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Autore: Mimi18    12/05/2009    10 recensioni
1. Your touch is what I'm missin', JiraTsu (Auguri Paccy!);
2. Touch me, now, SasuSaku (Auguri Ale! *_*);
3. Our secret garden, NaruSaku (Auguri amykettaH!! *_*);
4. Come cercare un ago in un pagliaio, SasuHina. Terza classificata al contest His/Her bag indetto da Stray cat eyes.
5. Principe azzurro all'improvviso, ShinoShiho - ShikaIno. Seconda classificata al contest I'm (not) a romantic man indetto da superkiki92.
6. Ti dono il mio cuore, ShikaIno. Prima classificata al contest la fuitina (!) indetto da superkiki92.
[Raccolta di Flash!Fic e OneShot non legate tra loro; generi e rating variabili. CONCLUSA]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino Yamanaka

Alla mia serpe,

che ha una lingua forcuta,

ma con cui rido di cuore,

parlo di tutto senza vergogna,

passo notti intere a fare scemenze.

A lei che è la sola a capirmi (siamo incomprese ç_ç).

Al mio colore, animale e pure fiore preferito.

A Lee.

 

Our Secret Garden

 

 

C’era qualcosa di magico che alleggiava su quella terrazza.

Non era il sole che picchiava forte e che ci imponeva di chiudere gli occhi per il fastidio, che illuminava tutto, facendo splendere ancora di più il tuo sorriso.

Non era nemmeno il vento che, dispettoso, faceva sollevare le nostre divise e spettinava i capelli mai perfetti che tu ti divertivi sempre ad arruffare.

Forse era semplicemente il fatto di essere lì, con te, insieme.

Per la prima volta ero me stessa, senza maschere o costumi, semplicemente io nelle mie imperfezioni, che tu accarezzavi sempre e perdonavi, guardandomi in un modo che ancora ora mi fa rabbrividire di piacere.

Quella terrazza era magica.

Era magica perché era un posto che solo noi conoscevamo, che solo noi apprezzavamo appieno.

Un posto in cui tu mi prendevi la mano e, imbarazzato, balbettavi qualche frase senza senso, facendomi sorridere.

Un posto magico.

Nostro.

 

Quando spalancai la porta che dava sulla terrazza scolastica fui costretta a chiudere gli occhi a causa del sole, che batteva luminoso ed incurante delle nuvole intorno a sé, rischiarando quel luogo solitamente in ombra.

Un venticello fresco frusciava tra le fronde degli alberi, facendo salire il loro profumo fino al cielo, facendomi inebriare di quell’aria di primavera appena nata.

Avanzai con passo svelto, ben attenta a non essere vista da nessuno, le mani tremanti mentre stringevano un bento di troppo, quel pomeriggio.

Mi lasciai cadere lungo la rete d’acciaio, graffiandomi la schiena e non curandomene, pensando che fosse il mio cuore, in quel momento, ad avere necessità di aiuto.

Si dice che la primavera sia la stagione degli amori e che solo una piccola parte delle ragazze che dichiarano il proprio amore all’amato venga rifiutata.

Ovviamente io, Sakura Haruno, diciassette anni, irrimediabilmente single e presidentessa del club della biblioteca, ero stata malamente scaricata dal ragazzo più appetibile della scuola, Sasuke Uchiha.

Non avrei mai saputo dire da cosa io sia stata attratta: Sasuke-kun era un bel ragazzo, di quelli che ti volti sempre a guardare quando passano per la strada e che, con tutta probabilità, sono destinati ad avere carriera nel campo sportivo o cinematografico.

Era affascinante e misterioso con la sua solita aria crucciata, sposata perfettamente ai capelli neri come la notte e la pelle pallida come le nuvole.

Amavo osservarlo studiare, nelle ore del club; sempre solitario e silenzioso prendeva un libro dallo scaffale e stava anche un intero pomeriggio su di esso, incurante dei mie sguardi e delle moine di qualsiasi ragazzina gli passasse accanto.

Avevo sognato per mesi la nostra storia, in ogni minimo dettaglio: già progettavo la nostra prima volta, in una stanza d’albergo a cinque stelle sul mare ed il nome del nostro bambino.

Sembrava tutto perfetto, bisognava solo metterlo in pratica. Come constatai, però, la realtà faceva schifo.

Quella mattina era stato chiaro. Senza troppi giri di parole mi aveva fatto intendere che non aveva tempo da perdere dietro ad una donna, che aveva ben altro per la testa.

Troppo orgogliosa per piangere di fronte a lui, mi ero rifugiata su questa terrazza, sempre vuota e mai caotica come i corridoi o il giardino scolastico.

La quiete regnava sovrana in quel luogo, pensai sollevando il capo verso il sole, lasciando che una piacevolissima arietta mi spettinasse i capelli di un atipico colore rosato.

Fu in quel momento, come se qualcosa mi fosse entrato in un occhio, che scoppiai a piangere.

Solitamente ero una ragazza composta, che non si lasciava andare facilmente alle emozioni, ma quel giorno lasciai cadere tutte le lacrime, singhiozzando e tirando su con il naso  come una bambina piccola, sentendo un dolore lancinante alla gola per la mancanza di fiato.

«Sai, piangendo in quel modo ricordi tanto mia cugina. Ha sei anni e mezzo, ovviamente»

Sollevai gli occhi arrossati dal pianto e per poco non gridai di spavento e meraviglia, trovandomi di fronte il cielo più azzurro che avessi mai visto in tutta la mia vita.

La mia bocca era aperta in una piccola “o” di stupore, mentre osservavo rapita i tratti leggermente rudi di quel volto, non particolarmente bello od attraente.

Il suo sorriso, canzonatorio ma sincero, fece sì che il mio cuore si esibisse in una doppia capriola, saltandomi quasi in gola.

Ammirai quella fila di denti perfetti e bianchissimi, in contrasto con la carnagione abbronzata dal sole.

«Lasciami in pace», sussurrai senza convinzione, asciugandomi una lacrima e poi un’altra ancora, cercando senza successo di distogliere gli occhi dai suoi, ignorando il calore che aveva preso possesso delle mie gote.

Non obbedì al mio ordine, anzi, si sedette accanto a me, sfiorando accidentalmente il mio ginocchio ossuto e facendo entrare in contatto le nostre braccia.

Guardandolo di sottecchi, capii che quella vicinanza non lo turbava per nulla, mentre il mio cuore si era lanciato in una danza improvvisata e rumorosa, probabilmente udibile perfino dall’altro lato del Giappone.

«Dato che ti trovo decisamente carina con i segni del pianto addosso potrei provarci con te, era un consiglio d’amico»

Proclamò con tono di voce divertito, aggiungendovi poi una risata particolare, viva e sincera, che lo fece illuminare.

Rimasi estasiata da quel particolare familiare e, senza motivo, desideravo udirla ancora.

Ignorando il mio silenzio ed il mio stupore, continuò a parlare, e mi venne da pensare che, sebbene fossi semplicemente una sconosciuta, volesse consolarmi come meglio riusciva.

«Il ragazzo che ti ha rifiutata è un idiota», disse dopo un po’ ed io arrossii imbarazzata per quella che decretai una figuraccia.

Sicuramente, dentro di sé, quel ragazzo aveva solamente una gran voglia di prendermi in giro e non di consolarmi.

«Lui è...troppo per una come me»

A dire il vero, non seppi perché pronunciai quelle parole, ne tantomeno perché mi voltai per poterlo vedere (ancora) negli occhi.

Come previsto, caddi nell’abisso di quel mare profondo, chiudendo fuori i rumori primaverili e le urla dei compagni di scuola provenienti dal giardino sotto di noi.

«Sasuke è solo un idiota, come ho già detto, e tu sei decisamente carina, Sakura-chan»

Non ebbi il tempo che di aprire la bocca stupita dal fatto che mi conoscesse, perché come se una mano l’avesse spinto, Naruto si sporse verso di me, sfiorandomi le labbra con le proprie, in un bacio velato ed inaspettato.

Rimasi pietrificata sul posto, non reagendo come avrei fatto in quelle situazioni, lasciando che il gusto di un ramen appena mangiato invadesse la mia bocca, mentre il mio stomaco gorgogliava compiaciuto e appagato, stringendosi in una morsa per nulla dolorosa.

 

Ti staccasti da me di scatto, come se una tarantola ti avesse punto.

Con un borbottio indistinto di scusa, scappasti via, lasciandomi sola su quella terrazza, con le dita che sfioravano le labbra appena violate.

In quel momento, il ricordo del rifiuto di Sasuke-kun si offuscò come se fosse stato coperto dalle nuvole, per sparire in un cassetto del mio cervello che non avrei mai più riaperto.

 

Sfogliai distrattamente le pagine di una vecchia e consunta copia di Alice nel paese delle meraviglie, lasciando le gambe nude sotto la luce solare, nella speranza che prendessero un po’ di colore.

Accarezzai con delicatezza le pagine dall’aria fragile, pensando che quella era la sesta volta in quattro giorni che sparivo sulla terrazza, senza motivazioni o scuse campate per aria.

Inutile nascondere il desiderio nascosto dietro quelle visite. Avrei tanto voluto rivedere quel ragazzo senza un nome, che era riuscito con la forza di mille uragani a far scivolare via la sofferenza dovuta ad una delusione.

Ridacchiai tra me, dandomi della stupida per la superficialità che stavo mostrando, poggiando poi il capo sul libro e chiudendo gli occhi.

Il canto degli uccellini scomparve, mentre urla rauche e rumorose mi giunsero all’orecchio, strappandomi con violenza dal mio stato di pace e tranquillità.

Mi sporsi verso la rete stizzita ma curiosa, intravedendo le divise verdi e gialle della squadra di rugby della scuola, stupendomi piacevolmente dall’intensità e dall’impegno che dimostravano in un semplice allenamento e sotto il sole particolarmente caldo di quel giorno.

Aggrappandomi alla recinzione di metallo spalancai gli occhi allibita, riconoscendo tra le tante chiome scure una bionda, che correva perdifiato e, decisa, placcava l’avversario, buttandolo a terra con un’unica, cruciale mossa.

Senza aspettare un minuto di più corsi via, veloce come non mai, seppur fossi una frana in educazione fisica e non riuscissi mai a battere i 50 metri in meno di dieci secondi.

Il libro cadde a terra, con un tonfo sordo, accompagnando i tacchi delle mie scarpe che battevano sul pavimento.

Quando arrivai affaticata e senza fiato al campo, con il sudore che colava dal mento e la divisa più appiccicata che mai al mio corpo mi sentii orribile, gli sguardi dei giocatori che si erano bloccati di colpo, probabilmente non essendo abituati ad un pubblico.

Con il cuore che ballava un cha-cha-cha, avanzai veloce, dirigendomi decisa e con volto scuro verso l’unica testa bionda della squadra, che teneva stretta la palla tra le sue mani. Dall’espressione, capii che era indeciso se scappare oppure rimanere.

Fui io, quel giorno, a non dargli il tempo di reagire o di fare qualsiasi cosa.

Sollevando la mano verso l’alto, la chiusi a pugno, indirizzandola poi sullo zigomo destro del ladro del mio primo bacio.

 

A distanza di anni, avrei voluto baciarti a mia volta e non picchiarti.

Ma ero Sakura Haruno, non una qualsiasi ragazzina civetta, e dovevo farti capire che genere di persona fossi.

Ti scusasti con un panno bagnato sulla guancia, seduto nello spogliatoio del club di rugby, la voce impastata dal dolore ed un espressione di puro terrore sul viso, mentre mi tendevi la mano e ti presentavi come “Naruto Uzumaki”.

Ero compiaciuta mentre constavo il danno della ferita, perché sotto le mie dita sentivo fremere il tuo corpo, non per paura, per qualcosa che ancora non riuscivo a credere.

Seppi solo che da quel momento, con una semplicità quasi assurda, entrasti nella mia vita, a piccoli passi, iniziando da quella terrazza solitaria.

 

Bisognava scalare ventitré gradini prima di poter raggiungere la terrazza, e solo una volta in cima avresti potuto riprendere fiato, perché sulle scale non vi era alcuna interruzione.

La mia testa fece capolino dalla porta e sorrisi in segno di saluto quando vidi Naruto sdraiato a terra, le braccia spalancate all’esterno ed un sorriso totale appagamento sul volto.

M’inginocchiai di fianco a lui, poggiando a terra i due bento accuratamente preparati, ripensando alle domandine maliziose che Ino, la mia migliore amica, mi aveva rivolto quella mattina: per chi è, è un ragazzo, l’hai già baciato, ti è piaciuto, com’è a letto, è simpatico, lo conosco, ha la ragazza.

Naruto osservò la mia espressione divertita e, con un gesto cauto, scostò una ciocca di capelli che mi era scivolata dal nastro per capelli rosso.

Sussultai sotto il suo tocco, sentendo bruciare vivacemente la parte di nuca da lui sfiorata, e ritrovandomi a sperare che lo facesse ancora, cosa che, ovviamente, non avvenne.

A ben vedere, Naruto cercava sempre di non sfiorarmi più del dovuto, e se lo faceva era sempre per un buon motivo.

Le sue domande e i complimenti che mi rivolgeva, però, erano sempre schietti e sinceri, intrisi di un’innocenza quasi sciocca e fastidiosa, per una come me, abituata alle azioni dirette.

«Ti ho preparato il bento»

Lui mi sorrise con gratitudine, flettendosi verso di me. Intravidi la pelle abbronzata del collo, netto contrasto con la camicia bianca della divisa, coperta da una leggera peluria bionda. Avrei voluto sfiorarla, scoprire se scottava come la mia nuca, provare se era liscia o ruvida, sentire il suo sapore sulle mie labbra.

Mi affrettai ad abbassare lo sguardo, turbata da quei pensieri, mentre Naruto ridacchiava per una qualche gaffe compiuta quella mattina.

Lo ascoltai solo parzialmente, mentre decine di domande si facevano largo nella mia mente.

 

Non eri il mio tipo, inutile nascondere l’evidenza.

Non eri intelligente, non eri bello, né tantomeno intraprendente.

Sembravi un bambino con le tue risate, i tuoi sorrisi, i gesti innocenti e poco calcolati.

Forse, ripensandoci ora, fu proprio quello ed attrarmi.

Io così abituata ad amare la perfezione mi stavo crogiolando nel piacere dei momenti passati con te, fatti di battute e silenzi mai imbarazzanti, che riempivo guardandoti con curiosità e studiando ogni tuo piccolo gesto.

Catalogai quell’interesse come amicizia.

Fui una sciocca superficiale.

 

«Queste cose sono incomprensibili», mi disse settimane dopo, il libro di matematica aperto sulle ginocchia ed una cannuccia stretta tra i denti, l’espressione più crucciata che avessi mai visto.

Ridacchiai divertita, avvicinandomi a lui e sporgendomi verso la pagina incriminata, lasciando che una ciocca dei miei capelli cadesse a sfiorare il suo volto, quasi volutamente.

Lo sentii trattenere il respiro, mentre il mio cuore accelerava i battiti e il mio stomaco faceva le fusa come un gatto particolarmente soddisfatto.

«Sakura-chan, oggi sei particolarmente bella», disse con il suo solito tono innocente, facendomi imporporare le guance e lasciando che il mio respiro si mozzasse per lo stupore.

Mi appoggiai alla recinzione di ferro, sorreggendo il peso del mio corpo che sarebbe inevitabilmente caduto a terra per l’emozione provata, mentre Naruto mi osservava con gli occhi blu spalancati, quasi non capisse cosa i suoi complimenti comportassero per il mio cuore.

A dire il vero, nemmeno io sapevo nulla di preciso, ero una testarda che non riusciva a capacitarsi del fatto che Sasuke fosse sparito con estrema facilità dal cuore.

Quando sollevai lo sguardo dalle sue scarpe, incrociai le labbra sottili e leggermente screpolate che mi avevano baciato solamente una volta.

Da quel giorno, non erano mai state così vicino alle mie, né tantomeno così invitanti.

Scossa da quel pensiero che (ancora) mi intrappolò, mi alzai di scatto, facendolo cadere a terra e, senza alcuna parola, scappai via.

Mi sentii quasi una stupida, mentre il suo sguardo mi seguiva con stupore, prima che scomparissi oltre la porta d’entrata.

Saltai i gradini a due a due, andando a sbattere contro svariati studenti e non preoccupandomi mai di chiedere perdono.

Solamente quando una mano piccola ma forte mi afferrò il polso con decisione bloccai la mia folle corsa, proprio nell’entrata scolastica di fronte a milioni di armadietti.

Girandomi, trovai Ino Yamanaka con la coda sfatta e i primi bottoni della maglietta scolastica slacciati. Non mi preoccupai di chiederle come si fosse ridotta in quello stato, perché iniziai a parlare senza sosta, imperterrita ed incurante degli sguardi altrui.

Le parole scorrevano via come un fiume in piena, lasciandomi finalmente un piacevolissimo vuoto all’altezza dello stomaco, mentre sul viso particolarmente bello di Ino si apriva un sorriso carico di malizia e divertimento, gli occhi azzurri che brillavano per l’eccitazione.

«Ti sei innamorata, fronte spaziosa?», chiese sarcastica, rifacendosi la coda ed ammiccando in direzione di uno studente del nostro anno, che ci passò accanto con l’aria più seccata del mondo, l’aria di uno che non aveva voglia di fare nulla se non di dormire.

Salutai frettolosamente Shikamaru Nara ed arrossendo quando compresi il motivo dell’aspetto scarmigliato di Ino.

«Tu dai i numeri, Ino-pig», sussurrai scossa dalle sue parole, voltando lo sguardo da un’altra parte.

Il cuore si bloccò di colpo quando incontrai lo sguardo carico di preoccupazione che Naruto mi rivolgeva, sulla soglia della porta d’uscita, accanto ad una ragazza dai capelli neri.

 

Il cuore andò in mille pezzi, cadde a terra rumoroso e patetico, lasciandomi con gli occhi spalancati dal terrore.

Ino, accanto a me, sussurrò qualcosa di incomprensibile, mentre nella mia mente danzavano le parole stupida ed idiota in sequenza, come una cantilena particolarmente brutta che non vorresti mai ascoltare, ma purtroppo sei costretto.

Fu vedendo quella scena che mi convinsi a partecipare alla prima partita di rugby della stagione, pur non conoscendo nessuna regola, nessuno ruolo e solamente un giocatore.

 

Non avrei mai pensato di essere un tipo geloso.

Sasuke-kun era sempre circondato da ragazzine adoranti, ma nessun mostro verde si era impossessato del mio corpo, tanto da farmi tremare le mani dall’irritazione.

«Te l’ho detto che sei innamorata», sibilò Ino maliziosa, attorcigliandosi una ciocca di capelli biondi intorno all’indice e gonfiando un palloncino con la gomma da masticare.

Schioccai la lingua sul palato stizzita e imbarazzata, inchiodando gli occhi su Naruto, che teneva la palla stretta tra le mani e correva verso la meta.

Più volte cercai di individuare tra le tribune la figura femminile che avevo intravisto con lui quella mattina, alternando la ricerca alla partita (a Naruto).

Mi ritrovai a stringere la mano di Ino per l’apprensione quando, con una spinta secca, fu buttato malamente a terra e sepolto da una serie infinita di corpi.

Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, vedendo che nessuno si rialzava, che nessuno rideva o scherzava. Vedendo che non stava succedendo proprio niente.

Dopo una manciata di secondi, si svolse tutto con estrema lentezza; uno ad uno i giocatori si alzarono dalla massa, dandosi sonore pacche sulle spalle seguite da risate sguaiate.

Per ultimo, con un sorriso smagliante di divertimento, Naruto balzò in piedi, abbracciando goffamente Kiba Inuzuka, e dando una botta sul sedere ad un altro ragazzo della squadra, per nulla scalfito ed in perfetta salute.

Sospirai di sollievo, lasciando che l’occhiata allusiva di Ino mi trafiggesse, senza mai distogliere lo sguardo dalla figura muscolosa di Naruto.

Fu con gioia che accolsi la fine della partita e mi lascia trascinare senza alcuna replica da Ino verso il campo, con il capo chino e le gote rosse per l’imbarazzo.

Tuttavia, dovevo capire chi diavolo fosse quella maledetta ragazzina e, cosa più importante, ciò che davvero sentivo per Naruto.

Quei batticuori non potevano definirsi amicizia, quelle emozioni non erano da compagni di fughe o quant’altro.

Me lo ritrovai di fronte non con il solito sorriso, ma con uno sguardo guardingo, mentre scrutava il mio viso in cerca di qualcosa che non compresi.

Tentai di sorridere, ma mi uscì solamente una brutta smorfia, e mi diedi della stupida.

«Bella partita», cinguettò Ino con fare ammiccante, non a Naruto in particolare: poteva sembrare una ragazza facile, ma i suoi occhi stavano osservando verso le tribune, un ragazzo dal codino spinoso e disordinato.

Naruto le sorrise grato, pur non spostando gli occhi da me: mi sentii improvvisamente riscaldata da tutte quelle attenzioni.

Quando qualcuno propose di improvvisare una festa, Naruto approfittò del caos per afferrarmi la mano e trascinarmi via, senza dire nulla o chiedermi se mi andasse di scappare con lui.

Perché quella era una fuga, no?

Entrando nella scuola, capii subito dove volesse portarmi e mi lasciai trascinare come una bambola verso la (nostra) terrazza, incespicando qualche volta nei gradini ed aggrappandomi alla sua maglietta.

Si scusò un paio di volte per non aver fatto la doccia, ma non dissi nulla, perché la mia mente stava pensando ad altro, inebriata dal profumo mascolino che il suo corpo emanava: sarei riuscita a non perdere il controllo della situazione?

Permisi a Naruto di spingermi contro il muro, di fronte alla porta su cui dava la terrazza, deglutendo rumorosamente un paio di volte, una volta terminate le scale.

«Perché sei scappata, Sakura-chan?», domandò con occhi colmi di preoccupazione, tanto che quasi mi commossi. Allungai una mano verso il suo volto, sentendo sotto i miei polpastrelli la ruvidità di una barba che stava per crescere.

Con il cuore che batteva a mille, gli chiesi quello che da tempo mi premeva, ma che non avevo mai osato sfiorare per ciò che stava nascendo (era nato) tra di noi.

«E tu perché mi hai baciata, quel giorno?»

Capii di averlo preso in contropiede quando spalancò gli occhi per lo stupore, forse non aspettandosi nulla di così diretto.

Balbettò qualche scusa insignificante, per guardarmi rosso in volto, leggermente sudato.

Poi, con uno scatto felino ed un lampo di decisione negli occhi blu, mi baciò. Premette le labbra sulle mie con passione, stringendomi la vita e facendo aderire i nostri corpi alla perfezione.

Sentii la sua eccitazione crescere, mentre gli accarezzavo i capelli biondi, giocherellando stupita da quella travolgente emozione con il colletto della sua maglietta.

Quando ci staccammo presi un’enorme boccata d’aria, passandomi poi la lingua sulle labbra, sentendo ancora il suo sapore nella mia bocca, il suo profumo su di me.

La cosa mi piacque.

«Mi hai fatto...eccitare», sussurrò qualche secondo dopo, abbassando le palpebre colpevole, lasciandomi e cercando di non picchiarsi per la sua stupidità.

All’inizio non compresi quella frase, ma poi la mia bocca si chiuse e si riaprì come grazie ad un comando a distanza e, prima che potessi dire qualsiasi cosa, mollai una sberla sulla guancia di Naruto, sentendomi più umiliata che mai, seppur i sentimenti provati fossero gli stessi.

«Brutto porco!», sbottai con le lacrime agli occhi, allontanandomi da lui con veloci falcate e spalancando violentemente la porta.

Arrivando in terrazza, il vento mi spettinò i capelli e mi fece chiudere gli occhi, mentre Naruto dietro di me parlava con voce imbarazzata ma decisa, cercando di scusarsi.

«Sakura-chan, io avrei...io ti guardo da sempre, Sakura-chan», mormorò ad un tratto, prendendomi per mano.

La accarezzò con un dito, disegnando dei cerchi sul dorso, facendomi venire la pelle d’oca.

Mi morsi il labbro per non interromperlo, dimenticandomi per un momento della sua confessione poco pulita. Infondo, era solo un sano ragazzo di terza superiore.

«Mi piaci sin da quando ti ho vista studiare per la prima volta in biblioteca, Sakura-chan, ma tu non ti sei mai accorta di me. Tu amavi Sasuke, Sakura-chan», continuò con le gote sempre più rosse, e io lo trovai particolarmente carino in quel momento, con i capelli più spettinati del solito e il volto sporco di fango.

Come un fulmine a ciel sereno la verità mi colse, e mi pentii di non essermi resa conto prima di lui, perché avevo capito tutto, dalla prima all’ultima. Ed era così ovvio, che avrei voluto picchiarmi di fronte a lui.

Naruto, il grande amico di Sasuke, come avevo fatto a non riconoscerlo? Era la sua ombra, il suo compagno, il braccio destro. Quello che nei corridoi si beccava sempre una sberla da Sasuke, che era amico di tutti e che, anche senza conoscerti, non riusciva a non aiutarti.

Come avevo fatto a non ricordarmi di lui? Dei suoi saluti rumorosi, dei suoi sorrisi sfuggenti e delle sue battute di incoraggiamento?

Chiusi gli occhi ed una lacrima mi cadde giù per la guancia, solitaria e colpevole.

Naruto la raccolse subito, portandosela alle labbra, senza mai staccare gli occhi azzurri dai miei.

«Posso baciarti, Sakura?»

Fui io a baciarlo. Balzai in avanti, colta di sorpresa da me stessa, gettandogli le braccia al collo e facendolo cadere a terra.

Rise nel bacio, accarezzandomi la schiena e giocherellando con i bottoni della camicia, passando le mani callose sulle mie gambe, percorrendole in tutta la loro lunghezza.

Si fermò dopo qualche secondo, il fiato mozzo, guardandomi ancora, implorante, le mani saldamente incorate ai mie fianchi.

«Posso, Sakura-chan?», chiese con innocenza, prima di levarmi la camicia con scioltezza, baciandomi poi il petto, stringendomi a sé e cullandomi con una dolcezza quasi inumana.

Il quel momento capii che non importava il luogo, né che lui non fosse il classico principe delle fiabe. Non importavano i voti di Naruto, o chi fosse quella ragazzina. Importavamo solo noi, in  quella realtà perfetta, in cui Naruto baciava ogni centimetro della mia pelle, sfiorandomi con amore e desiderio, mai troppo insistente.

Stringendo le sue spalle e flettendomi verso la luna, guardai al di là di quella terrazza, augurando a chiunque di vivere quella favola.

 

 

Delucidazioni (?):

A dire la verità non ho niente da dire.

Una NaruSaku AU. Sakura è leggermente OOC? Chissene frega. Perché questa Sakura ci sta, perché infondo il cuore di una donna è volubilissimo e nessuno di noi sa che castelli mentali si fa. U_U

È lunga. Questo ve lo concedo.

Ma è un regalo per una persona speciale, quindi non mi posso (e non vi potete) lamentare. (L)

Personalmente, vi consiglio di far leggere la vostra prossima FanFic a Hilly89, così state sicuri che le risate sono assicurate.

Lee...

...sei una pettegola! XD

 

M.

 

   
 
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