Quando lasciò il San
Mungo
quel giorno, Angela si precipitò a casa di William.
Iniziò a bussare
insistentemente alla porta, tanto che quando il migliore amico
aprì la porta
per poco non si ritrovò il pugno della ragazza sul naso.
“Angy, che succede?” chiese
William allarmato.
“Devo assolutamente
parlarti” disse la ragazza entrando velocemente in casa e
chiudendosi la porta
alle spalle.
“E’ successo qualcosa di
grave?” aveva capito subito dallo sguardo della sua migliore
amica che si
trattava di un’emergenza.
“Ho visto Jonathan oggi
all’ospedale” sputò fuori.
“Aspetta…cosa? Tuo fratello
Jonathan? Sei sicura?”
Angela tremava come una
foglia. Era agitata, non riusciva neanche a pensare lucidamente ma era
sicura
che si fosse trattato di suo fratello. Anche se l’aveva visto
solo di spalle
aveva riconosciuto la sua testa, i suoi capelli, il suo modo di
camminare. Era
decisamente suo fratello.
William la vide annuire
velocemente, quasi senza fiato. “Ma come è
possibile? Si è persa ogni traccia
di lui anni fa!”
“Io…non lo so!” rispose
Angela quasi urlando.
Il ragazzo l’abbracciò di
slancio, stringendola più possibile. “Non so se
quello che sta succedendo è
vero, ma se si tratta veramente di Jonathan faremo il possibile per
trovarlo”
le giurò.
Quando la ragazza si fu
calmata i due si sedettero al tavolo della cucina, con una tazza di
caffè
davanti per decidere come agire.
“Io posso chiedere ad un
amico di procurarmi il fascicolo sulla scomparsa di Jonathan ma sai
benissimo
che non c’erano tracce” disse Will, leggermente
sconsolato ma poi vide il viso
della sua migliore amica, altrettanto abbattuta e decise di non
perdersi
d’animo. Non voleva darle false speranze ma in fondo, anche
se Jonathan era
sparito nel nulla, il suo cadavere non era mai stato ritrovato. Lui
sapeva che
cosa voleva dire perdere un fratello a causa della guerra, ma lui
almeno era
certo che suo fratello non c’era più. Aveva potuto
dirgli addio, piangere la
sua morte. Angela invece era rimasta anni costantemente in attesa, in
bilico
tra la speranza di ritrovare suo fratello e la tristezza di averlo
perso. E
ora, se c’era anche solo una minuscola e magari irrazionale
possibilità di
trovare Jonathan lui l’avrebbe aiutata, perché era
minuscola e irrazionale ma
era una chance.
“Hai detto che era al reparto
degli incidenti da incantesimo, giusto?”
“Sì, dove c’è la
diramazione del corridoio, è sbucato fuori da lì
ed è andato diretto verso
l’ascensore” rispose Angela come
un’alunna attenta a lezione.
“Cosa c’è in quel
corridoio?”
“Stanze di guaritori e di
pazienti, come lungo tutti i corridoi…”
“Bene…facciamo
così…”
E nei giorni successivi
Angela mise in atto il piano di William. Aveva continuato ad aggirarsi
in quel
reparto, grata comunque di potersi allontanare dal suo nuovo
caporeparto. Ogni
tanto prendeva il registro di pazienti e visitatori, con la scusa di
doverci
appuntare qualcosa. Aveva isolato i numeri delle stanze che le
interessavano:
le stanze dispare, dalla 1305 alla 1547. Erano un sacco di stanze, un
lavoro
immane.
Il fatto di non aver più
rivisto Jonathan in quei giorni l’aveva portata a pensare che
lui fosse stato
uno dei pazienti medicati e mandati a casa in giornata o che fosse
stato il
visitatore di un paziente che era stato dimesso, perché se
in quell’ospedale
c’era qualcuno a cui suo fratello teneva lui non
l’avrebbe abbandonato, sarebbe
tornato.
Che
cosa stupida,
si
ritrovò a pensare Angela, ha
abbandonato
i nostri genitori, Camille, me…perché non
dovrebbe abbandonare qualcun altro?
Passò giorni a scorrere il
registro alla ricerca di un indizio, di un nome. Ovviamente non si
aspettava di
trovare Jonathan Stuart scritto lì, in bella vista,
perché se quello era
veramente suo fratello e se era sparito per tutti quegli anni aveva
dovuto
avere una buona ragione e la stessa buona ragione lo aveva portato
sicuramente
a cambiare la sua identità.
Solamente un giorno,
scorrendo la lista dei pazienti che non erano stati trattenuti in
ospedale notò
qualcosa di familiare.
Philip Douvres.
Douvres. Dover. Le bianche
scogliere di Dover. Ricordava ancora una vacanza che avevano fatto da
bambini
con i loro genitori e suo fratello era rimasto incantato da quelle
scogliere e
dal fatto di poter vedere, al di là del canale della Manica,
la Francia.
Poteva trattarsi di lui.
Doveva trattarsi di lui. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per trovare
quell’uomo.
Victoria lanciò
un’imprecazione mentre cercava di tirare su la zip del
vestito. Maledetta! Da
sotto non riusciva a tirare su la cerniera e da sopra non ci arrivava!
Si era
agitata più di quanto non lo fosse stata già e
ora ci si metteva anche quello
stupido campanello che suonava in continuazione…ma chi
cavolo era che si
presentava a casa sua di sabato sera alle sette?
Scese le scale cruciando
mentalmente chiunque fosse dietro la porta o perlomeno lo fece
finché non aprì
e si trovò davanti un affascinante ragazzo dagli occhi
verdi, vestito di tutto
punto.
“Francis…che ci fai qui?”
chiese con ancora un briciolo di irritazione nella voce “Sono
le sette…avevamo
detto alle sette e mezza” puntualizzò.
Perché era venuto in anticipo? Lei non
era pronta! E perché teneva in mano due papillon?
L’uomo cominciò a parlare
velocemente “Avevo pensato a una cravatta ma poi ho pensato
anche che il tuo
caro fratellino potrebbe utilizzarla per impiccarmici o strangolarmi,
quindi ho
pensato a un papillon” e si mise uno dei fiocchi davanti al
collo.
Victoria lo guardò,
impacciato nei suoi pantaloni eleganti e nelle sua camicia bianca, con
quel
papillon nero.
“Così sì che sei un
perfetto bartender. Ti ci vedo proprio a fare cocktail” lo
prese in giro
dandogli un buffetto sulla guancia.
Francis mise su un finto
broncio. “Non sei affatto divertente, sai?”
Victoria si alzò
leggermente sulle punte per dargli un bacio a cui lui rispose a
malapena
fingendo di essere ancora arrabbiato.
“Dai vieni con me” e gli
fece cenno di seguirla lungo le scale.
Victoria condusse Francis
al piano di sopra, gli disse di aspettarla in camera mentre lei
andò in quella
che doveva essere la camera del bambino e invece era diventata la
camera degli
ospiti. Aprì il grande armadio in noce e ne estrasse una
giacca color tortora.
Ricordava ancora quando David aveva comprato quella giacca,
l’aveva messa una
sola volta, ad un matrimonio di un suo amico poi non l’aveva
messa più perché
gli prudeva. L’aveva messa una sola volta eppure
l’aveva impregnata con l’odore
della sua acqua di colonia. Aveva stretto spesso a sé quella
giacca nel primo
periodo dopo la morte di David, convinta di sentirne ancora
l’odore. La strinse
a sé un’ultima volta…nessun odore.
Forse era stata solo una sua convinzione o,
forse, lo aveva lasciato andare. Prese un respiro e tornò da
Francis.
“Metti questa” gli propose
prima di aiutarlo ad indossare la giacca “No, niente
papillon. Non andiamo a
una serata di gala, andiamo solo a casa di mio fratello”
ridacchiò poi.
“Solo?” chiese lui
titubante.
“Solo.”
“E prometti che riporterai
ai miei il mio cadavere?”
“Non essere sciocco, dovrò
aiutare Zeek a nasconderlo! E ora aiutami a tirare su questa
cerniera!”
Victoria si voltò, spostò i
suoi capelli da un lato, davanti al collo per permettere a Francis di
aiutarla.
Quello che sentì fu però la cerniera che
scendeva. Fece per protestare ma la
voce le venne mozzata dalla sensazione delle labbra di Francis che
percorrevano
la sua schiena con una scia di minuscoli baci che le davano i brividi
come
piccole scosse. Lo sentì risalire fino al collo e
sentì quelle mani
intrecciarsi con le sue.
“Dobbiamo andare a casa di
Zeek tra mezz’ora…” provò a
protestare.
“Appunto…tra mezz’ora”
Victoria si girò verso di
lui, gli accarezzò il viso e quella barba leggera.
“Sei così bello…” e sorrise
mentre l’uomo chinava la testa per appoggiare la fronte
contro la sua.
“No, tu sei così bella”
Francis la baciò
teneramente e la avvolse tra le sue braccia. In un attimo si
ritrovarono stesi
sul letto con lui che le accarezzava i capelli, ormai spoglio della
giacca e
con la camicia slacciata.
“Dimmi se vuoi che mi
fermi” sospirò Francis, ogni parola era
intervallato da un bacio sempre più
giù, dal collo fino alla spalla.
“Non ti fermare” si ritrovò
a rispondere Victoria in modo del tutto inconsapevole e naturale.
Sarebbe voluta rimanere lì
tra quelle braccia tornite per sempre ma purtroppo avevano una cena a
cui
prendere parte.
Non si riusciva a dire chi
fosse più teso, se lei o Francis, quando arrivarono a casa
di Ezekiel Crouch. Si
accomodarono a tavola, e Krystal iniziò a servire la cena.
“Allora… anche tu fai
l’auror…di che squadra fai parte?”
chiese Krystal.
“La 151, prima facevo parte
della 243 ma ci siamo uniti durante la guerra…eravamo
rimasti in pochi…”
rispose Francis tranquillamente.
“Quindi sei in squadra con
Joy …” buttò lì Zeek
guadagnandosi un calcio sotto al tavolo da parte della
moglie, la quale sapeva benissimo a chi si riferisse lui:
l’avvenente bionda
che faceva la gatta morta con tutti.
Dopo un altro paio di
domande/insinuazioni che Zeek fece e che avevano il solo scopo di
mettere alla
prova Francis, Victoria approfittò della pausa prima del
dolce per trascinare
il fratello in cucina.
Anche Krystal era in cucina
per tagliare una succulenta torta al cioccolato.
“Ti stai rendendo odioso”
fece Krystal accompagnando il gesto con entrambe le mani, con i pollici
e gli
undici uniti tra loro.
“Non mi sembra di aver
chiesto niente di eccezionale” protestò Zeek.
La moglie sbuffò, prese i
piatti tra le mani. “Io ritorno da quel
poveretto…”
I due fratelli Crouch erano
rimasti soli. “Perché devi fare
così?” chiese lei con un certo tono di
disperazione nella voce.
“Vicky…”
“No, niente Vicky! Non hai
fatto altro che mettere Francis a disagio, io l’ho portato
qui per farvi
conoscere, per andare d’accordo!”
“Sai che quell’uomo non mi
convince…”
“Ma se solo tu ti sforzassi
un po’ di conoscerlo anziché attaccarlo!”
Victoria si passò una mano
nei capelli nel tentativo di calmarsi. “Francis è
una brava persona, è gentile,
mi rispetta e mi rende felice…felice come non ero
più da tempo. E so che fai
tutte queste scene solo per proteggermi ma ti assicuro che non ho
bisogno di
essere protetta, non più…”
Il tono accorato con cui
Victoria parlò fece finalmente aprire gli occhi al fratello.
“Tu lo ami” disse.
“Non lo so…forse è
presto…”
iniziò a balbettare la giovane ma venne interrotta.
“Non era una domanda… tu lo
ami… guarda come lo difendi e, per tutte le cavallette, se
solo potessi vedere
la luce che hai negli occhi quando ne parli…tu lo
ami”
“Io lo amo” e solo in quel
momento Vicky realizzò che era vero. Francis era entrato
nella sua vita in
punta di piedi, con una leggerezza tale che lei non si era neanche
accorta di
essere arrivata a quel punto.
Zeek si strofinò gli occhi
e parlò come se gli costasse una gran fatica dire quelle
parole. “Cercherò di
farmelo piacere. Non ti garantisco niente ma proverò ad
andare d’accordo con
lui.”
Mano a mano che parlava la
bocca della ragazza si apriva in un sorriso sempre più
ampio. “Grazie” disse
sinceramente mentre lo abbracciava.
“Solo perché sei tu,
piccola Vicky” aggiunse lui facendole l’occhiolino.
“Sarò sempre la tua piccola
Vicky”
Aveva passato la domenica
in panciolle, godendosi un po’ la sua nipotina poi era uscito
con la sua
migliore amica. Si erano incontrati da Florian Fortebraccio per
prendere un
gelato ma Victoria non si era presentata da sola. Gli aveva presentato
il suo
fidanzato Francis. Era stata una vera sorpresa ma non poteva che essere
felice
per lei!
Dopocena si era seduto
sulla sua poltrona preferita, quella di tessuto verde, sotto la lampada
e con
la finestra alle spalle. Aveva ripreso il libro che aveva iniziato a
leggere la
settimana prima e si era rilassato completamente. Non sapeva dire
quanto tempo
fosse passato quando sua sorella entrò nella stanza.
Dedusse che Elaine Burke
era sprofondata sul divano dal suono che sentì, unito allo
sbuffo della giovane
donna.
“Finalmente è crollata…sono
distrutta” sospirò.
“La possiamo soprannominare
l’instancabile Kayla” buttò
lì mentre continuava a leggere.
“Ed” lo chiamò la sorella.
A quel punto il ragazzo alzò gli occhi chiari curioso.
“Sai…sto pensando di
trasferirmi…”
“Cosa?” domandò Edward
spalancando gli occhi “Perché?”
Elaine alzò un
sopracciglio. “Perché questa è casa tua
e noi l’abbiamo invasa!”
“Sai che mi piace avere te
e Kayla qui!”
“E a me piace stare qui ma
ho approfittato fin troppo di te… sono scappata e mi sono
rifugiata qui e ti
ringrazio per avermi accolta e aver accolto Kayla ma credo che sia ora
che noi
ce ne andiamo, che tu riprendi possesso di casa tua e
io…della mia vita”
“Ely…”
“Senti, so che qualche
volta ti fermi da Johanna e penso che sarebbe carino se tu la invitassi
a
rimanere qui qualche volta ma so che non lo farai, non
finché ci saremo io e la
bambina e poi è ora che io me la cavi anche da sola, ora che
non ho più niente
da temere.”
Edward sospirò rivolgendo
uno sguardo eloquente alla sua sorellina. “Hai già
trovato un posto, vero?”
Elaine lo guardò con occhi
colpevoli, come una bambina che era stata beccata con le mani nel
barattolo dei
biscotti.
“È un minuscolo cottage
appena fuori Londra. Lo so che non è vicinissimo ma ho
pensato che magari per
la bambina la vita in campagna è meglio.”
“Quando vuoi trasferirti?”
chiese lui un po’ rassegnato. Edward sapeva
che la sorella aveva bisogno di andare avanti, ora che
Magnus non c’era
più poteva essere se stessa e aveva diritto di esserlo e di
godersi la vita, ma
le sarebbe mancata terribilmente.
“Fra un paio di
settimane…ma sappi che quando mi sarò sistemata
voglio organizzare una cena con
te e Johanna e anche con Victoria e quel ragazzo di cui mi hai
parlato.”
“Va bene. Ti darò una mano
col trasloco” sorrise lui. La ragazza si alzò e si
avvicinò alla poltrona.
“Grazie fratellone” disse
prima di dargli un leggero bacio sulla guancia.
Johanna stava servendo un
tavolo dove due streghe piuttosto in avanti con
l’età che si divertivano con un
po’ di acquaviola e discorsi piccanti, quando vide con la
coda dell’occhio
Sebastian entrare nel locale.
Quando tornò al bancone lo
salutò con un caloroso sorriso.
“Hey…che ti porto?”
“Solo una burrobirra,
grazie”
“Come mai? Devi tornare a
lavoro?” gli chiese. Di solito quando Sebastian andava a
trovarla al locale si
fermava sempre almeno un paio d’ore e loro ne approfittavano
per chiacchierare,
specialmente quando c’era calma piatta come in quel momento.
E Sebastian
mangiava sempre qualcosa, quindi quell’ordine le era sembrato
particolarmente
strano.
“Ti devo chiedere un favore
Jo”
La ragazza mise da una
parte lo strofinaccio che aveva in mano, appoggiò il braccio
al legno del
bancone e posò il mento sulla mano come a sostenerle la
testa.
“Sono tutta orecchi” disse.
“Beh…sai che sabato è il
compleanno di Freya…”
“Certo che so che il
compleanno di Freya…vorrei ricordarti che è amica
mia e che se non fosse stato
per me non l’avresti conosciuta” lo interruppe lei.
“Ecco, ricordati che è
anche amica tua…”
“Dove vuoi arrivare,
Seboom?” domandò Johanna usando quel soprannome
che il suo migliore amico
odiava a morte.
“Vorrei organizzarle una
festa a sorpresa” iniziò a dire lui ma di nuovo
venne interrotto dalla mora.
“La trovo un’idea
magnifica!” aveva trillato Jo.
“Mi fai finire?” chiese
spazientito Sebastian “Vorrei organizzarle una festa a
sorpresa qui” specificò
“Qui? Non mi sembra il
posto migliore dove organizzare una festa di compleanno…non
è né elegante ed è
piuttosto buio…”
“Ma è un posto dove Freya
si sente a casa. Ti prego, ti pagherò l’affitto di
tutto il locale se chiuderai
sabato sera.”
Johanna guardò bene negli
occhi Sebastian. Il suo migliore amico l’aveva messa sempre
al primo posto ma
era evidente quanto le cose fossero cambiate, bastava pensare a quello
che lui
aveva appena fatto. Si era offerto di affittare l’intero
locale per il sabato
sera, sapendo bene che il week-end era il periodo in cui il Crazy Head
fruttava
di più. Il suo primo posto, in cui si era adagiata per buona
parte della sua
vita, era diventato un primo posto a pari merito con Freya. Non che la
cosa le
dispiacesse, era più che normale. Non erano più
adolescenti, erano cresciuti e
si stavano costruendo le proprie vite. Anche Edward era diventato la
sua
priorità. Certo, non avrebbe mai potuto sostituire il suo
migliore amico, erano
due cose completamente diverse ma Johanna poteva affermare con
certezza, anche
se non lo faceva facilmente con altri, che Edward Burke si era
conquistato un
posto d’onore nel suo cuore.
“Va bene…ma non accetterò
soldi da parte tua” affermò Jo.
“No dai, il locale è tuo e
io non posso…”
“Appunto, il locale è mio
quindi faccio come mi pare. E poi Freya è anche amica mia,
no? Quindi è deciso,
sabato sera si fa festa. Io posso pensare a cibo e bevande.
Chiederò a May per
la torta, lei conosce una pasticceria babbana buonissima, e sicuramente
lei è
quella che conosce meglio i gusti di Freya”
“Ok, io penso ad
organizzare il resto, tipo invitare la gente…potrei invitare
anche il tuo
ragazzo…”
“Si, perché no?”
Erano appena le otto del
mattino quando May aprì lentamente la porta della camera
della sua migliore
amica, si sporse leggermente con la testa, quel tanto che bastava per
vedere
Freya completamente immersa sotto le coperte, che non dava il minimo
segno di
vita.
La ragazza si avvicinò di
soppiatto e salì piano sul grande letto matrimoniale.
“Freya…” chiamò piano ma
l’altra
ragazza si limitò a girarsi dall’altra parte,
segno che l’aveva sentita ma non
aveva la minima intenzione di darle corda.
“Freya…” chiamò di nuovo
May ma tutto quello che ebbe in risposta fu un mugugno non ben definito.
“Lo so che sei sveglia”
Freya si girò di nuovo
verso l’amica e aprì gli occhi scuri fissando
l’amica con rabbia.
May ignorò l’occhiataccia e
non perse il sorriso. “Tanti auguri festeggiata!”
ma poi notò che l’altra la
guardava ancora torva aggiunse “Non sei felice che sia il tuo
compleanno?”
“Sarei più felice se una
certa persona mi avesse lasciata dormire, visto che ho un turno di 12
ore alla
spalle” sbuffò Freya.
L’amica incrociò le braccia
al petto. “È escluso, non passerai il tuo
compleanno a letto signorina. Ho
grandi piani per oggi.”
E in effetti era vero. May
non sarebbe mai riuscita a fingere che quel giorno non avrebbero fatto
niente
quindi aveva comunque organizzato la giornata fino a sera.
“Dai…fammi felice” la pregò
May sbattendo in fretta le ciglia.
“Ho capito, mi alzo!”
“Bravissima” fece l’altra
battendo le mani “Io e la torta al cioccolato di Naomi ti
aspettiamo di là.”
Torta al cioccolato…mmm…a
Freya sembrava di pregustarne già il sapore. La sorella di
May era davvero
brava in cucina e quando si era stabilita per qualche giorno
lì aveva
cominciato a viziarle con i suoi manicaretti quindi il pensiero che una
torta
al cioccolato e frutti di bosco fosse di là ad attenderla la
spinse ad alzarsi
da quel comodo, comodissimo letto.
Non trovò solo una suntuosa
colazione ad attenderla in cucina ma anche Sebastian, che era passato a
farle
gli auguri e a darle il regalo prima di andare a lavorare. Gli occhi di
Freya
brillarono di gioia quando aprì il pacchetto e vi
trovò un delizioso
braccialetto in argento con dei pendenti a forma di foglie. Le
dispiacque solo
di non poter passare più tempo con lui quel giorno.
Le due ragazze passarono la
mattinata all’aperto, in campagna. May portò la
festeggiata a fare una
passeggiata a cavallo. Ne approfittarono per godersi una delle ultime
belle
giornate, in cui non era ancora troppo caldo o troppo freddo.
Era stato bello stare lì,
all’aria aperta e vivere qualche ora come se non avessero
nessun pensiero al
mondo.
Il pomeriggio venne
dedicato al relax, infatti May aveva prenotato qualche massaggio in un
centro
benessere.
Arrivate a sera, mentre tornavano
verso casa, Freya si ritrovò a pensare che era davvero
fortunata ad avere May,
che non era solo la sua migliore amica ma quanto di più
simile ad una sorella
avesse mai avuto.
“Ti va se ci fermiamo da Jo
per cena? Non abbiamo nulla a casa, eccetto il resto della
torta.”
“Non che mi dispiaccia una
cena a base di torta ma non vorrei prendermi il diabete prima dei
quarant’anni.”
Quando arrivarono al Crazy
Head il sole stava ormai tramontando, colorando il cielo di arancio.
Quando
Freya aprì il portone per entrare nel locale si
stupì di trovarlo più buio del
solito ma fu un attimo e vide quello che i suoi amici avevano preparato
per lei
e i suoi occhi si riempirono di lacrime, lacrime di commozione.
Salve gente!
Eccomi qua con il
penultimo
capitolo (e se vi dicessi che l’epilogo l’ho
già scritto?). Questo capitolo è più
a tema amicizia/fratellanza e sono anche riuscita a contenermi, che
ultimamente
è un miracolo!
La domanda per il
prossimo
capitolo è: riuscirà Angy a trovare suo fratello?
A presto
H.