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Autore: charly    16/10/2016    1 recensioni
La giovane regina di Issa è arrivata alla capitale di Rakon, dove si unirà in matrimonio con l’imperatore secondo gli usi della sua gente. Zaron manterrà la promessa fatta alla sua sposa e al padre di lei? E come si adatterà Deja a vivere alla corte di suo marito, dove le donne non hanno nessun peso politico?
Deja ignorò i bisbigli della corte, scrutava il volto di Zaron e lo vide spalancare leggermente gli occhi per la sorpresa alla vista dei tatuaggi rossi che le decoravano le mani, gli avambracci e salivano appena più su dei suoi gomiti.
[…]
I tatuaggi salivano fino al ginocchio. Aveva mezza idea di urlare addosso a Perla e alle altre ragazze per averla ricoperta di disegni. […] La sua corte doveva essere convinta che lui fosse stato smanioso di giacere con lei, e le nozze affrettate dovevano solo aver rafforzato questa idea.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore di un drago'
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IV. LUNA DI FIELE

 
 
L’interno del Palazzo Reale di Halanda non era affatto come Deja se l’era immaginato.
Le rare volte in cui si era soffermata a pensare alla sua futura residenza, aveva sempre immaginato una struttura similare al palazzo dove aveva sempre vissuto, a Issa, caratterizzato da un’architettura che favoriva le linee semplici, con corridoi lineari e ampie sale soleggiate.
Il Palazzo Reale di Halanda invece era vivacemente decorato con ampie pitture a parete che ritraevano paesaggi verdeggianti con variopinti uccelli esotici. I pavimenti erano in marmo o in mosaici geometrici, i corridoi dotati di numerose alcove da cui soldati vestiti di rosso facevano la guardia e servitori dalla livrea marrone scuro si inchinavano con lo sguardo puntato a terra al passaggio del khan, la sua regina e i loro ospiti. Il salone rettangolare in cui Zaron la condusse, seguito da tutti i nobili, aveva il pavimento di marmo giallo lucidato a specchio. Il lato destro della sala era colonnato e dava su un giardino lussureggiante, il lato sinistro era decorato da un impressionante mosaico bianco e nero che ritraeva linee e curve che rappresentavano la stilizzazione di fiori e piante. Il soffitto a volta era sorretto da numerose colonne dall’apparenza fragile con capitelli incisi in delicati arabeschi.
L’enorme sala era occupata da due file di tavoli bassi con larghi sgabelli imbottiti dotati di ampi cuscini dorati, disposti in modo da lasciare un ampio spazio centrale e un tavolo singolo disposto sul lato opposto da quello da cui erano entrati; Deja riconobbe la disposizione per la similitudine con quella del ricevimento di nozze che si era svolto ai giardini reali a Issa. A differenza di quell’occasione però i posti a sedere erano sistemati solo su un lato di ciascun tavolo e la ragione fu evidente quando gli invitati si apprestarono a prendere posto: gli uomini si sedettero al tavolo vicino all’esterno, con la schiena rivolta al giardino, le donne a quello vicino alla parete mosaicata, a fronteggiare i loro uomini. Deja si sedette dalla parte delle donne e Zaron da quella degli uomini. Ci fu un attimo di confusione in quanto le servitrici che accompagnavano le ospiti ai loro posti non seppero dove far sedere le quattro lady issiane che avevano accompagnato Deja, quattro perché alla giovane Aduna, nonostante le sue proteste, era stato intimato di rimanere alla residenza loro assegnata. La principessa Sali ordinò alle servitrici di portare altri quattro coperti e di far sedere le nobili ospiti vicino alla loro regina, ma sul lato interno della tavolata, difronte a sé. La divra di palazzo chiese conferma dell’ordine a Zaron in persona che acconsentì con un brusco cenno del capo, dopo essersi brevemente consultato con Deja. Sali sembrava molto soddisfatta di aver ottenuto posti vicini per le ospiti issiane e di sicuro le avrebbe a lungo interrogate sugli usi della terra natia.
La tavola rakiana era davvero particolare, considerò tra sé e sé Deja, sedendosi. Il tavolo era molto basso e gli sgabelli, pur essendo molto comodi e spaziosi, erano troppo bassi per essere definiti sedie e permettevano di stare seduti comodamente solo incrociando le gambe o allungandole sotto il tavolo. Da seduta Deja poteva facilmente toccarsi le caviglie e ringraziò l’abito rakiano che le permetteva di star comoda. Guadò con commiserazione le quattro lady issiane che indossavano eleganti abiti tradizionali dalle ingombranti gonne e bustini rigidi che impedivano loro di chinarsi verso il tavolo basso. Le nobildonne rakiane invece stavano reclinate, appoggiate ai cuscini e gli spacchi lungo le gonne permettevano loro di muovere meglio le gambe, modestamente coperte dai pantaloni.
Cominciarono ad arrivare le portate e tra una e l’altra, a intrattenere gli ospiti che mangiavano, al centro della sala si svolgevano spettacoli di vario tipo: giocolieri a torso nudo che facevano volare palle colorate e addirittura bastoni infuocati, danzatrici coperte da diafani veli dorati e dai lunghi capelli neri sciolti che danzavano sinuose e suggestive al suono delle numerose campanelle bronzee fissate alle cinture e legate ai polsi e alle caviglie. L’intrattenimento che Deja gradì di più fu quello di una graziosa fanciulla che si sedette al centro della sala su uno sgabello portato appositamente per lei e suonò una melodia dolce e struggente con uno strumento a corda straordinariamente intarsiato, simile a una chitarra.
- È meraviglioso.
Sussurrò emozionata a Zaron, dopo il primo spettacolo della suonatrice.
- Sono contento che ti piaccia. Lo strumento si chiama sitar e Mira è straordinariamente brava a suonarlo. Sono sicuro che sarà lieta di esibirsi per te.
Deja annuì contenta poi, mentre portavano una nuova pietanza, Zaron riprese a parlarle.
- C’è una cosa che volevo chiederti. La divinità principale della tua gente è una dea, giusto?
- Sì, la dea Lona.
Zaron bevve un sorso dal calice che avevano in comune. A quanto pareva per rafforzare il legame i neosposi mangiavano dallo stesso piatto e bevevano dallo stesso calice.
- Parlami di lei.
- Lona è la dea della luna, porta luce nell’oscurità e soprattutto governa le maree. È la madre di Naraìs, la dea dei venti, e sorella di Palos, il dio del sole. Issa è molto legata alla venerazione di Lona perché si dice che abbia scelto proprio il golfo di Issa per partorire sua figlia. Inoltre, essendo la luce della notte è la protettrice di coloro che ricercano la conoscenza e quindi patrona dell’Accademia delle Scienze.
Zaron sembrò considerare qualcosa per un attimo e poi sorrise divertito.
- Lo sai che tra tutti i regni che ho conquistato Issa è l’unico a venerare come divinità principale una dea invece che un dio?
Deja sollevò un sopracciglio.
- E Rakon, quale dio venera più di ogni altro?
Zaron sorrise ironicamente e poi chinò il capo, come se stesse per sussurrarle un segreto.
- Thiros, il dio della guerra, chi altro?
Scoppiarono entrambi a ridere.
- A essere sinceri le divinità sono tre: Vurgul, il dio del fuoco che risiede nei vulcani, sua moglie Stave e il loro figlio Thiros. Tutti i guerrieri venerano Thiros ed essendo Rakon un regno a vocazione militare… il dio della guerra ha finito per essere il più venerato. La luna non ha una divinità, perché viene considerata come il semplice riflesso di Gasto, il dio del sole, ma la dea del cielo è Sien ed è la sposa di Thiros.
Poi aggiunse con una smorfia e parlando a voce bassa, come sovrappensiero.
- Ma lui non ha tempo per lei e per consumare le loro nozze: è sempre impegnato a combattere quindi Sien attende, eternamente vergine, nel firmamento notturno, che il suo sposo la raggiunga.
L’argomento aveva toccato un tasto vicino alla loro situazione e per spezzare la tensione che era venuta a crearsi Deja cercò di distrarlo con altro.
- Ho notato che nel cibo c’è un’abbondanza di verdura, poca carne e niente pesce.
Zaron accolse il cambio di argomento.
- Data la conformazione del mio regno è più facile far crescere verdure e cereali che allevare grandi animali: noterai che la carne servita è principalmente di pecora. Le foreste dell’ovest sono state abbattute secoli fa per far spazio ai campi quindi la selvaggina è scarsa. In quanto al pesce, c’è solo quello di fiume, ma non a Halanda, che si trova lontano da ogni fonte d’acqua corrente. Non vale la pena importarlo perché con il caldo che c’è va subito a male.
Zaron parve a questo punto animarsi e i suoi occhi si illuminarono.
- A questo proposito, desideravo parlare con te della possibilità che i cantieri issiani comincino a produrre aeronavi dedicate all’esclusivo trasporto di merci. Immagina il commercio via aerea! Niente strade, niente rischio di essere attaccati da briganti. Un viaggio breve che permetta il trasporto di merci esotiche e facilmente deperibili a lunga distanza. Potremmo avere pesce fresco qui a Halanda.
Deja aveva annuito lentamente, considerando la proposta di Zaron. Issa basava la maggioranza del suo commercio sul trasporto via mare, le aeronavi non erano mai state prese in considerazione come possibili mezzi di trasporto di merci perché poco pratiche in quanto i regni vicini non avrebbero permesso il passaggio di mezzi che non potevano controllare, e tassare, alle frontiere. Ma adesso che tutto Zabad era divenuto un unico impero il problema era risolto e per il trasporto aereo si potevano aprire nuove possibilità, prima impensate.
I due sposi cominciarono a discutere della faccenda, parlando di leggi commerciali e usando le pietanze nel piatto come una rappresentazione del loro regno per tracciare possibili rotte.
I nobili signori e le nobili signore rakiane li osservavano, confabulando tra di loro dell’attenzione che il loro khan riservava alla sua giovane sposa, tanto da non badare agli spettacoli a lui offerti e da non degnare di uno sguardo i suoi ospiti. Le lady issiane soprattutto osservavano sorprese e perplesse l’atteggiamento della loro regina, non riuscendo a capacitarsi di come lei sedesse rilassata al fianco del conquistatore, conversasse e scambiasse con lui sorrisi.
Ma poi il banchetto finì e lady Pastis, che era la più vicina al tavolo degli sposi, prese nota con animo pesante di come la loro regina si fosse quietata, divenendo pallida e visibilmente tesa, gli occhi le guizzavano per la sala, mentre gli invitati si inchinavano profondamente e cominciavano a essere accompagnati fuori, a partire da quelli seduti più lontani, fino alla principessa Sali, che per tutto il banchetto le aveva interrogate su Issa e sulla loro sovrana. Il re aveva poggiato una mano sulla schiena della regina mentre le servitrici accompagnavano le lady issiane verso l’uscita e lady Pastis poté solo lanciarle un ultimo sguardo al disopra della spalla, e vederla scomparire attraverso un’altra uscita assieme all’uomo che l’aveva costretta a quel matrimonio.
 
Zaron aveva notato come Deja si era innervosita al termine del banchetto, mentre tutti i loro ospiti se ne andavano. L’aveva aiutata ad alzarsi e poi le aveva poggiato con leggerezza una mano sulla schiena, guidandola a una piccola porta sul retro della sala e che dava in uno stretto passaggio che Zaron preferiva percorrere, preceduto e seguito dalla sua scorta, per recarsi direttamente ai suoi appartamenti. Raggiunsero l’ampio corridoio che portava all’ingresso dell’ala femminile del palazzo la cui porta era dirimpetto a quella dei suoi appartamenti privati e lì le sue guardie si fermarono. Aveva provato a prendere la mano di Deja per poggiarsela nell’incavo del gomito, ma lei aveva tenuto le braccia rigide lungo i fianchi, i pugni chiusi. I servitori aprirono con un inchino le porte delle sue camere e le richiusero silenziosamente al loro passaggio. Zaron, sempre più indispettito, spinse Deja verso la propria camera da letto. La ragazzina, alla vista del talamo entrò in panico, allontanandosi da lui con uno scatto e un gemito di terrore, arretrando fino ad avere le spalle contro il muro e sollevando le mani come a difendersi.
Zaron sbuffò esasperato, aggrottando la fronte e irritandosi ulteriormente: durante la cerimonia e il banchetto era andato tutto bene e lei era stata tranquilla e rilassata, e adesso quello! Tuttavia fece un passo indietro, per mostrarle che non aveva intenzione di avvicinarla e cercò di mantenere un tono di voce calmo.
- Deja, cerca di calmarti. Di cosa hai paura?
Lei guardò lui e spostò velocemente lo sguardo sul letto prima di tornare a fissarlo a occhi sbarrati. Quello che temeva era evidente e Zaron non riuscì a evitare che parte del suo disappunto trapelasse dal viso e dalla voce.
- Deja! Ti ho già detto che non ti toccherò. L’ho giurato a tuo padre. Hai avuto la mia parola e ora pensi che me la rimangerò? La tua mancanza di fiducia è... offensiva.
Il suo terrore sembrò perdere intensità alle sue parole e lei si accasciò contro la parete, abbassando le mani, ma tremando ancora difronte al suo tono, non convinta che lui non le avrebbe fatto del male.
Lui sospirò ancora, spazientito, e poi decise di comportarsi come se lei non ci fosse, sperando che il suo disinteresse nei suoi confronti l’aiutasse a quietarsi. Si tolse gli anelli e le collane riponendoli in uno scrigno, lasciato su un tavolo per l’occasione, che avrebbe dovuto contenere anche i gioielli di sua moglie. Con un sospiro di sollievo si tolse la corona, massaggiandosi le tempie, poi sfilò dagli stivali e dalla cintura i pugnali che vi aveva inserito, prima di sollevare le maniche della casacca e slacciare i lacci di cuoio che avevano fissato ai suoi avambracci dei sottili coltelli da lancio. Solitamente avrebbe riposto uno di quei pugnali sotto il cuscino e un altro sotto il letto, ma considerò che forse era meglio non lasciare armi alla portata della sua nervosa sposa, quindi ripose tutto in un cassetto che poi chiuse a chiave, infilando la chiave in una tasca dei pantaloni. Poi tornò a guardare Deja.
Deja aveva dimenticato completamente le parole di Sali, di come la paura fosse il vero nemico, e aveva lasciato che il panico si impossessasse di lei mentre rimaneva da sola con Zaron. L’idea di passare la prima notte di nozze in sua compagnia, per salvare le apparenze, era sembrata fattibile e logica ma, posta difronte alla prospettiva di restare da sola con lui per tutta la notte e di dormire nel suo letto, Deja era crollata mentre i dubbi e il terrore si impadronivano di lei e le parole che suo padre le aveva detto il giorno della sua incoronazione le tornavano a risuonare nella testa: prega con me che mantenga la parola data.
Lui le aveva ripetuto la promessa fatta, ribadendo che non l’avrebbe toccata, e parte del timore l’aveva lasciata. Ma non riusciva a smettere di tremare e mentre lui si voltava per togliersi i gioielli e un’impressionante quantità di armi che aveva celato sulla sua persona, Deja cominciò lentamente a piangere, scivolando a terra e sedendosi sul pavimento. Si guardò intorno: la camera da letto di Zaron era ampia, com’era da aspettarsi essendo quella del re. Il soffitto era affrescato a rappresentare il cielo, con uccelli e nuvole. Le pareti erano mosaicate con varie scene naturali: c’erano boschi, campi, deserti e fiumi. I mobili erano in legno dorato, dalle linee semplici; il letto, posizionato al centro della stanza, era ampio, basso e ricoperto con lenzuola di seta rossa ed era provvisto di numerosi guanciali. Non c’erano finestre, ma molti lumi dotati di specchietti per aumentarne la luminosità erano disposti per la stanza. La porta da cui erano entrati era ancora aperta e Deja ne notò un’altra, a fianco di una scena di pesca fluviale, chiusa.
Sobbalzò rendendosi conto che Zaron le si era avvicinato lentamente. Rimase a una certa distanza da lei e si accovacciò, per portarsi alla sua altezza prima di parlarle nuovamente. Questa volta il viso non mostrava nessun segno di rabbia e le parole erano pacate e scandite.
- Deja, mi rendo conto che tu abbia timore, so che ci conosciamo da poco ma io mantengo le mie promesse. Ho giurato che non avrei consumato questo matrimonio finché tu non fossi cresciuta e manterrò la parola data. Devi fidarti di me Deja, o non riusciremo a convivere. Ti ho dato forse motivo di dubitare di me?
Zaron attendeva pazientemente una risposta e Deja scosse il capo.
- Ti ho forse maltrattata o toccata in maniera disonorevole?
Di nuovo Deja fece un cenno di diniego.
- Non succederà nulla qui, questa notte, Deja. Sono stanco e desidero dormire. Sono sicuro che anche tu sarai stanca, quindi perché non ti alzi da quel duro pavimento e non ti metti comoda? Puoi avere il letto, io dormirò altrove.
Inizialmente Zaron aveva pensato di poter dividere il letto con la ragazzina: era abbastanza ampio e potevano tranquillamente dormirvi entrambi senza mai toccarsi, ma data la reazione di lei a trovarsi nella stessa stanza da sola con lui, non voleva immaginare come avrebbe reagito alla prospettiva di doversi stendere al suo fianco sotto le lenzuola.
Per il momento lei sembrava essersi calmata, almeno non ansimava più di terrore né piangeva.
Con un sospiro rassegnato si diresse al suo armadio, lo aprì e dopo un attimo di esitazione selezionò una semplice camicia nera. La sua mano si fermò sopra un paio di pantaloni, ma sua moglie era così minuta che le sarebbero stati ridicolmente larghi.
Tornò da lei, che era ancora seduta a terra e che seguiva muta ogni suo movimento, e le porse la camicia.
- Prendi. Dietro quella porta chiusa c’è la mia sala da bagno: puoi cambiarti lì. C’è anche una vestaglia, dello stesso colore della camicia, mettila se ti fa sentire più a tuo agio.
Deja con mano tremante aveva preso l’indumento ed era impallidita di nuovo rendendosi conto che non c’era nessuna camicia da notte per lei, né ancelle per aiutarla a svestirsi perché, ovviamente, quella era la sua prima notte di nozze e ci si aspettava che fosse il marito a spogliarla e che poi loro avrebbero giaciuto insieme, nudi.
- Se dormi vestita il tuo abito si riempirà di pieghe e i servitori se ne accorgeranno.
Aggiunse lui, parlando lentamente prima di aggrottare nuovamente la fronte.
- Riesci ad alzarti o ti serve una mano?
Deja si era alzata in tutta fretta, appoggiandosi al muro, e poi gli era passata vicino per andare al bagno, quasi sfiorandolo, e il suo cuore aveva battuto all’impazzata per timore che lui allungasse la mano per toccarla o fermarla. Invece lui era rimasto immobile, non si era neppure voltato per seguirla con lo sguardo. Lei aprì la porta e si fermò sulla soglia, poi si girò verso di lui, guardandogli la schiena rigida.
- Grazie.
La voce uscì gracchiante, così si schiarì la gola.
- Perdonami se ho dubitato del tuo onore, offendendoti.
Poi si chiuse velocemente la porta alle spalle.
Zaron scosse la testa, sconsolato. Poi si guardò intorno, chiedendosi dove avrebbe dormito. Contemplò il tappeto facendo una smorfia disgustata: assolutamente no, non era un cane. Infine prese due sedie e le mise una dirimpetto all’altra contro la parete, prese anche dei cuscini dal letto e una coperta leggera prima di togliersi gli stivali e cambiarsi gli abiti, velocemente; dopotutto quello che aveva detto a Deja era vero: i servi se ne sarebbero accorti se avessero dormito con i vestiti del matrimonio, ma se indossavano altri abiti… quando le sue servitrici fossero entrate la mattina seguente e avessero visto Deja con addosso solo una camicia di Zaron questo avrebbe dato sostegno all’ipotesi che il matrimonio fosse stato consumato. Fece una smorfia, per nulla desideroso di dover spiegare alla ragazzina perché al mattino avrebbe dovuto macchiare di sangue le lenzuola.
Lei rientrò nella stanza avvolta nella sua vestaglia che le copriva i piedi tanto le stava lunga, e stringendosi convulsamente al petto gli abiti. Aveva ancora i gioielli addosso. Le si avvicinò lentamente.
- Puoi riporre i gioielli in quello scrigno, sul tavolo. Se desideri puoi già andare a letto, io dormirò sulla sedia.
Le indicò il tavolo e le sedie.
- Adesso, se permetti, vorrei usare anche io il bagno.
Proseguì, con tono ironico.
Lei trasalì e si scostò dalla porta, lasciandolo passare.
Finite le abluzioni rientrò nella stanza, aspettandosi di trovarla già rannicchiata sotto le coperte e invece lei era in piedi, davanti al tavolo. Si era tolta quasi tutti i gioielli, tranne un paio di braccialetti.
- Non riesco ad aprirli.
Gli porse esitante il braccio desto e Zaron aprì la chiusura, che quel pomeriggio aveva fissato con troppa forza, e glieli sfilò, stando attento a toccarla il meno possibile. Mentre li riponeva nello scrigno Deja però lo sorprese, sfiorandogli la manica della casacca.
- Zaron… Perdonami per come mi sono comportata questa sera, ma… sono stanca, spaventata e tanto lontana da casa…
Deja aveva ripreso a piangere, lui voleva confortarla ma rimase immobile, lasciandola finire.
- Grazie per la tua pazienza. Mi fido di te e della tua parola.
Zaron annuì, rasserenandosi.
- Va bene. Scuse accettate. Ora prova a riposare Deja.
Lei lo lasciò e si infilò sotto le coperte, senza togliersi la vestaglia. Lui fece il giro della stanza, spegnendo quasi tutti i lumi, lasciandone acceso solo uno, coperto da un paralume che lasciava la stanza quasi completamente al buio ma che gli permetteva di vedere ancora e muoversi senza dover procedere a tentoni. Cercò di sistemarsi meglio che poteva sulla sedia, poggiando la testa contro il muro e allungando le gambe. Rilassò i muscoli e rallentò il respiro, scrutando la forma di sua moglie. Ne vedeva a malapena il profilo delineato dalle lenzuola, lei aveva girato il corpo dandogli la schiena, ma nel silenzio poteva sentire il respiro affrettato e spezzato causato dai singhiozzi che cercava di soffocare con il cuscino. Lei ci mise molto ad addormentarsi e lui fece ancora più fatica, data la posizione scomoda.
Gli dispiaceva sinceramente per come era andata a finire la serata, era amareggiato e frustrato dalla sfiducia che lei gli aveva dimostrato. Lui non usava violenza alle donne e di certo non toccava le ragazzine. Non lo aveva mai fatto, anche se la sua avversione era uno sviluppo abbastanza recente. Non aveva mai fatto caso a quanto giovani fossero alcune prostitute, né all’età in cui si sposavano molte fanciulle. Le ragazzine non gli erano mai interessate, preferiva le donne mature, dalle forme morbide e possibilmente esperte a letto. Quando non frequentava cortigiane era corso dietro alle donne sposate o alle serve di taverna che dimostravano di gradire le sue attenzioni. Poi era divenuto khan e aveva fatto la conoscenza delle concubine di suo padre.
Suo padre non era stato un mostro e le sue concubine non erano maltrattate o picchiate, erano solo… spente, sottomesse. Loro gli avevano proposto i loro servigi ma non vi erano stati sorrisi né sguardi ammiccanti, solo rassegnazione. La più giovane aveva avuto solo undici anni ed era stata quella con più vitalità di tutte; lei gli aveva detto, quando lui l’aveva interrogata, che suo padre mandava via quelle che non si adattavano a lui, che non gli piaceva quando le ragazze piangevano, o urlavano, o cercavano di sfuggirgli. Se dopo qualche settimana non si abituavano al suo tocco le mandava via, con una ingente somma per compensarle della virtù perduta.
A Zaron si era rivoltato lo stomaco difronte a quegli sguardi piatti ed espressioni vuote. Aveva fatto chiamare Perla e poi le aveva mandate via tutte.
E adesso anche lui aveva sposato una ragazzina. Ma non provava nessuna attrazione per lei, che era ancora una bambina; quando aveva reagito con puro terrore al rimanere da sola con lui, all’idea che lui avrebbe potuto toccarla, Zaron si era arrabbiato e offeso. Lui non era un depravato e aveva pensato di averla convinta di questo, lei era sembrata a suo agio in sua compagnia nei giorni passati e gli aveva permesso di toccarle la mano senza mostrare alcun disgusto. E poi, in pochi minuti, era regredita come se tutto il suo impegno per abituarla a lui non ci fosse mai stato, come se la sua parola non valesse nulla.
Zaron cambiò posizione cercando di mettersi più comodo, sapendo che era impossibile e che al mattino seguente si sarebbe svegliato con i muscoli doloranti: nulla che un vigoroso allenamento con la spada non avrebbe fatto passare. Le sedie scricchiolarono sotto il suo peso e lui si immobilizzò, temendo che lei si svegliasse. Deja si agitò tra le lenzuola, ma non diede segno di essersi destata. Aveva buttato a lato le coperte e si era voltata, lasciando uscire da sotto le lenzuola un braccio e una gamba. Guardò la gamba tatuata di rosso, la vestaglia che le aveva prestato le si era attorcigliata addosso, scoprendola fino a metà coscia.
I tatuaggi salivano fino al ginocchio. Aveva mezza idea di urlare addosso a Perla e alle altre ragazze per averla ricoperta di disegni. Si era sentito mortificato vedendo l’estensione dei tatuaggi, ben oltre i normali mani e piedi. Sapeva che più le pitture erano elaborate e scure più onore davano alla fanciulla, ma sapeva anche che indicavano passione e desiderio da parte dello sposo. La sua corte doveva essere convinta che lui fosse stato smanioso di giacere con lei e le nozze affrettate dovevano solo aver rafforzato questa idea.
Da una parte gli andava bene: se i suoi nobili lo vedevano favorire la sua regina issiana, e nei giorni seguenti l’avrebbe onorata con un garbo e un favoritismo che nessuna regina rakiana aveva mai ricevuto, si sarebbero affrettati a mandarle le loro mogli per creare legami e alleanze, dando inizio a quel processo di assimilazione in cui lui sperava. Il suo favore l’avrebbe anche in parte protetta da eventuali avversari politici: Zaron era un khan spietato con i nemici e aveva effettuato un’epurazione brutale e sanguinaria di tutti i nobili che non avevano voluto accettare la sua ascensione al trono. Anche la reazione agli attentati alla sua vita era stata terribile e alcune famiglie nobili ne erano risultate estinte: all’inizio si era mostrato misericordioso, ma dopo gli ultimi due tentativi di ucciderlo aveva fatto passare a fil di spada tutti, donne e bambini compresi. Nessuno si era più sollevato contro di lui.
D’altra parte però gli bruciava che tutti nel regno ora lo considerassero un uomo che preferiva le ragazzine. Aveva incoraggiato i suoi nobili a sposare donne, non bambine, mostrando apertamente il suo scorno per tali unioni, ma ora che lui stesso aveva sposato una dodicenne gli avrebbero dato dell’ipocrita. Sperava solo che con il tempo si sarebbero accorti che Deja era l’unica eccezione che aveva fatto alla sua regola, perché lui una regola l’aveva ed era stata messa in chiaro quando gli avevano offerto mogli e concubine: non ne voleva nessuna che avesse più di quindici anni meno di lui. Per il resto si era affidato a Perla, che conosceva i suoi gusti.
Sistemò meglio la testa sul cuscino appoggiato al muro e chiuse gli occhi, cercando almeno di riposare un po’.
 
La mattina dopo Deja si svegliò malissimo. Aveva dormito scomodamente, in quel letto enorme, avvolta nella camicia e nella vestaglia di Zaron, che aveva addosso il suo odore, e nient’altro. Al risveglio aveva un forte mal di testa e gli occhi rossi dal pianto. La destò lui e lei era ancora così stanca che lo lasciò fare quando lui l’aiutò a districarsi dalle lenzuola e la guidò verso la sala da bagno, reggendola per il braccio. 
Quando ne uscì era più lucida e lo trovò a torso nudo, seduto sul letto. La pelle era dorata, più chiara di quella delle braccia, dove era abbronzato, e il petto era coperto da una leggera peluria nera. All’altezza del cuore non poté fare a meno di notare un tatuaggio nero che rappresentava un drago, come quello del suo sigillo. Lei arrossì, vedendolo così poco vestito, e poi impallidì perché la conversazione che ne seguì non fu affatto piacevole.
Lui aveva sollevato lo sguardo, vedendola rientrare in camera. Era immobile, con le mani aperte appoggiate sulle lenzuola.
- Deja, dobbiamo creare delle prove che il matrimonio sia stato consumato.
Lui aveva fatto una smorfia alla parola “prove” e Deja si era stretta nella vestaglia che ancora indossava e che la copriva, proteggendo la sua modestia dato che la camicia che Zaron le aveva fornito la notte precedente era troppo corta.
Zaron si alzò, prese una sedia e si sedette su di essa al contrario, porgendole la schiena.
- Graffiami, usando la mano destra per graffiare la spalla sinistra e quella sinistra per graffiare la spalla destra, così che sembri che mi stavi abbracciando.
Deja gli si avvicinò, esitante. La schiena di Zaron era ampia e muscolosa e, a differenza delle sue braccia, non aveva cicatrici. Appoggiò una mano tremante sulla sua spalla sinistra e fece correre le unghie sulla sua pelle calda. Zaron sobbalzò.
- Più forte, Deja, così sembra una carezza. Graffiami come se stessimo combattendo, come eri di sicuro pronta a graffiarmi ieri notte se ti avessi toccata.
Deja si lasciò sfuggire un mugolio disperato, pensando alla notte prima, immaginando che disastro sarebbe stato se lui non fosse stato un uomo di parola. Si immaginò come sarebbe stato se invece di porgerle la camicia che indossava in quel momento le avesse strappato di dosso gli abiti e l’avesse spinta sul letto.
Graffiò selvaggiamente, arcuando le dita come se fossero artigli. Zaron sibilò e inarcò la schiena mentre quattro strisce rosse comparivano sulla sua pelle.
- Ancora. Dall’altra parte.
Di nuovo Deja lo graffiò, cercando di essere rapida, perché non provava piacere a infliggergli dolore.
- Bene. Brucia: hai rotto la pelle?
- Non c’è sangue se è questo che chiedi.
Rispose lei con un filo di voce. La schiena di lui era tuttavia marchiata, riusciva a sentire sotto le unghie la pelle che gli aveva graffiato via.
Lui si alzò e girò il capo, istintivamente, per cercare di guardarsi le spalle.
- Ottimo, ora…
Si interruppe, guardandola fissamente negli occhi, e Deja si rese conto che toccava a lei essere segnata in qualche modo.
- Cosa devo fare?
Gli chiese in tono preoccupato. Lui deglutì e assunse un’aria contrita.
- Mi dispiace ma ti devo toccare per questo. Prendimi le mani e non ti preoccupare. Ti devo… mordere. Ma non fa male, te lo giuro. Se non ti piace o è insopportabile, dimmelo e mi fermerò.
Deja gli porse le mani e lui gliele strinse prima di chinarsi su di lei e avvicinare il viso al suo collo. Si mosse lentamente, per non spaventarla, ma Deja si sentì terribilmente a disagio sentendo il suo respiro sul proprio collo e poi al contatto delle sue labbra con la propria pelle. Non trattenne un gemito di allarme, sentendo che lui la baciava a bocca aperta e poi… Non fu un morso, non sentiva i denti ma… quello che lui faceva con la bocca …!  I versi che Deja emetteva non erano di paura, né di dolore, e lei non si accorgeva nemmeno di farli. Era strano, era stranamente piacevole e si lasciò sfuggire un rantolo quando lui si staccò, liberandole le mani e facendo un passo indietro. Si portò una mano alla gola: era bagnata dalla sua saliva e dove lui l’aveva baciata sentiva formicolare la pelle, ma al tatto sembrava fosse tutto a posto. Lui la guardò criticamente, valutando il proprio lavoro.
- Un bel livido rosso.
Commentò sottovoce.
Lei non capì inizialmente, poi con un lampo ricordò come una sua amica aveva dovuto portare una sciarpa di seta per giorni, lamentandosi con chiunque la volesse ascoltare che suo marito era stato troppo passionale e le aveva lasciato dei lividi. Deja era inorridita, vedendo le ecchimosi marroni che la donna aveva avuto al collo, pensando che lui le avesse fatto del male, ma quando aveva chiesto alla sua amica se suo marito l’avesse picchiata, lei era parsa sorpresa e arrossendo aveva negato, affermando che era tutto il contrario, che era stato molto piacevole. Deja all’epoca era stata scettica e non aveva compreso, ma aveva accettato la spiegazione, anche perché la sua amica non era tipo da accettare di essere maltrattata da chicchessia. Ora capiva e, come la sua amica, arrossì violentemente perché, come lei aveva detto, era stato piacevole.
Zaron sembrava ancora a disagio.
- Non è finito. Per favore, prendi il calice che c’è su quel tavolo.
Mentre Deja prendeva il calice indicato lui apriva il cassetto in cui aveva riposto le armi e ne tirò fuori un pugnale. Deja non capiva a cosa gli servisse ma gli porse silenziosamente il calice.
Lui si abbassò leggermente la cintura e con la lama si procurò un piccolo ma profondo taglio sul fianco, affrettandosi a mettere il calice sotto la ferita, per raccogliere le gocce di sangue che vi stillavano.
- Vai in bagno, ci sono degli asciugamani. Bagnane uno e portamelo.
Deja si affrettò a obbedire, confusa dal fatto che lui si fosse autoinflitto quel colpo.
Zaron si premette la stoffa bagnata sulla ferita, finché non smise di sanguinare e poi le chiese di sciacquare l’asciugamano lasciando una macchia sbiadita e di buttarlo per terra, per i servi da trovare. Infine sotto gli occhi attoniti di Deja, che cominciava a intuire il motivo di quel bizzarro atteggiamento, Zaron versò alcune gocce di sangue sulle lenzuola, al centro del letto.
- Non troppe, non poche.
Lo udì borbottare. Poi uscì dalla stanza con il calice ancora in mano e gli udì dire che stava versando il sangue rimanente su una pianta.
- Sai perché ho macchiato il letto Deja?
Le chiese quando tornò. Lei annuì, perché era troppo mortificata per parlare. Lui ripulì il calice e lo rimise al suo posto. Poi indossò nuovamente la casacca con cui aveva dormito e si mise gli stivali e una leggera armatura. Per finire si rimise i pugnali che si era tolto la sera prima.
- È metà mattina. Tardi per me, rispetto a quando mi alzo di solito, ma è il mio primo giorno da sposato, ho ritenuto che fosse lecito lasciar credere che avevo voluto indugiare a letto. I servi sapevano che non dovevano disturbarci. Io esco e dico di mandarti qualcuno. Vuoi che chieda alla divra di far venire la tua ancella personale, quella che era con te sull’aeronave?
Deja annuì e lui esitò prima di parlarle nuovamente, con voce bassa.
- Hai ancora paura di me, Deja? Ti senti a disagio in mia presenza?
Lei cercò di farsi forza e lo guardò negli occhi, cercando di essere sincera con lui e con sé stessa.
- No, non ho paura. Non più. Ma… mi sento terribilmente in imbarazzo e a disagio per questa situazione.
Indicò con un gesto vago il letto e poi il tavolino su cui era stato riposto il calice.
- Io volevo… ringraziarti per la tua gentilezza, la tua sollecitudine. E soprattutto per la tua pazienza con me ieri notte. Non posso che farti nuovamente le mie scuse per aver dubitato di te. Sei un uomo d’onore.
Zaron le sorrise e Deja si costrinse a restituirgli il sorriso. Lui si era comportato bene con lei mentre lei era stata una pena per lui da sopportare. Si meritava una dimostrazione che lei aveva capito e apprezzato il suo comportamento. Per questo gli porse la mano, con il dorso in alto e lui la prese e le baciò le nocche. Quel gesto sembrò rilassarlo e la lasciò con il sorriso sulle labbra.
Attese l’arrivo di Larissa seduta sul bordo del letto sfatto, ancora avvolta nella vestaglia di Zaron. La sua cameriera entrò, seguita da altre due servitrici rakiane che, a capo chino, cominciarono a riassettare la stanza, portando via lo scrigno dei gioielli e dirigendosi in sala da bagno, per cambiare la biancheria. Prima che ne uscissero Deja era balzata in piedi.
- Voglio uscire di qui, Larissa. Aiutami a cambiarmi.
Larissa aveva portato un semplice abito da giorno issiano. Non aveva detto nulla, consapevole della presenza delle altre due donne e anche il volto era stato una maschera impassibile. Le mani però le avevano tremato mentre l’aiutava a togliere la vestaglia e la camicia nera da uomo che indossava al disotto e Deja sentiva il suo sguardo sul livido che aveva al collo. Appena l’abito fu al suo posto scattò fuori dalla stanza perché le servitrici rakiane stavano cambiando le lenzuola e la mortificazione al pensiero di quello che avrebbero visto, e pensato, la soffocava.
- Mia signora, aspetti!
Larissa le corse dietro e Deja le permise a malapena di aprire le porte davanti a sé. Uscita dagli appartamenti di Zaron si bloccò in corridoio. Era stata convinta che, una volta uscita, si sarebbe calmata, ma ad attenderla c’erano due guardie issiane, tra cui Ostin. Lui le fissò il collo, mentre un’espressione di rabbia gli si dipingeva sul viso.
- Scortami alle mie camere, Larissa. Adesso.
Deja non riuscì a trattenere una nota di isteria, non poteva sopportare quegli sguardi d’orrore e rabbia. La sua ancella la precedette, mentre due guardie rakiane aprivano le porte dell’ala femminile, dirimpetto a quelle da cui erano appena uscita in tutta fretta. Deja quasi ci entrò di corsa, ansimando forte. Non fece caso agli ambienti che attraversò, né rispose ai saluti con cui le concubine che incontrò l’accoglievano. Larissa l’accompagnò in quelle che dovevano essere le sue camere e lì Deja si immobilizzò, stupita, davanti a quel letto su cui non aveva mai dormito, ma su cui erano state stese le sue lenzuola, portate da Issa. Lentamente si guardò intorno. C’erano bauli aperti sparsi per la stanza e ne aveva notati altri, nelle stanze che aveva attraversato. C’erano servitrici rakiane che disfacevano i suoi bagagli, ma Larissa le mandò via con un ordine deciso. Rimasero sole e Deja si avvicinò tremante al letto, si lasciò cadere a faccia in giù sulle lenzuola familiari e si mise a piangere. Sentì Larissa che, esitante, si sedeva sul bordo del letto e le poggiava una mano sulla spalla. Quando parlò la voce le tremava e Deja si rese conto con costernazione che anche lei stava piangendo.
- Mia signora, oh, mia povera signora. Vuole che faccia chiamare la guaritrice?
La regina sobbalzò con orrore, perché comprese cosa la sua scenata doveva aver fatto sospettare alla sua cameriera. Si tirò su a sedere, asciugandosi gli occhi e la guardò.
- No, Larissa, sto bene. Ho solo bisogno di stare un po’ sola…
Si guardò intorno, tutti quegli oggetti a lei così cari e familiari, in un ambiente così alieno.
- Mi manca tanto casa.
La voce si spezzò e ricominciò a singhiozzare.
- Mi manca il mio papà!
Detto questo nascose nuovamente il viso contro i cuscini e lasciò scendere lacrime. Avrebbe voluto smettere, sapeva che stava preoccupando a morte la povera Larissa, ma non ci riusciva. Avrebbe voluto dirle che Zaron non l’aveva toccata, ma non poteva, nessuno doveva sapere la verità. Le dispiaceva lasciare che Larissa immaginasse che lui fosse la causa di tutte quelle lacrime e che il dolore che stava sfogando fosse dovuto da un’offesa fisica mentre ciò che le doleva era il cuore. Aveva tenuto a bada l’angustia per il distacco dal padre, la pena per l’abbandono della patria, era stata forte e aveva concentrato la sua attenzione sul matrimonio, e solo la sera prima, quando si era lasciata travolgere dalla paura di Zaron, l’argine che aveva imposto alle sue emozioni si era crepato e ora era rovinosamente crollato, lasciandola in uno stato pietoso, senza difese e in lacrime.
- Mia signora, è sicura di non voler vedere la guaritrice?
- Sì Larissa, smettila di chiedermelo!
Quasi urlò quelle parole, poi proseguì con più calma.
- Perdonami, ma non voglio vedere nessuno, oggi. Lasciami sola, anche tu, per favore. Voglio solo… starmene sola per un po’.
Poi cercò di sorridere per rassicurarla, ma il risultato fu pessimo.
- Sul serio Larissa. Non preoccuparti. Adesso vai.
A malincuore, e con un’espressione angosciata la ragazza più vecchia se ne andò, chiudendosi quietamente la porta alle spalle.
Deja rimase a letto quasi tutto il giorno, piangendo e fissando il soffitto. Rifiutò il vassoio con il pranzo che Larissa le portò e solo verso sera la chiamò, chiedendole di portare qualcosa da mangiare e di prepararle il bagno.
Dopo aver mangiato si sentì molto meglio e il bagno con i sali profumati che Larissa le aveva fatto preparare la fece sentire di nuovo sé stessa. Riuscì persino a sorridere con sincerità alla sua povera ancella che era stata in uno stato di panico per tutto il giorno.
- Mi dispiace di averti fatta preoccupare Larissa.
Le disse mentre lei le asciugava i capelli e le districava i nodi con un pettine.
- Oggi è stata davvero una pessima giornata. Non sapevo cosa fosse la nostalgia prima. È davvero una brutta sensazione.
Larissa annuì allo specchio, mordendosi il labbro. Era evidentemente ancora preoccupata e avrebbe voluto dire qualcosa, ma non osava.
- Chiedi pure, Larissa.
Concedette con un sospiro la regina.
- Mia signora.
Ogni parola usciva esitante dalle sue labbra.
- Lui … le ha fatto male?
Deja incrociò il suo sguardo. Aveva riacquistato la sua compostezza e il dominio delle sue emozioni e quando parlò lo fece con voce ferma e sicura, il viso sereno ma deciso.
- No, mio marito non mi ha fatto del male. È andato tutto per il meglio.
Larissa sembrava dubbiosa, ma annuì. Poi aggiunse, con voce incerta.
- Però non è quello che sembrava questa mattina, mia signora. Lady Pastis ha mandato numerosi messaggi durante tutta la giornata, chiedendo di vederla, ma io ho sempre respinto le sue richieste. Lord Ostin era furioso quando gli ho riferito che non volevate vedere nessuno e che oggi non sareste uscita dalle vostre stanze.
La regina gemette, coprendosi il viso con le mani. Vide da una diversa prospettiva la sua fuga dalle stanze di Zaron, la vide con gli occhi di Ostin, che poi doveva aver parlato con lady Pastis e poté solo immaginare quale conclusione quei due ne avessero tratto. Loro e tutti gli altri a Palazzo.
- Domani uscirò, mi incontrerò con lady Pastis e mi farò vedere da tutti, così potranno constatare che mio marito non mi ha uccisa.
Disse le ultime parole ironicamente, ma Larissa non sorrise.
- Se vi sentite meglio le concubine di re Zaron vi hanno invitata a cenare con loro nella sala da pranzo comune.
Deja annuì, distratta. Almeno loro sapevano che Zaron non le aveva fatto niente e quindi non vi sarebbero stati sguardi compassionevoli o pieni d’orrore ad attenderla. Non era per nulla ansiosa di incontrarsi con lady Pastis l’indomani mattina.
- Dì loro che accetterò.
- Come volete vestirvi mia signora?
Deja sospirò.
- Un semplice abito da giorno andrà bene, niente gioielli a parte la collana con lo zaffiro. Dopotutto è una cena di famiglia.
Larissa si affrettò a selezionare un abito dal guardaroba che aveva riempito solo per metà e Deja rifletté che era stata egoista a far mandare via le serve rakiane e chiedere solo la compagnia della sua ancella issiana. Larissa non poteva badare a lei da sola; avrebbe dovuto accettare la presenza di quelle ragazze e imparare a conoscerle. Annuì tra sé: dal giorno dopo si sarebbe messa d’impegno a conoscere il Palazzo Reale e la servitù, e avrebbe esplorato l’ala femminile in cui si trovava.
Gli appartamenti che le erano stati assegnati erano estremamente lussuosi e areati. Avevano finestre coperte da sottili tende bianche che davano in uno splendido giardino privato e dalla sua camera da letto aveva potuto udire lo zampillare di una fontana e il canto di numerosi uccelli. Le pareti erano intonacate di bianco da poco e poteva ancora sentire l’odore della pittura aleggiare nelle stanze. Probabilmente avevano coperto le decorazioni che aveva fatto fare la precedente regina. Persino i mobili sembravano nuovi, anche le tappezzerie non avevano segni di usura. Deja aveva già pensato a che colore voleva alle pareti e a come voleva cambiare le tende e la disposizione del mobilio. Tali progetti l’avevano aiutata a calmarsi, dandole l’impressione che stava prendendo possesso dell’ambiente che la circondava. La camera da bagno era stata una rivelazione: come quella di Zaron era enorme, piastrellata d’azzurro, con la vasca da bagno interrata in cui poteva immergersi completamente stando in piedi. A Issa invece aveva avuto una vasca in rame lucido in cui doveva stare seduta. A casa era abituata ad avere l’acqua corrente e calda, ma la vasca era stata piena d’acqua appena tiepida che non aveva invitato a rimanere a mollo a riflettere, anche se immergersi completamente era stato molto piacevole. Tuttavia, ricordando come la città mancasse di fonti d’acqua le era sembrato uno spreco terribile. Aveva usato i suoi asciugamani e i suoi saponi e aveva sorriso contenta, pensando a quanto premurosa fosse stata Larissa a prendere tutte le sue cose, anche quelle a cui lei non avrebbe mai pensato e che adesso erano così preziose nella loro confortante familiarità.
A parte la camera da letto e quella da bagno c’erano altre quattro stanze a sua disposizione. Una era stata già preparata come una sala da pranzo privata, un’altra come un salottino e le ultime due erano rimaste spoglie, in attesa che lei scegliesse la loro destinazione e Deja aveva già deciso che avrebbero ospitato la sua biblioteca e il suo studio. C’era inoltre una porta chiusa a chiave nella sua camera da letto e quando aveva chiesto a Larissa se sapesse dove conduceva lei le aveva risposto che quella era la porta della nursery e che veniva tenuta chiusa fino a che non ve ne era bisogno. Deja aveva lasciato andare la maniglia come se bruciasse. Fuori da quelle stanze si stendeva l’ala femminile del Palazzo Reale e la regina se la fece descrivere da Larissa mentre quest’ultima la preparava per la cena.
- Vi sono numerose stanze comuni, a cui accede tutta la servitù, sono molto grandi e le altre serve mi hanno detto che sono state concepite per ospitare molte più donne di quelle che ci sono ora, perché il khan ha poche concubine e solo tre figlie, per il momento. Ci sono i giardini comuni, in cui non sono ancora stata, e gli appartamenti delle concubine, quelli non occupati sono chiusi. Poi ci sono i due appartamenti delle figlie del khan, la più piccola sta ancora in camera della madre. In quelli entrano solo le servitrici personali. Mi hanno detto che a me sarà chiesto di servire solo lei, mia signora. Le altre servitrici sono molto cortesi e mi trattano con una certa deferenza, non so se perché sono la cameriera personale della regina o perché sono straniera, ma hanno l’abitudine di guardare fisso a terra; solo la divra mi ha guardato negli occhi. Mi ha consigliato anche di non lasciare mai l’ala femminile o le stanze dedicate alla servitù, a meno che non sia in compagnia. Che strano.
Venne l’ora di cena e una servitrice rakiana si presentò alla porta, conferendo con Larissa la quale le riferì che le concubine l’attendevano e che la domestica l’avrebbe accompagnata da loro.
Drizzando le spalle e alzando il mento Deja la seguì.

 
 
  
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