Alla mia serpe,
che ha una lingua forcuta,
ma con cui rido di cuore,
parlo di tutto senza vergogna,
passo notti intere a fare
scemenze.
A lei che è la sola a capirmi
(siamo incomprese ç_ç).
Al mio colore, animale e pure
fiore preferito.
A Lee.
Our Secret Garden
C’era
qualcosa di magico che alleggiava su quella terrazza.
Non
era il sole che picchiava forte e che ci imponeva di chiudere gli occhi per il
fastidio, che illuminava tutto, facendo splendere ancora di più il tuo sorriso.
Non
era nemmeno il vento che, dispettoso, faceva sollevare le nostre divise e
spettinava i capelli mai perfetti che tu ti divertivi sempre ad arruffare.
Forse
era semplicemente il fatto di essere lì, con te, insieme.
Per
la prima volta ero me stessa, senza maschere o costumi, semplicemente io nelle
mie imperfezioni, che tu accarezzavi sempre e perdonavi, guardandomi in un modo
che ancora ora mi fa rabbrividire di piacere.
Quella
terrazza era magica.
Era
magica perché era un posto che solo noi conoscevamo, che solo noi apprezzavamo
appieno.
Un
posto in cui tu mi prendevi la mano e, imbarazzato, balbettavi qualche frase
senza senso, facendomi sorridere.
Un
posto magico.
Nostro.
Quando spalancai la porta che dava sulla
terrazza scolastica fui costretta a chiudere gli occhi a causa del sole, che
batteva luminoso ed incurante delle nuvole intorno a sé, rischiarando quel
luogo solitamente in ombra.
Un venticello fresco frusciava tra le
fronde degli alberi, facendo salire il loro profumo fino al cielo, facendomi
inebriare di quell’aria di primavera appena nata.
Avanzai con passo svelto, ben attenta a
non essere vista da nessuno, le mani tremanti mentre stringevano un bento di
troppo, quel pomeriggio.
Mi lasciai cadere lungo la rete
d’acciaio, graffiandomi la schiena e non curandomene, pensando che fosse il mio
cuore, in quel momento, ad avere necessità di aiuto.
Si dice che la primavera sia la stagione
degli amori e che solo una piccola parte delle ragazze che dichiarano il
proprio amore all’amato venga rifiutata.
Ovviamente io, Sakura Haruno, diciassette
anni, irrimediabilmente single e presidentessa del club della biblioteca, ero
stata malamente scaricata dal ragazzo più appetibile della scuola, Sasuke
Uchiha.
Non avrei mai saputo dire da cosa io sia stata attratta: Sasuke-kun
era un bel ragazzo, di quelli che ti volti sempre a guardare quando passano per
la strada e che, con tutta probabilità, sono destinati ad avere carriera nel
campo sportivo o cinematografico.
Era affascinante e misterioso con la sua
solita aria crucciata, sposata perfettamente ai capelli neri come la notte e la
pelle pallida come le nuvole.
Amavo osservarlo studiare, nelle ore del
club; sempre solitario e silenzioso prendeva un libro dallo scaffale e stava anche
un intero pomeriggio su di esso, incurante dei mie sguardi e delle moine di
qualsiasi ragazzina gli passasse accanto.
Avevo sognato per mesi la nostra storia, in ogni minimo dettaglio: già progettavo la
nostra prima volta, in una stanza d’albergo a cinque stelle sul mare ed il nome
del nostro bambino.
Sembrava tutto perfetto, bisognava solo
metterlo in pratica. Come constatai, però, la realtà faceva schifo.
Quella mattina era stato chiaro. Senza
troppi giri di parole mi aveva fatto intendere che non aveva tempo da perdere
dietro ad una donna, che aveva ben
altro per la testa.
Troppo orgogliosa per piangere di fronte
a lui, mi ero rifugiata su questa terrazza, sempre vuota e mai caotica come i
corridoi o il giardino scolastico.
La quiete regnava sovrana in quel luogo,
pensai sollevando il capo verso il sole, lasciando che una piacevolissima
arietta mi spettinasse i capelli di un atipico colore rosato.
Fu in quel momento, come se qualcosa mi
fosse entrato in un occhio, che scoppiai a piangere.
Solitamente ero una ragazza composta, che
non si lasciava andare facilmente alle emozioni, ma quel giorno lasciai cadere
tutte le lacrime, singhiozzando e tirando su con il naso come una bambina piccola, sentendo un dolore
lancinante alla gola per la mancanza di fiato.
«Sai, piangendo in quel modo ricordi
tanto mia cugina. Ha sei anni e mezzo, ovviamente»
Sollevai gli occhi arrossati dal pianto e
per poco non gridai di spavento e meraviglia, trovandomi di fronte il cielo più
azzurro che avessi mai visto in tutta la mia vita.
La mia bocca era aperta in una piccola
“o” di stupore, mentre osservavo rapita i tratti leggermente rudi di quel
volto, non particolarmente bello od attraente.
Il suo sorriso, canzonatorio ma sincero,
fece sì che il mio cuore si esibisse in una doppia capriola, saltandomi quasi
in gola.
Ammirai quella fila di denti perfetti e
bianchissimi, in contrasto con la carnagione abbronzata dal sole.
«Lasciami in pace», sussurrai senza
convinzione, asciugandomi una lacrima e poi un’altra ancora, cercando senza
successo di distogliere gli occhi dai suoi, ignorando il calore che aveva preso
possesso delle mie gote.
Non obbedì al mio ordine, anzi, si
sedette accanto a me, sfiorando accidentalmente il mio ginocchio ossuto e
facendo entrare in contatto le nostre braccia.
Guardandolo di sottecchi, capii che
quella vicinanza non lo turbava per nulla, mentre il mio cuore si era lanciato
in una danza improvvisata e rumorosa, probabilmente udibile perfino dall’altro
lato del Giappone.
«Dato che ti trovo decisamente carina con
i segni del pianto addosso potrei provarci con te, era un consiglio d’amico»
Proclamò con tono di voce divertito,
aggiungendovi poi una risata particolare, viva e sincera, che lo fece
illuminare.
Rimasi estasiata da quel particolare familiare e, senza motivo, desideravo
udirla ancora.
Ignorando il mio silenzio ed il mio
stupore, continuò a parlare, e mi venne da pensare che, sebbene fossi
semplicemente una sconosciuta, volesse consolarmi come meglio riusciva.
«Il ragazzo che ti ha rifiutata è un
idiota», disse dopo un po’ ed io arrossii imbarazzata per quella che decretai
una figuraccia.
Sicuramente, dentro di sé, quel ragazzo aveva
solamente una gran voglia di prendermi in giro e non di consolarmi.
«Lui è...troppo per una come me»
A dire il vero, non seppi perché
pronunciai quelle parole, ne tantomeno perché mi voltai per poterlo vedere
(ancora) negli occhi.
Come previsto, caddi nell’abisso di quel
mare profondo, chiudendo fuori i rumori primaverili e le urla dei compagni di
scuola provenienti dal giardino sotto di noi.
«Sasuke è solo un idiota, come ho già detto,
e tu sei decisamente carina, Sakura-chan»
Non ebbi il tempo che di aprire la bocca
stupita dal fatto che mi conoscesse, perché come se una mano l’avesse spinto,
Naruto si sporse verso di me, sfiorandomi le labbra con le proprie, in un bacio
velato ed inaspettato.
Rimasi pietrificata sul posto, non
reagendo come avrei fatto in quelle situazioni, lasciando che il gusto di un
ramen appena mangiato invadesse la mia bocca, mentre il mio stomaco gorgogliava
compiaciuto e appagato, stringendosi in una morsa per nulla dolorosa.
Ti
staccasti da me di scatto, come se una tarantola ti avesse punto.
Con
un borbottio indistinto di scusa, scappasti via, lasciandomi sola su quella
terrazza, con le dita che sfioravano le labbra appena violate.
In
quel momento, il ricordo del rifiuto di Sasuke-kun si offuscò come se fosse
stato coperto dalle nuvole, per sparire in un cassetto del mio cervello che non
avrei mai più riaperto.
Sfogliai distrattamente le pagine di una
vecchia e consunta copia di Alice nel paese delle meraviglie, lasciando le
gambe nude sotto la luce solare, nella speranza che prendessero un po’ di
colore.
Accarezzai con delicatezza le pagine
dall’aria fragile, pensando che quella era la sesta volta in quattro giorni che
sparivo sulla terrazza, senza motivazioni o scuse campate per aria.
Inutile nascondere il desiderio nascosto
dietro quelle visite. Avrei tanto voluto rivedere quel ragazzo senza un nome,
che era riuscito con la forza di mille uragani a far scivolare via la
sofferenza dovuta ad una delusione.
Ridacchiai tra me, dandomi della stupida
per la superficialità che stavo mostrando, poggiando poi il capo sul libro e
chiudendo gli occhi.
Il canto degli uccellini scomparve,
mentre urla rauche e rumorose mi giunsero all’orecchio, strappandomi con
violenza dal mio stato di pace e tranquillità.
Mi sporsi verso la rete stizzita ma
curiosa, intravedendo le divise verdi e gialle della squadra di rugby della
scuola, stupendomi piacevolmente dall’intensità e dall’impegno che dimostravano
in un semplice allenamento e sotto il sole particolarmente caldo di quel giorno.
Aggrappandomi alla recinzione di metallo
spalancai gli occhi allibita, riconoscendo tra le tante chiome scure una
bionda, che correva perdifiato e, decisa, placcava l’avversario, buttandolo a
terra con un’unica, cruciale mossa.
Senza aspettare un minuto di più corsi
via, veloce come non mai, seppur fossi una frana in educazione fisica e non
riuscissi mai a battere i 50 metri in meno di dieci secondi.
Il libro cadde a terra, con un tonfo
sordo, accompagnando i tacchi delle mie scarpe che battevano sul pavimento.
Quando arrivai affaticata e senza fiato
al campo, con il sudore che colava dal mento e la divisa più appiccicata che
mai al mio corpo mi sentii orribile, gli sguardi dei giocatori che si erano
bloccati di colpo, probabilmente non essendo abituati ad un pubblico.
Con il cuore che ballava un cha-cha-cha,
avanzai veloce, dirigendomi decisa e con volto scuro verso l’unica testa bionda
della squadra, che teneva stretta la palla tra le sue mani. Dall’espressione,
capii che era indeciso se scappare oppure rimanere.
Fui io, quel giorno, a non dargli il
tempo di reagire o di fare qualsiasi cosa.
Sollevando la mano verso l’alto, la
chiusi a pugno, indirizzandola poi sullo zigomo destro del ladro del mio primo
bacio.
A
distanza di anni, avrei voluto baciarti a mia volta e non picchiarti.
Ma
ero Sakura Haruno, non una qualsiasi ragazzina civetta, e dovevo farti capire che
genere di persona fossi.
Ti
scusasti con un panno bagnato sulla guancia, seduto nello spogliatoio del club
di rugby, la voce impastata dal dolore ed un espressione di puro terrore sul
viso, mentre mi tendevi la mano e ti presentavi come “Naruto Uzumaki”.
Ero
compiaciuta mentre constavo il danno della ferita, perché sotto le mie dita
sentivo fremere il tuo corpo, non per paura, per qualcosa che ancora non
riuscivo a credere.
Seppi
solo che da quel momento, con una semplicità quasi assurda, entrasti nella mia
vita, a piccoli passi, iniziando da quella terrazza solitaria.
Bisognava scalare ventitré gradini prima
di poter raggiungere la terrazza, e solo una volta in cima avresti potuto
riprendere fiato, perché sulle scale non vi era alcuna interruzione.
La mia testa fece capolino dalla porta e
sorrisi in segno di saluto quando vidi Naruto sdraiato a terra, le braccia
spalancate all’esterno ed un sorriso totale appagamento sul volto.
M’inginocchiai di fianco a lui, poggiando
a terra i due bento accuratamente preparati, ripensando alle domandine
maliziose che Ino, la mia migliore amica,
mi aveva rivolto quella mattina: per chi
è, è un ragazzo, l’hai già baciato, ti è piaciuto, com’è a letto, è simpatico,
lo conosco, ha la ragazza.
Naruto osservò la mia espressione
divertita e, con un gesto cauto, scostò una ciocca di capelli che mi era
scivolata dal nastro per capelli rosso.
Sussultai sotto il suo tocco, sentendo
bruciare vivacemente la parte di nuca da lui sfiorata, e ritrovandomi a sperare
che lo facesse ancora, cosa che, ovviamente, non avvenne.
A ben vedere, Naruto cercava sempre di
non sfiorarmi più del dovuto, e se lo faceva era sempre per un buon motivo.
Le sue domande e i complimenti che mi
rivolgeva, però, erano sempre schietti e sinceri, intrisi di un’innocenza quasi
sciocca e fastidiosa, per una come me, abituata alle azioni dirette.
«Ti ho preparato il bento»
Lui mi sorrise con gratitudine,
flettendosi verso di me. Intravidi la pelle abbronzata del collo, netto
contrasto con la camicia bianca della divisa, coperta da una leggera peluria
bionda. Avrei voluto sfiorarla, scoprire se scottava come la mia nuca, provare
se era liscia o ruvida, sentire il suo sapore sulle mie labbra.
Mi affrettai ad abbassare lo sguardo,
turbata da quei pensieri, mentre Naruto ridacchiava per una qualche gaffe
compiuta quella mattina.
Lo ascoltai solo parzialmente, mentre
decine di domande si facevano largo nella mia mente.
Non
eri il mio tipo, inutile nascondere l’evidenza.
Non
eri intelligente, non eri bello, né tantomeno intraprendente.
Sembravi
un bambino con le tue risate, i tuoi sorrisi, i gesti innocenti e poco
calcolati.
Forse,
ripensandoci ora, fu proprio quello ed attrarmi.
Io
così abituata ad amare la perfezione mi stavo crogiolando nel piacere dei
momenti passati con te, fatti di battute e silenzi mai imbarazzanti, che
riempivo guardandoti con curiosità e studiando ogni tuo piccolo gesto.
Catalogai
quell’interesse come amicizia.
Fui
una sciocca superficiale.
«Queste cose sono incomprensibili», mi
disse settimane dopo, il libro di matematica aperto sulle ginocchia ed una
cannuccia stretta tra i denti, l’espressione più crucciata che avessi mai
visto.
Ridacchiai divertita, avvicinandomi a lui
e sporgendomi verso la pagina incriminata, lasciando che una ciocca dei miei
capelli cadesse a sfiorare il suo volto, quasi volutamente.
Lo sentii trattenere il respiro, mentre
il mio cuore accelerava i battiti e il mio stomaco faceva le fusa come un gatto
particolarmente soddisfatto.
«Sakura-chan, oggi sei particolarmente
bella», disse con il suo solito tono innocente, facendomi imporporare le guance
e lasciando che il mio respiro si mozzasse per lo stupore.
Mi appoggiai alla recinzione di ferro,
sorreggendo il peso del mio corpo che sarebbe inevitabilmente caduto a terra
per l’emozione provata, mentre Naruto mi osservava con gli occhi blu
spalancati, quasi non capisse cosa i suoi complimenti comportassero per il mio
cuore.
A dire il vero, nemmeno io sapevo nulla
di preciso, ero una testarda che non riusciva a capacitarsi del fatto che
Sasuke fosse sparito con estrema facilità dal cuore.
Quando sollevai lo sguardo dalle sue
scarpe, incrociai le labbra sottili e leggermente screpolate che mi avevano
baciato solamente una volta.
Da quel giorno, non erano mai state così
vicino alle mie, né tantomeno così invitanti.
Scossa da quel pensiero che (ancora) mi
intrappolò, mi alzai di scatto, facendolo cadere a terra e, senza alcuna
parola, scappai via.
Mi sentii quasi una stupida, mentre il
suo sguardo mi seguiva con stupore, prima che scomparissi oltre la porta
d’entrata.
Saltai i gradini a due a due, andando a
sbattere contro svariati studenti e non preoccupandomi mai di chiedere perdono.
Solamente quando una mano piccola ma
forte mi afferrò il polso con decisione bloccai la mia folle corsa, proprio
nell’entrata scolastica di fronte a milioni di armadietti.
Girandomi, trovai Ino Yamanaka con la
coda sfatta e i primi bottoni della maglietta scolastica slacciati. Non mi
preoccupai di chiederle come si fosse ridotta in quello stato, perché iniziai a
parlare senza sosta, imperterrita ed incurante degli sguardi altrui.
Le parole scorrevano via come un fiume in
piena, lasciandomi finalmente un piacevolissimo vuoto all’altezza dello
stomaco, mentre sul viso particolarmente bello di Ino si apriva un sorriso
carico di malizia e divertimento, gli occhi azzurri che brillavano per
l’eccitazione.
«Ti sei innamorata, fronte spaziosa?»,
chiese sarcastica, rifacendosi la coda ed ammiccando in direzione di uno
studente del nostro anno, che ci passò accanto con l’aria più seccata del
mondo, l’aria di uno che non aveva voglia di fare nulla se non di dormire.
Salutai frettolosamente Shikamaru Nara ed
arrossendo quando compresi il motivo dell’aspetto scarmigliato di Ino.
«Tu dai i numeri, Ino-pig», sussurrai
scossa dalle sue parole, voltando lo sguardo da un’altra parte.
Il cuore si bloccò di colpo quando
incontrai lo sguardo carico di preoccupazione che Naruto mi rivolgeva, sulla
soglia della porta d’uscita, accanto ad una ragazza dai capelli neri.
Il
cuore andò in mille pezzi, cadde a terra rumoroso e patetico, lasciandomi con
gli occhi spalancati dal terrore.
Ino,
accanto a me, sussurrò qualcosa di incomprensibile, mentre nella mia mente
danzavano le parole stupida ed idiota in sequenza, come una cantilena
particolarmente brutta che non vorresti mai ascoltare, ma purtroppo sei
costretto.
Fu
vedendo quella scena che mi convinsi a partecipare alla prima partita di rugby
della stagione, pur non conoscendo nessuna regola, nessuno ruolo e solamente un
giocatore.
Non avrei mai pensato di essere un tipo
geloso.
Sasuke-kun era sempre circondato da
ragazzine adoranti, ma nessun mostro verde si era impossessato del mio corpo,
tanto da farmi tremare le mani dall’irritazione.
«Te l’ho detto che sei innamorata»,
sibilò Ino maliziosa, attorcigliandosi una ciocca di capelli biondi intorno
all’indice e gonfiando un palloncino con la gomma da masticare.
Schioccai la lingua sul palato stizzita e
imbarazzata, inchiodando gli occhi su Naruto, che teneva la palla stretta tra
le mani e correva verso la meta.
Più volte cercai di individuare tra le
tribune la figura femminile che avevo intravisto con lui quella mattina,
alternando la ricerca alla partita (a Naruto).
Mi ritrovai a stringere la mano di Ino
per l’apprensione quando, con una spinta secca, fu buttato malamente a terra e
sepolto da una serie infinita di corpi.
Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, vedendo
che nessuno si rialzava, che nessuno rideva o scherzava. Vedendo che non stava
succedendo proprio niente.
Dopo una manciata di secondi, si svolse
tutto con estrema lentezza; uno ad uno i giocatori si alzarono dalla massa,
dandosi sonore pacche sulle spalle seguite da risate sguaiate.
Per ultimo, con un sorriso smagliante di
divertimento, Naruto balzò in piedi, abbracciando goffamente Kiba Inuzuka, e
dando una botta sul sedere ad un altro ragazzo della squadra, per nulla
scalfito ed in perfetta salute.
Sospirai di sollievo, lasciando che
l’occhiata allusiva di Ino mi trafiggesse, senza mai distogliere lo sguardo
dalla figura muscolosa di Naruto.
Fu con gioia che accolsi la fine della
partita e mi lascia trascinare senza alcuna replica da Ino verso il campo, con
il capo chino e le gote rosse per l’imbarazzo.
Tuttavia, dovevo capire chi diavolo fosse
quella maledetta ragazzina e, cosa più importante, ciò che davvero sentivo per
Naruto.
Quei batticuori non potevano definirsi
amicizia, quelle emozioni non erano da compagni di fughe o quant’altro.
Me lo ritrovai di fronte non con il
solito sorriso, ma con uno sguardo guardingo, mentre scrutava il mio viso in
cerca di qualcosa che non compresi.
Tentai di sorridere, ma mi uscì solamente
una brutta smorfia, e mi diedi della stupida.
«Bella partita», cinguettò Ino con fare
ammiccante, non a Naruto in particolare: poteva sembrare una ragazza facile, ma
i suoi occhi stavano osservando verso le tribune, un ragazzo dal codino spinoso
e disordinato.
Naruto le sorrise grato, pur non
spostando gli occhi da me: mi sentii improvvisamente riscaldata da tutte quelle
attenzioni.
Quando qualcuno propose di improvvisare
una festa, Naruto approfittò del caos per afferrarmi la mano e trascinarmi via,
senza dire nulla o chiedermi se mi andasse di scappare con lui.
Perché quella era una fuga, no?
Entrando nella scuola, capii subito dove
volesse portarmi e mi lasciai trascinare come una bambola verso la (nostra)
terrazza, incespicando qualche volta nei gradini ed aggrappandomi alla sua
maglietta.
Si scusò un paio di volte per non aver
fatto la doccia, ma non dissi nulla, perché la mia mente stava pensando ad
altro, inebriata dal profumo mascolino che il suo corpo emanava: sarei riuscita
a non perdere il controllo della situazione?
Permisi a Naruto di spingermi contro il
muro, di fronte alla porta su cui dava la terrazza, deglutendo rumorosamente un
paio di volte, una volta terminate le scale.
«Perché sei scappata, Sakura-chan?»,
domandò con occhi colmi di preoccupazione, tanto che quasi mi commossi.
Allungai una mano verso il suo volto, sentendo sotto i miei polpastrelli la
ruvidità di una barba che stava per crescere.
Con il cuore che batteva a mille, gli
chiesi quello che da tempo mi premeva, ma che non avevo mai osato sfiorare per
ciò che stava nascendo (era nato) tra di noi.
«E tu perché mi hai baciata, quel
giorno?»
Capii di averlo preso in contropiede
quando spalancò gli occhi per lo stupore, forse non aspettandosi nulla di così
diretto.
Balbettò qualche scusa insignificante,
per guardarmi rosso in volto, leggermente sudato.
Poi, con uno scatto felino ed un lampo di
decisione negli occhi blu, mi baciò. Premette le labbra sulle mie con passione,
stringendomi la vita e facendo aderire i nostri corpi alla perfezione.
Sentii la sua eccitazione crescere,
mentre gli accarezzavo i capelli biondi, giocherellando stupita da quella
travolgente emozione con il colletto della sua maglietta.
Quando ci staccammo presi un’enorme
boccata d’aria, passandomi poi la lingua sulle labbra, sentendo ancora il suo
sapore nella mia bocca, il suo profumo su di me.
La cosa mi piacque.
«Mi hai fatto...eccitare», sussurrò
qualche secondo dopo, abbassando le palpebre colpevole, lasciandomi e cercando
di non picchiarsi per la sua stupidità.
All’inizio non compresi quella frase, ma
poi la mia bocca si chiuse e si riaprì come grazie ad un comando a distanza e,
prima che potessi dire qualsiasi cosa, mollai una sberla sulla guancia di
Naruto, sentendomi più umiliata che mai, seppur i sentimenti provati fossero
gli stessi.
«Brutto porco!», sbottai con le lacrime
agli occhi, allontanandomi da lui con veloci falcate e spalancando
violentemente la porta.
Arrivando in terrazza, il vento mi
spettinò i capelli e mi fece chiudere gli occhi, mentre Naruto dietro di me
parlava con voce imbarazzata ma decisa, cercando di scusarsi.
«Sakura-chan, io avrei...io ti guardo da
sempre, Sakura-chan», mormorò ad un tratto, prendendomi per mano.
La accarezzò con un dito, disegnando dei
cerchi sul dorso, facendomi venire la pelle d’oca.
Mi morsi il labbro per non interromperlo,
dimenticandomi per un momento della sua confessione poco pulita. Infondo, era
solo un sano ragazzo di terza superiore.
«Mi piaci sin da quando ti ho vista
studiare per la prima volta in biblioteca, Sakura-chan, ma tu non ti sei mai
accorta di me. Tu amavi Sasuke, Sakura-chan», continuò con le gote sempre più
rosse, e io lo trovai particolarmente carino in quel momento, con i capelli più
spettinati del solito e il volto sporco di fango.
Come un fulmine a ciel sereno la verità
mi colse, e mi pentii di non essermi resa conto prima di lui, perché avevo
capito tutto, dalla prima all’ultima. Ed era così ovvio, che avrei voluto
picchiarmi di fronte a lui.
Naruto, il grande amico di Sasuke, come
avevo fatto a non riconoscerlo? Era la sua ombra, il suo compagno, il braccio
destro. Quello che nei corridoi si beccava sempre una sberla da Sasuke, che era
amico di tutti e che, anche senza conoscerti, non riusciva a non aiutarti.
Come avevo fatto a non ricordarmi di lui?
Dei suoi saluti rumorosi, dei suoi sorrisi sfuggenti e delle sue battute di
incoraggiamento?
Chiusi gli occhi ed una lacrima mi cadde
giù per la guancia, solitaria e colpevole.
Naruto la raccolse subito, portandosela
alle labbra, senza mai staccare gli occhi azzurri dai miei.
«Posso baciarti, Sakura?»
Fui io a baciarlo. Balzai in avanti,
colta di sorpresa da me stessa, gettandogli le braccia al collo e facendolo
cadere a terra.
Rise nel bacio, accarezzandomi la schiena
e giocherellando con i bottoni della camicia, passando le mani callose sulle
mie gambe, percorrendole in tutta la loro lunghezza.
Si fermò dopo qualche secondo, il fiato
mozzo, guardandomi ancora, implorante, le mani saldamente incorate ai mie
fianchi.
«Posso, Sakura-chan?», chiese con
innocenza, prima di levarmi la camicia con scioltezza, baciandomi poi il petto,
stringendomi a sé e cullandomi con una dolcezza quasi inumana.
Il quel momento capii che non importava
il luogo, né che lui non fosse il classico principe delle fiabe. Non
importavano i voti di Naruto, o chi fosse quella ragazzina. Importavamo solo
noi, in quella realtà perfetta, in cui
Naruto baciava ogni centimetro della mia pelle, sfiorandomi con amore e
desiderio, mai troppo insistente.
Stringendo le sue spalle e flettendomi
verso la luna, guardai al di là di quella terrazza, augurando a chiunque di
vivere quella favola.
Delucidazioni
(?):
A dire la verità
non ho niente da dire.
Una NaruSaku AU.
Sakura è leggermente OOC? Chissene frega. Perché questa Sakura ci sta, perché
infondo il cuore di una donna è volubilissimo e nessuno di noi sa che castelli
mentali si fa. U_U
È lunga. Questo
ve lo concedo.
Ma è un regalo
per una persona speciale, quindi non mi posso (e non vi potete) lamentare. (L)
Personalmente, vi
consiglio di far leggere la vostra prossima FanFic a Hilly89,
così state sicuri che le risate sono assicurate.
Lee...
...sei una
pettegola! XD
M.