1. Il Prefetto
perfetto
Una timida luce
investì le sue palpebre, causando uno spasmo che rovinò l'armonia del suo viso.
Strizzò gli occhi, poi li spalancò. Era l'alba.
Le tende del suo letto
a baldacchino erano aperte; dagli altri letti provenivano sbadigli e sussurri.
Anche i suoi compagni si erano svegliati.
Stiracchiò gli arti
intorpiditi, poi si mise a sedere sul letto.
Alla sua destra,
alcune candele accese fluttuavano annoiate sopra il comodino. Sarebbe stato
bello svegliarsi col bel sole caldo, preludio della nuova stagione, ma quel
privilegio non era destinato a chi dormiva nei sotterranei. Si alzò, prese i vestiti dal baule ai piedi
del suo letto per andare subito a vestirsi. Qualcuno gli disse
"Buongiorno!", lui ricambiò con indifferenza, uscendo dal dormitorio.
I bagni erano già
pieni.
Aspettò il turno per
farsi la doccia pensando a cosa avrebbe dovuto fare quella mattina: colazione
nella sala grande, inizio delle lezioni...erbologia, forse... bene, le serre di
prima mattina erano stupende. Adorava l'odore di terra umida, le bellissime
goccioline di rugiada sulle foglie delle piante. I colori sgargianti dei fiori.
Il rosso. Colore della vita. E anche del sangue.
Scosse violentemente
la testa sotto il fruscio d’acqua calda, come per distrarsi da quei pensieri.
Si asciugò, si vestì,
si mise davanti uno specchio.
Alle sue spalle, i
ragazzi chiacchieravano allegramente; qualcuno di loro, ancora assonnato, era
vittima degli scherzi dei compagni. Altri, sveglissimi, ripassavano ad alta
voce formule e pozioni. Alcune risate.
L'immagine che
rimandava lo specchio era tutt'altro che sorridente, o meglio, pareva che non
sapesse sorridere. Ma quando lo faceva, pareva che si illuminasse tutto il
volto, pareva un dono prezioso di cui pochissimi potevano godere. Una gioia per
gli occhi. Le belle labbra carnose si inarcavano in un sorriso appena
abbozzato, i lineamenti del viso si ammorbidivano. Gli occhi sprigionavano una
luce magnetica, diventando dolci. Lo stesso loro colore, quello del cioccolato,
richiamava alla mente dolcezza.
I capelli ricadevano
afflosciati sulla candida fronte, a formare un ricciolo morbido e nero.
Si sistemò la
cravatta alla perfezione, continuando a guardare la sua immagine. Era diventato
un po' narcisista, era come se non riuscisse a staccare gli occhi dal suo bel
viso.
- Scusa, devi fare
molto?
Un ragazzo alle sue
spalle era impaziente di utilizzare lo specchio. Si voltò verso di lui, con uno
sguardo indecifrabile.
- Oh... scusami
tanto. Fai pure, aspetterò.
- Stavo giusto
andando via-, si affrettò a rispondere, con la sua voce forte e calda, -
accomodati.
Il compagno stava
ancora ringraziandolo quando uscì dal bagno.
- Buongiorno!
- Ciao!
- Ehi, come va?
Rispondeva a tutti
con il suo bel sorriso, fermandosi a parlare pochissime volte. Quasi tutte le
ragazze che incrociava finivano col chiacchierare fra di loro, con le guance
scarlatte.
Lo doveva ammettere.
Aveva un fortissimo ascendente su tutti, un carisma particolare che riusciva ad
affascinare chiunque. "Il Prefetto perfetto": così lo chiamavano le
sue ammiratrici più accanite, che lo sommergevano di sguardi e sospiri.
Dal canto suo,
adorava essere ammirato così tanto. Era come se avesse sopravvissuto per anni.
Solamente lì, ad Hogwarts, si sentiva vivo, si sentiva un essere particolare.
E lo era veramente,
Tom Riddle.
Detestava l'estate
per il fatto che dovesse tornare nell'orfanotrofio di Little Hangleton, un
posto che riconosceva come casa e prigione insieme. Soprattutto in quel
periodo, visto lo scompiglio spaventoso provocato dai babbani e la loro stupida
guerra. Da quando aveva ricevuto la chiamata per Hogwarts, detestava il mondo
dei babbani. Perché, perché non era nato in una famiglia di sangue puro?! E,
innanzi tutto, perché non era nato in una famiglia?!
Se avesse conosciuto
suo padre, un giorno, aveva promesso a se stesso che gli avrebbe fatto molto
male. Non appena pensava alla vendetta, ecco un sorrisetto malizioso dipingersi
sul suo viso. Da un po' di tempo non pensava ad altro. Vendetta, violenza.
Rabbia repressa, o semplicemente sete di giustizia?
Sapeva solamente una
cosa, Tom: era un essere eccezionale. L'abilità con cui svolgeva i suoi compiti
era assolutamente innata. Possedeva un grande senso del dovere. Eccelleva in
tutte le materie, persino nel Quidditch.
C'era una cosa che
non sapesse fare? Non l'aveva ancora trovata; sapeva addirittura parlare con i
serpenti, un segreto che custodiva gelosamente. Se si fosse saputo in giro,
l'avrebbero letteralmente adorato, oppure l'avrebbero disprezzato, e temuto.
Solamente questa prospettiva lo attirava: essere temuto.
Spalancava gli occhi
con avidità ogni volta che leggeva le biografie dei grandi maghi del passato; divorava
senza ritegno tutto quello che riguardasse la storia; la vita e le opere del
grande Salazar Serpeverde, in particolar modo. Non a caso era prefetto della
Casa che portava il suo nome.
Tom Riddle era una
celebrità in tutta la scuola; non c'era studente che non conoscesse il suo
nome, il suo volto.
In qualità di
prefetto era molto impegnato, e fra lo studio e le altre mansioni aveva davvero
pochissimo tempo da dedicare a se stesso. Ma ritagliava ugualmente minuti
preziosi da passare in biblioteca.
Studiava,
memorizzava, leggeva più che poteva.
Un alunno modello.
Non aveva molti
amici; a parte i suoi compagni di dormitorio e quelli di squadra, Tom dava poca
confidenza alle persone, ma non perché avesse problemi nei rapporti con gli
altri. Se desiderava conoscere qualcuno, lo faceva senza troppi problemi, visto
lo strano fascino che esercitava sui suoi interlocutori.
Era famoso, insomma,
come lo erano tutti i prefetti e i giocatori di Quiddicht delle case. Ad
Hogwarts si diventava famosi anche per la propria famiglia, per i bei voti, per
il coraggio, o semplicemente per la propria personalità, e Tom aveva per l’appunto trovato una persona
che minacciava la sua eccellenza, e questa persona era inespugnabile; questo lo
tormentava.
Ogni volta che la
vedeva sentiva vuoto allo stomaco come se gli fosse passato un fantasma
attraverso, la guardava con disprezzata ammirazione. Odiava persino pensare fra
se e se che lei lo turbasse.
Era una ragazza del
quinto anno, sveglia ed intelligente, timida e solare. Qualità che Riddle
disprezzava per le loro debolezze. Anche lui era molto intelligente, perspicace
e voluttuoso, ma gli mancava qualcosa che Nagini Renn -così si chiamava la
ragazza- possedeva in abbondanza, qualcosa che non era mai riuscito a capire.
Il nome di Nagini non
era famoso, eppure tutti sapevano chi fosse. Non era ambiziosa, ma ugualmente
aveva ricevuto cariche, rifiutandole.
Era una Grifondoro, e
la rendeva ancora più interessante. I Grifondoro erano famosi per il coraggio,
eppure lei sembrava sempre così timida!
Proprio notando un
gruppo di piccoli Grifondoro, Tom attraversava la hall, quando suonò la
campanella che annunciava l'inizio della giornata scolastica. Vide alcuni suoi
compagni uscire verso il giardino, insieme ad altri ragazzi del Tassorosso, con
i quali avevano lezione.
- Tom... ehi, Tom Riddle!
Era stato Terry Flint
a chiamarlo, uno dei Cacciatori della sua squadra di Quidditch, compagno di
stanza e forse unico amico.
- Si?
- Gli allenamenti,
Tom...
- FLINT! IN CLASSE!-,
la voce di una professoressa rimbombò per le scale dei sotterranei, e Terry
sbiancò per l'imbarazzo.
- La Lumah mi ha
obbligato a stare tutto il giorno con lei… dice che mi farebbe bene assistere
alle lezioni dei più piccoli… ne parliamo a pranzo! A dopo!
I due ragazzi si scambiarono
un gesto di saluto, e poi ognuno prese per la propria strada.
Tom assaporò a pieni
polmoni l'aria fresca che spirava sulla superficie del lago, e che faceva il
solletico agli alberi che separavano il territorio di Hogwarts dalla foresta
proibita.
Si diresse verso le
serre, dove il professor Garnett stava già facendo l'appello.
- E con questo,
abbiamo finito.
Tom ripose l'ultima
boccetta di polvere ramata nell'armadietto, mentre la ragazza in lacrime,
seduta a terra, tirava ancora su col naso.
- Scusami ancora,
Tom-, disse la ragazza, fra un singhiozzo e un altro, - ti ho fatto perdere
tanto tempo... il pranzo è già stato servito, e tu sei qui a rimediare un danno
che ho fatto io!
Il giovane prefetto
le sorrise, - Non preoccuparti, l'ho fatto con piacere. E' stato anche un mio
errore, dopotutto.
La ragazza rispose al
sorriso non molto convinta, poi si alzò in piedi e sistemò i libri nella sua
cartella. Chissà cosa avrebbero detto le sue amiche, dopo che aveva trascorso
quasi un'ora da sola col prefetto!
Anche Tom prese le
sue cose, - Adesso vado, Laura-, si congedò, - fra un quarto d'ora ho gli
allenamenti.
Uscì dall'aula
tirando un sospiro di sollievo, pensando a quanto si potesse essere sbadati. A
Laura, una Serpeverde del sesto anno, era sfuggito un incantesimo perché
l'aveva scossa per un braccio per attirare la sua attenzione, e tutti gli
ingredienti dell'armadietto erano finiti a terra. Alcuni purosangue non
meritavano proprio quel titolo.
Non gli era rimasto nemmeno
il tempo per andare a pranzare, i suoi compagni l'aspettavano al campo di
Quidditch per gli allenamenti giornalieri.
Corse nel suo
dormitorio e indossò la divisa; il manico di scopa era pronto accanto alla
porta, vicino gli appendi-abiti.
Si meravigliò non
poco, quando al campo non trovò nessuno. Era in ritardo, ma non tanto da
essersi perso gli allenamenti!
Sia le tribune che
gli spogliatoi erano deserti; le bandiere con gli stemmi delle Case
sventolavano annoiate alla brezza fresca. Nessun giocatore volteggiava nel
campo. Ma dov'erano finiti tutti?
Che fosse successo
qualcosa?
Tornò sui suoi passi
per andare a cercare qualcuno. Se avevano deciso di rimandare tutto perché non
era stato avvertito?
- Oh...
Alzò gli occhi.
Davanti ai suoi occhi, sulla soglia del portone secondario, c'era Nagini Renn.
Aveva un enorme sacco di terriccio fra le braccia, e dal colore della sua
faccia era chiaro che non si aspettava di trovare qualcuno, fuori.
I due si fissarono
per qualche secondo. Nagini, poi, abbassò subito i suoi occhi verde-castani
sulle scarpe sporche di terriccio, e i boccoli castani le caddero molli sulle
spalle.
Tom avanzò in sua
direzione, deciso a non guardarla neppure; il modo migliore per evitare una
situazione imbarazzante. Anche Nagini pensò la stessa cosa, e camminò per la
sua strada, verso le serre. Gli occhi di Tom caddero sopra qualcosa che le era
scivolata dalla tasca. Era una piccola bisaccia di velluto rosso, uno di quelle
usati per le erbe. Doveva chiamarla ed avvertirla, oppure doveva portargliela
di persona? Dopotutto era una Grifondoro, non occorreva che si mostrasse
gentile con lei; non ne avrebbe guadagnato nulla. Scosse la testa, ed entrò nel
castello. Si bloccò per un attimo, e tornò indietro, sul prato. Raccolse la
bisaccia, e tastandola si accorse che doveva contenere monete. Sbirciò in
direzione delle serre, ed intravide una figura nera che si muoveva all'interno.
Entrò nella serra
numero due, piena di giovani arbusti di cicuta. Nagini stava depositando il
sacco accanto al tavolo da lavoro del professore.
- Ehm...
Nagini si voltò di
scatto, convinta ancora una volta di essere da sola.
- Credo che questo
sia tuo-, Tom mise in mostra il sacchetto scarlatto, - ti è scivolato sul
prato, qualche minuto fa.
- Ti ringrazio-,
rispose Nagini, ostentando un sorriso sincero, - non me n'ero accorta per
niente.
Lo prese, riponendolo
nella stessa tasca dalla quale era scivolato.
- Cosa ci fai qua, a
quest'ora?-, chiese Tom, guardando con insistenza il sacco alle spalle della
ragazza.
- Ho portato del
terriccio paludoso, serve a Garnett questo pomeriggio. Mi ha chiesto di
occuparmene, quindi…
Tom colse una nota di
nervosismo nella sua voce; dopotutto, anche se di Case diverse, lui era sempre
un suo superiore.
- Mh... va bene.
Ciao.
Non le diede tempo di
ricambiare il saluto, ed uscì.
Si allontanò dalla
serra a grandi falcate per tornare nel suo dormitorio. Incredibile come quella
ragazza riuscisse a metterlo in imbarazzo. Si irritò ancora di più quando si
sentì chiamare proprio da lei.
- Cosa c'è?-, le
rispose con leggera impazienza.
- Tu sei Tom...
giusto?
Il ragazzo annuì, ben
curioso di sapere dove voleva andare a finire.
- Allora avevo
ragione-, gli sorrise ancora, - tutto qui... ciao, ci vediamo!
Nagini tornò alla
serra, lasciando Tom con una certa inquietudine addosso. Perché mai una
Grifondoro doveva turbarlo tanto?
Fino all'orario di
ripresa delle lezioni, si ritirò nel dormitorio a leggere.
Aveva preso alcuni
volumi in prestito dalla biblioteca, tutti libri sulla storia di Hogwarts. Il nome
di Serpeverde sembrava essere tabù, se non fosse stato per il titolo di
fondatore della scuola che gli si doveva. Tom era certo che era molto vicino a
scoprire qualcosa di importante; a sedici anni possedeva articolate nozioni di
magia nera che aveva rubacchiato qua e la dai libri, proprio perché questa
branca della magia lo affascinava da impazzire. Sentiva di esserne
particolarmente portato. Il suo interesse per queste cose era nato giusto un
anno addietro, durante una lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Il
professor Silente, quel grande mago il cui potere era paragonabile solamente
alla sua forza di volontà, aveva attirato l'attenzione di Tom parlando proprio
dei rettilofoni; Salazar Serpeverde lo era, e a quanto ne sapeva lui, solamente
pochissimi eletti possedevano quel dono. Che ci fosse un qualche collegamento
fra lui e il mitico mago?
Ripensava a questo,
mentre rileggeva per la decima volta lo stesso rigo, cercando di concentrarsi. I
ragazzi del primo anno facevano un inferno nella sala comune, e non gli
permettevano di studiare in santa pace.
- Fate silenzio!
Insomma!-, tuonò una voce, che Tom riconobbe essere di Freya Ingreed, il terzo
cacciatore della sua squadra. Finalmente qualcuno che potesse dargli
spiegazioni dell'allenamento saltato!
Si recò alla sala
comune per incontrarla.
- Oh, Tom! Dagliela
tu una bella sgridata a questi bambocci, non stanno un attimo zitti!
Bastò la presenza del
prefetto a incutere timore nei ragazzi che si inseguivano per la sala, ed
ognuno tornò ai propri libri.
- Freya, dimmi...
dov'eravate tutti, dopo pranzo? Sono andato al campo, e non c'era nessuno.
- Ma... avevo detto a
Terry di dirtelo! Quasi metà squadra era impegnata con i troppi compiti, e così...
Tom si rese conto che
non aveva più incontrato Terry perché non era nemmeno andato a pranzo, quindi
non poteva saperlo.
Il pomeriggio, poi,
si rivelò piatto e grigio.
A cena, Tom mangiò
con particolare appetito un po' di tutto quello che c'era sulla lunghissima
tavolata della sua casa. Notò ancora una volta Nagini fra i Grifondoro, ed
evitò per pochissimo il suo sguardo.
Tornò poi
immediatamente a studiare nella sala comune. Solamente a notte inoltrata chiuse
tutti i libri ed uscì nel corridoio, per il giro di ispezione che toccava a
tutti i prefetti; doveva assicurarsi che nessuno gironzolasse per la scuola
oltre la mezzanotte.
Era così misteriosa
Hogwarts, illuminata dalla luna. I raggi argentati producevano ombre
inquietanti attraversando le vetrate dei corridoi, e i versi delle civette
risuonavano con echi sinistri fuori, nella foresta proibita. Non era ancora
riuscito a sgattaiolare fuori per andare a dare un'occhiata di notte.
Passeggiare
lentamente per i freddi corridoi lo rilassava; si sentiva avvolto dalla potenza
magica dei secoli, ne respirava l'odore, si sentiva parte di tutto questo. E
pensava in continuazione al fatto che secoli prima, anche Serpeverde aveva
camminato per quei corridoi. Il ricordo del grande mago gli portava alla mente
la sua innata facoltà. Era una cosa di cui andava fierissimo, perché lo faceva
sentire in qualche modo vicino al grande Salazar. Sarebbe diventato come lui,
un giorno. E non avrebbe avuto nemici.
- 'sera, Riddle.
- 'sera, Phoenix.
Il prefetto dei
Tassorosso, un ragazzone alto almeno due metri, lo trattenne un po' a parlare,
poi tornò al suo giro di ronda. Erano le due passate quando tornò a letto.