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Autore: Red_Coat    09/09/2016    2 recensioni
Genesis.
La mia vita, per te.
Infinita rapsodia d'amore
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DAL TESTO:
Un bagliore accecante invase la grotta, ed io capì che l'avevo raggiunta appena in tempo. Alzai gli occhi, e vidi uno splendido angelo con una sola ala, immensa, nera e maestosa, planare dolcemente su una roccia. Rimasi incantata, con gli occhi pieni di lacrime, a fissare la sua sagoma, fino a che non mi accorsi che i suoi occhi verdi come l'acqua di un oceano di dolore e speranza seguitavano a fissarmi, sorpresi e tristi.
Fissavano me, me sola, ed in quel momento mi sentii morire dal sollievo e dalla gioia
" Genesis! " mormorai, poi ripetei il suo nome correndogli incontro
C'incontrammo, ci abbracciammo. Mi baciò.
Ed io, per la prima volta dopo tanto tempo, piansi stretta a lui.
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vincent Valentine, Zack Fair
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo VII

 
(...)

-Aspetta! – esclamai, fermando la mia corsa a pochi passi da te e guardandoti, mentre annaspavo cercando di riprendere fiato.
 
Ti bloccasti, continuando a darmi le spalle e girando appena la testa verso di me.
Non mi fu possibile guardarti, da quell’angolazione, e non abbiamo mai più avuto occasione di parlarne, ma anche così nessuno mi toglierà mai dalla testa la convinzione che in quel preciso istante le tue labbra d’avorio assunsero i toni di un sorriso. Il tuo classico, appena percettibile sorriso di trionfo che usi ogni qual volta riesci ad ottenere ciò che vuoi.
In ogni campo.
Una delle tante cose che mi ha fatto innamorare di te. Comunque, quell’attimo durò poco.
La tua mano guantata di rosso allentò la presa sulla maniglia della porta, tutto si fermò.
Sospirai.
Cristo, Valery!” pensai, in un moto di disperata insurrezione “E’ solo un videogame! Un fottutissimo videogame, non è reale!”
Eppure … adesso lo era. Eri lì, a poco più di mezzo metro di distanza da me, e se ti guardavo bene riuscivo a percepire il lento respirare calmo e controllato dei tuoi polmoni, il movimento leggero dei tuoi capelli color fiamma, e perfino quello di ogni singola fibra dei tuoi vestiti che si muovevano impercettibilmente seguendo quello del battito del tuo cuore.
Quella … era la mia nuova realtà.
E fu a causa di questa nuova consapevolezza, forse, che all’improvviso mi sentii morire.
Mi mancò il fiato, iniziai a vacillare anche se non me ne accorsi. Lo fece Tseng per me, e accorse con una delle sedie del tavolo alla mia destra.
Proprio nel momento in cui tu, preoccupato, ti voltasti verso di me, fui costretta a cedere ricadendo pesantemente a sedere su di essa
 
-Aspetta … - ripetei, in un soffio flebile e stanco
 
E, senza più neanche la forza per ripensarci su una seconda volta, mi rivelai a te, seppure in parte
 
-Il mio nome … - iniziai, sollevando gli occhi stanchi e determinati verso di te – il mio … nome è Valery. Io … - un’altra pausa, per riprendere fiato – io so solo questo di me. –
 
Odiai il suono della mia voce. Mi sentii … una stupida.
Ma non potevo farci nulla. Sapevo che da sempre i misteri hanno avuto su di te un fascino irresistibile. E anche che ti volevo tutto per me, te e te solo al mio fianco. E potevo averti, ora. Perdonami per averti mentito, ma era l’unico modo che avevo per continuare a tenerti ancorato a me, come Sherazade faceva con la vita nella favola delle Mille e una notte.
Te la ricordi, no? Te la raccontai, durante i nostri giorni a Banora.
Ma c’era una sostanziale differenza tra me e lei, almeno in quel momento. Io … avevo mentito pur di avere una possibilità di vederti, ed ora mi ritrovai a cercare una spiegazione valida da darti affinché te ne andassi il più velocemente possibile da me.
Stupida, vero?
Tanto stupida quanto ingenua e infantile.
Stavo dentro ad un videogioco, diamine! Niente era reale, e tutto lecito. Eppure … per una mente ormai fin troppo ancorata alla realtà è difficile tornare a capirlo.
Tenni lo sguardo basso sul pavimento, chiudendo gli occhi lucidi di lacrime, umiliata.
Sentii il mio cuore accelerare spaventosamente i battiti quando il rumore dei tuoi passi m’indicò che ti eri voltato completamente verso di me, poi percepii il fruscio dei lembi del tuo soprabito contro la stoffa dei pantaloni della divisa, e infine il tuo sguardo, di nuovo su di me.
Dio santo, se era reale! Tutto così maledettamente reale!
Il tono prepotente e urtato della tua voce ruppe, seppure non totalmente, quel momento di meravigliosa consapevolezza
 
-E io che cosa centro? – m’incalzasti, con un’arroganza che sul momento … non sopportai.
 
Si, ebbi vogli di ribellarmi, di aprire gli occhi e risponderti a tono perché … era con quello stesso tono che il mio … che il ragazzo di cui ero stata innamorata, seppure in maniera platonica, tempo addietro mi aveva spezzato il cuore, lasciandomi sola in balia delle lacrime. Ancora, ed ancora, ed ancora.
Fino a che non avevo capito quanto fosse stato ingiusto e immotivato quel trattamento.
Solo che, stavolta … me lo ero meritato.
O almeno, me lo sarei dovuta aspettare.
Una voglia irrefrenabile di vedere il tuo viso m’indusse ad alzare lo sguardo verso di te, ma me ne pentii quasi subito perché i tuoi occhi color Mako, accarezzati appena da piccolissime ciocche rosse che ricadevano a sfiorarti la fronte, ebbero l’effetto di stregarmi con la loro luce.
Quel tuo sguardo, di curiosità e rabbia, fu il primo dei tuoi sguardi rivolti solo ed esclusivamente a me, e l’unico momento a cui penso quando vado indietro con la mente a quei giorni, al vero inizio della nostra storia.
Perché per quanto fosse ostile e minaccioso, mi si stampò negli occhi e nel cuore dal momento in cui sentii la pelle del viso avvampare forte, e il respiro mancarmi di nuovo.
Nuovamente fui costretta ad abbassare gli occhi, perdendo l’ennesimo duello
 
-Non lo so. – risposi, come se stessi togliendomi un cerotto – Non lo so, davvero. –
 
La tua espressione di rimprovero si tinse degli accesi toni di sarcastica incredulità
 
-Non lo sai? – replicasti con un appena accennato ghigno, inclinando di poco il capo e incrociando le braccia sul petto e sfiorandoti il mento con una mano
 
Stavi perdendo la pazienza, ne ero consapevole.
Ma … anche io. Non ne potevo più di essere nuovamente trattata come un’idiota opportunista, specialmente da te. " Non lasciare mai che nessuno, per nessun motivo, calpesti la tua dignità. "
Perciò, come l’improvviso risvegliarsi di un vulcano, il mio viso cambiò espressione, i miei occhi si accesero di rabbia contrariata e le mie mani si chiusero a pugno, talmente forte da spingere le nocche a cambiare colore in bianco mentre con un dolore pungente e atroce le mie unghie appena un po’ lunghe inflissero la carne dei palmi.
 
-Io non so cosa mi sia successo, Genesis, lo capisci? – sbottai rabbiosa, alzandomi di scatto dalla sedia e ritrovando all’improvviso tutto il mio coraggio.
 
Talmente tanto veemente che anche tu rimanesti sbigottito a guardami, senza parole.
 
-Non ne ho neanche la più pallida idea! So solo che stavo dormendo nel mio letto, tranquillamente, ti ho sognato e mi sono svegliata qui, a Midgar, svenuta sull’asfalto sotto l’insegna di Loveless senza neanche sapere il perché e il come! –
 
Dissi tutto d’un fiato. Senza pensare e senza fermarmi, paonazza in viso e con lacrime di rabbia che, senza che me ne accorgessi, apparvero a fiotti sulla pelle delle mie guancie scivolando veloci dal bordo dei miei occhi, fino a schiantarsi a terra.
Se ci ripenso, quella mia reazione del tutto incontrollata ed anche un po’ esagerata fu la prova più lampante di quanto quella situazione assurda in cui ero finita mi avesse sconvolta, e di quanto ancora non mi fossi per niente ripresa dallo shock, sebbene le ore passate con Zack mi avessero aiutato per qualche attimo a non pensarci.
Avrei potuto continuare a mentirti, a regalarti solo mezze verità e a giocare d’astuzia per attrarti a me ma … la sola prospettiva di perderti, unita a tutto ciò ti che ho appena detto mi aveva spinta a questo. E poi, non sono mai stata brava con le bugie, soprattutto quando non rispondo di me stessa. Non sono una di quelle ragazza che architettano piani e giocano d'anticipo, io ... sono troppo sincera, e forse anche un po’ ingenua.
E’ quello che pensai, quando mi accorsi di ciò che avevo appena detto e fatto. Mentre in silenzio tu mi scrutavi serio e improvvisamente davvero interessato ad ascoltarmi, come se ti fossi appena accorto di me, Tseng mi guardava sconvolto ed io con tutte le mie forze resistevo tremando all’ormai insostenibile voglia che avevo di abbandonarmi in ginocchio sul pavimento, prendermi il viso tra le mani e singhiozzare senza freno. Il mio corpo non ce la faceva davvero più.
Ero nel panico più totale, ma non volevo cedere in quel modo. Non davanti a te. Me ne sarei vergognata da morire ancor di più se, per un qualsiasi sfortunato motivo, questo avrebbe finito per essere il nostro ultimo incontro.
Così continuai caparbiamente a restarti davanti in piedi, stringendo i pugni e mordendomi la lingua, il viso umido di lacrime e un nuovo coraggio negli occhi, che finalmente riuscivano a sostenere quel tuo sguardo incredulo e stupito, concentrato sullo scrutarmi senza sapere più a che cosa pensare. Ero felice di essermi tolta questo peso.
E quella era un’espressione che non ti avevo mai conosciuto, almeno non visivamente.
Eri sconvolto, e ne ebbi la conferma quando, tornato serio, senza dire più neanche una parola ti voltasti e uscisti in fretta dalla casa, lasciandomi nuovamente da sola.
Fu come … se mille pugnali mi avessero oltrepassato il cuore contemporaneamente e rapidi me lo avessero trafitto a morte.
C’ero cascata, nella mia solita ingenuità, e la tua reazione mi fece sentire tradita e umiliata ancora una volta. Ma forse fu solo la goccia che fece traboccare il vaso.
In un ultimo impeto urlai il mio dolore e la mia collera, sentendo ogni singola fibra dei miei muscoli irrigidirsi e poi sciogliersi di colpo, infine mi accasciai a terra, in ginocchio, iniziando a singhiozzare senza freno mentre le prime lacrime isteriche scesero acide dagli occhi in fiamme.
Ero in trappola.
Mi sentii nuda e stupida. Cosa mi sarebbe accaduto ora che anche tu mi avevi voltato le spalle? Sarei diventata una cavia, magari una di quelle lasciate marcire in stato di decomposizione nei sotterranei bui di un maniero abbandonato.
E tutto per colpa di uno stupido videogame di cui adesso io ero una dei protagonisti!
 
///Flashback///
 
Tseng guardò sbigottito la scena, spalancando gli occhi increduli e dipingendo sul suo volto un’espressione enormemente sorpresa. Non riusciva ancora … a credere alle parole che aveva appena udito
“Io non lo so cosa mi è successo, lo capisci?” aveva sbottato la ragazza in lacrime “Non ne ho neanche la più pallida idea! So solo che stavo dormendo nel mio letto, tranquillamente, ti ho sognato e mi sono svegliata qui, a Midgar, svenuta sull’asfalto sotto l’insegna di Loveless senza neanche sapere il perché e il come!”
Ascoltò col cuore in gola il silenzio che seguì quell’affermazione, scrutando attentamente sia il SOLDIER che la giovane in attesa di una reazione da una delle due parti o da entrambe.
Genesis la scrutò a lungo, profondamente scosso e cupo in volto, poi all’improvviso e senza dare spiegazioni le voltò le spalle e se ne andò, sbattendo la porta dietro di sé.
La ragazza esplose in una crisi isterica, ma prima di soccorrerla lui aveva un’altra cosa più importante da fare.
Spalancò la porta, si precipitò giù per le scale e uscì in strada, richiamando per nome il SOLDIER dal soprabito rosso che aveva appena compiuto qualche metro davanti a lui
 
-Genesis! -
 
Il rosso si voltò di scatto, il viso infuocato da una strana emozione che non era né rabbia, né disperazione, né tantomeno incredulità. Era, forse, sconvolta sorpresa.
Tseng ebbe timore di quello sguardo, e per la veemenza del gesto, ma non lasciò che questo gli impedisse di compiere il suo dovere.
Sospirò per riprendere fiato, quindi riassunse un’espressione composta mentre lo avvisava, col solito tono perentorio
 
-Ogni cosa deve restare segreta. – lo avvisò
 
Rhapsodos fu in grado di sorridere, un sorriso che voleva essere di strafottenza ma invece finì per risultare di più come una smorfia di nervosismo
 
- Che differenza fa, che a raccontarlo sia un SOLDIER o un Turk? – lo sfidò, senza dargli ragione
- Non abbiamo prove per sostenere che ciò che ha detto sia vero. – puntualizzò allora lui, senza demordere
 
Genesis gli rivolse un’occhiataccia irritata e ripugnata squadrandolo, quasi a volerlo fulminare col solo effetto del suo sguardo. Per qualche attimo sembrò stesse per aggiungere qualche cosa, poi però lo squadrò di nuovo con aria arrogante e se andò senza aggiungere una parola, scomparendo nella notte di Midgar accesa delle sue mille psichedeliche luci.
Aveva bisogno di stare da solo, e pensare.
Sicuro che ormai continuare a parlare non sarebbe servito a nulla, il turk wutaiano lo lasciò fare, avviandosi in fretta in direzione opposta, di nuovo in casa sua, e trovando la ragazza in lacrime sul pavimento, mentre singhiozzando si teneva il viso con le mani.
Avvertì una debole ma lunga fitta al cuore, e per qualche attimo non seppe cosa fare.
Poi, con un sospiro richiuse la porta alle sue spalle, avanzò fino a trovarsi dietro di lei e toltosi la giacca gliela mise addosso, coprendole le spalle e sperando che questo potesse essere in grado di farla smettere di tremare.
Provò a farla alzare, stringendole delicatamente le spalle e attirandola appena a sé, ma oltre che a ribellarsi in un violento moto d'isteria, non appena fu in piedi lei barcollò per poi ricadergli fra le braccia, e allora lui capì che l’unica cosa di cui aveva bisogno adesso era una coperta e una tazza di un bel brodo caldo per ristabilirsi.
Continuando ad ascoltarla mentre piangeva quindi la prese tra le braccia, scoprendo quanto in realtà fosse molto più leggera di ciò che avesse potuto pensare, e la condusse a letto stendendola bene e rimboccandole le coperte fin sopra le spalle. Poi, intanto che i mugolii della giovane lamentosi e disperati continuavano ad empire il piccolo abitacolo accogliente, andò in cucina a far bollire un po’ di acqua in un pentolino per versarvi il contenuto di una bustina di preparato per zuppa, che successivamente versò in una scodella di ceramica color marroncino scuro.
Attento a non scottarsi tornò indietro stringendola tra le mani coperte da uno strofinaccio, ma una volta entrato lo accolse uno strano, rilassato silenzio, e avvicinatosi al letto notò che oramai la ragazza si era addormentata, quasi serenamente, stringendosi alle coperte.
Non prima di aver però abbandonato quasi respingendola la sua giacca nera da turk per terra, vicino al letto. O forse sarebbe stato meglio dire “riversato”, visto il modo in cui giaceva a terra.

Sospirò, posò la scodella sul comodino e raccolto il più importante pezzo della sua divisa chiuse la finestre e se ne andò in soggiorno a versarsi un bicchiere di liquore, abbandonandosi poi sulla poltrona concedendosi un pò di tempo per riflettere.


///Fine flashback///
   
 
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