Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: mikimac    04/09/2016    7 recensioni
Un cavaliere, due medici ed una ladra, alleati per salvare un amore e spezzare una maledizione.
Ladyhawke in chiave Johnlock.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La Torre
La Torre


La giovane ladra aveva fatto molta fatica a prendere sonno. Aveva bloccato la porta di ingresso e le finestre con tutto quello che aveva trovato nel piccolo rifugio abbandonato, ma nessuno sapeva meglio di lei, che anche la casa con le migliori misure di sicurezza poteva essere violata. Mary aveva ascoltato, con apprensione, ogni suono proveniente dall’esterno ed ogni scricchiolio prodotto dalle vecchie assi della casa. Ad aggiungere ansia all’ansia, si era levato un vento dispettoso, che aveva contribuito ad aumentare i rumori, mentre gli animali, che popolavano la foresta, sembravano avere deciso di parlare tutti insieme, in quella notte magica. La stanchezza aveva avuto la meglio sulla ragazza, quando la notte buia stava lasciando il posto ad una mattina grigia. Allora, il sonno la aveva avvolta in un abbraccio profondo e senza sogni.


Mary si svegliò, sentendo un piacevole profumo di carne abbrustolita. Il suo stomaco brontolò poco dignitosamente, ricordandole che fossero giorni, che non mangiava un pasto decente.
Ancora piuttosto assonnata, cercò di ricordare dove si trovasse. Gli eventi della notte precedente le balzarono subito alla mente. Il piacevole torpore del risveglio venne cacciato via e lei si svegliò completamente, decisa a scappare il più lontano possibile dal misterioso cavaliere, che la aveva salvata, e da Londra.
“Dato che sei sveglia, mi sembra il caso che tu venga a mangiare, prima che i brontolii del tuo stomaco portino i soldati del re fino a noi,” ordinò una voce profonda, in tono secco.
Mary sospirò. Non aveva senso fingere di dormire, perché non avrebbe ingannato il cavaliere. Un pensiero fugace la portò a chiedersi come avesse fatto Sherlock ad entrare in casa, ma sorvolò sulla risposta. Per quanto ne sapeva, il cavallo poteva essersi trasformato in un essere umano ed avere aperto la porta al suo padrone. Mary era più che decisa: sarebbe scappata alla prima occasione ed avere la pancia piena sarebbe stato decisamente d’aiuto. Si stiracchiò, come se si fosse appena svegliata, e raggiunse l’uomo, che stava finendo di mettere un po’ di carne e pane in alcuni piatti, appoggiati su un tavolo, piuttosto traballante. La ragazza studiò quello che c’era nel piatto. Il profumo era invitante, ma, forse, era solo la sua grande fame a fare apparire quel misero pasto appetitoso come se fosse stato un banchetto da re. Senza dire una parola, si sedette al tavolo e si avventò sul cibo, mangiando di gusto.
Il cavaliere nero la osservò, per qualche secondo, poi si sedette e sbocconcellò la carne, come se non avesse appetito. Mary finì di mangiare, che Sherlock aveva appena intaccato il proprio cibo.
“Se non hai fame, potrei finire io il tuo piatto. – propose la ragazza, senza troppi indugi – Sai, nelle prigioni del re non sono molto abbondanti con il mangiare, soprattutto per i condannati a morte. Sembra che reputino uno spreco di cibo, nutrire chi stia per morire.”
“In effetti, la cosa ha una sua logica,” ribatté il cavaliere in tono neutrale e con lo sguardo indifferente.
Mary si chiese se l’uomo si stesse prendendo gioco di lei o se pensasse veramente che i condannati a morte meritassero di essere affamati. La ragazza si era sempre fatta un vanto di capire tutti in pochissimo tempo, ma, stavolta, non riusciva ad inquadrare il suo salvatore e la cosa la innervosiva molto.


Mary aveva terminato di mangiare, in assoluto silenzio. Era strano, che lei non parlasse per tanto tempo, però quell’uomo la metteva in soggezione. Non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma quegli occhi chiari e severi la facevano sentire nuda e vulnerabile.
“Verrai a Londra con me,” la voce profonda di Sherlock interruppe i suoi pensieri.
“Perché?” il tono era più alto di un’ottava, rispetto al solito. Tornare a Londra era l’ultima delle opzioni di Mary. In quella città la aspettava la forca. Lei non aveva alcuna voglia di finire appesa e morire soffocata, lentamente, davanti ad un pubblico che schiamazzava e rideva, sbeffeggiandola, mentre lei agonizzava.
“Ho bisogno che mi aiuti ad entrare in una casa molto ben difesa. Sei una ladra, in fin dei conti, e non ti sarà difficile trovare un modo per farmi entrare, senza che nessuno mi noti. Dopo, potrai andartene per la tua strada.”
“Sono stata accusata di essere una ladra. – puntualizzò Mary, drizzando la schiena e mostrandosi offesa – Ci sono tante persone malfidate, in questo mondo, che interpretano in modo sbagliato quello che …”
Sherlock alzò una mano, con un gesto imperioso. Gli occhi chiari dell’uomo la perforarono: “Sappiamo entrambi che sei una ladra. Non ha senso perdere tempo a negarlo.”
Un silenzio teso cadde nella piccola stanza. Si sarebbe potuto sentire un granello di polvere, che si adagiava pigramente sul tavolo. A rompere il silenzio, invece, fu il verso di un falco.
Mary si voltò di scatto verso la finestra. Solo in quel momento si rese conto che fosse aperta. Sul davanzale, era appoggiato il falco che aveva visto il giorno prima. La luce del sole donava al suo piumaggio un alone dorato, che lo faceva apparire incantato. Il rapace inclinò la testa da un lato, studiando attentamente i due umani. Quando aprì le maestose ali e si librò in volo, all’interno della stanza, Mary si protesse la testa con le braccia, temendo che il falco potesse aggredirla. Invece, non successe nulla. Nella stanza era caduto, di nuovo, il silenzio. Con molta circospezione, la ragazza spostò le braccia e alzò gli occhi sul cavaliere. Il rapace era appoggiato sul suo avambraccio e si stava lasciando accarezzare il petto candido, come se fosse stato un dolce cardellino e non un uccello capace di levare gli occhi ad un uomo, con i suoi artigli appuntiti. Lo sguardo di Sherlock aveva un’espressione dolcemente triste, mentre osservava il falco.
Mary rabbrividì, chiedendosi che cosa, o forse chi, vedesse il cavaliere in quell’uccello. Era sempre più convinta che fossero in gioco forze oscure e malvagie e lei non voleva averci assolutamente nulla a che fare. Doveva prendere tempo per organizzare la fuga: “Va bene, mi hai convinta. – sospirò, in tono rassegnato – Ti aiuterò. Però, voglio la tua parola d’onore che mi lascerai andare e che non mi consegnerai alle guardie del re.”
Sherlock non si voltò nemmeno a guardarla, intento ad accarezzare le piume del falco: “Hai la mia parola. Ora, se hai finito di ingozzarti, possiamo partire.”
Con un movimento fluido, Sherlock si alzò da tavola, sempre tenendo il falco in perfetto equilibrio sull’avambraccio, e si avviò verso la porta.
“Io non mi sono ingozzata! Solo perché non sono nata in un castello o in un palazzo affrescato, non significa che non sia una signora e che non sappia comportarmi come tale!” Le sue parole indignate caddero nel vuoto. L’uomo era già uscito.


Si misero in viaggio subito dopo colazione. Sherlock aveva fatto salire Mary sul cavallo, facendola montare davanti a lui. Il destriero era un possente frisone, addestrato per la guerra, con il mantello completamente nero, che Sherlock aveva chiamato Golia*. Procedevano in completo silenzio.
Mary aveva tentato di attaccare discorso: “Cosa devi fare a Londra e perché devi entrare in un palazzo di nascosto? Potresti bussare alla porta sul retro, se non vuoi farti vedere alla principale,” ricevendo in risposta un secco: “Non sono affari tuoi,” che le aveva tolto ogni altra velleità di chiedere informazioni.
Il silenzio ostinato del compagno di viaggio permise a Mary di elaborare una lunga serie di piani di fuga, da mettere in pratica alla prima occasione.
Il falco li seguiva, volando in alto, ad ali spiegate. Il viaggio procedeva lento, dato che Sherlock non voleva affaticare il cavallo, costretto a trasportare due persone.


Erano in un bosco, quando Sherlock fermò il destriero e scese: “Faremo qui il campo, per trascorrere la notte. Il sole sta per tramontare.”
Mary osservò il cielo, scendendo da cavallo: “Ci saranno ancora un paio d’ore di luce. Potremmo continuare ancora un po’, in modo da avvicinarci a Londra ed arrivarci entro domani.”
“Ci fermiamo qui,” ribadì Sherlock.
Mary aveva capito quanto fosse inutile contraddire il cavaliere e scrollò le spalle: “Come il signore comanda,” ribatté in tono beffardo, accennando ad un inchino.
“Togli la sella a Golia e striglialo, mentre io preparo la cena. Stai attenta che morde.”
“Non sono un garzone di stalla,” borbottò Mary, avvicinandosi, comunque, al cavallo. Golia sbuffò e scalpitò nervosamente, ma lasciò che la ragazza gli levasse la sella e lo strigliasse, senza tentare di aggredirla.
Sherlock aveva preparato una zuppa, ma solo per Mary. Mentre la ragazza mangiava, l’uomo prese la sacca da viaggio e ne estrasse una corda.
“Cosa vuoi fare con quella cosa?”
“Io non passerò la notte qui con te, perciò ti lego ad un albero, così sarò sicuro di trovarti ancora, domani mattina. Non penserai che non abbia capito, che tenterai la fuga alla prima occasione.”
“Io non…”
“Credevo che avessi compreso che fosse inutile cercare di ingannarmi. Sei piuttosto facile da leggere, sai? Dici solo quello che fa piacere a chi tu abbia di fronte a te, in modo da ottenere ciò che vuoi, ma spesso pensi l’esatto contrario di quello che affermi. Io ho bisogno che tu mi aiuti ad entrare in quel palazzo di Londra, dopo di che potrai fare quello che vorrai. Ora, lasciati legare, non costringermi a diventare rude. Non voglio farti del male, ma non esiterò a farlo, se non mi obbedirai.”
“Uomo malfidente! – sbottò Mary, offesa – Se mi leghi, come farò a difendermi, se dovessero arrivare dei soldati del re, dei malviventi o qualche animale selvatico non proprio amichevole? Ieri sera ho visto un lupo, nero e grosso, che sembrava arrivare direttamente dall’Inferno. Ti sarei utile, se quella belva mi sbranasse?”
“Quel lupo non ti farà nulla. – ribatté Sherlock, in tono cupo – E non sarai sola.”
Mary sapeva di non avere speranze e si lasciò legare al tronco di un albero.
Appena finito, Sherlock si dileguò nel bosco.


Era calata la sera. Mary aveva tentato di liberarsi, ma i nodi erano veramente ben fatti ed aveva dovuto desistere, non trattenendo un lamento a voce alta: “Signore, lo so che devo espiare i miei peccati, ma non potevi trovare una punizione che non mi riportasse al punto di partenza e troppo vicino alla forca? Perché mi hai illusa, facendomi credere che mi sarei salvata, se poi hai deciso che dovessi soccombere al mio triste destino? Non pensi che sia un castigo troppo severo per le mie misere colpe?”
Naturalmente, non ottenne alcuna risposta e si rassegnò ad attendere una migliore occasione per fuggire, chiedendosi a chi si riferisse Sherlock, quando le aveva detto che non sarebbe stata sola.
Improvvisamente, sentì dei rumori, come se qualcuno si stesse avvicinando. Spaventata, la ragazza iniziò a parlare, camuffando la voce in modo tale, che sembrassero esserci molte persone, non solo lei: “Frank, hai sentito?... Sì, Tom, qualcuno si avvicina… Prendi l’arco Jim e preparati a colpire… Aspetta Carl, potrebbe essere Paul…”
“Sei brava, ma si vede che sei sola e legata ad un albero,” disse una voce divertita dal folto degli alberi.
Mary smise di parlare. Aveva riconosciuto la voce. Era quella dell’uomo biondo della notte precedente. Da dove era saltato fuori? Dove era stato tutto il giorno? Era sicura che nessuno li avesse seguiti, quindi, come poteva essere nel bosco, insieme a loro? Perché compariva solo di notte? Aveva fissato un appuntamento con Sherlock? E, se era così, dove era sparito il simpatico chiacchierone vestito di nero?
L’uomo biondo apparve nella radura, sorridendo gentilmente: “Non ti farò del male,” sussurrò.
“Sei reale o sei un’illusione?”
“Io sono dolore,”* mormorò con tono triste.
L’uomo si avvicinò al fuoco, scaldandosi le mani. Mary non aveva capito il senso della sua risposta, ma la spaventò ancora di più. L’aria intorno a loro era elettrica, carica di magia. Se fosse rimasta coinvolta in questa storia, avrebbe potuto essere accusata di stregoneria. La forca era decisamente meglio del rogo. Doveva fuggire. Non sarebbe mai riuscita ad ingannare Sherlock, ma, forse, poteva tentare con questo uomo: “Non ci hanno presentati. Io mi chiamo Mary e tu?”
“John.”
“Piacere di conoscerti, John.”
“Hai fatto arrabbiare Sherlock? È per questo che ti ha legata?”
“Il fatto è che mi ha spiegato tutto il suo piano ed io non ne ero molto convinta, ma ho avuto modo di rifletterci bene e ho deciso di aiutarlo. Dato che siamo alleati, potresti liberarmi, non credi?” Mary concluse il suo discorso con il sorriso più convincente ed amichevole che riuscì a sfoderare.
John inclinò la testa di lato e strinse gli occhi, osservando bene la ragazza: “Sherlock ti ha spiegato che vuole uccidere il Primo Consigliere del re?”
Mary sbiancò, perché questa sembrava proprio una cosa che il cavaliere nero avrebbe potuto fare, senza battere ciglio. Se l’avessero catturata mentre attentava alla vita del Primo Consigliere, l’avrebbero impiccata, tagliato la testa e bruciata sul rogo. Scappare diventava urgente ogni secondo che trascorreva con quei due strani uomini. Sperando che John non avesse notato la sua reazione, la ragazza mormorò, con tono cospiratorio: “Esatto. Vuole entrare a Londra e vendicarsi del Primo Consigliere, anche se non si è addentrato a spiegarmi il perché.”
“Sarei veramente curioso anche io di sapere perché Sherlock vorrebbe uccidere il proprio fratello. Anche se, detto fra te e me, probabilmente in qualche occasione entrambi hanno preso in considerazione la possibilità di eliminare l’altro. Ciò non toglie che, per quanto siano in disaccordo e non lo ammettano nemmeno con loro stessi, i fratelli Holmes si amino molto e non torcerebbero mai un capello all’altro.”
Mary emise un lamento.
John sorrise dolcemente: “Conosco molto bene Sherlock e sono sicuro che non ti abbia detto assolutamente nulla, riguardo ai suoi piani.”
“E tu? Cosa ne sai? Se il Primo Consigliere del re è suo fratello, perché le guardie lo hanno aggredito e lui si comporta come un fuggiasco?”
John distolse lo sguardo, girandosi verso il fuoco.
Nessuno dei due parlò per un po’ di tempo. Fu John a rompere il silenzio: “Hai mangiato?”
“Sì, prima che Sherlock mi legasse a questo albero come un salame. Neanche potessi scappare chissà dove. Insomma, sono solo una ragazzina indifesa, in un luogo pieno di insidie e lui mi tratta come se fossi il più pericoloso di tutti i criminali. Ha stretto così tanto queste corde, che mi stanno tagliando la pelle.”
John si voltò di nuovo verso Mary, sorridendole con simpatia: “Se allento un po’ i nodi, mi prometti di non fuggire?”
“Certo! Parola d’onore.”
John si avvicinò ed allentò i nodi, in modo che Mary potesse muoversi appena un po’.
“Oh, grazie John. Tu sei tanto gentile. Mi potresti dare dell’acqua, per favore?”
John si voltò per andare a prendere la borraccia dell’acqua. Tanto bastò a Mary per liberarsi dalle corde e sgattaiolare silenziosamente in mezzo al bosco. Quando John si girò nuovamente verso la ragazza, lei si era eclissata.  L’uomo si rizzò in piedi cercando di vedere dove fosse finita e chiamando a gran voce la giovane: ”Mary! Mary torna indietro! Finirai per metterti nei guai. È buio! Mary! Non vogliamo farti del male. Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Mary!” Non ottenne nessuna risposta.
John attese qualche minuto, ma non accadde nulla. Con un gesto rassegnato, scrollò le spalle: “Sherlock mi ucciderà,”* borbottò, sedendosi accanto al fuoco. In attesa.
Un grosso lupo nero arrivò pochi minuti dopo. Annusò le corde e il luogo in cui Mary era stata legata.
“È scappata. Mi sono lasciato ingannare, come uno stupido. Mi dispiace,” sospirò John.
Il lupo si avvicinò all’uomo biondo, sfregò delicatamente la punta del muso sul suo braccio, uggiolando, e gli si accucciò vicino.
Un sorriso malinconico illuminò gli occhi di John, nel riverbero del fuoco. Sollevò una mano e la appoggiò alla testa del lupo, accarezzandola. Nel silenzio del bosco, si sentiva solo il crepitare del fuoco.


Mary aveva camminato per tutta la notte. E per buona parte della mattina. Non era sicura di dove si stesse dirigendo, ma si stava allontanando da Londra. Dalla forca. Da Sherlock e John. Questa era la cosa importante. Essere lontana dalla città e dal cavaliere nero. Le dispiaceva avere ingannato John. Lui era gentile e dolce. Sorrideva. Aveva un bel sorriso. Sì. Decisamente John le piaceva, ma non era una buona ragione per farsi mettere una corda intorno al collo.
Aveva raggiunto una radura ed una delle tante locande, che si trovavano sparse tra una città e l’altra. Sherlock non le aveva confiscato il sacchetto di monete, rubato quando era fuggita dalla prigione. Stavolta, però, decise che non fosse il caso di attirare l’attenzione, quindi si sedette ad un tavolo ed ordinò da mangiare. Gli unici altri avventori erano quattro uomini coperti dai mantelli, che la innervosivano. Uno di loro si alzò e scoprì la testa. Il ghigno dipinto sul suo viso era familiare a Mary. Anche troppo.
“Guarda guarda chi abbiamo qui. – sogghignò il soldato, che aveva bloccato la ragazza due giorni prima – La nostra piccola ladra è davvero in gamba. È riuscita a sfuggire persino a quel bastardo del capitano Holmes. Però, piccola, ora tu ci porterai da lui ed io ti prometto, in cambio, di non farti troppo male, prima di consegnarti al boia.”
Mary si alzò di scatto, pronta a lottare per non farsi catturare, ma il soldato si aspettava la sua reazione e la schiaffeggiò con forza, facendola finire in terra. Prima che l’uomo potesse infierire sulla giovane, un falco si avventò su di lui. Il militare alzò le braccia, per scacciare il rapace, che lo ferì alle braccia. Allo stesso tempo, un cavallo arrivò al galoppo, avendo in sella un cavaliere di nero vestito, con la spada sguainata.
“Sherlock!” gridò Mary. Non era mai stata tanto felice di vedere qualcuno, in vita sua. Afferrò una sedia e la sbatté sulla testa del suo aggressore, tramortendolo, mentre il falco si spostava su un altro uomo e Sherlock, balzato a terra, era impegnato in un duello con la spada con un terzo soldato. Il quarto aveva una balestra e caricò il colpo, facendolo partire, per colpire Sherlock. Il falco si spostò sulla traiettoria del dardo, che penetrò la sua ala sinistra. Il rapace precipitò a terra, emettendo un verso stridulo, pieno di dolore.
Sherlock, che si era liberato del suo avversario, si voltò verso il falco, con un urlo disperato: “NOOOOOO!”
Tutto si fermò.
I soldati superstiti.
Mary.
Sherlock.
Forse il tempo stesso.


Sherlock si erse in tutta la sua altezza, dritto e fiero, terribile e ferale. Gli occhi chiarissimi esprimevano una rabbia feroce ed un dolore immenso. La sua voce era bassa e cupa, ma il tono era deciso ed autoritario: “Mary, prendi il falco e sali su Golia. Dirigiti verso ovest, al galoppo. In un paio d’ore arriverai ad una torre parzialmente diroccata. Fermati lì. Vi abita un uomo, un medico. Si chiama Mike Stamford. Digli che il falco è mio.”  
“Ma…” Tentò di protestare la ragazza, senza troppa convinzione.
“VAI! – le ordinò Sherlock, in un sibilo furioso – Devi arrivare alla torre prima del tramonto. Il falco si deve salvare. Ad ogni costo. O nulla avrà più importanza.”
Mary non se lo fece ripetere. Si avvicinò al rapace e lo sollevò fra le braccia, con delicatezza, come se stesse prendendosi cura di un neonato. Senza che nessuno tentasse a fermarla, corse da Golia e salì in groppa, partendo al galoppo.
Non si voltò indietro, quando sentì il clangore delle spade.


Mary corse come non aveva mai fatto in vita sua. Spronò Golia, affinché volasse. Il falco, fra le sue braccia, non si muoveva. Emetteva suoni flebili, come deboli lamenti.
“Non morire, piccolo. Resisti. Andrà tutto bene, vedrai. Presto guarirai e tornerai a guardare il mondo dall’alto, librandoti libero sopra le nostre teste,” si trovò a sussurrare, rassicurante. Non sapeva perché, ma sentiva che doveva salvare il falco, quasi fosse stato un essere umano. Inoltre, era curiosa. Sembrava assurdo, ma avrebbe giurato che il rapace si fosse messo apposta fra Sherlock e la freccia.
Cominciava a temere di avere sbagliato strada, quando la vide. La torre si ergeva solitaria in mezzo alla pianura, su un lieve dislivello, circondata da un profondo fossato pieno di acqua. Non era molto alta. Doveva essere una antica torre di avvistamento, costruita durante le invasioni dei Sassoni. Sembrava che stesse in piedi per miracolo. Mary non capiva chi potesse vivere in un posto come quello. Forse Sherlock si era sbagliato. In quel caso, cosa avrebbe fatto con il falco?
“Ehilà! C’è nessuno? Ho bisogno di aiuto!” urlò al nulla.
Silenzio.
“Sto cercando un uomo che si chiama Mike Stamford! Ho bisogno del suo aiuto!”
Mary notò un movimento sulla sommità della torre: “La prego, mi faccia entrare. Il falco è ferito.”
“Vattene ragazza! Qui non c’è nulla per te,” rispose una voce irritata di uomo.
“Aspetti, per favore! Mi manda Sherlock Holmes! Il falco ferito è suo. Ha bisogno di cure.”
Tra due merli apparve una figura corpulenta, i cui lineamenti non erano distinguibili, essendo contro sole.
“Che nome hai detto?” domandò l’ombra nera, in tono allarmato.
“Sherlock Holmes. Questo è il suo…”
L’ombra scomparve. Mary udì una serie di rumori, come di passi che si avvicinassero all’ingresso della torre, sbarrato da un ponte levatoio. Con un fastidioso cigolio, il ponte iniziò ad abbassarsi. Un uomo grassoccio, con i capelli neri scompigliati e gli occhi scuri, si precipitò verso la ragazza: “Che cosa gli è successo? Presto presto! Dobbiamo fare presto. Il sole sta per tramontare.”
Con estrema delicatezza, Mike prese il falco dalle mani di Mary: “Porta il cavallo nel cortile della torre, poi seguimi al suo interno. Metti i piedi esattamente dove li appoggio io o finirai in qualche trappola.”
Mary eseguì gli ordini che le erano stati impartiti e, seguendo lo strano uomo, raggiunse la parte abitata della torre, arredata in modo semplice, ma funzionale.
“Tu, ragazza, vai in quella stanza e non uscire per alcun motivo. Troverai del cibo. Mangia. Sembra che tu ne abbia bisogno. Io porterò il falco in quest’altra camera. Non entrare. Per nessun motivo.”
Mary non ebbe modo di replicare, perché l’uomo era già sparito nella stanza, con il falco. Il suo stomaco brontolò rumorosamente: “In effetti è da ieri sera che non mangio. Il falco sembra essere in buone mani, quindi, posso pensare a me stessa. Sperando che il cibo sia commestibile e non in putrefazione.”
Mary entrò nella stanza che le era stata indicata. Era una cucina, calda ed accogliente. Trovò pane e formaggi freschi e ne prese una porzione abbondante. Mentre mangiava, il sole terminò il suo percorso giornaliero nel cielo invernale. Terminato di cenare, attese che Mike la raggiungesse. Lo aveva sentito andare avanti ed indietro dalla stanza accanto, borbottando parole incomprensibili. L’uomo, però, non si fece vedere. In lontananza, ma non troppo, il silenzio della sera venne squarciato dall’ululato disperato di un lupo. Incapace di resistere alla curiosità, Mary uscì, dirigendosi alla stanza in cui Mike era entrato con il falco. La porta era socchiusa, così la ragazza poté sbirciare al suo interno. Su un giaciglio di pellicce, vicino al caminetto, era disteso John, con una freccia infilata nella spalla sinistra.


“Visto che sei tanto curiosa, entra, così mi aiuti ad estrarre la freccia.”
Mary sobbalzò, presa completamente di sorpresa: “Perché John è qui? Quando è arrivato? Per quale motivo ha una freccia nella spalla? Dove è il falco?”
“Non ora, signorina. – la ammonì Mike, in tono teso – Dobbiamo estrarre la freccia e medicare John.”
Mike sorpassò la ragazza e si diresse verso l’uomo biondo, avvolto dalle pellicce, vicino al fuoco: “Andrà tutto bene, amico mio. Ti farà male e mi dispiace, ma cercherò di essere rapido.”
“Non ti preoccupare. Fai quello che devi.” La voce di John era un sussurro appena udibile.
Mary si avvicinò ai due uomini, con passi esitanti. Il viso di John era pallido, ma le fece un sorriso: “Vedo che non sei andata molto lontana.”
“Sherlock ed il suo falco mi hanno trovata e salvata… un’altra volta.”
John assentì, mentre Mike spostava le pellicce, scoprendolo fino ai fianchi: “La freccia è passata da parte a parte. Devo spezzarla ed estrarla, tirandola fuori di forza, poi procederò con la medicazione.”
“So cosa devi fare, Mike. Sono un medico anche io, ricordi? Fai ciò che devi. Mi fido di te.”
Mary vide Mike distogliere lo sguardo con imbarazzo… no… con vergogna. Perché? Quale mistero circondava Sherlock, John e Mike?
“Non stare lì imbambolata, ragazzina! – sbottò Mike, irritato – C’è del lavoro da fare.”            
Mary si riscosse: “Cosa devo fare?”
“È importante che John non si muova, mentre io estraggo la freccia. Questo sarà compito tuo.”
Mary si chinò dietro la testa di John, sdraiato su un fianco, ed appoggiò le mani al corpo dell’uomo biondo, per bloccarne ogni possibile movimento. Con un colpo rapido e secco, Mike spezzò il dardo e lo estrasse. John urlò, mentre il sangue usciva, copioso, dalla ferita.
“Premi questa garza il più forte possibile dietro la spalla, mentre io cerco di tamponare e pulire il davanti.”
Mary obbedì, senza fiatare. Osservò la maestria con cui Mike medicava John. Doveva essere un ottimo medico. Perché viveva come un eremita in una torre diroccata? Era come se stesse espiando un peccato. Questa storia stava diventando sempre più misteriosa e Mary capì, con un certo disagio, di esserne più incuriosita che spaventata.
John svenne, ma Mike aveva cominciato a fasciare la ferita: “Ora vattene. Posso finire da solo.”
Mary esitò. Erano tante le domande che le frullavano in testa, in attesa di una risposta.
“Torna in cucina. Quando sarò sicuro che John stia bene, ti raggiungerò.”
Mary fece un cenno affermativo con la testa ed uscì dalla stanza. Fu solo quando tornò in cucina che lo sentì. Il lupo si era ulteriormente avvicinato ed ululava. Un brivido freddo attraversò la schiena della ragazza. Il verso del lupo non sembrava un richiamo, ma l’urlo disperato di qualcuno che stesse per perdere la persona più importante della propria vita.


Angolo dell’autrice

*: le cose segnate con l’asterisco non sono farina del mio sacco. Il cavallo di Etienne Navarre si chiama Golia, nel film, mentre le battute “Io sono dolore” e “Sherlock mi ucciderà” sono riprese direttamente dal film (la seconda adattata).

Ebbene sì. Chi conosca il film, lo sa già. Per chi non lo abbia visto potrebbe essere intuibile. John ha la parte di Isabeau D’Anjou (Michelle Pfeiffer), mentre Sherlock è Etienne Navarre (Rutger Hauer). Ho, di nuovo, rifilato a John una parte da donna (mi riferisco al fatto che, in un adattamento di Romeo e Giulietta, io gli abbia affibbiato la parte di Giulietta). Martin Freeman non mi perdonerebbe mai, ma non potevo fare diversamente. Non ha il physique du rôle per “interpretare” Etienne Navarre. Quindi, sì, gli è toccato Isabeau, con cui John ha in comune la dolcezza. Inoltre, anche nel film il falco viene ferito ad un’ala ed Isabeau viene ingannata da Philippe e lo libera, malgrado fosse stato Etienne a legarlo, per impedirgli di fuggire. Entrambi questi segni mi hanno convinta del fatto che la “parte”  di Isabeau dovesse essere proprio di John.
Imperius, l’uomo a cui Philippe porta il falco ferito, nel film è un prete. Qui è “impersonato” da Mike Stamford, ma, del suo “ruolo”, parlerò meglio al termine del terzo capitolo.

Grazie a naisia, Blablia87, 0803Anna ed adlerlock per le recensioni lasciate allo scorso capitolo.

In attesa dei vostri commenti, se volete dirmi cosa pensiate di questo adattamento, l’appuntamento è per domenica prossima.

Ciao! 😊
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: mikimac