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Autore: Darik    01/05/2009    1 recensioni
Il tempo comincia a scadere, e arriva il momento delle scelte. Nota: questo racconto si colloca dopo FMP The Second Raid.
Genere: Azione, Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Operazione Hunting'
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5° CAPITOLO

“Cos’è stata quell’esplosione?” chiese perplessa Teletha.

“Sembra che ci sia stato un’incidente in sala macchina” riferì uno degli operatori.

“Ci sono vittime?” domandò Mardukas.

“Sembra di no, signore, ma le informazioni che arrivano dalla sala macchine sono molto confuse. C’è un grande caos lì dentro”.

Mardukas si rivolse al suo superiore.

“Che facciamo colonnello?”


“Signore, sembra ci sia un problema sul De Danaan?”

Cameron saltò sulla sedia: “Che cosa?”

“Il nostro androide ci riferisce di un esplosione di tipo sconosciuto nella sala macchine. Stanno ancora valutando i danni. Anche il Wilson l’ha captata, ha chiesto informazioni e i nostri si sono fatti passare per il De Danaan e hanno spiegato che è stato un incidente. Ora però il droide ci chiede come deve comportarsi. Deve proseguire col lancio o andare a stimare i danni?”

Le scelte erano solo due, ma Cameron sapeva che dovevano essere valutate con attenzione: se proseguivano col lancio dei missili, avrebbero scatenato una reazione a catena che sarebbe culminata con la distruzione della Mithril, coronando cosi col successo l’operazione Hunting.

Però tutti sapevano che il colonnello Teletha Testarossa teneva moltissimo al suo equipaggio e alla sua nave, e sarebbe sembrato sospetto un suo totale disinteresse per quella misteriosa esplosione.

E il piano prevedeva che dopo il lancio dei missili, il loro androide guidasse il De Danaan con gli strumenti parzialmente accecati, proprio sotto il Wilson, testimone del lancio dei missili, in modo che venisse affondato dal cacciatorpediniere americano, cancellando cosi ogni traccia della manomissione operata da Amalgam.

Per questo era necessario che la copertura dell’androide restasse integra fino all’ultimo.

Se solo quella misteriosa esplosione fosse avvenuta prima della falsa evacuazione dall’isola, con il colonnello costretto dal falso attacco a restare al suo posto, o dopo il lancio dei missili quando ormai il più era fatto.

Invece adesso, con i delegati ritenuti ormai al sicuro, e i Behemoth che non erano certo in grado di defilarsi alla chetichella, sarebbe stato del tutto normale che il colonnello si prendesse qualche minuto per visionare di persona i danni alla sua nave e al suo prezioso equipaggio.

Quindi, a malincuore, Cameron prese la sua decisione.


“Sospendere il lancio dei missili. Mandare squadre di emergenza sul posto” ordinò Teletha.

Che si alzò dalla sua poltrona.

“Mardukas, a lei il comando”.

L’androide si recò con passo veloce verso la sala macchine.


Nella enorme sala contente il cuore energetico del De Danaan, era tutto un muoversi di uomini che gridavano ordini e indicazioni.

L’aria era piena di fumo bianco, e due uomini muniti di estintori spegnevano alcune fiamme intorno ad un condotto sventrato completamente.

A dirigere con mano sicura quel via vai di uomini, il maggiore Andrei Kalinin.

Che vide arrivare insieme alla squadre di soccorso munite di barelle, il colonnello Testarossa.

“Colonnello, sono qui” la chiamò il russo.

“Maggiore Kalinin, qual è la situazione?” chiese Teletha avvicinandosi.

“Stiamo ancora contando i danni, colonnello. Comunque non sembra essere nulla di grave. E’esploso uno dei condotti secondari per lo scarico di vapore delle turbine di riserva”.

“Be, buono a sapersi. Quello è un sistema accessorio, serve solo quando ci sono problemi alla turbina principale. Ci sono feriti”.

“Nessuno, solo alcuni uomini con qualche graffio”.

“Molto bene. E le cause dell’esplosione?”

“Le stiamo ancora valutando”.

Spente le fiamme, alcuni ingegneri cominciarono ad esaminare il condotto squarciato.

Ed esaminando la posizione delle lamiera contorte e la forma della macchia nera lasciata dall’esplosione, notarono subito qualcosa di strano.

“Maggiore Kalinin, guardi qui”.

Kalinin si avvicinò e guardò il punto indicato dagli ingegneri.

Si accorse subito di quello che avevano notato.

“L’esplosione è partita dall’esterno” commentò il russo.

“Esatto, come se dietro il condotto ci fosse stato un piccolo ordigno. Però è strano, se è stato un atto di sabotaggio, è servito a ben poco. Questo condotto riguarda un sistema non vitale. E poi quell’ordigno non doveva neppure essere molto potente, in fondo ha fatto più rumore che altro”.

Kalinin toccò uno dei bordi lacerati con le dita, e le annusò.

“Questo è odore di esplosivo infatti. Ordini a tutti di stare lontani da congegni e angoli nascosti, in attesa degli artificieri. Penseranno loro a rovistare la sala macchine in cerca di altri ordigni. Io Informo il colonnello” disse Kalinin.

Mentre l’ingegnere comunicava l’ordine del maggiore, quest’ultimo si strofinò le dita sull’altro polsino per pulirsele.

E a quel punto, sulla parte superiore del condotto ci fu una seconda esplosione, non molto forte, più fumo e rumore che altro, che diede il colpo di grazia al condotto già provato facendolo cadere.

“ATTENTI!” gridò qualcuno.

E Kalinin prontamente si gettò su Teletha per spingerla a terra.

Il breve momento di caso provocò un nuovo via vai agitato di uomini nella sala macchine, invaso da altro fumo.

“Sta bene, colonnello?” domandò Kalinin rialzandosi e aiutando Teletha a rimettersi in piedi.

“Si, sto bene. Accidenti, vorrei tanto sapere chi ha provocato tutto questo”.

“Anche io. Sarà meglio sospendere qualunque attività, fino a quando tutti i settori chiave del sottomarino non saranno stati controllati. Ah, colonnello, si è ferito”.

Kalinin notò che c’era un taglio verticale nella camicia di Teletha, nella zona dell’avambraccio destro.

“Oh si. Sarà stata una piccola scheggia, vado subito a cambiarmi” rispose Teletha coprendo lo strappo con l’altra mano.

“Un momento, potrebbe anche essere ferita, mi faccia vedere. Con le schegge non si scherza”.

“Non è necessario” ribatté il colonnello.

“La scheggia potrebbe aver reciso in maniera sottile e impercettibile dei vasi sanguigni”.

“Allora andrò in infermeria”.

“Certo, ma io ho una certa esperienza per ferite di questo tipo, potrei…”

“Per favore, maggiore Kalinin, lei mi sta facendo perdere tempo. Ora andrò subito in infermeria” concluse seccamente Teletha.

“Va bene, colonnello, ma…”

Kalinin fissò come ipnotizzato la mano di Teletha che copriva il taglio, perché da sotto stava sgorgando con la stessa fluidità del sangue un liquido… bianco!

Kalinin e Teletha si guardarono mutamente per un istante.

E un attimo dopo Teletha colpì con un calcio allo stomaco Kalinin facendolo volare all’indietro per alcuni metri.

Colti di sorpresa, gli uomini lì presenti si girarono e fecero giusto in tempo a vedere il colonnello correre via per il corridoio.

Soccorsero subito Kalinin, che si rialzò da solo ed estrasse la pistola.

“Non so cosa stia succedendo, ma quello non è il colonnello Testarossa!”

“Ma… maggiore…c-che dice?” mormorò uno degli ingegneri.

“Ha il sangue bianco! Non so cosa sia, ma credo sia meglio fermarla subito. Ordini l’allarme rosso, isoli tutte le sezioni chiave. Voglio squadre di sorveglianze a presidiarle e comunichi a tutti di armarsi. Se vedono il colonnello Testarossa, devo spararle subito, perché è solo un impostore” ordinò categorico Kalinin andando dietro al nemico.

L’ingegnere era riluttante, poi vide sul pavimento una piccola chiazza bianca, proprio dove stava il colonnello.

Che era scappato come fa un colpevole smascherato.

E poi il colpo che aveva dato al maggiore: da quando in qua il colonnello Testarossa era cosi forte?

Allora fece subito come aveva detto Kalinin.


Le sirene dell’allarme risuonarono per tutto il De Danaan.

“Che succede?” chiese prontamente Mardukas.

“E’ un allarme di tipo I, proveniente dalla sala macchina” gli risposero.

“Che cosa? Ma un allarme di quel tipo significa che c’è una minaccia interna. Cosa può essere?”

L’operatore chiese delucidazioni.

E un attimo dopo impallidì.

“S-signore…. Il maggiore Kalinin sta dando la caccia al colonnello Testarossa… sostiene che è un impostore..”

Tutti nella plancia si guardarono ammutoliti e increduli.

“Che sciocchezze stanno dicendo?” replicò Mardukas perplesso.

“Dicono… dicono che una scheggia ha ferito il colonnello al braccio, e da questa ferita è uscito del sangue… bianco! Il maggiore Kalinin se ne è accorto, il colonnello l’ha colpito mostrando una forza per lei spropositata ed è poi scappata!

Il maggiore ha ordinato di isolare tutte le sezioni chiave, di farle sorvegliare e di armare l’equipaggio per fermare l’impostore”.

Nessuno sapeva cosa dire.

Neppure Mardukas.

Che alla fine sospirò: “Spero tanto di non dovermene pentire”.

Ordinò di eseguire gli ordini di Kalinin, specificando però di sparare solo se veramente necessario, e non alle parti vitali.


Tutte le paratie blindate si chiusero in contemporanea sigillando l’accesso a tutte le zone più importanti, come la plancia, l’hangar e la santabarbara.

La maggior parte dei corridoi comunque erano ancora agibili, per permettere alle squadre di sorveglianza di muoversi.

Kalinin, con passo veloce e sicuro, correva tra questi corridoi, fermandosi ad ogni angolo e controllando con la pistola.

Dell’impostore però nessuna traccia.

I corridoi erano deserti, giusto ogni tanto incontrava qualcuno, anch’esso armato, che gli chiedeva se veramente era il colonnello Testarossa che dovevano stanare.

Kalinin si limitava ad annuire e proseguiva la sua corsa.

Alla fine giunse al corridoio che conduceva alla plancia.

Il corridoio era chiuso, e sorvegliato da ben otto uomini armati di mitra.

“Maggiore Kalinin, ma che sta succedendo?” gli domandò uno dei soldati.

“Non c’è tempo per le spiegazioni. Qui tutto a posto?”

“Sissignore. Lei è il primo che incontriamo qui da quando è scattato l’allarme”.

Kalinin si avvicinò al citofono di un telefono interno.

“Qui è il maggiore Kalinin. Tutto a posto nell’hangar?”

“Si, signore, tutto a posto”.

Kalinin ripeté la chiamata a tutte le zone importanti del sottomarino, ed era tutto in ordine.

Da lì l’impostore non sarebbe mai passato.

Ma se la sua destinazione fosse stata un’altra?


Cameron stava nuovamente esibendo la sua conoscenza del vocabolario esclusivo dei marines.

Gli era appena stato comunicato che il loro androide era stato smascherato, e che ora tutto il De Danaan gli stava dando la caccia.

Passato il momento peggiore della sfuriata, Cameron, ancora rosso in viso per la rabbia, tornò a sedere.

Cercò di calmarsi, pensando al fatto che Mr. Silver aveva elaborato quel piano pensando a qualunque evenienza.

Quindi anche a come fare nel caso il falso colonnello venisse scoperto prima del previsto.

“Scatta il piano B. E ordinate all’angelo della guerra di tenersi pronta ad intervenire subito dopo”.


Due uomini dell’equipaggio, armati di mitra, stavano passando in quel momento davanti all’ufficio del colonnello Testarossa.

Anche loro increduli come gli altri, non riuscivano a credere che la ragazza coraggiosa e responsabile che spesso lavorava fino a tardi lì dentro, fosse diventato un nemico.

“Ma tu ci credi?” domandò uno dei due all’altro.

“Non ci crederei neppure se lo vedessi, ma se gli ordini sono questi…”

“Meno male che non dobbiamo sparare per uccidere, perché uccidere il colonnello Testarossa mi sarebbe impossibile.”

“Anche per me”.

Proseguirono lungo il corridoio fino a svoltare all’angolo.

Improvvisamente uno dei due ebbe un sussulto e uno sbocco di sangue.

E l’altro con orrore si accorse che una mano da dietro aveva passato da parte a parte il petto del suo amico, che si accasciò al suolo inerte.

L’altro scattò in avanti ed incespicò cadendo a terra.

Il suo orrore aumentò quando vide l’assassino: il colonnello Testarossa.

La ragazza lo fissava in un modo davvero anomalo per la sua inespressività.

Il braccio sinistro era impregnato dal sangue fresco della sua vittima.

“Oh mio Dio! Oh mio Dio!” ripeté il soldato.

Che prese l’arma e sparò alcuni colpi, mirando alle gambe.

Il colonnello incassò quei colpi senza battere ciglio nei polpacci e nelle ginocchia.

E dalle ferite sgorgò del sangue bianco.

“Ma…. Ma non è umana!!!” esclamò allora l’uomo sparando all’impazzata.

Altre ferite si aprirono sul torace di Teletha, altro sangue bianco sprizzò e niente più.

A quel punto l’androide balzò sull’uomo e con un calcio al collo glielo spezzò di netto, mandando poi il corpo a sbattere violentemente contro la parete.

Lasciando dietro di se una scia bianca, l’androide si recò nel suo ufficio, entrò e si diresse alla cassaforte.

Compose la combinazione e tirò fuori il suo computer portatile, posandolo sulla scrivania.

Compose un codice e fece per premere il pulsante di invio.

Quando alcune raffiche di mitragliatrice si abbatterono sull’androide, che rapidamente fece cadere il computer a terra.

Altre raffiche di mitra colpirono l’androide, che cercò di reagire saltando sulla scrivania per balzare addosso al nemico, ma il suo assalitore, dopo averla crivellata al petto, passò alla testa.

Un infinità di buchi si aprirono nella testa dell’androide, facendo sprizzare ovunque sangue bianco.

I colpi risuonarono incessanti nella stanza, finché il falso colonnello non stramazzò davanti al suo nemico.

Il maggiore Kalinin.

Il russo aveva capito che, siccome l’impostore non si faceva vedere in nessun punto chiave, allora doveva avere un qualche asso nella manica.

E dopo la plancia il luogo più frequentato dal colonnello era il suo ufficio.

Kalinin esaminò cosa era rimasto dell’essere: il corpo era ancora grosso modo intatto, ma il viso era un macello: inondato da quel liquido bianco e pieno di buchi.

Impossibile pensare che fino a poco prima quel ammasso devastato aveva le delicate fattezze di Teletha Testarossa.

Per sicurezza l’ufficiale russo prese la sua pistola e rifilò all’impostore altri tre colpi in testa.

Kalinin poi recuperò il portatile, guardandosi bene dal premere qualche tasto.

Uscì dall’ufficio raggiungendo un altro citofono interno.

“Qui Kalinin al ponte di comando, ho neutralizzato il nemico. Mandate subito un tecnico informatico e due barelle, ci sono due vittime purtroppo”.

Improvvisamente un rumore lo fece voltare.

E una mano bianca lo spinse violentemente indietro.

Un’altra gli sottrasse il portatile.

“Maledizione!” imprecò in russo Kalinin.

L’androide si era rimesso in piedi!

E tra le ciocche di capelli argentei, su quel viso devastato, si vedeva un occhio che si muoveva ancora!

L’androide era consapevole della sua incredibile resistenza e che le pallottole non potevano distruggerlo completamente, quindi aveva buttato a terra il portatile per impedire che venisse distrutto, in attesa di un momento adatto.

Kalinin prese la sua pistola, mirando però al portatile.

Il grilletto e il pulsante di invio vennero premuti contemporaneamente.


Pakula stava ancora controllando il mare davanti a se.

Dopo quella misteriosa esplosione, non era accaduto più niente.

E forse si era trattato davvero di un semplice incidente.

Quando improvvisamente qualcosa eruppe dal mare a circa otto chilometri di distanza dal Wilson.

Sobbalzando Wilson scrutò col binocolo quel qualcosa che era uscito dal mare e ora puntava verso il cielo.

“Oh…. Santo cielo…” mormorò sbiancando.

Erano due missili.

 

Continua…

 

  
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