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Autore: MaDeSt    20/09/2016    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

VOICES IN THE HEAD

Questa situazione durò così a lungo che quelle volte in cui Cedric si trovava nella stalla con loro in realtà facevano finta che non ci fosse; più o meno era vero, eccetto quando all’improvviso diceva qualcosa apparentemente senza senso e senza un contesto, come se parlasse a un fantasma o a se stesso.
Una di quelle volte, poco dopo la metà del primo mese d’autunno, i ragazzi furono felici di lasciare la stalla per andare a pranzare; capitava sempre più spesso che praticamente fuggissero lasciando i draghetti soli con lui, ma proprio non riuscivano a rimanere nello stesso edificio con un tizio che li ignorava completamente qualunque cosa facessero. Li stava esasperando il non poter far niente, si sentivano completamente inutili e spaventati.
Quando i ragazzi furono lontani il draghetto verde si sedette davanti a lui guardando fisso le sue mani, che al momento coprivano gli occhi. Il ragazzo stava piangendo perché sapeva di essere rimasto da solo coi cuccioli.
Sentiva la sua tristezza, la sua paura e il suo disagio, e il fatto di esserne la causa gli faceva provare emozioni che ancora non conosceva, ma che era certo di condividere con lui. Gli fu naturale entrare nella sua mente indifesa e inconsapevole della sua presenza per comunicare, ma ancora non conosceva molte parole.
Optò per la più semplice, quella che meglio conosceva e che lui di sicuro avrebbe riconosciuto, dunque gli toccò pensare a quale tono di voce usare: cosa voleva esprimere?
Alla fine scelse di mantenersi inespressivo e si decise a sussurrargli: Cedric?
Lui non reagì come si era aspettato, invece si chiuse ancora più in se stesso e tremando sussurrò a sua volta: «Stai zitto.»
Cedric... ripeté ora con un tono più preoccupato, sperando che almeno lo guardasse.
«Despada sia maledetta, basta! Lasciami in pace!» gridò lui.
A quel punto capì che in realtà Cedric pensava di parlare con se stesso, perché aveva usato la sua stessa voce per chiamarlo. Quindi decise di adottare una soluzione più decisiva.
Gli morse la mano e gliela tirò via dalla faccia in modo che per forza avrebbe dovuto guardarlo negli occhi, e appena il ragazzo alzò la testa confuso emise un ruggito acuto e ripeté, questa volta gridando nella sua mente: Cedric!
Il ragazzo si portò una mano alla testa perché quel grido era in qualche modo reale e prepotente, proprio come se qualcuno gli avesse urlato nell’orecchio, ma invece dell’orecchio ora gli doleva una parte indefinita del cervello. Aprì la bocca per dire qualcosa ma era rimasto senza parole, perché dopo qualche secondo di confusione finalmente aveva capito.
«Tu... cosa... aspetta un attimo, eri tu?» gli chiese infine, confuso più che mai; non si aspettava che i draghi potessero parlare, tantomeno senza aprire bocca e nati da così poco. Credeva di esserselo immaginato, ma quel dolore era troppo reale.
rispose il draghetto.
Ma ancora non ne fu certo, perché a rispondergli era stata la sua stessa voce. Si guardò intorno spaesato, cercando di capire, poi guardò di nuovo il cucciolo verde che era rimasto immobile con gli occhi fissi nei suoi.
«Tu mi... mi hai rubato la voce? Parli con la mia voce o sono completamente impazzito?»
Il draghetto non era sicuro di come rispondere, non capiva realmente il significato di quelle parole, e dirgli una bugia o ripeterle senza senso avrebbe potuto causare ancora più danni. Perciò si limitò a fissarlo.
E dopo un po’ Cedric scosse la testa ridendo istericamente: «Lo sapevo, sono io.»
Gli venne in mente un’idea per fargli capire tutto, voleva che capisse che la causa del suo male era proprio lui. Perciò cominciò a pensare ai momenti passati con lui e glieli mostrò: Cedric non avrebbe potuto fraintendere, gli stava mostrando lui stesso con gli occhi di un drago.
Lui capì, infatti, non avrebbe mai potuto immaginare il mondo così pieno di dettagli, suoni e odori, né un punto di vista tanto basso, o di lanciarsi giù da quel piano rialzato senza farsi un graffio... figurarsi la sensazione di controllare sei arti e una lunga coda. Ma tutto ciò lo spaventò, dopo un primo momento d’incredulità cominciò a desiderare che smettesse; aveva già abbastanza problemi senza che quel demonio gliene causasse altri.
Si rialzò prendendosi la testa tra le mani e gridò, questa volta chiaramente diretto al draghetto: «Smettila!»
E lui obbedì, interrompendo immediatamente il flusso di pensieri che li legava, senza mai smettere di guardarlo negli occhi. Cedric era terribilmente inquieto, tremava sconvolto e continuava a indietreggiare per allontanarsi dal draghetto. Tutti gli altri cuccioli osservavano ora la scena.
«Tu... a che gioco stai giocando? Ti sembra divertente? Cosa vuoi da me?»
La sua stessa voce gli rispose: Cedric è la tua voce?
«Cosa... No... No, Cedric è il mio nome.» disse, colto alla sprovvista.
Non devi... cominciò, ma s’interruppe perché gli mancavano le parole per spiegarsi.
Solo leggermente più tranquillo, il ragazzo chiese: «Non devo cosa?»
Il draghetto piegò la testa da un lato, e appena capì il significato della sua domanda rispose: Questo... e Cedric si sentì all’improvviso letteralmente sopraffatto da un’ondata di terrore che nuovamente lo sconvolse.
Gli cedettero le gambe e prima di ricominciare a piangere esclamò implorante: «Va bene! Va bene ho capito! Basta!» e di nuovo tutto cessò com’era cominciato. Lo guardò incredulo, ancora tremando.
Attento.
«Cosa... a cosa?» balbettò.
In risposta il draghetto si limitò a immaginarsi – o lo costrinse a figurarsi nella mente la sua immagine – lui terribilmente vicino a cadere giù dal piano rialzato. Guardandosi alle spalle si accorse che il draghetto aveva ragione, se avesse fatto un passo in più sarebbe caduto una decina di piedi più in basso. E nemmeno se n’era reso conto.
«Grazie...» sussurrò poco convinto tornando a guardarlo «Potevi almeno scegliere un momento migliore per parlarmi, no?»
Di nuovo il draghetto stortò la testa e rispose dicendo altro: Dici molte cose. A me. È colpa mia.
«Cosa è colpa tua?» gli chiese, riavvicinandosi con cautela.
Quello che ho fatto poco fa...
«Lo so, l’ho capito.»
E altro. Tutto quello... tu sei...
Capì che aveva ancora diverse difficoltà a comunicare, ma non gliene fece certo una colpa – dopotutto non aveva nemmeno due mesi di vita.
Ciononostante non riuscì a impedirsi di dire: «Potresti smettere di rubarmi la voce? Mi fai sentire un idiota. Continuerei a credere di parlare da solo se non mi stessi fissando a quel modo, e se non avessi visto e provato quelle cose...» si zittì capendo che probabilmente era ancora troppo presto perché capisse di dover cambiare voce, quindi decise di arrendersi e lasciare le cose così come stavano, per il momento: «Scusa. Non dovrei.»
Cosa? chiese, sicuro di aver capito il significato di quella parola. E infatti ottenne ciò che voleva: una risposta.
«Non dovrei rimproverarti. Quanto capisci di quello che dico?»
Dici molte cose ripeté il draghetto.
«Questo lo so...» sussurrò perplesso. Non sapeva cosa fare ora, il suo draghetto gli stava parlando ma faticavano a capirsi, ci sarebbe voluto forse un altro mese perché potessero comunicare fluentemente.
Solo un mese disse il drago, ripetendo le parole che lo stesso Cedric sapeva di aver pensato.
Lo guardò e gli chiese: «Puoi ascoltare i miei pensieri?»
Dopo un lungo momento di silenzio in cui il cucciolo si sforzò di capire ciò che aveva detto, alla fine rispose: Sì.
«Oh, maledizione... molte cose non ti piaceranno.» si rese conto di sentirsi già inspiegabilmente più a suo agio e quasi felice, ma non riuscì a capirne davvero la ragione.
Ora sapeva che tutte le strane cose che gli erano successe nell’ultimo mese le aveva causate il piccolo drago verde, e sapeva anche che non avrebbe mai voluto causargli sofferenza e probabilmente non l’avrebbe più fatto. Certo riparare il danno avrebbe richiesto del tempo, soprattutto per quanto riguardava la parte di suo padre, ma almeno era sollevato per aver capito quale fosse la reale causa: per una volta non si era trattato della sua mente, ma di una ancora più complessa e misteriosa.
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Quando gli altri tornarono dalla lunga pausa pranzo – l’avevano prolungata perché si aspettavano di trovare Cedric nelle medesime pessime condizioni – rimasero sorpresi nel vedere che in realtà sembrava stare finalmente bene. Gli chiesero allora cosa gli fosse preso e come avesse fatto a guarire nell’arco di un’ora o poco più, e per la prima volta lui effettivamente rispose a una loro domanda.
Spiegò cosa fosse successo col piccolo drago, di come l’avesse mandato fuori di testa facendolo ripensare a cose che non volle specificare, e gli chiese sentitamente scusa per come si era comportato in quel periodo. Dunque gli disse che, avendo più o meno chiarito la situazione col cucciolo, episodi del genere non sarebbero dovuti ricapitare. O almeno non a causa del drago.
Fecero in fretta ad accettare le sue scuse e si concentrarono invece sulla parte della comunicazione. Volevano sapere nel dettaglio come fosse comunicare con un drago, solo che Cedric non sapeva spiegarlo; era stato piuttosto confuso e spaventato per farci realmente caso. Ricordava solo una cosa in particolare: il drago usava la sua stessa voce. Il perché lo ignorava, sapeva solo che non desiderava altro che si scegliesse una voce tutta sua al più presto.
«Forse avere un nome lo aiuterà a scegliersi un’identità propria.» disse Layla quando lui ebbe finito di parlare – pensando ad alta voce.
Con quelle parole se ne rese conto, scosse la testa e disse subito: «Mi dispiace. A volte non me ne accorgo.»
«Non preoccuparti.» disse Mike poco convinto «Comunque potresti avere ragione. Ehi! Chissà se anche gli altri parlano!» esclamò poi, si prese il draghetto blu e lo portò all’angolo opposto per potergli parlare in pace.
Lo guardò intensamente e presto cominciò a sentire un crescente senso di disagio, ma ora sapeva che non si trattava del proprio: era il drago a sentirsi a disagio.
Si allontanò un poco lasciandogli più spazio e sussurrò: «Scusa, non volevo agitarti. Mi capisci?»
Ti... capisco, sì. Ti capisco gli rispose una voce nella testa, proprio come aveva detto Cedric. Mike si immobilizzò. Non era stato lui a pensare. Ne era certo anche se la voce che aveva sentito assomigliava alla sua tanto da spaventarlo, ma aveva come sottofondo uno strano e continuo rumore di aria, come quando si tappava le orecchie con entrambe le mani lasciando solo un piccolo spiraglio per far passare l'aria.
Guardò dietro di sé incredulo, incrociando lo sguardo del più grande che gli rispose con un mezzo sorriso incerto, poi tornò a guardare il draghetto blu e disse piano: «Ne sono felice.»
Io Mike. Anche io. Anch’io sono felice.
Il ragazzino ridacchiò per quei due tentativi sbagliati, ma era sicuro che se in un mese aveva imparato a comunicare, entro il mese successivo avrebbero potuto parlare tranquillamente.
«Quindi ora possiamo dirgli cosa fare!» esclamò Jennifer «Possiamo costruirgli una tana in uno dei boschi e dirgli di rimanere lì!»
Prima che gli altri potessero fare qualsiasi altra cosa, Cedric tentò il tutto per tutto; si alzò e guardò fisso negli occhi il draghetto verde, quindi esclamò: «Non sono tuo padre!» lasciando tutti basiti.
Dopo un lungo silenzio, in cui probabilmente il drago interpretò le sue parole, arrivò una risposta: Lo so.
«Lo... lo sai?» fece il ragazzo incredulo.
Susan rimase a bocca aperta: «Lo sanno?»
«Perché sei ancora con me allora? Non vuoi sapere dove sono i tuoi veri genitori?» continuò Cedric.
Ci fu un’altra lunga pausa, poi: No. Sto bene con te.
Cedric si lasciò sfuggire una sonora imprecazione, dopo la quale si coprì la bocca ma senza chiedere scusa a nessuno.
Tu no?
«Cosa ti ha detto?» gli chiese Andrew curioso.
«Che sta bene con me. Con me! Capite? Devi essere pazzo anche tu.» disse poi al draghetto.
Tu no? gli ripeté la creatura, e Cedric non seppe se si riferisse alla prima o all’ultima affermazione.
«Quindi, Cedric, questo è affetto o ancora no?» lo apostrofò Mike.
Lui di nuovo scosse la testa, decisamente incredulo e spaesato: «Io non... non lo so, forse non ha capito quello che ho detto.»
L’ho capito gli disse il draghetto, facendo ringhiare divertiti anche tutti i fratelli.
«Oh finiscila! Non prenderci gusto! Cambia voce dannazione!» esplose il ragazzo, e quando si rese conto che tutti lo stavano guardando si ricompose e si schiarì la gola, poi sussurrò: «Scusate.»
Susan fu rapida a dimenticarsene e si accucciò davanti al draghetto giallo, che la guardò quasi con terrore, e gli chiese: «Sei un maschio o una femmina? Parlerai con la mia voce anche tu per adesso? Puoi scegliertene una tutta tua, sai?»
Tutti i ragazzi ebbero il tempo di sedersi ed essere affiancati dal proprio draghetto prima che quello giallo rispondesse a Susan; si scelse infatti una voce, ma non molto diversa da quella della ragazzina, solo più acuta: Non so cosa sono ancora. Va bene così?
E lei rise: «Basta che non sia la mia o di qualcuno che conosco! Se piace a te va benissimo.»
«Troviamogli un nome!» esclamò Andrew.
«No! No, prima o poi dovremo separarci, non ha alcun senso!» protestò Cedric.
Nome? domandò il draghetto blu a Mike.
Lui rimase spiazzato: «Ehm... cos’è un nome? Beh, il nome è... una parola! Una parola particolare, io mi chiamo Mike. Se tu dici Mike io so che parli con me.»
Può essere anche mio? Mike.
«Oh no! Solo io devo essere Mike, altrimenti non capiremmo con chi gli altri vogliono parlare.»
Allora chi sono io?
«Ancora nessuno. Ma potremmo scegliere insieme un nome... una parola con cui ti piaccia essere chiamato.»
«Pare ovvio ormai che non se ne vogliano andare.» disse Jennifer riprendendo il discorso di poco prima.
«Ma non possono restare!» disse Cedric spazientito.
Io voglio un nome disse il draghetto viola a Layla, e anche a lei parve strano sentire una voce uguale alla sua nella sua mente.
«Tu... tu vuoi un nome? Va bene allora...» disse pensierosa, immaginando che sarebbe stato difficile sceglierne uno.
«Ma che nomi gli diamo? Non ho mai sentito nomi da drago in vita mia!» esclamò Susan.
«Beh, potremmo dargli i nomi degli elementi, come fuoco, acqua...» propose Jennifer un po’ incerta.
«Ma no!» esclamò Andrew.
«No... decisamente no.» rispose Mike contrariato «Sono draghi! Serve qualcosa di unico e speciale.»
«I nomi delle pietre preziose? Hanno colori simili, specialmente quelli degli occhi.» propose Layla.
«Non è male! Ma una pietra gialla?» disse Susan.
«Oro, topazio, zolfo, ambra, agata...» cominciò Cedric.
«Sì, ma non posso chiamarla Zolfo!»
«Allora non fare il nome di una pietra.» le disse Mike semplicemente mentre Andrew e Jennifer ridevano.
«La mia è simile all’ametista... come suona per voi Ametyst? Ti piace piccola? O piccolo.» chiese Layla.
Ametyst? Ametista? Pietra preziosa? domandò subito la piccola dragonessa sentendosi interpellata.
«Sì, di colore viola! Guardala se vuoi.» si indicò la tempia per farle capire che si stava figurando un’ametista nella mente.
E la giovane creatura non se lo fece ripetere, Layla si sentì la testa pesante e vide più chiaramente la pietra, mentre la draghetta la metteva a fuoco osservandola da ogni angolazione e la faceva scintillare.
È bellissima.
Proprio come te... pensò la ragazza, senza sapere che lei poteva sentirla, e infatti si sentì invadere da un’allegria e un imbarazzo che non riuscì a spiegarsi «Allora, ti piace?» domandò quindi per distrarsi.
Mi piace, sì. Ametyst. Io sono Ametyst! e si esibì in un acuto ruggito spalancando le piccole ali.
«E io? Ha il colore del rubino...» fece Jennifer.
Che ne dici di Rubia? le chiese la sua draghetta – per il momento l’avrebbe considerata femmina dal momento che, anche lei, aveva scelto la voce della ragazza a cui si era affezionata.
«Lei mi suggerisce Rubia... che ne dite?»
«Per lei sembra perfetto. E poi se è stata lei a proportelo immagino le piaccia.» disse Mike «Il mio direi che è simile allo zaffiro... piccolo ti piace il nome Zaffir?»
Zaffir? Sarà il mio nome?
«Ti piace?»
Sì.
«Perfetto!»
«Bene, ma ripeto che non la posso chiamare Zolfo!» esclamò Susan.
«Lei è gialla, le donerebbe un nome che dia l’idea di qualcosa di luminoso...» disse Jennifer pensierosa.
«Sulphane!» esclamò Susan d’un tratto.
Sulphane, sì! le fece eco la draghetta tutta contenta, saltellandole intorno.
Susan la guardò dritta negli occhi e le sorrise. Sulphane finalmente smise di saltellare, si ricompose stringendo le ali ai fianchi e si lasciò coccolare.
«Malachite, giada, smeraldo... Smeryld?» fece Cedric incerto.
«Suona bene!» esclamò Jennifer.
«Ti piace?» chiese dunque al draghetto.
Quello stortò la testa e sembrò pensarci un attimo su: Smeryld e Cedric... suona bene. Mi piace, sì. Mi chiamerò Smeryld? Come desideri.
«Lo sto chiedendo a te!» ribatté lui divertito, e Susan rise.
Smeryld ruggì come Ametyst aprendo un poco le ali, fiero di avere anche lui un nome.
«Ma scusa, tu mica dicevi che non aveva senso?» lo interrogò Layla diffidente.
E lui scosse appena le spalle senza guardarla: «Sì, lo penso ancora. Ma... Smeryld, mi trasmetteva emozioni che sembravano dire ‘Voglio un nome, trovami un nome’.»
«E per me?» chiese Andrew impaziente.
«Ossidiana, onice, ematite...» cominciò Cedric.
Ma Andrew lo interruppe: «No, non voglio il nome di una pietra.»
«Ma l’ematite è ferrosa, una pietra nera e rossa! E l’ossidiana è più nera delle sue scaglie!» protestò lui.
«Qualcosa che suoni tenebroso.»
Mike cominciò a proporre nomi, Andrew scuoteva la testa e il draghetto ascoltava facendo un ghigno di scherno ogni volta che ne proponeva uno.
«No... più aggressivo!»
«Cosa c’è di più aggressivo? Non lo so!»
Si unì anche Cedric alla ricerca disperata di un nome aggressivo e tenebroso come desideravano entrambi, gliene propose alcuni che gli passavano per la testa mentre le tre ragazze coccolavano ognuna il proprio draghetto e Sulphane dibatteva la coda felice.
«No, troppo banale...» fece il ragazzino con una smorfia.
«Allora... Umbreon?» questa volta il draghetto alzò la testa e fissò Cedric.
«Credo che gli vada bene sai...» disse Andrew piano fissando il piccolo drago nero immobile come una statua.
«Allora adesso hanno tutti un nome! Che bello!» esclamò Susan battendo le mani felice.
«È stato fin troppo facile! In pochi minuti abbiamo trovato sei nomi perfetti!» esclamò Mike soddisfatto.
«Tutto molto bello... ma ora che facciamo?» disse Cedric, come riprendendo un vecchio discorso «Crescono troppo in fretta, non possiamo tenerli qui dentro per sempre!»
«Beh, ora possono capirci. Potremmo trovargli un posto nel bosco qui vicino.» disse Jennifer con aria noncurante e una scrollata di spalle.
«O lasciare che se ne vadano per conto proprio.» sussurrò lui cupamente.
Andare dove? Io non voglio andare! disse Sulphane mugolando.
«Non intendeva dire questo.» disse subito Susan lanciando un’occhiataccia a Cedric «Intendeva dire che nessun altro a parte noi deve sapere della vostra esistenza. Quindi dovete rimanere nascosti.»
«Sì! Selliamo i cavalli e andiamo!» esclamò Mike, quindi balzò in piedi e corse fino alla scaletta per poi scenderla in fretta.
Susan Jennifer e Andrew presero in braccio i propri draghetti prima di seguirlo, mentre Zaffir planò giù da solo atterrando proprio in testa a Mike, il quale rise allegramente affacciandosi al cancello di Thunder. Cedric per una volta non ribatté e cominciò subito a preparare i cavalli, mentre Layla rimase tranquilla al piano superiore seduta davanti ad Ametyst senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi.
Quando fu il momento di partire per il bosco prese in braccio sia Smeryld che Ametyst per portarli giù, montò in sella a Nuvola e la spinse fuori al trotto mentre il draghetto verde balzò da una sella all’altra sistemandosi su quella di Cedric.
Non ci misero più di dieci minuti a raggiungere il bosco al galoppo, e lì preferirono smontare dalla groppa degli animali per proseguire a piedi conducendoli per le redini. Cedric gli disse di seguirlo, perché credeva di aver in mente un posto che sarebbe andato bene, e li guidò verso nord-est. E in effetti il luogo che gli mostrò non era affatto male: era una naturale barriera di enormi massi che coprivano la vista da nord-est, c’era uno spiazzo libero vicino a essi e poi tutt’intorno felci molto alte. Ma l’unica protezione veramente efficace erano le rocce.
«Quindi da oggi li lasceremo qui?» domandò Mike con una nota di tristezza nella voce.
«Non è lontanissimo, a piedi sarà un’ora di cammino.» disse Jennifer guardandosi intorno come per accertarsi che fosse davvero un buon posto.
«Sì, io ehm... Probabilmente non potrò venire spesso.» disse Cedric, rivolgendosi soprattutto al draghetto verde «Ci proverò. Ma tu non venire a cercarmi. Resta nascosto nel bosco, chiaro?»
Non mi allontanerò da qui promise il drago, e il ragazzo si ritrovò a sperare che davvero avesse capito l’importanza di non essere scoperto.
I cuccioli planarono a terra mentre i ragazzi legarono i cavalli ad alcuni rami, poi esplorarono insieme i dintorni, talvolta giocando a rincorrersi. I draghetti non sembravano disturbati dal nuovo ambiente, né ebbero grandi difficoltà ad abituarsi al nuovo terreno soffice.

  
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