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Autore: Marmati72    28/09/2016    11 recensioni
Anna è una normalissima ragazza italiana con la sua vita e i suoi interessi.
Un giorno, mentre si trova a Parigi con il suo fidanzato, ha una furiosa litigata e, sconvolta, scappa dall’albergo di corsa.
Camminando senza meta per le vie della città si trova in una zona stranamente buia, silenziosa fin tanto che non vede una carrozza in fiamme e la folla inferocita che le corre incontro.
Cosa le sta succedendo? Chi è quella gente?
Senza saperlo Anna si trova vittima di un salto temporale che le farà conoscere l’amore, una meravigliosa e affascinante donna/soldato e lo scopo del suo viaggio singolare.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Marron Glacé, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte! Prima di cominciare vi rubo soltanto qualche secondo per dirvi che:
1) Mi dispiace per il ritardo di una settimana ma, ero veramente indietro con la stesura di questo ultimo capitolo.
2) Chiedo anticipatamente scusa per eventuali errori “tecnici” legati alle spiegazioni di carattere medico. Non sono un dottore e mi sono affidata all’intuito. Ovviamente so che, quanto ho scritto, difficilmente capita nella vita reale ma questo è un racconto e, in quanto tale, mi sono permessa una piccola “licenza letteraria”.
Detto questo, vi auguro una buona lettura e…ci sentiamo dopo!

 
CAPITOLO 23 – RITORNO


Parigi, 14 luglio 2016

Non era una gran giornata quella. Il cielo era piuttosto nuvoloso e, il caldo afoso di mezza estate, aveva temporaneamente lasciato spazio ad un vento leggero.
Erano quasi le due del pomeriggio (1) e, finalmente, Place de la Bastille era sgombra.
Le forze dell’ordine stavano lentamente spostando le transenne che limitavano gli spazi in cui il pubblico poteva assistere alla parata militare.
Anna aveva raggiunto il centro della piazza e, ora, era ferma davanti alla Colonna di Luglio.
Ma i suoi occhi non erano rivolti alla colonna bensì a ciò che stava oltre, o meglio, ciò che non stava oltre, a ciò che adesso non c’era più.
I suoi occhi, orientati a sud-ovest, stavano osservando la fortezza della Bastiglia.
La vedeva chiaramente nonostante non ci fosse.
Sapeva esattamente dove era collocata, anche senza l’aiuto dei segni che, unici testimoni superstiti, ancora oggi, mostravano al mondo la corretta posizione di una delle prigioni più famose della storia.
Era passato esattamente un anno.
L’anno più faticoso della sua vita. Un anno in cui aveva dovuto ricominciare da capo, imparare nuovamente a fare tutto.
Con la mente tornò indietro a quel 14 luglio del 2015 anche se, per lei, restava il 14 luglio 1789.

********

Aveva gli occhi chiusi e stava bene così.
Era coricata, distesa, questo lo percepiva, ma null’altro di più.
All’improvviso la luce che colpiva le palpebre si fece più intensa e un calore diffuso la investì sulla guancia destra.
Che bella sensazione….
Era da tempo che non avvertiva un calore simile. Era come quando andava al mare e, succedeva spesso, si addormentava al sole. Dopo un po' i raggi di luce iniziavano a farsi sentire e, allora, capiva che era giunto il momento di svegliarsi per non prendersi una fastidiosa insolazione.
Anche questa volta era così?
No, no, non era fastidioso farsi accarezzare da quella calda luce, era piacevole. Quasi quasi sarebbe rimasta così ancora un po', solo qualche altro minuto.
…….
Ecco, adesso però era ora di aprire gli occhi.
Che fatica, come era possibile? Le palpebre erano pesantissime, non ne volevano sapere di sollevarsi.
Lottò contro sé stessa, contro quella forza opposta che le impediva un’azione semplicissima.
Le riuscì di aprire gli occhi ma, per raggiungere l’obiettivo prefissato, cioè quello di tenerli aperti, dovette riprovare più volte.
Quando finalmente ce la fece, la vista era appannata e le sembrava che intorno a lei tutto girasse come una giostra.
Cercò di osservare meglio ciò che le stava intorno.
Una grande finestra, dalla quale entravano i caldi raggi del sole, si trovava alla sua destra.
Si trovava in una stanza dunque. E lei era coricata in un letto.
Ma allora non era vero che stava per morire! Era salva, la pallottola che l’aveva colpita non era stata così pericolosa.
E adesso? Ovvio, adesso si trovava certamente nell’infermeria della caserma.
Che sollievo! Era proprio felice, tra poco, sicuramente, sarebbe apparsa Madamigella Oscar e allora….oh che bello!
Si sarebbero potute parlare per bene, a quattr’occhi e, nonostante in fondo l’avesse già fatto, avrebbe ripetuto ben volentieri quel discorso. Questa volta in condizioni decisamente meno problematiche.
Si girò dalla parte opposta della finestra per fissare la porta d’ingresso della stanza e aspettare che, da un momento all’altro, venisse aperta.
La vista, nel frattempo, era migliorata e, adesso, riusciva abbastanza bene a mettere a fuoco ciò che vedeva.
Ma….ma… che razza di porta era quella? Piccola, certamente bassa, con un battente soltanto, liscia, senza modanature.
E…la maniglia? Dritta, cilindrica, di un intenso colore nero lucido.
Sembrava una porta moderna, di quelle anonime porte che si incontrano negli uffici pubblici, nelle scuole, negli ospedali.
Ospedali?
I suoi occhi, increduli, spaziarono ad osservare meglio la camera in cui si trovava.
Ommioddio…ma … ma quella era una stanza completamente moderna!
Gli infissi, bianchi, lineari, sicuramente non di legno, il soffitto, anch’esso bianco, con i tipici pannelli di cartongesso e le luci, due asettiche plafoniere al neon.
Per non parlare del letto. Materiale plastico, forme arrotondate, spondine mobili, gancio per aggrapparsi e potersi sollevare.
Anna si osservò le braccia che, a differenza del resto, erano le uniche parti del corpo, a parte la testa ovviamente, non coperte da lenzuola.
Sull’avambraccio sinistro spiccava, evidentissimo, un ago infilato più o meno a metà di esso a cui era collegato un tubicino trasparente che, a sua volta, terminava, nella parte opposta, in un flacone rovesciato e appeso ad un gancio.
Il flacone di una flebo, dunque.
Dall’altra parte, alla mano destra, precisamente al dito medio, era applicata una di quelle mollette di cui, sinceramente, non conosceva il nome specifico, e, delle quali, ignorava anche lo scopo del suo utilizzo.
A lato del letto, ma non riusciva a vedere bene, una serie di macchinari che, ad un ascolto attento, producevano una serie di piccoli bip ad intermittenza.
Il respiro si fece più agitato, il cuore iniziò a battere un po' più velocemente del solito.
Piano, piano, nella sua mente, iniziò a farsi strada la considerazione di essere tornata a casa, nel futuro.
Come era potuto succedere? Un’ora prima, due, o forse addirittura un giorno o più, si trovava ai piedi della Bastiglia, colpita dal proiettile di un fucile, in lotta tra la vita e la morte, distesa sul selciato di un vicolo.
E adesso era viva e vegeta in una stanza d’ospedale. Nel XXI secolo.
Chiuse gli occhi e li riaprì più volte. Non cambiava niente.
Allora era proprio vero, era realmente tornata nel suo tempo.
Così come non si era mai data una spiegazione certa del suo viaggio di andata, men che meno, adesso, riusciva a spiegarsi il viaggio di ritorno.
Sospirò.
Una girandola di pensieri, contrastanti tra loro, occupavano fervidamente la sua testa.
Era felice di essere viva ma, avvertiva in fondo al cuore, un’inspiegabile nostalgia.
Non faticava a capire l’origine di tale sentimento. Il 1789 le mancava già. Era solo da qualche minuto che si era svegliata, ed aveva realizzato di essere “rientrata” nel suo tempo, e già voleva tornare indietro.
Eppure, se fosse ancora là, come sarebbe stata la sua vita?
Forse Oscar l’avrebbe ripresa a lavorare in casa sua, o forse avrebbe ripreso il suo lavoro in quella sartoria, chissà.
In ogni caso, e questa era la triste realtà, sarebbe stata sola.
Irrimediabilmente, inequivocabilmente.
Nella sua mente si riaffacciarono prepotenti le immagini di Alain.
Il suo sorriso, le sue mani grandi, i suoi modi di fare.
Tutti gli avvenimenti successivi alla sua morte, per un giorno, avevano preso il sopravvento e le avevano permesso di accantonare il dolore della perdita.
Ma adesso, che tutto era finito, che tutto era passato, il nodo alla gola si faceva più forte.
Chiuse nuovamente gli occhi mentre un paio di lacrime facevano capolino tra le ciglia.
Un rumore secco e deciso interruppe i suoi pensieri.
Istintivamente si girò verso l’origine di tale rumore e i suoi occhi raggiunsero la porta d’ingresso.
Un’infermiera robusta, la cui divisa bianca segnava nettamente le forme generose, entrò di gran velocità nella stanza, seguita da due dottori. Tutti avevano l’aria di essere piuttosto agitati.
Senza rivolgerle alcuna parola, si precipitarono subito verso di lei, tastandole il polso, osservandole gli occhi e, contemporaneamente, trafficando sui macchinari lì a fianco, parlottando tra loro usando termini tecnici che lei non capiva.
All’improvviso le venne da ridere. Dopo mesi e mesi che i suoi occhi si posavano su eleganti giacche colorate e impreziosite da ricami dalle fogge più svariate, vedere quelle persone in camice bianco era, per lei, uno spettacolo di una sciatteria unica.
Che strani scherzi fa lo scorrere del tempo.
Dopo qualche minuto, uno dei dottori uscì dalla stanza senza un apparente motivo.
L’altro, finalmente, le rivolse la parola.
“Anna, mi sente e mi vede bene?” e intanto le teneva stretta una mano nella sua.
Lei tentò di rispondere ma, stranamente, la voce le non usciva così chiara come avrebbe voluto, sembrava più un borbottio confuso.
Allora fece cenno di sì con la testa e ricambiò la stretta alla mano.
“Bene, bene – fu la risposta rassicurante del medico – è una bella cosa vederla sveglia dopo tanto tempo. Ed è altrettanto bello sapere che lei ha riacquistato le funzioni visive e uditive.
Il percorso verso una riabilitazione completa sarà ancora lungo e, ancora, dobbiamo accertarci che lei abbia recuperato anche tutte le altre funzioni. Ma, sembra che siamo sulla strada giusta”.
Anna non capiva il perché di quelle parole, cosa le era successo veramente? Il medico aveva detto che si era svegliata dopo tanto tempo. Ma quanto tempo? A lei sembrava di aver dormito al massimo per un giorno.
Con molta fatica chiese al dottore delle spiegazioni che, quest’ultimo, fortunatamente, le fornì volentieri.
“Anna, lei ha avuto un incidente esattamente una decina di mesi fa. Un incidente grave che ha avuto conseguenze ancora più gravi”.
Anna guardava il medico con aria sempre più interrogativa.
Un incidente. Dieci mesi fa.
Fece un veloce calcolo mentale col risultato di arrivare al mese di settembre, quando era stata vittima del salto temporale.
L’uomo proseguì.
“Lei si trovava a Parigi, se lo ricorda?”
Un cenno di assenso col capo confermò le parole dell’uomo.
“Ok, mentre stava passeggiando per la città, c’è stata una forte esplosione. In un appartamento al piano rialzato, vicino a dove si trovava lei, c’è stata una fuga di gas. Lo spostamento d’aria, provocato dallo scoppio, l’ha colpita in pieno. Lei è stata scaraventata ad almeno cinque, sei metri di distanza e….”
Ma il medico non fece in tempo a finire la frase che la porta si spalancò rumorosamente.
Anna si girò da quella parte e vide sua madre.
La donna, che evidentemente era reduce da una corsa, aveva il respiro affannato. Si fermò un’istante all’ingresso della stanza a fissarla come si guardano i fantasmi, con gli occhi sbarrati e fissi.
Poi, in un secondo, Anna se la trovò vicina, con le lacrime agli occhi, e una mano che, quasi con timore, si allungava verso di lei per toccarla, forse per rendersi veramente conto della sua presenza.
La sua mamma. La persona che, più di ogni altra, le era mancata in quella sua avventura; la donna alla quale avrebbe voluto rivolgersi nei suoi momenti di sconforto, e ce n’erano stati parecchi, in quei mesi, lontano da casa.
Sembrava invecchiata. I capelli, che di solito teneva curati, freschi di piega e di tinta, ora erano un po' spettinati e, qualche filo grigio si faceva strada tra le ciocche castane.
Il medico che, poco prima, era seduto accanto ad Anna si alzò e, tossicchiando per attirare l’attenzione, annunciò che si sarebbe ritirato e che avrebbe proseguito più tardi il suo discorso interrotto poc’anzi.
Madre e figlia rimasero in silenzio, ognuna persa nei propri pensieri e considerazioni, troppo emozionate per proferire parola.
La mano della donna si fece strada e accarezzò la guancia di Anna in un gesto di tenerezza che, come solo le mamme sanno fare, trasmetteva protezione e sicurezza, gioia e serenità, pace e amore.
“Come stai tesoro?” le riuscì appena di pronunciare quasi in un sussurro.
La bocca era ancora un po’ impastata ma Anna riuscì a rispondere che stava bene e, per meglio rassicurare la donna, raggiunse, con la propria mano, quella di sua madre sulla propria guancia.
“Oh, tesoro, siamo stati così in pensiero in questi mesi. Io e tuo padre non ti abbiamo mai lasciata sola, sai. Ci siamo sempre dati il cambio. E poi è venuta la zia Sandra e lo zio Armando e sono venute anche tutte le tue amiche. Sapessi come erano dispiaciute. E’ venuta a trovarti persino la tua vecchia professoressa di italiano, te la ricordi? Che cara che è stata, è rimasta quasi tutto il pomeriggio, era quasi Natale. Mi ha detto che ti ha letto qualche passo di uno dei tuoi libri preferiti e…”
Era proprio tornata a casa, pensò Anna, con la sua mamma che, come sempre, quando aveva l’animo tranquillo e rilassato, iniziava a parlare senza sosta.
Le faceva piacere ascoltare di nuovo quella voce che, era ormai certa, temeva di non ascoltare più. Anche se troppe volte, in passato, le aveva rimproverato di essere troppo loquace, adesso non l’avrebbe interrotta per nulla al mondo.
Solo che c’erano tante cose che non quadravano. Il dottore non aveva finito di spiegarle i fatti accaduti e, tutto quello che sua madre le stava dicendo le procurava parecchia confusione.
Doveva chiedere spiegazioni, doveva saperne di più.
Gentilmente, cercando di non essere troppo sgarbata, interruppe sua madre, che ancora continuava a parlare di non si sapeva più cosa, domandando la vera ragione di tutte queste visite.
“Mamma, scusa, ma cosa mi è successo veramente?”
“Oh tesoro, non te l’ha detto il dottore?”
“Bhe….non proprio..”
“Oh…..mi spiace, ho parlato mezz’ora e non ti ho spiegato la cosa più importante”
Poi, dopo una piccola pausa.
“Cara, quando eri a Parigi, lo scorso settembre, è successo un incidente, un’esplosione, dovuta ad una fuga di gas. Tu ti trovavi proprio lì, lo scoppio ti ha fatta cadere e hai picchiato la testa.
Oh, è stato terribile, ho creduto di morire quando mi hanno confermato che eri stata coinvolta anche tu. Comunque, tesoro, il fatto è che sei entrata in coma e…..oh mamma mia, se ci penso mi viene ancora da piangere…”
In poco meno di un’ora Anna venne a conoscenza dell’incredibile storia che aveva vissuto. Dopo aver picchiato la testa, era stata soccorsa dal personale medico francese, intervenuto a seguito dell’incidente e, immediatamente trasportata all’ospedale più vicino.
Lì i medici le avevano prestato le prime cure. Purtroppo aveva perso conoscenza ed era subentrato il coma.
Dopo alcune settimane, l’avevano fatta rientrare in Italia e, da allora, si trovava in quella stanza di ospedale al Niguarda di Milano.
Anna era semplicemente sbalordita.
Per tutto quel tempo lei non si era mai mossa da lì, dal XXI secolo. Era rimasta inchiodata in un letto d’ospedale, in coma.
Non riusciva a crederci, non era vero. Lei, per tutti quei mesi, aveva vissuto, aveva camminato, mangiato, parlato, per nessuna ragione al mondo era rimasta immobile in un letto, no!
Si sentiva agitata e nervosa. Avrebbe voluto gridare a tutti che quello che dicevano non era assolutamente vero, che lei aveva viaggiato nel tempo che la sua vita era andata avanti semplicemente in un altro luogo, in un’altra dimensione.
Ma chi le avrebbe creduto?
Paradossalmente, tutti i timori che, svegliandosi nel XVIII secolo, aveva avuto nei confronti delle persone che le stavano intorno e che, non avvezze a cose simili, temeva la potessero scambiare per pazza, ora ricadevano, in egual misura, sulla gente della sua epoca!
Era proprio in un bel pasticcio.
Aveva taciuto allora, avrebbe dovuto tacere adesso.
Di fronte a casi del genere la gente non cambia e, seppur con modalità diverse, reagisce istintivamente rifiutando, negando e respingendo i fatti.
Adesso la sua vita, che era tornata sui binari giusti, inevitabilmente doveva proseguire, andare avanti.
Non sarebbe stato facile, i dieci mesi trascorsi nel 700 l’avevano cambiata e anche profondamente.
Ma poi, era stata veramente nel XVIII secolo? O aveva sognato tutto?
Il dubbio iniziò a farsi strada in lei come quelle odiose piante infestanti che rovinano e deturpano i giardini. E, più si prova ad estirparle, più loro riguadagnano terreno e ricrescono ancora più rigogliose.
Eppure lei non aveva sognato, ne era certa. Il suo sogno non poteva comprendere tutti quegli avvenimenti di cui lei era stata partecipe. Erano troppi, e troppo dettagliati.

I giorni che seguirono furono talmente pieni di impegni ed occupazioni che Anna dovette per forza accantonare quei pensieri. Il personale medico aveva in serbo per lei esami medici, sedute dal fisioterapista e dalla logopedista, insomma, tutto quanto necessario per recuperare appieno le sue funzioni e ricominciare una vita normale.
Per Anna, però, fu una ulteriore delusione dover accettare il fatto che il suo corpo aveva veramente bisogno di tutti quegli esercizi.
Questa sua lacuna fisica dimostrava inesorabilmente che lei era stata per davvero inchiodata in un letto per tutti quei mesi e non invece in Francia ad aspettare, e vivere in prima persona, gli eventi della Rivoluzione.
Tutto quello che ricordava era quindi soltanto il frutto della sua mente? Il suo cervello aveva, seppur artificialmente, prodotto quelle situazioni in maniera talmente reale da essere convinta di averle vissute in prima persona?
Anna ebbe modo di parlarne con la psicologa la quale confermò che, questa sua “esperienza” era assolutamente possibile.
La mente umana, le spiegò la dottoressa, ha delle potenzialità che ancora non conosciamo del tutto e, in una fase così intensa di sonno profondo, potrebbe costruire dei “sogni lucidi” che si riescono a controllare e pilotare come vogliamo.
Era molto triste doverlo ammettere ma, evidentemente, era così.
A malincuore Anna iniziò ad accantonare questa sua incredibile avventura, o almeno, ci provò perché era difficile dimenticare persone come Oscar, André e anche Alain….

********

In un giorno d’autunno, mentre stava aspettando il fisioterapista per la consueta seduta settimanale, Anna si avvicinò ai vetri della palestra.
Il cielo grigio non prometteva niente di buono, senza dubbio quelle nuvole avrebbero portato pioggia e, infatti, dopo circa dieci minuti un lieve ticchettio sui vetri annunciò l’inizio di un acquazzone che aveva tutte le carte in regola per trasformarsi in un vero e proprio diluvio.
Era affascinante osservare la pioggia. Ad Anna sembrava che, grazie ad essa, tutte le preoccupazioni, i dubbi e le cose tristi potessero essere spazzate via come i segni di sporco dalle automobili.
Aveva terribilmente bisogno di dimenticare, non poteva continuare a perdersi fissando lo sguardo in un punto lontano ed indefinito. La sua vita doveva andare avanti.
Era stata fortunata, straordinariamente fortunata ad uscire da una situazione del genere. Non tutti riemergono indenni dal coma.
Lei ce l’aveva fatta ed ora, ora aveva bisogno di riprendere in mano la sua vita.
Sarebbe tornata a vivere a casa dei suoi genitori.
Non aveva più motivo di stare a Milano.
Il suo lavoro l’aveva perso e, il suo fidanzato, l’aveva lasciato lei.
A dire il vero Alessandro, all’indomani del suo incidente, non si era nemmeno premurato di cercarla e di, eventualmente, raggiungerla in ospedale.
Le forze dell’ordine avevano saputo delle generalità di Anna solo grazie ai suoi genitori che, preoccupati dalla notizia dell’esplosione, avevano cercato di contattarla direttamente presso l’hotel.
Solo in quel modo erano venuti a conoscenza che Alessandro, non solo non si era minimamente preoccupato per lei ma, addirittura, il giorno dopo aveva fatto i bagagli ed era rientrato in Italia.
Da allora non si era più fatto vivo.
Il padre di Anna sarebbe andato volentieri a scovarlo anche in capo al mondo, se fosse stato necessario per dargli una bella lezione.
Per fortuna sua madre l’aveva fatto desistere da quel proposito pericoloso. Sì perché, di fronte a cose del genere, suo padre non avrebbe saputo trattenersi da usare anche le mani per rendere più efficace quanto aveva da dirgli.
La pioggia continuava a cadere senza sosta e Anna, ancora in attesa, se ne stava lì ferma, con la fronte appoggiata al vetro.
Automaticamente, come tutte le volte in cui la sua mente vagava tra mille pensieri, le sue mani raggiunsero il collo e cercarono di afferrare la catenina che teneva lì appesa.
Era un gesto automatico, le dita afferravano il ciondolo e lo facevano scorrere, avanti e indietro, in un dondolio lento o veloce a seconda del suo stato d’animo.
Ma, quel giorno, le dita di Anna non trovarono alcun ciondolo.
La mano, allora, si aprì e, con il palmo appoggiato alla base del collo, si mise a cercare meglio.
Niente, la catenina era sparita. Come era potuto accadere? Non la toglieva mai, nemmeno per dormire. Era da una vita che la indossava, le era stata regalata per il suo diciottesimo compleanno.
Ad Anna, per poco, non prese un colpo. Ma certo!
La catenina non c’era perché l’aveva regalata a Madamigella Oscar poco prima di andarsene dal 1789, ecco che fine aveva fatto.
Ma allora, aveva veramente viaggiato nel tempo! E quella ne poteva essere la prova inconfutabile.
Una strana eccitazione si impossessò di lei. Come un fiume in piena, la sua mente si caricò di mille progetti.
E poco importava se, la gente intorno a lei, avrebbe continuato a sostenere la versione del sogno. Lei era più che certa che ciò che aveva vissuto era reale e, adesso, niente e nessuno le avrebbe potuto far cambiare idea.
Purtroppo, come dice il proverbio, l’uomo propone e Dio dispone.
Anna era ancora troppo debole per affrontare con l’energia giusta i suoi programmi e, siccome non aveva la benché minima intenzione di abbandonarli, decise di accantonarli e dedicarsi al recupero totale della sua persona.
Adesso aveva una ragione di più per affrontare ancora diversi mesi di riabilitazione.

********

Una folata di vento, più fredda del dovuto, riportò la mente di Anna al presente.
Aveva freddo e strinse di più la sciarpa azzurra che portava intorno al collo.
Era da circa un mese che si trovava a Parigi ed era giunto il momento di tornare a casa.
Con quanto entusiasmo era scesa da quel treno ai primi di giugno.
Ricordava bene di aver preso subito la metropolitana e raggiunto il piccolo appartamentino preso in affitto nel X arrondissement, in una traversa di Rue Lafayette.
Era domenica, quel giorno e, l’indomani, avrebbe iniziato di prima mattina le sue ricerche.
La sua tabella di marcia prevedeva visite a diverse biblioteche e soprattutto appuntamenti presso l’Archivio Nazionale.
Il suo scopo era quello di trovare le tracce dell’esistenza di Madamigella Oscar.
La scoperta della mancanza della catenina aveva innescato in Anna la decisa volontà di provare che il suo viaggio singolare era avvenuto veramente. Quale modo migliore poteva esserci che non quello di avere delle prove documentate?
Di queste sue intenzioni,  Anna, aveva reso partecipe la madre. Era inutile tenersi tutto dentro e, ne era certa, la sua cara mamma avrebbe compreso.
Benché l’ipotesi più certa, per la donna, fosse quella di aver semplicemente smarrito la catenina durante l’esplosione, Anna trovò in lei un appoggio e un incoraggiamento che mai, prima d’allora, sua madre aveva manifestato nei suoi confronti.
Così si mise subito al lavoro.
Purtroppo però, in Italia, era quasi impossibile ottenere dei risultati concreti. Era stata all’Archivio di Stato di Torino a visionare le carte di epoca francese ma esse riguardavano soltanto gli anni a partire dal 1799 e trattavano solo attività avvenute in Piemonte.
L’unica possibilità rimaneva dunque quella di andare in Francia.
E così aveva fatto.
Si era data tempo un mese, dopodiché avrebbe lasciato perdere tutto e avrebbe accettato in via definitiva la versione del sogno e la perdita fortuita della catenina.
I suoi lavori di ricerca erano stati lunghi e complessi.
Benché la burocrazia fosse abbastanza snella, non era facile per lei, straniera, avere libero accesso alla documentazione storica.
Era stata sia presso l’Hotel de Soubise che presso l’Hotel de Rohan che ospitavano, rispettivamente, tutti i carteggi dell’epoca della Rivoluzione Francese e tutti quelli precedenti ad essa.
Aveva dedicato a questa ricerca quasi tutto il tempo che aveva a disposizione. Per intere settimane si era alzata presto la mattina e, animata dal più grande entusiasmo, aveva affrontato ore e ore di letture di atti notarili, certificati di matrimonio e battesimo, dispacci militari ma anche atti processuali e addirittura sentenze di morte.
Niente di niente. Il nome di Oscar François de Jarjayes non era saltato fuori da nessun documento.
Il tempo stava per scadere, anzi, si era presa una settimana di più rispetto a quanto stabilito.
Ma era stato del tutto inutile. Ciò che, fino all’ultimo, aveva sperato fosse vero con tutte le sue forze, si annunciava come la più triste delle sconfitte.
Con immensa delusione, Anna aveva trascorso gli ultimi giorni del suo soggiorno francese chiusa in casa.
Tutte le bellezze che la Ville Lumière mostrava orgogliosa al mondo intero, in quei momenti, non incontravano la sua curiosità e il suo interesse.
Le valigie erano già pronte, il biglietto del treno, in partenza per il giorno successivo, già in bella vista sulla mensola d’ingresso.
Anna si concesse solo una visita in Place de la Bastille.
Per l’ultima volta avrebbe respirato l’aria parigina in quel luogo che, per lei, rappresentava l’inizio e la fine del suo viaggio.

Era ancora lì, nel centro della piazza, appoggiata alla cancellata che proteggeva la base della Colonna di Luglio.
Davanti a lei la “sua” Bastiglia la stava osservando con quella sua aria imponente e maestosa.
Percepiva ancora chiaramente tutto il fumo e il rumore di quel giorno.
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Non poteva farci niente e non voleva nemmeno cercare di fermarle.
Avrebbe lasciato che il pianto calmasse il suo cuore gonfio di delusione. Che portasse via quel pesante macigno che era l’umiliazione di dover accettare, come sogno, quei dieci mesi di vita che, invece, sapeva essere stati concreti.
Il rumore fastidioso dei clacson e la sirena di un’ambulanza lontana la riportarono al presente.
Un’ultima occhiata in quella direzione, la mano che saliva agli occhi e li asciugava poi, dopo un lungo sospiro, si girò di scatto per andarsene.
Quel brusco voltarsi impedì ad Anna di vedere e, quindi, scartare, l’uomo che camminava dietro di lei.
Lo scontro le fece perdere l’equilibrio e sarebbe caduta di schiena se l’uomo, prontamente, non l’afferrò per la vita.
Quando si riprese dallo scontro, alzò gli occhi verso quel gentiluomo e, per la seconda volta nella sua vita, il suo cuore perse un battito.
Un paio di meravigliosi occhi verdi, incorniciati da una massa ribelle di capelli corvini, la stavano guardando con un sorriso gentile.
Ad Anna le riuscì di pronunciare solo una parola prima di svenire per la troppa emozione.
“…..André….”

*******

Quando riaprì gli occhi, Anna si trovava in una grande stanza riccamente decorata e arredata.
Era stata adagiata su di una chaise longue, la cui linea era in perfetta armonia con l’arredo circostante che era tipicamente settecentesco.
Davanti a lei un imponente caminetto in marmo rosa occupava gran parte della parete.
Sopra di esso, oltre ad un enorme specchio, spiccava un antico orologio da tavolo finemente intarsiato, ai cui lati facevano altrettanta bella mostra di sé due splendide anfore della stessa linea dell’orologio.
Alla vista di tutte quelle suppellettili d’epoca ad Anna le venne il batticuore.
Non era possibile….era per caso ritornata indietro nel tempo?
Un altro incredibile scherzo del destino?
Era svenuta, se lo ricordava bene, e si ricordava altrettanto bene di aver visto, per un attimo, gli occhi verdi di André.
Poi più nulla fino al risveglio in quella stanza.
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, come a voler recuperare le forze che sembravano esserle mancate.
Si stava ancora interrogando sulla sua situazione quando, da fuori la finestra, venne raggiunta dall’assordante rumore di una sirena d’ambulanza.
Un segno inequivocabile che, per questa volta, non aveva compiuto nessun viaggio temporale.
Era ancora sdraiata sulla chaise longue quando dalla porta entrò una donna.
A giudicare dall’abbigliamento, un vestito azzurro con sopra un grembiule bianco, doveva essere una domestica.
La donna portava con sé un vassoio con sopra un bicchiere e una brocca d’acqua.
Posò il vassoio sul tavolino davanti al caminetto e, con garbata deferenza, le rivolse la parola.
“Mademoiselle, vi sentite meglio? La signora mi ha pregato di portarvi dell’acqua. Se gradite qualcos’altro dovete solo chiedere.”
Anna rispose con un sorriso gentile. “Sto meglio grazie. Ma, vorrei sapere cosa mi è successo.”
“Certo Mademoiselle – rispose la cameriera – Monsieur Philippe vi dirà tutto quanto necessario. Lo avviso subito. Con permesso” e uscì dalla stanza.
Passarono alcuni minuti. Anna si mise a sedere e bevve qualche sorsata d’acqua. Si chiedeva come mai prima di perdere i sensi avesse visto André.
L’unica spiegazione possibile la portava a credere che fosse tutto frutto del particolare momento che stava vivendo.
Durante quelle settimane di ricerca era stato normale pensare, non solo ad Oscar, ma anche ad André e Marie e soprattutto ad Alain.
Probabilmente, la consapevolezza di dover relegare queste persone care nella scatola dei ricordi, senza poter dare a nessuna di loro una collocazione storica reale, aveva provocato in lei una specie di allucinazione.
Allucinazione che però, quando vide aprirsi nuovamente la porta, si stava ripetendo.
Per poco non le andò di traverso l’acqua che stava bevendo.
L’uomo che era appena entrato da quella porta, lo stesso con cui si era scontrata in Place de la Bastille, era, senza ombra di dubbio André.
Stessi occhi verdi, stessi capelli neri, stessa corporatura alta e snella.
Anna lo stava fissando a bocca aperta. Non aveva fatto alcun salto nel passato eppure André era lì, davanti a lei.
Anche lui, d’altro canto, la stava osservando divertito con un sorrisetto ironico dipinto in viso.
Quando lei si rese conto di suscitare, nell’uomo che aveva di fronte, una reazione divertita, dovuta sicuramente alla sua mimica facciale, avvampò come una scolaretta rimproverata dalla maestra.
Fu lui a rompere il ghiaccio avvicinandosi e sedendosi su una delle bergères che si trovavano a lato del camino.
“Mademoiselle, a quanto pare siete letteralmente caduta ai miei piedi. Non mi era mai successo di suscitare una tale reazione nelle donne che incontro”
“Ehm, dovete scusarmi – rispose Anna imbarazzata – ma devo avervi scambiato per un’altra persona che non vedo da tanto tempo. Sapete, voi gli assomigliate tantissimo. Siete praticamente identico”.
“E, per caso, si chiama André questa persona? Avete pronunciato quel nome poco prima di svenire.”
Anna fece cenno di sì con la testa.
“Capisco – fece lui – io invece sono Philippe. Philippe Grandier. E voi?”
Cosa? Che nome aveva pronunciato?
“Come avete detto che vi chiamate? Non ho capito…”
“Philippe Grandier. E voi invece siete….?”
“Avete detto proprio Grandier? Siete sicuro?”
Lui la stava guardando con una faccia tra lo stupito e il divertito.
“Bhè, …direi di sì, è il cognome della mia famiglia. Perché siete così interessata al mio cognome?”
Anna si rese conto, solo in quel momento, di aver appena fatto una pessima figura. Solo che, udire quel nome l’aveva mandata completamente nel pallone. Poteva però essere solo una coincidenza, dopotutto non aveva molta dimestichezza con la popolarità dei cognomi francesi.
Decise di tentare il tutto per tutto. Se intere settimane di ricerca non avevano portato alcun risultato utile, forse, una semplice conversazione con un parigino qualunque, avrebbe potuto offrirle tutte le risposte che cercava così avidamente.
“Oh bhè….ecco….io…. io sono un’appassionata di storia francese e…ah, a proposito – si interruppe e allungò la mano destra – io sono Anna, Anna Rossi (2). Sono italiana”.
“Piacere Anna. – rispose Philippe stringendole calorosamente la mano – Siete la prima ragazza italiana che conosco. Sono contento, mi piace molto il vostro Paese, … ma stavate dicendo…”
“Ah, certo. Dicevo che io amo molto la storia francese, soprattutto il periodo della Rivoluzione. Sono qua in Francia per delle ricerche e…. – cercando di dissimulare meglio che poteva la piccola bugia – durante le mie “letture” mi sono imbattuta alcune volte nel cognome Grandier. Tutto qua, mi ha incuriosito”.
“Che coincidenza! – sorrise Philippe – La mia famiglia affonda le sue origini proprio durante quel particolare periodo storico. Sapete, vi confesserò una cosa, io tutti gli anni, il 14 di luglio, mi reco in Place de la Bastille. Sto un po' di tempo lì, a pensare. Io non conosco bene la storia della mia famiglia, la vera esperta è mia nonna, ma c’è qualcosa che mi spinge ad andarci. Sapere che qualche mio antenato, in quel giorno fatidico, era in quella piazza a combattere per una causa così importante, mi riempie d’orgoglio. E’ per questo motivo che mi avete trovato lì.”
Anna stentava a credere alle parole di questo ragazzo conosciuto per puro caso. Le sembrava di assistere alla ricomposizione di un puzzle andato parzialmente distrutto. Ogni pezzettino che le capitava in mano si incastrava perfettamente vicino agli altri.
Aveva quasi timore a continuare quell’operazione. Assistere al completamento dell’opera andava al di là delle sue più rosee previsioni.
Tutto il tempo trascorso, dopo il suo ritorno a casa, aveva contribuito ad affievolire il suo entusiasmo, le sue ricerche deludenti l’avevano convinta a voltare pagina e invece, ancora una volta, quel suo strano destino, le aveva fatto un’incredibile, e inaspettata, sorpresa.
“Allora, se me ne darete l’opportunità, mi piacerebbe sapere la storia della vostra famiglia. Ho in mente di scrivere una storia ambientata in quegli anni. Il vostro potrebbe essere un ottimo aiuto.”
Non aveva idea di come le era venuto in mente di dire una cosa del genere. Una storia? Lei, dopo l’università, non aveva mai scritto niente di più lungo che non fosse la lista della spesa.
Però, mentre pronunciava quelle parole, si faceva strada in lei l’eventualità che scrivere una storia sulla Rivoluzione Francese, la sua storia, non sarebbe poi stato così malvagio.
“Sarebbe una bella idea! – disse Philippe con entusiasmo – In questo caso bisogna proprio che vi porti a conoscere mia nonna. Lei può fornirle moltissimi aneddoti e ricordi. E, cara Anna, ci possiamo dare del tu?”
Anna sorrise felice.
Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, questa volta solo virtualmente, come quando, dopo l’iniziale periodo di sgomento, si apprestava a vivere la sua nuova avventura del XVIII secolo.
“Ma certo Philippe! Mi piacerebbe proprio tanto conoscere questa tua nonna.”
Non stava più nella pelle. Aveva una prenotazione sul treno in partenza per il giorno dopo, l’affitto dell’appartamento scaduto e una voglia matta di parlare con questa donna grazie alla quale avrebbe potuto avere tutte le risposte alle sue domande.
Doveva assolutamente conciliare tutte queste cose.
Fortunatamente Philippe le propose di andare dalla nonna il giorno stesso. In Francia era festa e lui era libero dal lavoro anche se, per un lavoro come il suo, non esistevano giorni di festa.
Philippe, infatti, prestava servizio, col grado di Capitano, nel corpo di Polizia Nazionale Francese.
Per questa sua scelta era stato aspramente criticato dal padre, medico chirurgo, che ne voleva fare il suo erede in campo lavorativo. Ma a lui era sempre piaciuto il lavoro di poliziotto, fin da bambino, quando, con i suoi amichetti, giocava sempre a guardie e ladri.
Era un mestiere pericoloso, certo, ma lui amava il rischio e poi, sempre tornando alla storia della sua famiglia, gli sembrava di ricordare che già qualche suo avo avesse prestato servizio come soldato.
Stavano quasi per uscire di casa, un lussuoso appartamento all’ultimo piano di un bellissimo palazzo d’epoca in rue St. Antoine, quando, da una delle numerose stanze che si affacciavano lungo il corridoio, ne uscì una donna.
Era una signora alta, vestita con un abito di taglio semplice ma di buona fattura, capelli lunghi castani acconciati in un elegante chignon. Portava stretto al petto un libro e un paio di occhiali.
“Ciao mamma – la salutò Philippe sorridendo e alzando la mano – noi usciamo! Andiamo a casa della nonna Ernestine.”
“Va bene, caro. Ma…non mi presenti questa ragazza? – chiese lei inarcando le sopracciglia in un muto, ma leggero, rimprovero – Claudette mi ha detto che l’hai portata qui svenuta. Come sta adesso?” e, spostandosi di lato, cercò Anna con lo sguardo.
“Oh, sì, scusa. Lei è Anna. E’ italiana. Adesso sta meglio, decisamente. E’ sicuramente svenuta perché, appena mi ha visto, non ha retto a tanta bellezza!” si schernì lui con un largo sorriso.
Entrambi risero a quella battuta. Poi, la madre di Philippe, si rivolse direttamente ad Anna.
“Non date ascolto a ciò che dice mio figlio. Non ha una così sfacciata considerazione di sé. Mi sta solo prendendo in giro perché io gli dico sempre che lui mi è venuto particolarmente bene.”
In effetti Philippe era decisamente bello. Ma questo Anna lo aveva già notato. Era identico ad André, né più né meno. Soltanto i capelli, più corti (3), lasciavano il volto completamente visibile.
“Comunque, Anna, io sono Louise, la mamma di Philippe. Piacere di conoscervi” disse porgendo alla ragazza la propria mano.
“Piacere mio signora. Mi spiace recare tutto questo disturbo. Vostro figlio è stato un vero cavaliere a soccorrermi. Probabilmente ero particolarmente stanca, per questo motivo sono svenuta”.
La conversazione tra le due donne stava proseguendo nei toni amichevoli di quelle persone che si incontrano per la prima volta, quando, con un gesto del tutto naturale, la signora Louise spostò il libro che teneva al petto e, per cambiare posizione, lo portò lungo i fianchi.
Proprio in quel momento si rese visibile il piccolo monile che ella portava al collo. Una catena a maglie medie, in argento o oro bianco, che legava a sé un ciondolo anch’esso dello stesso materiale.
Era impossibile non notarlo dal momento che la sua lucentezza risaltava alquanto sul colore azzurro intenso del vestito.
Quel gioiello attirò l’attenzione di Anna che, ancora una volta, visualizzò un altro piccolo pezzo del puzzle andare al suo posto.
I suoi occhi si chiusero a fessura e catturarono l’oggetto. 
Non era possibile.
La catena era cambiata, più grossa e più lunga, ma il ciondolo sembrava lo stesso. La forma a cuore, la lettera A incisa sul davanti….
Le mani di Anna iniziarono impercettibilmente a tremare. Non seppe capire come le uscirono le parole di bocca, tanta era l’agitazione.
“Che bel ciondolo che avete Madame.  Assomiglia molto a un altro che avevo io ma che, purtroppo, è andato perduto”.
La donna lo prese tra le dita e iniziò a giocarci.
“E’ un ciondolo di famiglia. Credo che sia antichissimo. Mia suocera mi ha raccontato che risale addirittura al XVIII secolo. C’è anche una sorta di leggenda legata a questo oggetto. Sembrerebbe che la lettera A, incisa qui sopra, sia l’iniziale del nome della persona che, con le sue gesta, ha dato origine alla nostra famiglia. La catenina originale non c’è più, questa è recente. Possiamo definirlo una tradizione di famiglia. Viene tramandato alle spose dei figli primogeniti. Io, infatti, lo dovrò donare a Françoise, la fidanzata di Philippe. Sempre che si decidano a sposarsi”.
Le parole della signora Louise causarono in Anna un lieve capogiro. Quel ciondolo poteva essere la prova tangibile che il suo viaggio nel tempo non era frutto della sua fantasia, ma doveva esserne certa.
“Posso vederlo più da vicino? Non ho mai visto un gioiello antico, se non dentro una teca di vetro in qualche museo”.
La signora Louise, molto gentilmente, si staccò la catenina e la porse ad Anna.
Nel momento esatto in cui ebbe in mano quell’oggetto uno strano senso di vertigine si impossessò di lei. Esaminò il ciondolo attentamente. Era il suo, senza ombra di dubbio.
La lettera A, l’iniziale del suo nome, la sua data di nascita, venti novembre e, sul retro, il suo pulcino. Il disegno che aveva fatto da piccola e che suo zio, orafo, aveva sapientemente riprodotto sul retro di quel cuore. Era stata sua mamma a volere quell’incisione. Le era sempre piaciuto quel disegno che, seppur privo di proporzioni, rappresentava uno dei primi ricordi della scuola materna.
Il tempo trascorso aveva indubbiamente segnato il ciondolo che, pur rimanendo sempre lucido, aveva i contorni leggermente graffiati e non perfettamente lisci e uniformi come se li ricordava lei.
Le veniva da piangere.
Finalmente il suo viaggio aveva avuto termine, dopo un anno e mezzo di navigazione o, paradossalmente dopo duecento-ventisette anni.
Adesso Anna era certa che Oscar e André ce l’avevano fatta. Avevano coronato il loro sogno. Si erano sposati e avevano avuto dei figli.
E lei, non si sa come, ma sospettava in un aiuto dall’alto, era riuscita a trovare i loro discendenti.
La famiglia Grandier.
Adesso era immensamente curiosa di conoscere di più sulla loro storia. La visita alla nonna di Philippe diventava ancora più gradita.

********

L’auto di Philippe correva veloce sulle strade di Parigi. Il traffico era pressoché assente. Il ponte del 14 luglio aveva svuotato la città.
Ad Anna faceva uno strano effetto osservare una perfetta “fotocopia” di André in versione moderna.
Ogni tanto gli lanciava qualche occhiata. Era un bell’uomo anche vestito in camicia e jeans.
Mentre raggiungevano la casa della nonna, chiacchieravano amichevolmente come se si conoscessero da molto più tempo di quelle due ore che avevano passato insieme.
Tante cose aveva in comune Philippe con André. Entrambi militari, amavano una donna che faceva il loro stesso mestiere.
Françoise, infatti era sotto-tenente del Corpo di Polizia di Stato.
Si erano conosciuti in caserma un paio d’anni prima e si erano innamorati.
Non era stato facile, per loro, conciliare amore e lavoro, soprattutto all’inizio della loro relazione.
Ma si volevano bene e questo era ciò che contava di più.
Ancora un anno e si sarebbero sposati.
Da marito e moglie sarebbero andati a vivere proprio nella grande casa in cui abitava la nonna.
In quel periodo ne stavano curando la ristrutturazione.
Il palazzo era estremamente grande. Avevano perciò deciso di ricavarne un appartamento tutto per loro nell’ala ovest.
L’altra ala del Palazzo era stata affittata allo studio di architettura di un caro amico di Philippe, un certo Thierry che, per seguire meglio i lavori di ristrutturazione, in quel periodo, si era trasferito momentaneamente lì.
Quando imboccarono il viale d’ingresso del palazzo, Anna, con grande emozione, poté rivedere il maestoso Palazzo Jarjayes che era stata la sua casa per nove mesi.
La facciata esterna era rimasta pressoché uguale.
Intorno al palazzo però, non c’erano più i grandi alberi che lei ricordava, solo un grande prato all’inglese disseminato, qua e là di enormi siepi di rose bianche.
Anche l’interno non era più lo stesso. Il grande atrio d’ingresso era completamente sgombro e, il bellissimo lampadario dorato, che ne dominava il soffitto, era sparito, rimpiazzato da più moderne e anonime lampade da parete.
Solo l’enorme scalone che portava al piano nobile era pressoché uguale.
Philippe accompagnò Anna al piano superiore. Mentre percorrevano il lungo corridoio, il ragazzo aprì diverse porte e, affacciatosi dentro le stanze, chiamava la nonna.
Le sue ricerche si rivelarono vane, la donna non si trovava in casa, evidentemente.
“Scusa Anna, credo che la nonna sia in giardino. Vado a cercarla. Intanto ti accompagno nel salone così starai più comoda”.
A quelle parole, Anna si voltò indietro e, fatti pochi passi, aprì con sicurezza una grossa porta in legno laccato bianco alla sua destra.
Si rese conto troppo tardi di aver dimostrato un’eccessiva padronanza della casa aprendo così velocemente quella porta.
Si fermò sulla soglia e si girò verso Philippe. Anche lui era fermo in mezzo al corridoio e la stava guardando perplesso.
“La porta mi sembrava più grande delle altre – cercò di giustificarsi Anna – sono stata fortunata…”.
L’incidente sembrò ampiamente superato e Philippe la invitò ad entrare e ad attenderlo mettendosi comoda. Lui sarebbe andato a cercare la nonna.
Anche il grande salone aveva subìto delle modifiche negli arredi. Per fortuna però lo stile era rimasto immutato e, i nuovi mobili, restavano fedeli alla stessa foggia di allora.
C’erano sempre le grandi vetrate che si affacciavano sul giardino e gli stessi caminetti in marmo bianco di Carrara ad ornare le pareti.
Anna si diresse immediatamente verso uno di quei caminetti. I suoi occhi si posarono sul grande quadro che vi stava appeso sopra.
Finalmente lo poteva ammirare nella sua interezza.
L’ultima volta che lo aveva visto, infatti, non era completo e, un grosso telo lo nascondeva parzialmente.
Oscar a cavallo era semplicemente bellissima. Era meraviglioso poterla ammirare di nuovo e poter vedere i suoi occhi così fieri e indomiti. Chissà, si stava chiedendo Anna, se la sua vita era stata bella come quel quadro. Chissà se era stata felice accanto ad André. Lei se lo augurava dal profondo del cuore perché Oscar era una donna speciale e, alle persone speciali, la vita deve sorridere sempre.

Gli occhi di Anna erano ancora posati sul quel dipinto e la sua mente ancora assorta in mille pensieri quando la porta del salone venne spalancata in malo modo provocando un rumore secco e brusco.
Lei si voltò immediatamente in direzione del rumore.
Sulla soglia, estremamente impegnato a reggere tra le braccia diversi fogli arrotolati piuttosto voluminosi, stava entrando un uomo.
“Ho rivisto bene gli ultimi disegni Philippe – stava dicendo senza guardare davanti a sé – e ho pensato di fare alcune modifiche al progetto. Vorrei che tu le visionassi con me e….”
Le sue parole rimasero a mezz’aria nel momento esatto in cui sollevò la testa e si accorse di non parlare con Philippe.
I due rimasero fermi nelle loro posizioni scrutandosi l’un l’altro senza parlare.
Anna stava guardando un uomo piuttosto alto, ben piantato, capelli neri, corti. Indossava una giacca morbida sotto la quale spuntava una camicia bianca in parte lasciata fuori dai pantaloni.
Una sigaretta accesa penzolava pigramente tre le labbra e, dal taschino della giacca spuntava un vivace fazzoletto rosso.
Aveva un’aria vagamente ironica dipinta sul volto.
Entrambi si sorrisero come se quell’incontro se lo aspettassero da una vita.
“Ciao”
“Ciao”
“Io sono Anna, una conoscente di Philippe”
“Io sono Thierry, architetto e, da questo momento, ex grande amico di Philippe”
Lei aggrottò le sopracciglia divertita.
“E perché ex amico?” chiese.
“Perché Philippe dovrebbe parlarmi più spesso delle sue conoscenti….”
In quel momento Anna pensò che quel treno per l’Italia sarebbe dovuto partire senza di lei.

 

F I N E


(1) Scusate ma non ho idea dell’ora in cui la parata delle Forze Armate passa in Place de la Bastille. Ho ipotizzato che per le due sia tutto finito. Spero di non essermi sbagliata. Se così fosse chiedo scusa e aspetto delucidazioni.
(2) Ho scelto il cognome più banale d’Italia.
(3) Capisco che un poliziotto, normalmente, porta i capelli cortissimi ma, in questo caso, mi sono presa il permesso di lasciarli un po’ più lunghi.

 

-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-

 

Ciao a tutte!
Ebbene sì, sono arrivata alla fine di questa meravigliosa avventura.
E’ veramente difficile, per me, esprimere ciò che è stato scrivere e pubblicare questo mio primo racconto.
Vorrei urlare di gioia ma, siccome le urla sulla carta (o sul monitor) non si sentono, mi affiderò alle parole scritte.
Anch’io, come Anna, non avevo mai scritto, dopo gli studi, niente di più lungo della lista della spesa (forse quella degli invitati al mio matrimonio ma non erano in tanti nemmeno in quell’occasione). Riuscire, quindi, a realizzare un’intera storia come questa mi riempie d’orgoglio.

Spero di aver scritto una storia originale che non sia risultata troppo noiosa o banale.
Sono pienamente consapevole che ci possono essere stati degli errori tecnici e strutturali; invoco le attenuanti della “prima volta”.
Desidero, adesso, ringraziare tutte voi, carissime lettrici, che, per tutti questi mesi mi avete seguita e sostenuta con le vostre recensioni.
Non voglio tralasciare nessuna perché tutte, proprio tutte, siete state preziose.
Voi che mi avete voluto lasciare un commento e voi che avete soltanto letto in silenzio.
Aurora2009, Beatrice79, Cecile Balandier (immensamente grazie per lo splendido ritratto della mia Anna, mi hai fatto un dono splendido), Krys (che, come me, ha un debole per un certo Harry), Lenovo2015 (con la quale è nato un meraviglioso rapporto di amicizia che va oltre EFP), Lucy71 (“vicina di casa” che ho avuto il piacere di conoscere personalmente e che ha una splendida famiglia), Madame Anna (che ha avuto subito fiducia in me e che le sa tutte!!!!), mgrandier (un onore essere letta e recensita da una grande penna di EFP), Monica68 (“vicinissima di casa” con la quale abbiamo in comune un certo luogo ….), Orny81, Raffa18 (di cui adoro l’entusiasmo), Roby70, Sissi_a (la mia ipercritica recensitrice dal valore doppio), Tetide (poche parole ma sempre ben dette. Mi devi dire se hai indovinato il destino di Anna…) e Titta.
Infine, devo ringraziare una persona speciale, senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile.
Oscar François de Jarjayes.

So che Oscar è un personaggio inventato ma, nel mio cuore lei, quel 14 luglio 1789, davanti a quella fortezza, c’era veramente.
Se mai tornerò a Parigi, ho promesso a me stessa di lasciare in Place de la Bastille una rosa bianca. Potrà sembrare una cosa stramba ma lo farò.
Ancora grazie a tutte. Fra un po' inizierò a scrivere una nuova storia (non vi libererete tanto facilmente di me….eheheheh), nel frattempo continuerò a recensire i bellissimi racconti di questa sezione.
Con immenso affetto.
Mara

 

 

   
 
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