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Autore: HeyAM    10/10/2016    1 recensioni
Quando lo vide la prima volta, nella sua uniforme, il sangue le si gelò nelle vene. Non era il primo tedesco che vedeva, ma lui era tutta un'altra cosa, quel teschio sul copricapo urlava morte.
Ha dato lui l'ordine lui di uccidere la moglie, vive per l'ideologia di Adolf Hitler, l'uniforme lo ha divorato.
Per lei il rosso è il colore dell'amore, per lui quello del sangue, ma cosa succede se si incontrano?
Dal prologo:
E lui era lì, guardava con sguardo freddo ciò che accadeva attorno a lui, dava l'impressione di essere alto anche se era seduto, le mani erano coperte dai guanti di pelle nera. Gli occhi azzurri dell'uomo la congelarono, sentì una strana sensazione dentro di sé, le cose sarebbero cambiate.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Era da ormai sei mesi in Italia, aveva cambiato quattro diverse località, ma era stato assegnato alla dirigenza di quel piccolo comando in un paesino nella pianura. I tre mesi precedenti erano stati piuttosto tranquilli, qualche diverbio con gli abitanti, ma i partigiani, o banditi, così chiamati dai tedeschi, non avevano disturbato più di tanto.
Non era un buon momento per loro, se all’inizio la guerra aveva volto a loro favore le cose erano poi degenerate, complice l’entrata in guerra degli Stati Uniti e il tradimento degli italiani.
Lo sapeva che ora sarebbe stato difficile vincere la guerra ma non demordeva, lui credeva ancora in una vittoria, era l’unica cosa che poteva fare.
Tornando a Rubiano non poteva lamentarsi della quiete dei mesi precedenti, anche se erano riusciti a scovare pochissimi antifascisti, il tutto era degenerato la notte prima però.
Erano circa le due di notte, era a casa del Sindaco, nella camera che gli era stata assegnata. Stava dormendo, non aveva mai avuto un sonno troppo pesante, ma le sue palpebre erano chiuse. Qualcuno aveva bussato alla porta, in un primo momento pensava si trattasse di qualche abitante della casa ma poi erano seguite delle urla.
“Herr Kommandant.” Signor comandante, solo i suoi uomini lo chiamavano così e con una pronuncia tedesca che solo un madre lingua può avere. Era letteralmente balzato giù dal letto con solo i calzoncini che usava per dormire, aveva recuperato una camicia e aveva cercato, senza successo, di indossarla.
Alla porta c’era uno dei sottufficiali del comando, Hugo Mayer, era quasi del tutto certo che si chiamasse così, poco più di vent’anni, capelli castani chiari e occhi azzurri.
Quando vide l’ufficiale si mise sull’attenti battendo i tacchi, non mancò neanche di alzare il braccio destro teso ed esibirsi nel classico “Heil Hitler”. Lui rispose con un semplice cenno del capo.
“Cosa diamine è successo?” Replicò Schwarzt marziale, se veniva svegliato nel mezzo della notte doveva esserci qualcosa di grande dietro.
“Herr, due dei nostri uomini, non sono rientrati al comando, li hanno trovati appesi ad un albero all’inizio del paese con dei cartelli al collo con scritto Crucco.” Disse l’altro serio e marziale composto davanti a lui. A sentire quelle parole il biondo sentì dentro di sé fermentare la rabbia.
Dopo quella comunicazione era stato portato al comando dai suoi uomini, si era assicurato che i corpi fossero stati tolti da tale sistemazione e si era chiuso nel suo ufficio.
“Voglio giustizia” Aveva dichiarato al suo diretto superiore in una telefonata che aveva fatto quando stava per albeggiare e poteva giurare su quanto di più caro aveva che se la sarebbe presa.
 
 
Da mezz’ora buona ora invece il suo ufficio ospitava la discussione con Ralf Baumann, anche lui ufficiale, era il secondo in comando lì. Baumann aveva qualche anno più di lui, aveva anche una moglie e due figli in Germania.
Baumann non era Schwartz, era una storia lunga quella di Ralf, aveva combattuto prima ad est e poi era stato in Boemia finché non aveva rischiato di rimanerci secco, imboscata mentre erano a bordo di una camionetta, era esplosa una bomba proprio sotto il mezzo, dei quattro uomini che vi erano sopra tre erano morti, l’altro era lui. Così gli aveva raccontato mentre raggiungevano l’Italia.
Baumann era più pacato, non aveva mai mancato nel suo lavoro, ma era la controparte che bilanciava le scelte quasi sempre drastiche del biondo.
“Non possiamo prendere tutta la popolazione e metterla davanti ad una mitragliatrice.” Gli stava dicendo Baumann cercando di farlo ragionare, lui lo aveva guardato con fare serio poi aveva scrollato le spalle. “Perché no?” Aveva chiesto lui sollevando il sopracciglio destro e accennando un sorrisetto, uno di quelli ironici che gli riuscivano così bene.
“Perché non si risolverebbe nulla, diamine! Schwartz non aspettano altro che noi rispondiamo, a loro non importa nulla dei civili, ma se facciamo una cosa del genere avranno un motivo in più per aizzarci contro la popolazione, la stessa che ci dà i viveri per mangiare.” Gli ricordò lui con fare saccente. L’ufficiale era sempre stato convinto che Baumann avesse due grandi difetti: il primo è che in ogni individuo sotto i diciott’anni vedeva il figlio, l’altro era che si comportava con lui come se fosse un fratello maggiore, nonostante sulla carta e anche de facto quello che dava gli ordini era lui.
“E cosa vuole fare lei? Lasciare che questi ci tengano per le palle? Non me ne frega nulla” Aveva detto saltando in piedi dalla sedia e sorpassando prima la scrivania e poi l’altro ufficiale, ancora seduto composto. “Stasera verranno prelevati venti uomini sopra i sedici anni dal paese, diamo precedenza ai prigionieri che abbiamo qui a marcire, li impicchiamo e poi li mettiamo nella piazza.” Aprendo la porta e uscendo dal suo stesso ufficio.
Era sicuro che dietro di lui Baumann avesse scosso il capo sospirando.
 
 
 
 
 In un paese così piccolo ci si conosceva tutti e Elisabetta conosceva tutti quei venti che vennero impiccati e poi appesi al porticato della piazza.
 
Spaghettifresser
 
Mangia spaghetti. Così avevano risposto le SS alla morte dei loro due soldati, non si trattava di un occhio per un occhio, si trattava di dieci italiani per un tedesco. Avevano sentito di questo modo di lavorare dei tedeschi, ma mai nessuno aveva creduto che potessero davvero spingersi a farlo, eppure quei corpi che rimasero a penzoloni nella piazza per due giorni ne erano la testimonianza.
Il parroco aveva più volte chiesto alle forze di occupazione di restituire i feretri alle famiglie, ma questi erano stati inflessibili e solo prima della seconda notte avevano consentito a rendere i venti cadaveri a mogli, madri e figli disperati.
Elisabetta appena vide quell’oscenità fu certa che non se la sarebbe scordata facilmente, tornò a casa di corsa e finché non ebbe la certezza che le povere venti vittime di quella follia avessero avuto una degna sepoltura non osò neanche uscire di casa.
Ma loro dovevano andare avanti e essere grati che la loro famiglia non fosse stata colpita da tale disgrazia, sua madre aveva detto qualcosa del genere quando la giovane italiana si era chiesta il perché di un gesto così estremo.
Non era indifferente alle vittime di quel martirio, rivedeva ancora i loro volti privi di espressione, ma alla fine era andata avanti, anche se alla sera, nel segreto di camera sua, recitava un rosario per quelle povere venti anime che se ne erano andate prima del tempo. D’altronde non era colpa sua se loro erano morti e lei no, era questa la crudeltà della guerra, vedere tutto sgretolarsi e sentirsi impotenti nel non poter fare praticamente nulla.
Con la fine di marzo e il conseguente inizio della primavera il lavoro nei campi era ricominciato a pieno ritmo e ciò includeva anche lei che spesso aiutava il padre soprattutto con le bestie che avevano: due galline, una mucca e una capra. Non era tantissimo ma in un’epoca come quella dove i beni naturali scarseggiavano avevano sempre la certezza di avere qualcosa da mangiare.
A volte invece si dedicava a preparare la marmellata con i mirtilli che crescevano poco distanti dalla loro abitazione, come stava facendo quel pomeriggio primaverile quando udì qualcuno bussare alla porta. Attese di sistemare la marmellata in cottura e poi arrivò all’ingresso.
Sulla soglia c’era chi non avrebbe mai voluto vedere, soprattutto a casa sua.
I capelli biondi ben pettinati all’indietro, nonostante il leggero venticello nessun ciuffo scappava via, le mani dietro la schiena, gli occhi freddi di quell’azzurro così profondo, sul volto nessun tipo di espressione, una maschera che nascondeva qualsiasi cosa dal suo viso.
Ebbe l’impulso di richiuderli la porta in faccia ma l’uomo fece un passo avanti allungando un piede così da impedirle di fare ciò che stava premeditando.
Stava per chiedergli, dopo un lungo momento di silenzio, cosa lo portasse lì, ma questo la precedette allungando una busta bianca.
“Elisabetta Colli, o sbaglio?” disse atono, lei realizzò che era la prima volta che le labbra di lui pronunciavano il suo vero nome senza storpiarlo in tedesco. Ebbe solo il tempo di pensare a quello prima di comprendere che un ufficiale delle SS le stava dando una lettera indirizzata a lei.
Tremante prese la busta alzando poi le iridi chiare per trovare il viso del tedesco.
“Di cosa si tratta?” domandò esitante mentre se la rigirava tra le mani.
“Aprila, nel mentre, ci servirebbero uova e vino, so che avete ancora animali.” Atono lui, lei annuì, dopo che aveva graziato suo padre non avrebbero più osato ostacolare una singola richiesta dei tedeschi, soprattutto dopo aver visto cosa avevano fatto in piazza. Inoltre si sentivano enormemente fortunati a possedere del bestiame, con l’inizio dell’occupazione a molti dei loro compaesani, così come a tutto il resto della popolazione italiana, erano stati requisiti da Wehrmacht e SS.
Annuì con un cenno del capo. “Certo, abbiamo tutto.” Accondiscendente lei, si sentiva uno schifo a essere così disponibile con chi aveva molto probabilmente ordinato quel massacro di innocenti, ma d’altra parte era anche l’uomo che aveva rilasciato suo padre.
Sempre insicura aprì poi la busta e le sue mani pallide estrassero la lettera, sapeva leggere, aveva frequentato la scuola fino all’anno prima, poi la situazione era iniziata ad essere invivibile e l’anno scolastico non aveva più ripreso a Rubiano.
Quando lesse le prime frasi i suoi occhi si fecero lucidi e con un fil di voce riuscì a dire un semplice “Oh mio dio…”
 
 
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Eccomi qua con un altro capitolo, mi sto stupendo delle mie capacità di aggiornare velocemente! Speriamo rimangano tali. Intanto grazie come sempre a chi mi fa avere il suo parere ma soprattutto a chi legge quello che scrivo.
In questo capitolo c’è una prima parte incentrata unicamente sulle forze d’occupazione con l’introduzione di due personaggi che rincontreremo ancora nel corso del racconto e che avranno la loro rilevanza.
Nella seconda parte torniamo invece prima su una cronaca di quello che era la vita all’epoca, di una routine quasi quotidiana fatta di morte e di violenza e poi sull’incontro dei due. Si capisce qualcosa di più su Schwartz, sicuramente una caratteristica che si può notare ora è la sua doppia personalità, da una parte un convinto ufficiale delle SS, dall’altra invece un uomo che non ha avuto una vita semplice.
  
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