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Autore: Ortensia_    30/09/2016    3 recensioni
[ IN SOSPESO ]
Kageyama Tobio, vent'anni appena compiuti, una retta universitaria da pagare e una madre isterica di cui prendersi cura. La sua monotona esistenza subisce uno scossone dal momento in cui incontra un ragazzino dai capelli arancioni che sostiene di essere uno shinigami.
Inizialmente rifiuta di credergli, ma essendo lui stesso un essere soprannaturale comincia a pensare che possa esserci un fondo di verità nella sua confessione.
Quel che Kageyama non sa è che gli esseri come lui sono molti altri e che anche loro riceveranno presto visite dal regno dei morti.
[ Superheroes!AU; coppie e accenni all'interno; fonti di ispirazione: Marvel!Universe; Death Note; Psycho-Pass (non è necessario essere fan della Marvel o consocere gli anime citati per seguire la fanfiction) ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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WONDERWALL


I


Auguri di buon compleanno dal regno dei morti




2 2   d i c e m b r e   2 0 1 6

S h i b a t a   p r e f e t t u r a   d i   M i y a g i



    Quella mattina aveva creduto che sua madre fosse morta. Se n'era convinto davvero, Tobio, quando, una volta uscito dalla propria camera, aveva trovato il resto della casa al buio, una pila di piatti sporchi nel lavello della cucina e il tubetto degli antidepressivi sul tavolo. Dopotutto era sempre sua madre la prima ad alzarsi, si svegliava molto presto per lustrare casa da cima a fondo.

    Era rimasto per almeno un paio di minuti in cucina, a fissare il tubetto bianco degli antidepressivi e a chiedersi quale fosse la scelta più saggia da prendere, poi – in realtà senza pensarci troppo – aveva fatto dietrofront ed era entrato in punta di piedi nella camera di sua madre.

    Aveva scorto le forme esili sotto le lenzuola chiare, illuminate a intervalli orizzontali dalla luce arancione dell'alba che filtrava attraverso le veneziane semiabbassate. Inizialmente non era riuscito a cogliere alcun fiato, così, fermo sulla soglia, si era sentito stringere il cuore e si era detto: “Ci siamo: mia madre è morta. Si è lasciata andare, o forse sono stati gli antidepressivi”, ma poi aveva scorto un leggero movimento e aveva tratto un sospiro di sollievo. Non riusciva proprio ad accettare l'idea che sua madre potesse fare la fine di una drogata, morire di una morte squallida come quella da overdose di farmaci.

    Se poco più di un anno prima gli avessero chiesto di ipotizzare la morte di sua madre avrebbe risposto che se ne sarebbe andata in tarda età, con il sorriso sulle labbra e senza rimpianti, perché per una donna premurosa e forte come lei non avrebbe mai potuto immaginare conclusione differente, tuttavia quella prospettiva era cambiata drasticamente con la morte di suo padre.

    Sua madre si era lasciata schiacciare dal dolore, si era licenziata dal suo incarico di segretaria presso uno dei migliori studi legali di tutto il Giappone e si era chiusa in un mondo di scope, detersivi e aspirapolvere a cui lui non poteva accedere.

    La madre che gli preparava la colazione intonando melodie sconosciute non esisteva più, adesso era solo uno scheletro vivo che consumava convulsamente antidepressivi, spugne e detergenti e che non aveva altri interessi all'infuori degli specchi lucidi o degli abiti stirati e ben stipati negli armadi. Instaurare un dialogo con lei era diventato praticamente impossibile.

    Tobio chiuse gli occhi, appoggiando il mento sulle mani congiunte, i gomiti saldi sul banco. Schiuse appena le labbra e sospirò piano, per poi risollevare le palpebre e osservare la lavagna, il sunto di una lezione che non gli interessava minimamente.

    Abbassò lo sguardo sul quaderno, soffermandosi sull'unica scritta che alterava la superficie immacolata della carta: era il suo compleanno. Il suo ventesimo compleanno e il secondo come orfano di padre.

    Ciò che lo avviliva di più era che sarebbe stata una giornata come tutte le altre: cinque noiosissime ore di lezione all'università, un pranzo sciatto, un pomeriggio chiuso in camera a occupare il tempo con un assortimento di attività improvvisate che ovviamente non avrebbero incluso lo studio e sei ore di servizio serale al pub, distante appena dieci minuti a piedi da casa sua. Non aveva amici che potessero festeggiarlo e con ogni probabilità sua madre non sapeva neppure che fosse il ventidue dicembre. O forse lo sapeva, ma tale data — come ogni altra da un anno a quella parte — non le comunicava più nulla.

    Quando risollevò lo sguardo molti degli studenti stavano già abbandonando i posti e il professore era intento a cancellare i segni del pennarello sulla lavagna bianca, lentamente e meticolosamente.

    Tobio sfiatò dalle narici, chiuse il quaderno e lo infilò con disattenzione nel borsone, dunque si alzò, recuperò il piumino appeso all'attaccapanni e uscì dall'aula senza guardare in faccia nessuno.

    Scese le scale della facoltà destreggiandosi fra borsone e piumino, riuscendo a indossarlo appena prima di raggiungere l'uscita: faceva anche più freddo di quando, alle sette del mattino, si era incamminato verso l'università. A giudicare dal cielo bianco non era da escludere la possibilità di una nevicata.

    Mentre schioccava la lingua contro il palato in segno di disappunto verso quel clima troppo umido, Kageyama riprese a camminare, lo sguardo basso, le spalle e la schiena leggermente ricurve e il borsone malamente imbracciato.

    Sotto il cielo bianco le costruzioni squadrate di Shibata — alti palazzi grigi alternati ad abitazioni basse di colore chiaro, verdi o di mattoni marroni — apparivano ancora più tristi del solito. Le strade erano vuote, ma oltre i perimetri dei parcheggi segnati da alte reti metalliche, auto di ogni genere e colore si affiancavano, per non parlare delle lunghe file di bici che, a intervalli irregolari, si trovavano allineate ai bordi dei marciapiedi.

    Tobio lasciò scivolare entrambe le mani nelle tasche del piumino, guardandosi intorno con circospezione, poi, dopo qualche istante di esitazione, estrasse una sigaretta.

    Non avrebbe dovuto fumare mentre camminava per strada, rischiava una multa salata, ma d'altro canto lo aveva già fatto e sapeva che in quel lasso di tempo le volanti della polizia si palesavano solo per le emergenze, per altro segnalando immediatamente la loro presenza tramite le sirene spiegate.

    Aveva comprato quel pacchetto di Winston Blue da dieci pezzi due settimane dopo la morte di suo padre, ripromettendosi che le sigarette al suo interno le avrebbe fumate solo nelle occasioni speciali e in effetti quella che si stava portando alla bocca in quel momento era soltanto la quinta nell'arco dell'anno.

    La sera doveva lavorare fino a tardi per ovviare alla falla economica creata dal licenziamento di sua madre, perché dopotutto i risparmi dei suoi genitori non erano poi molti e la retta universitaria comportava una spesa piuttosto sostanziosa, perciò aveva deciso di concedersi solo un pacchetto di sigarette all'anno. Le aveva rese un vero e proprio lusso, guardandosi bene dal consumarne tre o quattro al giorno come la maggior parte della popolazione.

    Non era sicuro che quel giorno potesse considerarsi speciale, ma ne aveva consumate meno del previsto e in quel momento sentiva di averne davvero bisogno. Il suo compleanno sembrava il miglior pretesto per giustificare una necessità che in cuor suo detestava – dopotutto non voleva che, come per sua madre, il suo umore e il suo benessere dipendessero da qualcosa di nocivo.

    Si guardò di nuovo intorno, poi strinse la sigaretta fra le labbra, soffiando appena. La sigaretta si accese pochi secondi dopo, senza che vi fosse bisogno di un accendino.

    Fumò a piccole boccate, perché quel momento potesse durare il più possibile, perché in quei cinque minuti potesse trovare nella nicotina una consolazione che la realtà oltre quella temporanea bolla di vapore non gli avrebbe mai concesso. Il fumo alleviava facilmente il suo dolore, gli permetteva di dimenticare la sua situazione, ma durava sempre troppo poco.

    Tobio svoltò l'angolo di un negozio di alimentari imboccando una via secondaria che si estendeva fra due caseggiati grigi, allietata a intervalli irregolari da piccoli giardini. Giunto al limitare di un vicolo, quello sempre in ombra ma non troppo lungo che lo separava da casa, spense la sigaretta contro la superficie fredda di un palo della luce e riprese a camminare, il mozzicone stretto nella mano destra.

    Dopo aver compiuto una decina di passi, Kageyama rallentò: c'era un silenzio surreale fra le alte mura delle case, una quiete mai manifestatasi prima di allora. Non si udiva un fischio di vento, né il cinguettio degli uccelli, i latrati dei cani, i motori delle auto o le grida entusiaste dei bambini del quartiere. Perfino a l'una di notte, quando tornava da lavoro, c'era più rumore di adesso.

    Assottigliò lo sguardo, continuando ad avanzare: c'era un'ombra proiettata sul muro alla sua destra e lui era ormai prossimo, seguendo l'imprecisa parabola del vicolo, a scoprire a chi appartenesse.

    La sua ombra si sovrappose a quella dell'estraneo, poi la sorpassò.

Kageyama si fermò, trattenendo il respiro. Si sentì stupido per aver immaginato un pericolo reale, oltraggiato da quel ragazzino con i capelli arancioni che, immobile, lo fissava senza battere ciglio.

    Non poteva negare che ritrovarsi i suoi occhi puntati addosso gli desse fastidio; in effetti l'altro lo fissava così intensamente che in un primo momento lo credette intenzionato a domandargli qualcosa, ma il ragazzino non si mosse, come se fosse pietrificato.

    Tobio cercò di passargli accanto, ma ecco che all'improvviso l'altro si spostò sbarrandogli la strada. La scena si ripeté una seconda volta, innervosendo ulteriormente Kageyama, che riuscì a sorpassarlo al terzo tentativo.

    Mentre si allontanava pensò che quel ragazzino doveva avere qualche rotella fuori posto. Non lo aveva mai visto prima di allora, ma non gli importava poi molto.

    «Kageyama Tobio.»

Kageyama si fermò immediatamente. Sentì il sangue gelarsi nelle vene.

    Si voltò lentamente, ritrovandosi di nuovo bersagliato dallo sguardo fermo e insistente del ragazzino.

    «Come sai il mio nome?» chiese a denti stretti, la fronte leggermente aggrottata.

    «So molte cose sul tuo conto.»

    Kageyama restò a fissarlo impietrito e confuso. Forse gli mancava davvero qualche rotella, ma restava comunque l'interrogativo del nome: come lo conosceva? Che quel ragazzo fosse un amico d'infanzia il cui ricordo era stato stipato in qualche angusto spazio dell'inconscio e del quale, di conseguenza, aveva dimenticato nome e aspetto?

    «È meglio se ti togli di torno» Tobio non aveva alcuna intenzione di fare a botte e a dire il vero avrebbe evitato volentieri anche lo scontro verbale, ma in quel momento cercò comunque di apparire più minaccioso possibile.

    «Oggi è il tuo compleanno, vero?» il ragazzo dai capelli arancioni sorrise, mostrando appena i denti. Kageyama, di contro, si sentì nuovamente gelare il sangue nelle vene.

    «O-ohi! Ma tu chi cazzo sei?! Uno stalker?!» sentì di non potersi trattenere ancora, così strepitò contro il ragazzo, arretrando di un paio di passi.

    «Sono una persona di cui puoi fidarti, Kageyama» il ragazzo restò impassibile: continuava a fissarlo e ancora non aveva battuto ciglio. «So quello che sei in grado di fare.»

    Tobio spalancò gli occhi, ritrovandosi a boccheggiare: voleva uscire da quel vicolo il prima possibile, ma allo stesso tempo non poteva negare una sana curiosità nei confronti di quello strano ragazzo, soprattutto dopo le sue ultime parole.

    «Tu mi sei destinato, Kageyama Tobio» il ragazzo tese il braccio destro verso di lui, indicandolo con l'indice.

    Kageyama avrebbe voluto crogiolarsi ancora nell'idea di aver avuto la sfortuna di incontrare un pazzo, ma più l'altro parlava più diventava facile convincersi del contrario: quel ragazzino era perfettamente lucido, sapeva quello che diceva e, a quanto pareva, anche molte cose sul suo conto.

    «Per voi umani sono Hinata Shouyou,» il ragazzo abbassò il braccio, increspando le labbra in un nuovo sorriso «ma nel posto da cui provengo sono uno shinigami


❋ ❋ ❋


    Kageyama gettò il borsone a terra e si stese sul letto, esalando un sospiro nervoso: si era allontanato in fretta dal ragazzo pazzo del vicolo, ma questo lo aveva inseguito blaterando qualcosa sul “regno dei morti”, così non ci aveva pensato due volte a sbattergli la porta in faccia.

    Forse era davvero pazzo. Insomma, come si poteva considerare sano di mente qualcuno che sosteneva di essere uno shinigami venuto da una dimensione parallela?

    Tobio alzò lo sguardo, soffermandosi sulla plafoniera spenta. Solo allora si rese conto di non essersi levato il piumino ed esordì in uno sbuffo esasperato: non aveva intenzione di rimettersi in piedi per toglierlo, lo avrebbe tenuto addosso ancora per un po', tanto faceva freddo anche dentro camera sua.

    Il suo stomaco brontolò vigorosamente, così portò una mano sotto i pettorali, come se la pressione del palmo avesse potuto arrestare le proteste interne del suo organismo.

    Sua madre stava preparando il pranzo e molto presto avrebbe bussato alla porta per esortarlo a uscire dalla stanza. Come previsto sembrava non aver fatto caso al calendario, aveva dimenticato che venti anni prima aveva dato alla luce il suo unico figlio, quello che diceva essere “un bambino speciale in grado di fare cose speciali”. Era stata una brava madre, si era impegnata per non fargli mancare nulla e soprattutto per non farlo sentire diverso, ma ora lo aveva completamente abbandonato a se stesso.

    In un certo senso i ruoli si erano invertiti: lui era l'adulto che faceva il possibile per darle un'esistenza dignitosa e lei la creatura debole, da proteggere e bisognosa della supervisione altrui. Era come se sua madre avesse disimparato tutto quello che aveva appreso in quarantasei anni.

    Tobio si coprì gli occhi con una mano e strinse i denti fintantoché le sue gengive non cominciarono a pulsare: per quanto ancora poteva resistere? C'era una possibilità di uscire da quella situazione? Aveva trascorso un anno in quella condizione, come cristallizzato nel tempo, ma la comparsa di quel ragazzino lo aveva indubbiamente scosso. La sua immagine stava risvegliando in lui la volontà di destare sua madre dall'incubo, strapparla dalle braccia della depressione, il desiderio di fare un altro tentativo senza temere di fallire ancora.

    Forse aveva fatto bene a fumare la quinta sigaretta del pacchetto: in qualche modo sentiva che il ragazzo del vicolo aveva reso il suo compleanno un'occasione davvero speciale, quella giusta per assumere un'insignificante eppure necessaria dose di nicotina.

    «“So quello che sei in grado di fare”, ha detto» Kageyama sussurrò a fior di labbra, scostando la mano dagli occhi e ritornando quindi a osservare la plafoniera spenta.

    Lo sapeva meglio di chiunque altro che non aveva senso pensare a quell'accadimento come qualcosa di surreale. Lui, meno di tutti, aveva il diritto di reputare pazzo un ragazzino che si autoproclamava shinigami.

    Nel mondo che conosceva niente era impossibile: lui stesso ne era un'inconfutabile testimonianza.

    Kageyama sollevò la mano sinistra e divaricò le dita. La osservò mentre la sovrapponeva alla plafoniera, concentrandosi sul forte calore al centro del palmo, poi, quando pensò fosse sufficiente, inarcò leggermente le dita.

    Una scintilla arancione crepitò nel ristretto spazio vuoto creato dalle sue dita, come un caldo raggio di luce fra i rami gelidi dell'inverno.

    Restò a osservare la piccola fiammella che ardeva sospesa a pochi millimetri dal palmo della mano, la testa affondata al centro del cuscino e gli occhi socchiusi, rassicurati da quel tepore luminoso che non poteva ferirlo in alcun modo.

    Tobio era un diverso ed era a conoscenza dell'esistenza di altri esseri come lui già da qualche anno, ecco perché non trovava del tutto assurde le parole che il ragazzino del vicolo gli aveva rivolto, ma cosa poteva volere da lui uno shinigami? Quel ragazzino era forse venuto a prendere sua madre?

    Le dita si ripiegarono sulla fiamma, che si spense immediatamente contro la pelle: sua madre aveva bussato. Il pranzo era pronto.




L'angolino della piantina autoritaria
(You should read this):

Buongiorno a tutti! Oggi sono molto felice perché finalmente riesco a pubblicare il primo capitolo di questo progetto molto insolito per me!
Scrivere le AU mi piace moltissimo perché mi permettono di spaziare con la mente e sviluppare trame molto diverse dall'opera originale (anche se ci tengo a precisare che i riferimenti all'anime/manga non mancheranno).
Ci lavoro da un bel po' di tempo, almeno tre mesi, ma attualmente sono ancora alle prese con il secondo capitolo, che è davvero molto lungo, perciò vi dico subito che pubblicherò un capitolo al mese (precisamente l'ultimo giorno di ogni mese).
Perché il secondo capitolo sia tanto lungo lo spiegherò (con qualche altra anticipazione), in pagina: Neu Preussen FB Page.
Se questo primo capitolo – che ha più che altro una funzione introduttiva – vi ha stuzzicati, vi consiglio di seguirmi su Facebook, visto che in pagina spenderò qualche parola in più su ogni capitolo in uno spazio apposito.
Per me questa fanfiction è un po' una sfida, dopotutto non ho mai scritto long a tema soprannaturale e non ho mai trattato il tema dei super eroi (o anti-eroi, altro argomento di cui parlerò in pagina).
Volevo provare a scrivere di questo argomento pur non essendo una grande fan del genere e credo che la spinta finale me l'abbia data l'ultimo film degli X-Men; quando poi mi è venuto in mente di fondere il genere con Death Note e Psycho-Pass mi sono convinta e ho cominciato a scrivere (ovviamente la storia non è una fotocopia di una delle tre opere citate sopra, ci sono solo degli elementi di richiamo e non è comunque necessario aver visto tutte e tre per capire, visto che nei primi capitoli verrà spiegata ogni cosa).
Come promesso, ora vi elencherò le coppie o gli accenni (intesi non necessariamente come relazioni amorose, ma anche come amicizia molto stretta o rapporti conflittuali) che troverete all'interno della mia long (non sono in ordine di importanza/frequenza).
Coppie: DaiSuga; KuroKen; BokuAka; OiKage; KyoYahaba; HinaYachi; AoMoni; TenSemi; TsukkiYama; TeruHana Accenni: KageHina; IwaOi; AkiteruYamaguchi; OiYahaba, EitaShirabu; UshiOi + eventuali altri che si presenteranno nel corso della storia).
Il prossimo capitolo dovrebbe essere pubblicato il 31 ottobre, ma visto che sarà tempo di Lucca Comics farò un'eccezione e lo pubblicherò il 26, in modo che possiate leggerlo prima della partenza o, magari, mentre siete in viaggio verso Lucca~
Detto questo, fino al 26 ottobre aspettatevi alcuni interventi riguardanti “WW” in pagina!
Un grazie di cuore a tutti coloro che sono arrivati fino a qui e soprattutto a chi sarà così buono da lasciarmi una piccola recensione di incoraggiamento~

EDIT 14/07/2020:
Buongiorno a chi legge nel 2020! Io sono ancora viva e sto cercando di resuscitare questa long ormai abbandonata da tempo.
Metto un edit qui per informarvi che sto revisionando tutti i capitoli fino ad ora pubblicati, correggendo qualcosina e soprattutto aggiustando l'HTML per rendere la lettura più "leggera", trattandosi di capitoli molto lunghi!
Per il resto mi farò sentire nell'angolo autrice del capitolo XII (sperando di pubblicarlo in tempi decenti!)
   
 
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