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Autore: Mistral    09/05/2009    1 recensioni
Spesso è il Conte ad approfittare delle tragedie umane per creare i suoi akuma, ma a volte è proprio da queste tragedie che nascono gli apostoli che ne decreteranno la fine...
[Speculazioni sul passato di Yu Kanda][Non tiene conto delle rivelazioni della Night 186 e seguenti]
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Yu Kanda
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata al mio fratellino

ima di lasciarvi alla lettura, mi sembra doveroso fare una piccola precisazione.

Questa fanfic è stata concepita nella sua interezza prima che uscisse la Night 186 in cui è descritto il passato di Kanda e non tiene quindi conto di quanto rivelato nell'ultimo capitolo.

 

 

SIK

Lost & Found

 

 

Part II

 

L’alba nel villaggio, in quella mattina di aprile, è fredda e assurdamente silenziosa. Tiedoll siede nella sala comune, accanto alla brace viva nel focolare. Sulle ginocchia ha un album di schizzi, ancora desolatamente bianco; chi lo conosce lo troverebbe strano, ma in fondo non lo è, perché lui ama dipingere gli spettacoli grandiosi della natura, cogliendone la bellezza e la pace, e non c’è niente di tutto ciò in un villaggio annientato da una furia omicida inesplicabile. Così la matita continua a sorvolare il foglio immacolato senza mai posarvisi.

La pesante teiera di rame lancia un fischio acuto e l’artista le concede un’occhiata distratta; posa il blocco con un sospiro e poi la toglie dal fuoco, mettendo in infusione le foglie per il the.

Fuori il cielo sembra incerto tra il grigio e l’azzurro, e la luce dà al paesaggio un aspetto freddo e metallico. L’esorcista fa scivolare lo sguardo sulla striscia di cortile inquadrata dal pannello in carta di riso lasciato aperto: tutto è immobile, colmo di un silenzio pesante che nemmeno un passero ha il coraggio di spezzare traversando il cielo. Per quanto la sera prima abbia cancellato la maggior parte dei segni del massacro, Tiedoll non ha potuto ripulire completamente il troppo sangue sparso. Le macchie scure che ancora impregnano in molti punti il terreno rimangono come angoscioso, incancellabile rimando della tragedia.

 

C’è solo un rumore che all’improvviso rompe il silenzio, un rumore che, in fondo, l’uomo non ha fatto altro che aspettare di sentire da quando si è svegliato. Rumore di passi, i passi incerti di un bambino, che cercano di farsi via via più sicuri man mano che si avvicinano. Tiedoll riesce quasi ad immaginarselo che strofina gli occhi mentre cammina ancora un po’ addormentato, cercando di rimettere su quella maschera dura della sera prima. Ma non dev’essere facile per lui: in fondo non ha forse nemmeno sette anni e ha passato una notte terribile, tormentato dagli incubi di una strage che avrebbe shockato uomini ben più temprati. Il generale l’ha sentito urlare nel sonno per ore eppure, quando gli compare davanti, con indosso una casacca pulita e la katana legata alla cintura, il suo volto sembra di porcellana: non un sorriso né una lacrima – solo quell’apparenza impenetrabile, come se la sua mente fosse in realtà troppo lontana (o ancora troppo sconvolta) per avere una qualsiasi reazione.

 

Al vederlo l’esorcista gli sorride affabile, offrendogli una tazza di the appena fatto, poi prova a riempire quel silenzio troppo pesante che c’è tra loro e attorno a loro, cianciando qualcosa sui dolcetti di riso che ha trovato nella dispensa. Tiedoll continua a parlare, con una leggerezza sempre più stonata e irritante persino alle sue stesse orecchie, sebbene il bambino non dia nemmeno segno di considerare reale la sua presenza in quella stanza. Si muove come un automa, con gli occhi vuoti e le labbra strette in una linea sottile che è l’esatto equilibrio tra un sorriso e un broncio, senza però riuscire neanche ad essere un’ espressione infastidita: semplicemente non è un’espressione. Quel bel viso ormai non è nulla più che un viso morto, specchio di un’anima altrettanto morta. L’uomo tace.

Sempre in rigoroso silenzio, il ragazzino accetta il the che l’esorcista gli porge, senza però alzare lo sguardo su di lui neppure per un istante. Poi prende un dolce e va a sedersi compito all’angolo della lunga tavola, in quello che probabilmente era il suo posto in quanto allievo più giovane della palestra. Osservandolo, Tiedoll si sente stringere il cuore per lui.

Quando il piccolo finisce di mangiare, si alza e ringrazia per la colazione con un lieve inchino, così come impongono le regole del dojo. Poi si avvia velocemente alla porta, ed è a quel punto che il generale non riesce più a sopportare il suo ostinato mutismo.

 

“Ehi giovanotto…” È costretto a rivolgersi a lui così perché, se n’è reso conto solo ora e con un po’ di rammarico, il bimbo non gli ha ancora detto il suo nome. Sentendosi chiamare il ragazzino si volta, ma nemmeno in questo caso il suo volto assume una qualche espressione. “…posso sapere dove stai andando?”

“Ad allenarmi” Un risposta ridotta all’essenziale, senza più ombra di incertezza nella voce. E subito scivola via, non curandosi nemmeno di un’eventuale obiezione dell’uomo alla sua decisione - perché in fondo, questo Tiedoll l’ha capito benissimo, lui non conta niente, anche se gli ha salvato la vita.

 

Il generale prende un profondo sospiro, poi decide di seguirlo nel cortile antistante; il bambino ha già iniziato ad allenarsi con la spada, le pantofole di feltro lasciate ordinatamente in un angolo e una benda sugli occhi per concentrarsi meglio.

Ad ogni suo passo dalla terra impregnata di sangue di sollevano piccole nuvolette di polvere, e i suoi piedi nudi si stanno rapidamente sporcando di nero e rosso. La casacca sta scivolando fuori dalla cintura un po’ allentata, scoprendogli il petto e il tatuaggio scuro; l’uomo non può fare a meno di concentrare lì lo sguardo, riflettendo sugli eventi inesplicabili di cui è stato testimone il giorno prima.

Tiedoll scuote la testa e osserva il cielo, che nel frattempo si è rannuvolato ancora di più, facendosi di un cupo grigio piombo mentre da nord ha cominciato a soffiare un vento freddo: non sembra proprio una giornata di primavera. Ma in fondo, considera poi riportando gli occhi sul giovane spadaccino, spesso la realtà è capace di stupirti al di là di ogni previsione...

 

L’esorcista si accomoda su un ceppo di legno lì accanto e si mette a seguire l’allenamento del ragazzino. Deve riconoscere che è davvero bravo per la sua età e dai suoi movimenti traspare anche una certa eleganza, oltre a tutta la sofferenza e l’angoscia che sta provando, sebbene non l’ammetterà mai - Tiedoll tuttavia, abituato da buon artista ad osservare e scavare sotto la superficie, non ha bisogno di parole per capire.

 

Il bambino continua per ore i suoi esercizi; sembra che non si stanchi mai e il generale, da parte sua, non si stanca di guardarlo, mentre le ombre proiettate dal sole nascosto dietro le nubi pian piano si accorciano. È quasi mezzogiorno quando l’uomo si alza e accenna a tornare verso la cucina, per cercare di mettere assieme qualcosa per il pranzo. Muovendosi è certo di non aver fatto praticamente alcun rumore, eppure è evidente che il piccolo si è accorto di lui, perché fa una pausa appena più lunga tra una sequenza e l’altra, voltando per un istante la testa nella sua direzione A Tiedoll è sembrato quasi che esitasse un attimo, accennando anche a seguirlo, per poi lasciar perdere (forse per orgoglio) e riprendere ad esercitarsi.

L’esorcista, che per qualche secondo si era illuso che qualcosa si fosse smosso in quel bambino testardo e tenace, scuote mestamente la testa e si incammina con il capo chino, assorto nei suoi pensieri.

 

Dietro di lui il ragazzino, quando è ben certo che l’uomo sia lontano, si ferma e si sfila la benda dagli occhi; quegli occhi chiarissimi che oggi, forse per effetto del cielo nuvoloso, hanno assunto striature color cobalto, da cui sembra emergere il dolore sordo e cupo che sta provando, benché sappia tenerlo così ben celato in quelle gelide pozze azzurre.

Il bambino segue per un attimo la schiena dell’altro, finché non sparisce tra la vegetazione, quindi fa scivolare lo sguardo sulla punta della sua spada e poi sui petali di ciliegio, laceri e insanguinati, che il vento freddo trascina con sé sul terreno in mulinelli polverosi.

 

Ora che per un attimo ha abbassato la guardia con se stesso, immagini orrende esplodono nella sua mente con una violenza brutale e lo trafiggono vigliaccamente alle spalle. Nel profondo del suo cuore sconvolto e ferito, lui si chiede (e forse se lo chiederà per sempre) perché non abbia potuto morire in quel momento assieme al maestro…

La katana inizia a tremare nella sua mano e la presa spasmodica sull’elsa non serve a calmare quel tremolio.  Per quanto lui ci provi a dominarsi e a non lasciarsi prendere dal panico, quei ricordi fanno troppa paura.

 

I banditi… i mostri… sono tanti, troppi… crudeli… tutti gli uomini validi hanno preso le armi, ma stanno soccombendo…

Nell’armeria non ci sono più spade… io sono solo un bambino, non ho una spada…

Qui sala comune, è rimasta la tua katana, maestro… però… l’hai detto tante volte che quella non si può usare… ma io devo combattere… devo difendere tutti…

Perdono, maestro… ho impugnato la tua spada…

Maestro, i mostri sono qui… maestro mi hanno colpito… hanno ucciso tutti… non ti ho difeso… scusami… maestro…

 

Il bambino spalanca gli occhi di scatto, poi lascia cadere la spada e si stringe la testa con le mani, respirando affannosamente. È certo di non essersi addormentato, eppure ha appena rivissuto, come in un incubo dannatamente troppo realistico, il massacro degli abitanti del dojo.

Solo le prime fredde gocce di pioggia che iniziano a cadere e la voce di quello strano uomo che lo sta chiamando per il pranzo riescono a scuoterlo; mordendosi a sangue il labbro perché il dolore lo aiuti a recuperare la calma, il ragazzino raccoglie la katana, si infila le scarpette di feltro e corre, il più lontano possibile da quella visione mostruosa.

 

È solo quando arriva nei pressi dell’edificio principale dove (lo intuisce dai rumori che sente) quel tizio che si è presentato come esorcista lo sta aspettando per mangiare, che il piccolo riprende il contatto con la realtà: l’altro è lì dentro che canticchia una canzone dalle parole incomprensibili e lui non vuole fargli vedere il suo turbamento, quindi deve assolutamente riuscire a riprendere il controllo di sé, come gli ha sempre insegnato il maestro.

Si ferma a pochi passi dalla veranda, mentre la pioggia fine e gelida gli appiccica alla pelle i capelli e i vestiti; chiude gli occhi e inizia a inspirare profondamente, finché non sente la tensione allentarsi e il cuore rallentare ed è di nuovo in grado di reggere il peso della maschera che il giorno prima, davanti ai cadaveri dei suoi compagni, ha deciso di portare per sempre.

Il ragazzino che, pochi minuti dopo, entra nella sala comune ha di nuovo un viso di porcellana, sebbene allo sguardo di Tiedoll non sfuggano le sottili crepe di quella facciata. Tuttavia il generale preferisce non fare domande, limitandosi a sorridergli e invitarlo a sedersi al tavolo, dove l’aspetta una ciotola di minestra.

Il pranzo segue lo stesso identico copione della colazione, l’unica differenza è che adesso l’esorcista non si sforza nemmeno di intavolare una conversazione. Quando il bambino termina di mangiare, si alza in fretta e inizia a raccogliere le stoviglie sporche, dirigendosi poi verso una piccola porta che dà sul retro. L’uomo lo osserva interessato e, prima che esca, lo richiama.

 

“Posso sapere dove stai portando quei piatti, ragazzo mio?”

Lui volta appena la testa e risponde brevemente, con un tono assolutamente incolore. “Nelle cucine, dove verranno lavati”

A quelle parole, Tiedoll scuote la testa. “E chi li laverà? Qui siamo rimasti solo tu ed io… perché non vuoi accettarlo?”

 

Ma il bambino non lo sente nemmeno, perché si allontana velocemente prima ancora di concludere la frase. Il generale lo segue in silenzio, fino ad un locale piuttosto angusto, con il pavimento in pietra; una rapida occhiata gli è sufficiente per capire che quelle sono le cucine del dojo. Il ragazzino sta posando le stoviglie in un acquaio, anch’esso di pietra, mentre sul bancone centrale ci sono ancora tracce dei preparativi per la cena; preparativi che nessuno concluderà mai, perché gli uomini che il giorno prima hanno lasciato in tutta fretta gli attrezzi da cucina per impugnare le spade in difesa della loro casa ormai sono tutti morti…

Probabilmente il bimbo deve aver avuto lo stesso pensiero perché, appena si è voltato per uscire e lo sguardo gli è caduto sui taglieri e le ciotole pieni di cibo lasciati lì, le sue iridi gelide hanno cambiato per un attimo espressione. Anche se guarda subito da un’altra parte per poter riprendere immediatamente il controllo di sé, il suo turbamento non sfugge agli occhi attenti del generale, che stavolta non vuole lasciarlo scappare: non può continuare per sempre a negare quel che è successo per paura di soffrire, sebbene anche accettarlo sia doloroso.

 

Tiedoll fa in modo di incrociare gli occhi chiari del piccolo e lo fissa serio. “Adesso hai capito che è inutile portare qui quelle stoviglie?”

Il bambino non risponde, ma nemmeno riesce a sostenere lo sguardo severo dell’uomo, facendo scivolare il proprio sul pavimento.

“Nessuno le laverà” continua poi l’esorcista “perché qui non c’è più nessuno. Sono stati tutti uccisi”

 

Sentendo pronunciare apertamente quelle parole, il ragazzino è costretto ad accettare nella sua interezza un verità che, per quanto già palese, ora non può più essere ignorata: se lo dice anche quel forestiero che gli abitanti del dojo sono stati tutti sterminati, lui non può più ingannare se stesso, continuando a raccontarsi (in una bugia sempre meno credibile con il passare delle ore) che in realtà gli avvenimenti del giorno prima sono stati solo un brutto sogno.

Si tormenta il labbro con i denti, riuscendo però a dominare il tremito delle mani e le lacrime che sente pungergli gli occhi. Non deve, non vuole piangere. Scuote leggermente la testa, provando per l’ennesima volta e senza successo a smentire l’evidenza,  poi si lancia verso la porta. L’unica cosa che vuole adesso è prendere la spada e tornare ai suoi esercizi, non gli importa di nient’altro.

Il generale però non gli permette di oltrepassare la soglia, perché lo blocca per un braccio.

 

“Dove vai, giovanotto? Guarda che scappare non serve a niente, anzi è solo peggio... fai l'uomo!”

Il bambino si sente punto sul vivo da quella frase, come se il forestiero gli stesse dando del codardo. Libera con uno strattone il polso dalla sua presa e lo fissa. “Io non sto scappando” scandisce, reprimendo la rabbia nella voce “Vado ad allenarmi. Il maestro avrebbe voluto così e io ho promesso di rispettare le sue volontà” conclude poi con il solito tono freddo.

“Credi davvero che il tuo maestro avrebbe voluto vederti restare qui da solo, a ripetere all’infinito gli stessi esercizi e a portare nell’acquaio piatti sporchi che nessuno laverà? Credi che avrebbe voluto vederti sprecare così il tuo talento e la tua vita?” Tiedoll sa che le sue parole gli stanno facendo male e se ne rammarica, ma sa anche che diversamente non riuscirà mai a scuoterlo. Si interrompe un istante, preparandosi a calare il colpo finale. “Così facendo, non solo non rispetti le volontà del tuo maestro, ma addirittura è come se lo uccidessi di nuovo con le tue stesse mani”

“Ucciderlo… con le mie mani…?” Il ragazzino ripete lentamente quell’ultima frase, che per lui suona come la peggiore delle accuse. La maschera si è frantumata e dagli occhi sbarrati, in cui il ghiaccio si è sciolto in un attimo, una singola lacrima scivola incontrollata sulla sua guancia.

Vedere quella lacrima, per Tiedoll è una vittoria e una sconfitta insieme. Si sente stringere il cuore e si inginocchia per abbracciare il bambino, il quale ancora fissa il vuoto con sguardo vacuo. Mentre si china, Maker of Eden sfiora la katana che l’altro porta alla cintura e, in quel breve contatto, entrambi brillano di una strana luce, ma il generale è troppo preoccupato per notare l’insolito fenomeno.

“Fidati di me: vieni alla sede della Dark Religious. Diventa un esorcista e dedica la tua vita a distruggere i mostri che hanno sterminato i tuoi cari…” ogni traccia di severità è sparita dalla sua voce mentre tiene tra le braccia il ragazzino “Credimi, è la cosa migliore… e sono certo che il tuo maestro sarebbe fiero di te, ometto!” conclude con un sorriso.

Proprio quando il generale ha creduto di essere finalmente riuscito a vincere la diffidenza del bambino, questi lo prende di sorpresa, sciogliendosi con foga dal suo abbraccio. “Non parlare del maestro! Tu non ne sai niente!” esclama poi, prima di scappare definitivamente via sotto la pioggia. Il bagliore che ha avvolto le loro Innocence mentre erano vicine è scomparso, ora che lui se n’è andato.

 

Tiedoll rimane seduto per terra, la schiena dolorante per l’urto contro lo stipite, e si raddrizza gli occhiali. Decisamente quel ragazzino non ama il contatto fisico, considera tra sé con un sorriso. Dal canto suo, lui ci ha rimediato una botta e probabilmente una buona dose di risentimento da parte del piccolo, ma almeno è riuscito a fargli accettare la realtà. E forse anche a convincerlo a seguire la strada migliore possibile per lui – o molto probabilmente l’unica, vista la sua natura di compatibile.

 

Nel cortile intanto, sotto la pioggia ormai battente e il rombo cupo dei tuoni, il bambino cerca inutilmente di sfogare sul tronco di un albero tutta la sua frustrazione (della quale non riesce nemmeno a capire l’origine). Ma nei suoi calci e nei pugni non c’è nulla della sua solita eleganza, né i colpi hanno la velocità e la precisione che in genere sa metterci; mani e piedi gli si stanno riempiendo di graffi ed escoriazioni e il dolore è sempre lì, ad opprimergli il cuore e annebbiargli la mente.

Nella sua testa si inseguono confuse le immagini atroci del massacro e quelle della desolazione, cui è ridotto il villaggio e che finora ha fatto finta di non vedere; il suo cervello poi le stravolge, colorandole di tinte se possibile ancora più angosciose, e le unisce alle parole severe di quell’uomo che non conosce, che è piombato nella sua vita solo il giorno prima e che ora vuole strapparlo a quel poco che gli è rimasto, per farlo diventare… che cosa? Cosa ne sarà di lui, ora che ha perso tutto?

I ricordi gli fanno male, tanto da farlo quasi vomitare, ma gli fa ancora più paura rendersi conto che non ha la minima idea di cosa lo aspetta per il futuro.

Tirando un calcio un po’ più alto degli altri, si sbilancia all’indietro e il piede d’appoggio scivola sull’erba bagnata, facendolo finire seduto. Per la stizza picchia un pugno a terra, con l’unico risultato di graffiarsi le nocche, poi finalmente prende fiato, cercando di calmarsi e di mettere ordine nei suoi pensieri.

Rabbia, impotenza, paura, incertezza… nemmeno riesce più a capire cosa prova in quel momento. Fino al giorno prima, la sua vita scorreva tranquilla secondo gli insegnamenti del maestro, mentre il domani per lui era solo una prospettiva indistinta, in cui però aveva la certezza che ci sarebbero stati i suoi compagni e una spada. E tanto gli bastava.

E adesso? Adesso è stato tutto cancellato, annientato, distrutto…

Un altro pugno a terra, fili d’erba e una margherita solitaria schiacciati dalla violenza del suo colpo.  Stringe i denti e contrae ogni muscolo del corpo, l’acqua gelida ormai gli ha inzuppato i vestiti e ha bagnato il suo viso di finte lacrime che lui ha deciso di non versare mai più, ma non è riuscita a lavar via quel peso che gli opprime il cuore.

Artiglia il terreno, le unghie che scavano quattro lievi solchi paralleli, subito cancellati dalla pioggia. E adesso lui si sente esattamente come quei segni nella polvere, talmente fragile da poter essere annullato in un attimo. E non vuole che finisca così, perché il maestro gli ha sempre insegnato a lottare. Proprio per questo, proprio in quel momento, seduto nel cortile deserto di un villaggio annientato, da solo in mezzo al temporale, il giovane spadaccino prende la decisione di far diventare la sua vita molto più che un segno nella polvere.

Si alza in piedi, allacciandosi alla cintura la katana che aveva appoggiato tra le radici dell’albero e va a cercare il forestiero: ha deciso di seguirlo fino alla sede di quella Dark Religious di cui gli ha tanto parlato, per diventare un esorcista e vendicare così la memoria del maestro, sterminando i mostri che hanno distrutto la sua casa.

 

   
 
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