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Autore: MaDeSt    16/09/2016    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

THE BEGINNING OF AN ADVENTURE

Entro la fine del mese – e dell’estate – i ragazzi riuscirono a insegnare ai piccoli draghi che quando ricevevano la cena dovevano stare buoni e in silenzio a mangiare da soli, nell’attesa che Cedric sarebbe arrivato per passare con loro tutta la notte. Di giorno invece tutti gli altri andavano e venivano a turno, in modo che ci fosse sempre qualcuno nella stalla ma da non mancare mai un pranzo con la propria famiglia o un pomeriggio in casa ogni tanto, per non fomentare sospetti.
La velocità di apprendimento dei cuccioli gli fu di grande aiuto in questo, perché in quelle due settimane chi si era fermato nella stalla fino a sera tardi aveva poi dovuto discutere in famiglia, talvolta usando la scusa dei fuochi serali. La velocità con cui crescevano era singolare: in due settimane erano alti quasi il doppio di quando erano usciti dall’uovo e lunghi in media più di due piedi.
Giocare con loro e tenerli d’occhio diventava via via più complicato, perché più passava il tempo più acquisivano sicurezza nelle proprie capacità, coordinando meglio i movimenti abbastanza da riuscire finalmente a planare giù dal piano rialzato in tutta sicurezza, senza che nessuno dei ragazzi potesse impedirglielo. Ancora non volavano, per fortuna: erano certi che se avessero imparato sarebbe stato impossibile tenerli dentro le aperture sulle pareti sempre aperte, o fuori dai recinti dei cavalli.
Era Cedric a ricavare il peggio dalla situazione, non solo perché costretto a dormire tutte le notti fuori casa di nascosto, ma anche perché i piccoli draghi non dormivano molto, e doveva tenerne d’occhio sei al buio e soprattutto da solo. Spesso doveva correre da una parte all’altra della struttura per andarli a riprendere quando planavano giù, ma nel tempo che impiegava a riportarne uno al suo posto altri due avevano fatto qualche castroneria altrove. Quelle poche ore che i cuccioli dormivano faticava a fidarsi abbastanza da cadere in un sonno profondo, e la mattina, oltre a dover rimettere a posto tutto ciò che era in disordine, si svegliava decisamente irascibile. Si sfogava poi con sua sorella, la quale a sua volta si lamentava la sera col padre, e lì tutto gli ritornava contro.
Gli altri lo incontravano solo la mattina e la sera, quando si davano il cambio, non avevano occasione di parlargli perché lui a malapena li degnava di uno sguardo, ma più passavano i giorni più erano certi che così non potevano andare avanti; dovevano trovare una soluzione o prima o poi avrebbe dato di matto.
Ne discussero nei due giorni successivi, di insegnare ai cuccioli a rimanere buoni dove li avrebbero lasciati ad aspettare che tornassero per giocare con loro, così Cedric avrebbe avuto un po’ di respiro – o almeno avrebbe potuto dormire in casa. L’unico problema sarebbe stato come al solito trovare un posto dove lasciarli.
Ma quando lo dissero a lui, sorprendentemente rifiutò e disse: «Non si può lasciarli da soli da nessuna parte, semplicemente correrebbero in giro e non li troveremmo più.»
«Potremmo dargli il beneficio del dubbio!» disse Susan con un sorriso divertito.
«E rischiare di perderli?»
«Ma tu non ti vedi in faccia, sei esaurito!» gli disse Andrew.
Cedric scosse la testa: «No, è tutto... Ho tutto sotto controllo.»
«Ti stai sovraccaricando inutilmente.» gli disse Jennifer «Questa notte prova a lasciarli da soli qui dentro, se andrà bene almeno saprai di avere questa possibilità quando sei troppo stanco. Mamma dice che stai esagerando.» non specificò riguardo cosa, ma lo sguardo che le riservò non le diede possibilità di errore; era certa che avesse capito di cosa parlasse.
Dopo averci pensato a lungo, il ragazzo sospirò e sussurrò: «Va bene. Ma ora devo andare, o mia sorella impazzirà.» e dopo aver lanciato un’occhiata d’intesa a Jennifer se ne andò con passo malfermo.
«Esagerando con cosa?» le chiese Susan quando fu sicura che lui non potesse sentirli.
Jennifer scosse la testa e mantenne la parola implicitamente data: «Una cosa che riguarda lui e mia madre, in teoria. Non credo vorrebbero che voi lo sapeste.»
«È in cura per qualcosa? È malato?» insistette lei guardandosi attorno, sperando che uno di loro avesse una risposta. Dopo un po’ Mike fece spallucce e si picchiò la tempia con un dito, e la ragazzina si limitò a sussurrare: «Oh. Non... non sembra.» senza sapere come commentare.
Jennifer lanciò uno sguardo torvo a Mike e disse: «Già... Perciò sarebbe meglio non stressarlo troppo.»
«Stressarlo? Quello è stressato anche senza che noi facciamo nulla.» ribatté Layla incrociando le braccia sul petto; non le piaceva parlare di un ragazzo che non sopportava. O almeno non più.
«Beh questa situazione è stressante.» esclamò Andrew guardando il draghetto giallo e quello blu che saltavano e planavano cercando di atterrarsi senza essere atterrati a loro volta.
«Ci sta un po’ sfuggendo di mano.» ammise Jennifer.
«Mio padre sta cominciando a insospettirsi.» disse Layla con un sospiro malinconico.
«Vorresti chiedere a Cedric di cacciare per i draghi?» domandò Mike incredulo.
La ragazza scosse le spalle e si difese dicendo: «Forse per lui stare fuori casa è meno stressante!»
Andrew scosse la testa e ribatté: «Chiediglielo a tuo rischio e pericolo. Io penso che ce la possa fare a resistere finché i draghi capiranno di non essere i nostri cuccioli. Prima che se ne vadano da soli, insomma...» aggiunse poi con aria triste.
«Io invece credo di no.» disse Jennifer «Dobbiamo abituarli a stare buoni anche senza la nostra presenza. Ormai lo sanno che torniamo sempre a trovarli!»
«Su questo hai ragione, lo sanno. La mattina è come se ci aspettassero.» disse Susan, poi fece un giro su se stessa e corse per salire la scaletta e raggiungere il suo draghetto giallo, il quale scappò per non farsi prendere.
La discussione morì di punto in bianco, perché tutti lasciarono perdere ogni preoccupazione per giocare coi cuccioli; erano ancora più veloci di loro, ma diventava sempre più difficile afferrarli dato che quelli ormai riuscivano a planare.
Capitava ogni tanto che perdessero il controllo di una virata e piombassero al suolo, o che andassero contro un palo, ma ogni volta scoprivano che per fortuna non si erano fatti male. Il cucciolo rosso una volta era pure finito dentro il recinto di Wind e la giumenta era andata su di giri, Jennifer era dovuta correre a chiamare Cedric perché aprisse il cancello per tirare fuori il draghetto e avevano rischiato davvero tanto che Lily lo seguisse per chiacchierare con la ragazzina dai capelli rossi e le lentiggini.
Ma se non altro dopo quell’occasione tutti i cuccioli sembravano aver capito che non dovevano oltrepassare i cancelletti dei recinti nemmeno per errore.

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La prima notte da soli fu invece un disastro. I draghetti, piangendo perché non abituati a stare al buio senza uno di loro a tenergli compagnia, svegliarono e innervosirono i cavalli, i quali a loro volta dopo diversi minuti destarono il fabbro.
Cedric per una volta stava dormendo profondamente, ma ci pensò suo padre, prendendolo per i capelli e spingendolo fuori dalla camera, a svegliarlo quasi completamente. Si mise gli stivali e ancora sbadigliando pensò per la prima volta che fosse una fortuna che gli venisse delegato qualsiasi lavoro che non riguardasse la fucina, altrimenti a quell’ora Jorel avrebbe scoperto i sei piccoli draghi.
Entrò nella stalla e pochi attimi dopo due draghetti – o tre, non seppe dirlo – gli planarono addosso. Gli servì diverso tempo per calmare tutti i cavalli, soprattutto considerando il fatto che i draghetti gli correvano costantemente intorno, anche passandogli tra le gambe, ma alla fine li portò tutti di sopra e cercò di tenerli buoni su un letto di paglia dove si sdraiò anche lui addormentandosi quasi subito.
I cuccioli sembrarono comprendere la sua stanchezza e gli si accucciarono tutti attorno, o anche addosso, per dormire acciambellati insieme a lui.

Quando arrivarono alla stalla e videro tutto in disordine si preoccuparono. Corsero fino alla scaletta e salirono uno alla volta, ma rimasero spiazzati nel vedere Cedric che dormiva con tutti i cuccioli acciambellati nelle vicinanze – e quello verde tranquillamente sdraiato sulla parte alta della sua schiena. Si guardarono tra loro come chiedendosi se dovessero svegliarlo oppure no, perché se ancora dormiva poteva significare che qualcosa non andava.
Ma alla fine Mike decise che non li avrebbe rimproverati, dato che sarebbe dovuto correre da Lily comunque, perciò lo scosse delicatamente un paio di volte e quello bastò a fargli alzare la testa.
Alzandosi da terra svegliò il draghetto verde che ruzzolò nel fieno, ma anche quello blu e quello viola che dormivano appoggiati a lui, uno alle gambe e l’altro al fianco. Si mise a sedere sulle proprie gambe e si stropicciò gli occhi ancora assonnato, poi senza dire una parola si alzò e scese la scaletta.
«Tutto bene?» gli chiese Jennifer, e lui rispose con un verso indistinto che suonava negativo.
Cominciò a riordinare la stalla, ma Andrew gli corse incontro e gli prese le mani per impedirglielo dicendo: «Corri da tua sorella che è tardi. Ci pensiamo noi qui.»
Cedric rimase interdetto per qualche secondo, guardandolo decisamente confuso, e quando Andrew sostenne il suo sguardo per tutto quel tempo il più grande mugugnò un ringraziamento e se ne andò richiudendo il portone alle sue spalle.
Riordinare la stalla li tenne occupati quasi fino a pranzo, perché non sapevano dove rimettere le cose e perché i piccoli draghi continuavano a distrarli e interromperli. Come ogni giorno tornarono a casa uno o due alla volta per non lasciare i cuccioli da soli, ed ebbero l’impressione che diventasse sempre più difficile allontanarsi da loro, si sentivano inspiegabilmente vulnerabili, abbandonati, tristi. Cose che non credevano di provare realmente, e forse erano dovute al fatto che sapevano di mancare ai draghetti anche per quel breve periodo.

Le notti che seguirono furono molto più tranquille per Cedric; talvolta ancora doveva rincorrerli in ogni angolo, e capitava che i piccoli draghi spaventassero i cavalli, ma se non altro appena lui si sdraiava per dormire anche loro si accucciavano vicini a lui e se ne stavano buoni tutto il resto del tempo, fino al mattino seguente.
Di giorno invece erano ancora molto vivaci, i soliti pasticcioni. Giocavano prevalentemente a rincorrersi o fare la lotta, e qualche volta uno dei ragazzi veniva involontariamente ferito da uno dei draghetti e tornava a casa dicendo che aveva perso l’equilibrio cadendo sulle radici di un albero.
Ormai i piccoli draghi erano del tutto autosufficienti, pur essendo alti più o meno fino alle ginocchia dei ragazzi: i denti più grandi erano lunghi circa come la falange più piccola delle dita dei ragazzi, gli artigli erano poco più lunghi, planavano molto meglio e correvano poco più lenti di loro. Le eventuali spine o corna crescevano lentamente, ma erano visibilmente più grandi, le ali crescevano quanto il corpo; rimanevano sempre poco più corte della lunghezza complessiva per il momento, fatta eccezione per il drago blu che avendo collo e corpo più corti nel complesso sembrava avere le ali poco più grandi degli altri. Gli strani bitorzoli sul dorso del draghetto nero presto si rivelarono essere una moltitudine di spine che crescevano più o meno rapidamente, e la stessa cosa valeva per le piccole protuberanze nere allineate sul dorso del drago verde, che si rivelarono spine nere dalla grandezza irregolare.
In quelle settimane tutti i ragazzi, sebbene inconsapevolmente, sperimentarono degli strani mal di testa, dolorose fitte, giramenti, nausee, si sentirono talvolta stanchi e talvolta invece pieni di energie, con la testa pesante come il piombo o leggera come l’aria.
Provarono anche strane emozioni inaspettate; per esempio un giorno mentre stavano raccontando una storiella ai draghi, Mike si lasciò sfuggire un urlo – fu impossibile definire se fosse di rabbia o di paura – e tutti lo guardarono meravigliati, soprattutto Jennifer che stava parlando; erano così occupati a guardare lui che nessuno si accorse del corpicino blu al suo fianco, tremante.
Gli parve di rivivere molti ricordi dimenticati nelle più svariate occasioni, spesso mentre parlavano, e si lasciavano confondere al punto da non ricordare più cosa stessero dicendo. E più volte ebbero la sensazione che qualcuno li stesse osservando, o che soffiasse del vento, ma ogni volta che si guardavano intorno non vedevano né sentivano nulla di strano.
Non collegarono questi fatti ai draghetti, perché i sintomi li accompagnavano anche quando erano lontani dalla stalla, anche se meno intensi, talvolta preoccupando i genitori.
Per questo motivo Cedric per poco ci perse realmente la testa un’altra volta, rivivendo ricordi che ogni giorno cercava di lasciare chiusi in un angolo della mente. Ricominciò a parlare da solo e spesso, scappava da suo padre, rispondeva a domande che non gli erano state poste e talvolta veniva anche preso da veri e propri attacchi di panico o d’isteria. Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo e ne aveva paura, specialmente perché tutto ciò succedeva sia che prendesse il suo rimedio che no; certo le emozioni che provava erano comunque attenuate, ma non tanto come al solito e ad ogni modo non riusciva a impedirsi di pensare a certe cose, semplicemente non ne aveva il controllo.
Jorel più volte lo costrinse ad assumere una dose maggiore di quel rimedio senza ottenere risultati migliori, anzi provocandogli sbalzi d’umore ancora più violenti quando l’effetto calmante svaniva. Portò personalmente Lily da Ilion, dove l’avrebbe lasciata finché non si fosse trovata una soluzione a quella situazione, ma quando erano in casa loro due da soli di certo non lo aiutava a migliorare gridandogli insulti e picchiandolo, col solo risultato che sempre più spesso il ragazzo si chiudeva nella stalla cercando conforto nel piccolo drago verde.
Gli parlava in continuazione quando gli altri ragazzi non si trovavano lì, senza realmente contare sul fatto che potesse già capirlo; aveva solamente bisogno di non tenersi tutto dentro.
Ma al contrario di quanto pensasse, il draghetto in qualche modo comprendeva che qualcosa non andava: ascoltava le sue parole, il suo tono di voce, e poteva sentire le sue emozioni e vedere i suoi ricordi. Tutte cose di cui il ragazzo era inconsapevole. La causa del suo malessere era proprio l’unica creatura in cui cercava consolazione. E questo, il piccolo drago lo sapeva.
Non dovendo più passare tutto il giorno in casa con Lily perché la bambina stava costantemente da Ilion, alla fine gli capitò di incontrare gli altri cinque ragazzi che venivano alla stalla per trovare i cuccioli, e rimanendo lì tutto il giorno permise a loro di andare a pranzare e cenare quando lo preferivano.
Ma non gli parlò mai né si mosse, si limitò a restare seduto in un angolo guardando un punto fisso senza realmente vederlo, talvolta abbracciandosi da solo. Gli era capitato già altre volte di alienarsi a quel modo da tutto ciò che lo circondava, il che lo portava irrimediabilmente a pensare alle proprie questioni senza potersi distrarre, ma se non altro non avrebbe esternato alcuna reazione. Sentiva ciò che dicevano, ma non gli rimaneva in mente; avrebbe ricordato tutto una vola che si sarebbe ripreso.
I ragazzi lo trovarono a dir poco strano e preoccupante, ma le domande che gli facevano sembravano andare perse nel vento, quindi dopo un po’ smisero d’infastidirlo e perdere tempo inutilmente e lo lasciarono perdere lanciandogli un’occhiata di tanto in tanto per tenerlo d’occhio, sperando che prima o poi si sarebbe ripreso e avrebbe cessato quella inquietante sceneggiata che lo faceva apparire come una statua.
Il draghetto verde passava tutto il tempo accanto a lui, spesso cercando d’intrattenerlo o distrarlo dai propri pensieri, ma nemmeno mordendolo riusciva ad attirare la sua attenzione.

  
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