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Autore: RoronoaLilly    30/09/2016    2 recensioni
Una cavia umana che la rivoluzione ha deciso di liberare.
In un mondo con personaggi che conosciamo, con le loro paure e il loro passato, le gioie, i dolori. Personaggi che incontreranno questa cavia umana e le insegneranno a vivere ciò che il mare ha da offrire ai suoi figli.
Mia prima fanfiction contenente personaggi di mia inventiva.
Note a fine capitolo
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Aokiji, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 

Una persona normale non si ricorda mai il momento in cui è nata. 
I primi pianti, le mani calde o fredde che siano, pronte ad asciugare tue lacrime.
Le prime scoperte e parole, che annunciano al mondo che sei lì, presente in ogni tua forma, principe o schiavo. 
Nessuno le ricorda, e chi le ricorda per te c'è stato fin dall'inizio della tua vita. 
Ma io, in quanto cavia o esperimento, so di non aver mai avuto la possibilità di fare tutto questo. 
Lo chiamavo "centro di ricerca", dove mi trovavo e così lo chiamavano anche quelli che, come me, avevano avuto il brutto destino di trovarsi in una cella umida e fredda. Altre cavie, o esperimenti. 
Non ricordo esattamente quando e come arrivai in quel posto o chi mi ci avesse portato. 
Dal principio, però, ero sicura di una cosa: era l'inferno.
Non distinguevi il giorno dalla notte, la pioggia dalla neve, un marchio di fuoco sulla pelle da una frusta.
Il corpo pian piano si abituava, a dimenticare chi eri, come ti chiamavi e cosa ti circondava.
Nel mio caso non conoscevo nulla e pian piano divenni insensibile a qualsiasi cosa. L'unica cosa a cui prestavo attenzione erano le varie storie a cui qualcuno piaceva raccontare ad alta voce, in mezzo ai vari brusii e sospiri, prima che le loro esperienze venissero dimenticate dopo varie torture psicologiche.
Perché, come se no bastassero pugni e calci per testare nuove qualità fisiche, gli 'scienziati' si divertivano a giocare anche sulla mente umana.
Non mi intendevo, e non lo faccio tuttora, di psiche e lavaggi mentali, ma sapevo ti iniettavano vari liquidi nel cervello, sperando ogni giorno che qualche cavia si trasformasse, dopo tanti tentativi, in una macchina umana da guerra. 
La maggior parte degli esperimenti morivano ancora prima di finire la terapia, altri invece sopravvivevano e veniva loro marchiato un codice di riconoscimento in una parte del corpo e lavati da una doccia fredda di qualche disinfettante. 
Quando arrivò il mio turno speravo, in cuor mio, di poter morire. 
Ma non avvenne. Non ricordi mai i particolari sotto effetto dell'anestesia. Senti voci sì, ma confuse. 
L'unica cosa che mi ricordo, fu quella di varie voci fredde e distanti, per poi sentire un calore strano, mai provato in vita mia. Quando aprì gli occhi capì. Era il calore di un abbraccio. Guardai in alto e un sorriso sdentato mi si parò davanti. 
Ora, potete prendermi per stupida, ma la trovai la cosa più bella mai vista dentro quell'inferno di torture e solitudine. Nessuno mi aveva mai sorriso. 
Forse un paio di 'esperimenti' nuovi, che erano li per la prima volta, ma subito dopo il sorriso diventava una smorfia di paura e solitudine. 
Afferrai le guance rugose che ancora pendevano verso l'alto e sorrisi sinceramente per la prima volta. 
"Cosa stai facendo? Cos'è successo alla tua faccia?" Chiesi al vecchio che mi teneva ancora tra le sue braccia esili e stanche.
Continuava a sorridermi Jiichan, così si voleva far chiamare dopo, e cominciò a spiegarmi cosa fosse un sorriso, perché si sorrideva e com'era finito in quel posto buio e puzzolente, come diceva lui. 
E con il passare del tempo, quel gracile e piccolo nonnino, divenne il mio occhio che scrutava al di là delle mura che ci circondavano, di ogni mare e di ogni persona. 
Aveva uno strano modo di raccontare le cose. Se gli altri 'esperimenti' si perdevano in discorsi inutili durante le loro narrazioni, Jiichan non perdeva mai il discorso. Ne cominciava uno e lo finiva, indipendentemente da quanto ci mettesse. Fu un amico, un padre e un ottima distrazione per ogni mio male.
Fu lui ad insegnarmi come leggere e contare. 
Con la lettura, usava i codici di ogni prigioniero, ognuno con codici diversi. Scriveva l'alfabeto, parole e frasi sul pavimento terroso e mi insegnava a leggerle e capire il significato di ognuna. Per contare lui usava le dita, io invece contavo ogni ruga che aveva sul viso. Lo faceva sempre ridere, e quindi continuavo a farlo. 
Un giorno, particolarmente tranquillo, continuava a fissare il mio braccio, dove avevano marchiato il codice di riconoscimento.
Aprì la bocca e pronunciò un nome: "Lioji". 
Lo guardai accigliata. 
"Chi è Lioji?" Gli chiesi. 
Lui sorrise. 
"Ti piace come nome?" Mi chiese lui a sua volta. Al mio annuire, lo vidi appoggiare le spalle al muro e rilassarsi.
"Questo é il tuo nome, da ora in poi"
Mi resi conto che, oltre a non aver mai vissuto veramente una vita normale, non avevo nemmeno mai avuto un nome. 
Guardai il braccio e notai il piccolo gioco che aveva fatto per tirar fuori quel nome. Aveva sostituito semplicemente i numeri con le vocali 'i' e 'o'. 
Sbuffai. Non era originale, non suonava nemmeno bene in un certo senso. Poi, però, mi ritrovai a sorridere. 
Poteva anche essere preso da uno stupido codice e privo di significato, ma era il mio nome. 
Lioji.

Ma la vita aveva qualcos'altro in mente per me. Mi sveglia nel mio piccolo angolo di cella, come ogni giorno e notte, e mi trovai a tapparmi le orecchie nel disperato tentativo di tornar a dormire. 
Un trambusto stava rimbombando per l'intera sala così mi costrinsi ad aprire gli occhi. Jiichan era attaccato alle sbarre, che puntava gli occhi verso un gruppo di persone che urlava e sbraitava. Alcune erano anche armate. Altre invece, nella confusione, volavano via come foglie al vento, spinte da una forza maggiore di loro. Era uno spettacolo quasi divertente.
Sentivo urlare qualcosa come 'Chiavi' e 'liberate gli schiavi!' ma erano talmente tante le urla, che non si capiva bene chi piangeva e chi urlava, solo per il gusto di far scaldare le corde vocali. 
Poi lo vidi: un gruppo di persone mai visto prima, con vestiti completamente diversi da quelli a cui ero abituata di solito.
Erano armati, tutti con il volto coperto da un mantello lungo e nero. E mentre un gruppo lottava contro le guardie, altri tre di loro stavano aprendo ogni cella presente nella stanza. Sentì Jiichan prendermi la mano e stringerla. Davanti a noi c'erano persone che, per la nostra libertà, erano pronti a tutto.
I Rivoluzionari. Ma all'epoca non ricordavo il nome di questo enorme componente del mondo o semplicemente il mal di testa martellante che cominciò a pressare sulle tempie, oscurava ogni ricordo e informazioni nella mia testa.
Quando, non trovando le chiavi di molte celle, si misero a romperle a mani nude, sussultai. Era un chiaro simbolo della libertà che ci veniva offerta e Jiichan non perse tempo.
Mi ritrovai a seguire il vecchio con la mia mano nella sua, il fiato corto e il cuore nelle orecchie, una mano libera sulla tempia.
Sudavo freddo e le voci erano più confuse di qualche momento prima, ma riuscivo a star in piedi e camminare per raggiungere l'uscita di quel posto orrendo. 
Quando raggiungemmo un corridoio illuminato, si potevano sentire gli spari di cannoni fuori di qui e le orecchie avevano cominciato a fischiare. Fu in quel momento che Jiichan si chinò davanti a me prendendomi per le spalle. C'eravamo tutti fermati perché le tre persone che erano riuscite a liberarci, si erano trovate costrette a combattere contro un gruppo di guardie che ci veniva incontro.  Sentì la voce preoccupata del vecchio chiedermi se stavo bene e quella voce familiare mi riscaldò il corpo, che si era fatto rigido e freddo durante la camminata. Annuì distrattamente guardandomi intorno. Eravamo arrivati vicino ad un muro che era crollato, probabilmente per i cannoni, e notai che, di fianco a dove ci trovavamo, si trovava un ponte. Era il delirio. Gente che sparava alla cieca, altri che cercavano di mettersi in contatto con qualcuno dell'alto rango. 
Come un avvertimento, tutti si fermarono quando, improvvisamente, qualcuno urlò da lontano "Respiro del drago!" e il palazzo sotto di noi cominciò a tremare. 
Qualcuno degli incappucciati, così avevo deciso di chiamare i nostri liberatori, urlava maledizioni e chi, come meglio poteva, prendeva sulle spalle un prigioniero, chi ne prendeva due o tre e saltò verso una nave che, momenti prima, non avevo notato e si era messa a qualche metro dal muro. 
Il vecchio mi prese sulla sua spalla a stile sacco, e con mia grande sorpresa, saltò anche lui. Ci ritrovammo sulla nave con gli altri prigionieri e le tre persone incappucciate. Alcuni dei loro compagni risaltavano verso l'edificio, tornando a prendere chi non erano riusciti a caricarsi sulle spalle. L'edificio stava crollando come sabbia e qualcuno urlò in segno di vittoria, sulla nave. Alcuni degli esperimenti si erano messi a piangere. 
Jiichan mi mise in piedi sul ponte della nave e io, invece di soffermarmi sulle persone che mi circondavano, guardai lontano.
Un esplosione di blu, azzurro e bianco si estendeva davanti ai miei occhi. Con una luce che faceva brillare ogni cosa e i colori mescolati perfettamente tra loro, era uno spettacolo che io non avevo mai visto. Cominciai a piangere quando dietro me il vecchio mi mise una mano sulla spalla, dicendomi che, quello davanti a me, era il mare. 

 





Nota autrice:
Primo capitolo = complete~
Pensavo di mettere la storia anche su wattpad, ma per il momento è già tanto che la pubblichi qui xD quindi vedrò di darmi una calmata xD 
È comunque una storia scritta nelle mie ore insonni della notte, quindi non so quanto decente possa venir scritta.
Non abbiate paura di lasciare recensioni, anche negative. 
Ci rimango male, sì, ma poi mi passa, tranquilli :")

RoronoLilly
   
 
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