiro “Ti fa dimenticare anche
i giganti.”
Levi si era seriamente pentito di essere andato lì
quando Erwin l’aveva placcato durante la fuga dalla pista da ballo, iniziando a
presentarlo a destra e a manca come il
suo uomo migliore. Si era dovuto sorbire le occhiate incuriosite del
Comandante Pixis, i sorrisi divertiti di chi sa
qualcosa di troppo di Nora Kessler, le occhiate perplesse e non troppo convinte
di Nile Doak e le domande
stupide di così tante persone da aver perso il conto. L’argomento principale
era la sua vita nel ghetto. Per quegli ufficiali, abituati da sempre o da
troppo tempo alla Capitale, il mondo al di sotto dei loro agi sembrava lontano
e irraggiungibile, anche se ci camminavano letteralmente sopra. Levi rispondeva
a mezza bocca, iniziando ad indisporsi via via che le
conoscenze aumentavano. Alla fine, Erwin lo fece allontanare, dedicandosi a Nile e iniziando a parlare di una certa Marie, di cui Levi
non voleva sapere niente. Basta persone che parlano di altre che lui non
conosceva e che non voleva conoscere. Non era lì per quello.
Certo di non voler parlare
con Hanji, che lo salutava da ritta accanto a Zacharius, si diresse verso il primo volto conosciuto “Oi” tuonò facendo sobbalzare le spalle di Leo, impegnato in
una conversazione con altri quattro gendarmi “Hai visto Nina?” domandò
schietto, attendendo una risposta con una certa impazienza nello sguardo.
Il rosso lo guardò
sbrigativo, prima di indicare una porta a vetri ampia e alta “L’ho vista uscire
in giardino poco fa.”
Levi non si prese il disturbo
di ringraziare. Gli riservò un cenno con il capo, stanco di tutta quella
confusione e deciso a costringere la bionda a portarlo a casa dei Meier prima
di subito, nonostante la festa paresse lontana dal terminare.
Aveva addirittura sentito
qualcuno dire che si sarebbe protratta fino all’alba e gli venivano i brividi
solo al pensiero.
La trovò insieme a Jara e a un’altra donna dal caschetto moro, tutte e tre
sedute sulla fontana e con i piedi in ammollo nonostante fosse iniziato
ottobre.
Un ottimo modo per beccarsi
una polmonite, e pensare che due su tre erano persino laureate in medicina. Come
non detto, non era un pezzo di carta a far di una persona furba. Si avvicinò e
loro lo videro avanzare sin da subito. Manco avesse la peste, vide Jara balzare in piedi insieme all’altra donna e con una
scusa banale sparire verso la sala con ancora le scarpe in mano.
“Le hai spaventate” gli disse
Nina mentre cercava di trovare un senso in tutta la stoffa che le componeva il
vestito.
“Tch.”
Come se quella potesse definirsi paura “Se volevano lasciarci soli, potevi dire
loro che passiamo già un significativo lasso di tempo insieme, durante la
giornata.”
A Levi non sfuggì il leggero
rossore che colorò le orecchie di Nina in quel momento, ma non commentò. Aveva detto
anche troppo. Lei alzò un piede, appoggiandolo sul bordo della fontana “In
effetti ultimamente passi più tempo a picchiare me che a fare qualsiasi altra
cosa” gli fece notare con tono leggero, mentre spingeva via il tulle con poca
grazia.
“Fammi vedere, avanti.” L’uomo
sedette accanto a lei, attendendo che Nina allungasse la gamba. Quando ebbe
appoggiato il polpaccio asciutto sui pantaloni neri dell’uomo, Levi poté notare
tutte le vesciche che si erano formate sul piede della giovane, alcune delle
quali sanguinava “Voi donne siete tutte matte” ammise, scuotendo il capo e
facendosi passare le garze che Nina si era preventivamente portata da casa,
nascondendole nel sottogonna “Se ti facevano male, perché li hai messi?”
“Perché non potevo mettere
quelli militari sotto a un abito così.”
“Che sciocchezze. Ammalarti non
ti esonererà dalla levata, domani. ”
Nina non disse altro. Lo guardò
avvolgere il collo del piede fino al tallone nella garza bianca, prima di aiutarla
a rimettere le calze bianche ora macchiate di rosso vermiglio e ripetere il
procedimento con l’altro piede. C’era qualcosa di aggraziato nei movimenti di
Levi, quasi dolce. Nina lo vedeva come un uomo spaccato in due, due diverse
personalità che condividevano la stessa incredibile mente. Da un lato c’era il
soldato, sembrava essere nato per indossare le Ali della Libertà; dall’altro c’era
Levi. Solo Levi.
Forse la persona più buona e
gentile che Nina avesse mai incontrato.
Incredibilmente, anche la più
sboccata.
Le due cose convivevano
perfettamente, anche se sembrava un ossimoro.
Nina lasciò le gambe su
quelle dell’uomo, mentre il vento autunnale le faceva accapponare la pelle
delle spalle. Nonostante questo, però stava bene, perché in quei mesi lontano,
Levi le era mancato. Nonostante fossero silenzio, era perfetto così.
Le loro giornate insieme
erano alternate da lunghi silenzi che però non pesavano. Erano rincuoranti
sotto diversi punti di vista. La faceva sentire bene il pensiero di trovarsi
così a suo agio con una persona da non doverle nemmeno rivolgere la parola. Non
c’era imbarazzo, iniziavano a capirsi a vicenda anche con solo uno sguardo.
E lei, giorno dopo giorno,
silenzio dopo silenzio, si innamorava sempre di più di lui.
Forse era un sentimento unilaterale,
dal suo punto di vista lo era, ma lui la riusciva a far sentire bene anche con
solo la sua presenza. Allungò una mano, senza esitazione scostandogli i capelli
mori dal viso e parandoli indietro per guardarlo. Anche il modo in cui lui si
lasciava toccare, non sembrava urtarlo. Addirittura, Levi socchiuse leggermente
gli occhi, come un gatto “Almeno un po’ ti stai divertendo?” gli domandò,
arricciando le labbra in un sorrisetto.
“No.”
“Lo sapevo.”
Si scambiarono uno sguardo e
quando Nina puntò il suo nuovamente verso la porta finestra che dava sul
giardino curato, ci trovò Fritz. Il ragazzo stava tentando di tornare dentro,
ma quando lei lo chiamò con voce squillante, comprese di non aver scelta se non
andare verso di loro con le mani in tasca e una muta rassegnazione.
Levi lo guardò, chiedendosi
quanto si dovesse essere innamorati prima di urlarlo apertamente al culmine
della frustrazione.
Non era un idiota, aveva
capito cosa stava succedendo.
“Chiedimelo.”
La voce di Nina lo fece
voltare di nuovo verso di lei, mentre il dottore compiva a piccoli passi la
distanza fra lui e la coppia seduta sulla fontana “Prego?”
“Quello che sei venuto a
chiedermi” lo incalzò lei, allungando le mani per sfiorarsi la punta dei piedi
e stirarsi “Chiedimelo.”
“Voglio lasciare questa
merdosa festa, possiamo andare?”
Nina rise “Va a dire a
Leopold che è ora, quindi” gli rispose, spostando i piedi di nuovo sull’erba e
recuperando gli stivaletti.
“Ti lascio col tuo fidanzato”
le rispose lui per vendetta, sussurrandoglielo sulla spalla e facendola
rabbrividire di nuovo, prima di alzarsi per allontanarsi.
“Levi non-sei uno stronzo!”
non si risparmiò di urlargli dietro Nina, tirando i lacci del primo stivale
mentre Fritz la raggiungeva con un’espressione indecifrabile “Mi facevano male
i piedi” lo mise al corrente con un tono un po’ da bambina, allungando la mano
per tirargli il giaccone “Mi porti in braccio?”
Fritz sbuffò una risata,
sedendosi con lei.
Ci fu di nuovo silenzio, ma
quello non fu rincuorante e famigliare. Non fu complice.
C’era imbarazzo e Nina sapeva
che avrebbe dovuto lasciarlo parlare.
Lui doveva dirle qualcosa,
doveva darle la cosa che lei sapeva aveva sempre con sé in tasca e doveva
sentirsi dire di no.
Invece, di nuovo, decise di
proteggerlo “Sarei venuta con te a questo ballo, Fritz” gli disse con tono
dolce “In ogni caso. Anche se avessi ricevuto un’altra proposta mentre stavo salendo
sulla carrozza.”
Lui si sporse, baciandola sulla
guancia mentre le avvolgeva le spalle col braccio per schermarla dal vento “Lo
so.”
Lo sapeva e non che lei
sarebbe comunque andata con lui.
Sapeva quello che Leopold
aveva detto a inizio serata, prima ancora di lasciare casa.
Non importava, però.
Avrebbe continuato a fare
finta di niente fino a che l’avesse fatto Nina. Come un cane che si morde la
coda, avrebbe finto.
La strinse a sé,
abbracciandola più stretta.
E pensò che era davvero una
bellissima bugiarda a cui però avrebbe sempre votato il suo cuore.
In quel momento, ne era
certo.
Nda.
Lo so, ci ho messo una VITA a
pubblicare. A mia discolpa ero al mare e sto scrivendo una long AU insieme a RLandH molto carina, sempre in questo fandom.
Non mi dilungherò nelle note perché
non ho voglia.
Sì, l’ho scritto davvero, con
spietata sincerità.
Anche questo è un capitolo
solo al passato, perché certe cose non posso proprio scartarle e le parti
presenti ormai sono tutte decise. Prendetelo come un respiro profondo prima del
grande salto, perché fra due capitoli si inizia davvero a ballare.
Ci sarà così tanto ANGST che
rimpiangeremo tutti le feste di Pixis.
Erik e Lottie
non mi appartengono.
Anche loro sono di RLandH e ricordate l’hastah #postaLunaposta se volete conoscerli meglio.
Ne vale davvero la pena.
Nemmeno Gretha
è mia e so che la sua citazione ha portato più di una domanda….
Ehehehe.
Friedelhm…. No lui è mio e si vede.
Che bel cazzone.
I Müller
sono adorabili.
Ringrazio Shige
per avermi commentata, come sempre sei dolcissima **
Ringrazio anche solo chi
legge e chi mi segue.
Siete bellissimi.
Un abbraccio e a presto,
C.L.