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Autore: yua    03/11/2016    2 recensioni
Tesurou Kuroo ha una gran passione per le cose usate, per quelle che tutti gli altri considerano ormai senza valore.
Le va a cercare, passa giorni e giorni a cercare di rimetterle a posto ed è una cosa che lo riempie di soddisfazione.
Kenma Kozune è un ragazzino che ha tanto l'aspetto di quelle cose che affascinano tanto Kuroo.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Okay, quella delle storie usate era nata come one shot, ma poi ho deciso di provare a scrivere una KuroTsukki, e se Kenma è una cosa usata Tsukki non può che essere quella nuova. È sempre parte, ovviamente, della stessa au e infatti la storia è diventata a capitoli, e probabilmente potrebbe concludersi davvero con questa, anche perché quella sulle cose rotte mi è stato tipo imposto di non scriverla...
Insomma, l'avevo promessa ed eccola qui.
Provo nuovamente a chiedere una qualunque reazione da parte di chi legge, ma soprattutto da parte di chi l'ha aggiunta tra preferiti et similia. Nel senso, mi fa tanto piacere se qualcuno apprezza quello che scrivo, ma davvero sarei felicissima di sapere perché. Ancora di più sarei felice di ricevere critiche e consigli per migliorare. Va beh.
Potrebbero esserci errori di battitura o di altro genere, ho provato a rileggerla ma non sono convinta di aver tolto tutto. E, sono ancora convinta che Kuroo sia finito ooc, soprattutto nella parte finale.
NB, i personaggi non sono cambiati, quindi–







L'Odore delle Cose Nuove






Kenma non usava profumo, dopobarba, acqua di colonia; quell'informazione lo raggiunse come uno schiaffo improvviso mentre sbottonava il colletto della camicia di Tsukishima Kei.
Kenma odorava di buono, di sapone per vestiti e di shampoo al muschio bianco, e la sua pelle aveva un odore delicato che gli riempiva il cervello la notte, quando lo stringeva appena approfittando del fatto che lui dormisse già e gli spostava leggermente i capelli dalla nuca per inspirare profondamente proprio lì, dove il suo odore si annidava maggiormente. Lo faceva perché sarebbe rimasto un segreto per sempre, Kenma non lo avrebbe saputo e lui non avrebbe avuto paura di fargli del male in quel modo. Lo faceva perché Kenma non lo avrebbe saputo mai e si sentiva un ladro, un ladro che si stava appropriando di qualcosa che non era suo e che non avrebbe neppure dovuto volere.
Dopo quella mattina, dopo quel bacio, dopo quella stretta, Kuroo non aveva più avuto il coraggio di ripetere quel gesto e si era convinto di aver fatto qualcosa di terribilmente sbagliato – era debole, era fragile in quel momento, hai approfittato di un momento di cedimento che non avresti nemmeno dovuto vedere.
Ebbe lo scoordinato pensiero che fosse sbagliato – non aveva esattamente chiaro cosa – mentre mordeva il collo del biondo che non aveva saputo difendersi a lungo dal suo gioco di seduzione. Tsukishima era un bel ragazzo, completamente impreparato al mondo reale nonostante la feroce ironia che permeava ogni suo gesto e ogni sua frase fosse condita da battute velenose. Era arguto e brillante, ma non sapeva proprio nulla di passioni e angoscia, e sentimenti violenti e travolgenti. Se ne accorgeva dai suoi gesti impacciati, dalla sua passione trattenuta: non era abituato a incontri del genere. Era un oggettino nuovo nuovo che nessuno aveva mai avuto modo di toccare – era una vita che Kuroo non aveva niente di nuovo, era una vita che non desiderava qualcosa di nuovo e adesso che lo stringeva tra le mani, che si riempiva la bocca del suo sapore, non capiva che cosa ci fosse di sbagliato. Gli dava un gusto quasi sadico il sapere che poteva averlo, che lo stava sporcando lui per primo.
Gli mancava qualcosa, però, e non era riuscito a capire che cosa nemmeno dopo, quando aveva spento il cervello e si era lasciato trascinare dall'istinto, nemmeno quando aveva cominciato ad affondare nel calore bollente del suo corpo con mille attenzioni: le cose nuove una volta rotte non valgono più nulla.

Kuroo aveva conosciuto Tsukishima in una giornata di qualche settimana prima, in pausa pranzo; era stato assunto nella sua stessa azienda e si era divertito a stuzzicarlo nel tentativo di incrinare quella sua impostata rigidità. Era beffardo, era saccente, era altezzoso, era sarcastico, ed era diventata una questione di principio riuscire a farlo suo.

A casa, a Kenma aveva raccontato la cosa senza accennare però al fatto che lo aveva trovato estremamente interessante. Non era una menzogna, si ripeteva – è solo un modo per farlo stare tranquillo, solo perché non pensi male.

Tra lui e Kenma non c'era praticamente nulla: il più giovane si era trasferito da lui, che gli aveva fatto spazio nell'armadio, in bagno, in cucina, nel letto. Kenma era silenzioso e tranquillo, aveva lavorato con Bokuto per un po' ma poi – come sostanzialmente si aspettava – era andato a lavorare per Suga, il ragazzo-mamma. La sera, quando erano entrambi a casa, passava ore a cercare di capirlo mentre guardavano un film o giocavano a qualche videogioco, e aveva imparare leggere ogni espressione sul suo viso apparentemente apatico, aveva imparato ad accorgersi delle tempeste violente che nessuno sembrava vedere.

Kenma, a Bokuto, era piaciuto un sacco – non a caso Kuroo aveva temuto che lo avrebbe fatto scappare con le sue esplosioni di vitalità, con le sue assurde idee, con la sua curiosità e i suoi sbalzi d'umore – non si accorgeva, Kuroo, che erano loro due insieme ad essere La Vitalità fatta persona, non si rendeva conto che Kenma invece lo sapeva bene e non aveva nessuna voglia di scappare. Kuroo se ne sarebbe anche accorto se solo avesse guardato come avrebbe dovuto – come avrebbe voluto.

Invece aveva cominciato a vedere Tsukishima, e il gioco era diventato una sorta di sfida: non sapeva neppure per quale motivo avesse deciso di prendervi parte – bugiardo, vuoi Kenma e non hai il coraggio di dirlo, vuoi Kenma e non hai il coraggio di dirtelo, e prendi questo ragazzo che è un giocattolo nuovo e anneghi nella menzogna che è il tuo desiderio di lui.

Kuroo si ricordava di quando da bambino chiedeva, come tutti i bambini, di avere giocattoli nuovi. Dio, quanto li desiderava! Per mesi non c'era altro se non quel desiderio devastante, e alla fine sua madre cedeva e, solo in occasioni speciali come il suo compleanno, gli faceva trovare un pacchetto impeccabile con un bel fiocco e la carta brillante. Lui vedeva il pacchetto scintillante e bellissimo e lo scartava bramoso, certo come solo un bambino può essere che quello che c'era al suo interno lo avrebbe reso felice per sempre.
Nel migliore dei casi dopo due settimane si annoiava e lo dimenticava nel baule, che era un cimitero di oggetti ancora nuovi o usati giusto quel tanto che avrebbe giustificato la prossima richiesta; poi tornava dalla vecchia palla regalatagli da un padre che ancora si ostinava a considerare il suo eroe, e dalle macchinine che di tanto in tanto gli aveva portato quando, di ritorno da un lungo periodo di assenza voleva farsi perdonare in qualche modo. E quel bambino assetato dell'amore di lui le metteva tutte da parte, e finiva sempre per rivolgere la sua attenzione a quegli oggetti scrostati, rotti, rattoppati.

Inadeguatamente, pensava a questo la seconda volta che aveva spogliato Tsukishima Kei, pensava alla mattina di Natale in cui sua madre, per rendergli meno pesante la mancanza del padre gli aveva regalato proprio quel gioco che tutti volevano. Non ricordava cosa fosse, nonostante ci stesse provando – è un momento inopportuno, non puoi farlo mentre ti spingi tra le cosce di un ragazzo che hai tanto intensamente rincorso – no. Non/è/lui.
Sperngere il cervello e concentrarsi su quello che stava facendo era necessario ma difficile, e spingeva con forza come sentisse la necessità di arrivare da qualche parte. La voce di Tsukki cominciò ad arrivare alle sue orecchie, e solo in quel momento si rese conto di dover pensare anche a lui, che doveva essere molto vicino all'orgasmo.
Nel momento in cui gli venne tra le dita emise un gemito strozzato e Kuroo ebbe la testa improvvisamente piena della voce di Kenma, della sfumatura che doveva assumere la sua voce mentre faceva l'amore; dietro le palpebre serrate vide i suoi occhi lucidi di piacere, vide il suo volto senza maschere né veli, troppo coinvolto da quello che stava succedendo per poter pensare di sembrare indifferente, vide il suo corpo abbandonato sotto le sue mani e le labbra socchiuse appena per riempire d'aria i polmoni in quel momento di massimo coinvolgimento.
Fu quasi inaspettato l'orgasmo che lo colse, e poté solo sperare di non averlo chiamato mentre veniva; ma Tsukki non gli stava dicendo nulla, e il bacio che Kuroo gli diede fu un bacio di disperata consapevolezza, fu un bacio di scuse che lui, ignaro, non poteva sapere di avere il diritto di pretendere.
Era ora di farla finita con quella farsa, Kuroo lo sapeva che quella sorta di bugia non avrebbe più retto, non dopo quella presa di consapevolezza così violenta – ma in fondo lo sapevi dal primo momento in cui l'hai visto che la tua vita non sarebbe mai più stata la stessa, smettila di prenderti in giro, smetti di fingere di non saperlo, smettila di rifiutarlo.
Stringeva un corpo nudo e per la prima volta non gli bastava.
Mentre Tsukki recuperava un battito cardiaco regolare lui cercava di convincersi che era tutto quello che voleva, che aveva tra le mani esattamente la persona che voleva. Sfregò il naso sulla pelle del suo collo e sentì la traccia residua del dopobarba che doveva aver usato al mattino, ed era un odore pungente e brillante e ancora una volta ebbe un'immagine chiara, Tetsurou, di se stesso da bambino alle prese coi pacchetti della mattina di Natale.
«Te ne devi andare?» e in quella domanda Kuroo non volle sentire l'implicita richiesta a rimanere. Si tirò sui gomiti sogghignando e dandogli un giocoso bacio sul naso «sì, bel biondino. Devo tornare a casa da...» Kenma. Ma ebbe un lampo di folle certezza: se l'avesse nominato Tsukki avrebbe capito ogni cosa.
Il biondo aggrottò le sopracciglia a quella frase sospesa «non sapevo vivessi con qualcuno» quel discorso non gli piaceva, così gli diede un altro bacio e cominciò a rivestirsi rapidamente: voleva tornare da Kenma il prima possibile, era già tardi e lui non dormiva mai bene da solo. Doveva essere rientrato da un paio d'ore e probabilmente si stava chiedendo dove fosse. Probabilmente aveva scaldato l'acqua per farsi una tisana bollente, e poi doveva aver fatto la doccia. In quel momento, probabilmente, stava giocando a qualche videogioco nella speranza di non addormentarsi – o forse dormiva già, Kuroo sperava di no perché aveva incubi tutte le notti e doveva abbracciarlo forte e svegliarlo per fargli capire che non c'era nulla di male, che nessuno gli avrebbe più fatto male. Poi, il giorno dopo, avrebbero finto che non fosse mai successo nulla.
«Ti... ti scrivo. Presto» gli disse per cacciare quei pensieri dalla sua testa – il viso di Kenma pallido e le guance rosse, e gli occhi lucidi la mattina in cui gli hai chiesto di andare a vivere con te, e la dolcezza infinita della sua voce, e la morbidezza delle sue labbra quella mattina, e il profumo sottile e tiepido della sua pelle – e praticamente scappò via da quella casa.

Non poteva tornare da lui, non in quel modo; se avesse visto Kenma probabilmente si sarebbe messo ad urlare a pieni polmoni tutta la sua frustrazione.

Rimaneva solo Bokuto, Bokuto in cui sperava per risolvere quell'impiccio, Bokuto che lo aveva sempre aiutato nei momenti difficili. Era tardissimo, ma non aveva importanza in quel momento, doveva solo risolvere quella situazione e liberarsi di quel peso.
Quasi di corsa arrivò al suo appartamento e si mise a suonare al citofono, del tutto indifferente alla possibilità che stesse dormendo.
Fu dopo diversi minuti che ricevette risposta – la voce era assonnata e gracchiante, irriconoscibile al vecchio citofono. Salì le scale di corsa, senza aspettare l'ascensore; erano solo due piani, in fondo, e aveva energia in eccesso da smaltire.
Alla porta dell'amico vide Akaashi ma non ci fece caso, si fiondò dentro andando direttamente in cucina a prendere una birra che sapeva essere in frigo.
«Kuroo...»
«Ehi... Bokuto?» Chiese aprendola e attaccandosi alla bottiglia per tirarne giù metà con due sorsate. «Sta lavorando...» gli rispose Akaashi decisamente perplesso.
«Mh?» Mugugnò prendendo un'altra abbondante sorsata.
«Kuroo, mi spieghi che ci fai qui alle...» controllò velocemente l'orologio che faceva bella mostra di sé sulla parete «alle due e mezza?!» La nota infastidita nel fondo della sua voce era difficilmente ignorabile, ma a Kuroo non importava, sinceramente. Non aveva modo di concentrarsi su qualcosa che non fosse lui, che non fosse Tsukki o Kenma.
«Sto cercando Bokuto. Ho bisogno di parlare con lui, adesso» spiegò sbrigativo. Finì la birra e andò a prenderne un'altra mentre Akaashi, con un sospiro rassegnato si metteva a sedere al tavolo della propria cucina massaggiandosi gli occhi con una mano.
«Che problema c'è? Te l'ho detto, Bokuto non c'è. Vuoi dire a me?» Provò con una pazienza a dir poco stoica: Kuroo era il miglior amico del suo uomo, era sempre fin troppo attivo e vederlo in quello stato effettivamente era strano. Certo, sarebbe stato più portato alla compassione se non lo avesse svegliato nel cuore della notte per finirsi le sue birre, ma non era disposto nemmeno a pensarci in quel momento.
«Eh? No, no, non... non fa nulla» disse dopo aver buttato giù altra birra.
«Senti, cosa sei venuto a fare? Lo sai che lavora la notte, di solito. Mi hai tirato giù dal letto, tra tre ore devo alzarmi per andare a lavorare. Dimmi quello che vuoi o lasciami perdere.»
Kuroo aveva gli occhi stralunati, sembrava davvero fuori di sé ma Akaashi non aveva nessuna voglia di fargli da balia a quell'ora.
«Sì, scusami, io... io... vado, scusa ancora» disse alzandosi con la sua bottiglia stretta in mano. Se ne uscì quasi di corsa, lasciando l'altro talmente perplesso da non riuscire nemmeno a sentirsi troppo irritato: se ne tornò a letto con la strana consapevolezza che era successa una cosa davvero strana e che il giorno dopo avrebbe dovuto ricomprare le birre.

Quella sera Kuroo tornò a casa completamente ubriaco; Kenma stava già dormendo, ovviamente, e lui non ebbe il coraggio di mettersi a letto. La cosa più intelligente che gli venne in mente fu andare a dormire nella doccia.


Il giorno dopo, quando lo vide lì, il cuore di Kenma si strinse in maniera estremamente dolorosa: si era rotto qualcosa, era ormai impossibile fingere di non accorgersene. Ma che si aspettava, alla fine? Aveva avuto pietà di lui e se lo era portato a casa, ma ormai era ora di sloggiare: era diventato solo un peso che gli impediva di vivere la sua vita come avrebbe voluto, come aveva sempre fatto.
Uscì di casa in fretta, avrebbe usato il bagno di Suga come era successo spesso nella vita di prima. Aveva un'incredibile voglia di spegnersi, di avvolgersi nelle coperte e rimanere a non far nulla; magari avrebbe anche pianto un po' nascosto nell'appartamento di Suga – non sarebbe stato uno sforzo eccessivo a fronte di una giornata di ozio ed autocommiserazione.
Non poteva farlo, ovviamente, doveva andare a lavorare e Suga non gli avrebbe mai permesso di lasciarsi andare a quel modo.
Prima di uscire aveva guardato Kuroo una volta ancora: non sapeva come avrebbe fatto ad abituarsi nuovamente alla vita senza di lui, di lui che gli era entrato sotto la pelle riattivando un'emotività che pensava spenta per sempre. Non era pronto a lasciarlo andare, non era pronto a dimenticarsi della meraviglia costante di quei mesi in cui aveva avuto una vita normale per la prima volta da quando aveva memoria.
Non sapeva come, ma in qualche modo sarebbe riuscito a ricominciare ancora.

Per la prima volta da quando conosceva Kuroo, quel giorno Kenma fece di tutto per non incontrarlo. Non aveva voglia di far nulla, così si rintanò in un piccolo cinema che gli faceva da nascondiglio dalle brutte giornate sin da quando aveva dodici anni.
Quando ne uscì era già notte.
Per un attimo pensò di nuovo di scappare da Suga, ma poi avrebbe dovuto spiegargli per quale motivo non tornava a casa e sarebbe stato davvero troppo impegnativo, troppo faticoso.
Mentre camminava verso l'appartamento in cui viveva si rese conto di non riuscire a capire se sperava di trovare l'altro già lì oppure no; quando rientrando trovò la porta chiusa e tutto spento la delusione che lo colpì allo stomaco gli rese evidente la risposta.
Si rannicchiò nel letto senza forze, abbandonandosi a quella voglia di non fare assolutamente nulla che lo assediava da giorni: doveva parlare con Kuroo, che era senz'altro troppo buono per dirgli chiaramente che non lo voleva più lì. Aveva una storia, Kenma se ne era accorto da giorni dall'odore che aveva quando si infilava a letto la sera, dal modo in cui lo trattava, dalle assenze prolungate e dalle stupide giustificazioni che provava a rifilargli. Kuroo aveva una storia da settimane, e non poteva viverla davvero a causa sua che era troppo chiuso e troppo apatico per convincerlo ad averne una assieme, di relazione.
In quel momento ogni singolo gesto gli dava l'impressione di richiedere troppo: troppa energia, troppo sforzo, troppa volontà. Così aspettò il ritorno dell'altro in quella posizione e al buio, fissando la porta da cui avrebbe potuto non entrare per ore, con le ginocchia strette al petto e la testa completamente vuota.
Sentì il rumore delle chiavi nella serratura, sentì lo scatto e vide il fascio di luce del pianerottolo che sconfinava nell'ombra che lì regnava sovrana – il profilo degli strani oggetti accumulati da Kuroo negli anni aveva un aspetto malinconico ora che aveva la consapevolezza che presto avrebbe lasciato per sempre quel posto. Sì, sarebbe stato davvero strano considerare casa un altro posto, uno meno caotico, meno delirante – meno stupendo, meno casa di quello.
Si tirò a sedere prima che l'altro potesse accorgersi di lui, prima che potesse accendere la luce: si sentiva improvvisamente tranquillo, sereno, in un certo senso. Semplicemente, era finita quella partentesi della sua vita, che sarebbe stato un ingenuo a pensare sarebbe potuta durare a lungo.

Quando lo vide così, seduto con le gambe incrociate Kuroo si lasciò sfuggire un'espressione sorpresa «Ehi... ciao» disse.
Kenma rimase in silenzio a fissarlo, erano sparite tutte le parole dalla sua mente durante quel tempo senza inizio né fine in cui era rimasto ad aspettarlo.
Aveva un'espressione stranissima, e Kuroo si sentì colpire dal suo sguardo indecifrabile con la forza di un pugno in mezzo allo sterno: gli mozzò il respiro, gli annebbiò la mente e crollò sotto quegli occhi. Chiuse la porta e corse verso di lui – aveva fatto cadere un paio di cose nel tragitto e Kenma ebbe il tempo di vedere la scena a rallentatore e di stupirsi di quella scarsa cura – e gli fu vicino in un attimo. Scivolò in ginocchio davanti al letto e sollevò le mani come per toccarlo, fermandosi un attimo prima.
«Kenma, io... ho qualcosa da dirti» il suo cervello era stato svuotato dalla consapevolezza che, quel giorno, non solo non era riuscito a fare sesso con Tsukki, ma che non ci sarebbe riuscito con nessuno. Il suo cervello era stato interamente occupato dalla consapevolezza schiacciante che non era Tsukki il problema. L'avrebbe spiegato a Kenma e avrebbe pregato come non aveva mai fatto che non sarebbe scappato inorridito. Il cuore gli batteva così forte che aveva la sensazione di sentirlo nella testa, e l'aria nei polmoni era diventata improvvisamente così scarsa che pensava seriamente sarebbe potuto collassare da un momento all'altro. Ma doveva parlare, gli doveva quella spiegazione che si rifiutava di offrirgli da settimane «io... Kenma, io... è successa una cosa, devo...» Kuroo era in difficoltà e Kenma aveva la sensazione di poter vedere ad una ad una tutte le incertezze che lo stavano assalendo in quel momento.
«Kuro, lo so.» “Lo so che hai una storia, lo so che stai con qualcuno, lo so che non la stai vivendo come vorresti. E mi sono accorto dell'attenzione che ci stai mettendo perché io non me ne accorga.” questo non lo aveva detto ma Kuroo ebbe la sensazione di leggergli quelle parole direttamente negli occhi, nonostante la devastante speranza di sbagliarsi «Sta tranquillo, davvero» non sarebbe stato da lui aggiungere quelle frasi, lo sapevano entrambi. Non era da lui e tanto valeva sforzarsi ancora un po' per farlo stare tranquillo: nonostante tutto Kenma sapeva dare un nome a quello che lo aveva avvolto da quando lui e Kuroo avevano cominciato a conoscersi, lo aveva visto con Suga, lo aveva visto con altri ragazzi come lui – si era probabilmente innamorato di quel ragazzo incredibile, pieno di passione e di vita, di quel ragazzo così diverso da lui.
Provò a sforzarsi di sorridere, e Kuroo scattò in piedi, disorientato. Anche Kenma si alzò, piano, lentamente, come se fosse lo sforzo più grande che potesse immaginare «ti prometto che ti lascerò il tuo appartamento, presto. Devi solo darmi qualche giorno per organizzarmi, magari Suga può...» Kuroo aveva il viso coperto da una strana ombra, gli occhi attraversati da una turbinio che Kenma non aveva previsto di trovarvi; e Kuroo si accorse che il viso di Kenma era pieno di una quantità incredibile di parole, che raccontavano la sua insicurezza e la sua paura di essere abbandonato, e della sua sensazione di non essere abbastanza, e della sua certezza di non essere all'altezza; dopotutto Kenma non era un ragazzo di molte parole, probabilmente le aveva perse tutte anni prima e aveva deciso che non era più importante comunicare con chi non voleva capire. Ma Kuroo voleva farlo, e quello che sentiva in quelle parole silenziose erano emozioni che non voleva Kenma provasse.
«No» rispose istintivamente.

Erano vicini, erano estremamente vicini come quella mattina in cui gli aveva cambiato completamente la vita. E lo sentiva, lo sentiva forte l'odore dell'altro – un dopobarba di ottima qualità che Kuro non usava, un dopobarba che si era attaccato al suo corpo dal corpo di un altro.
Kenma chiuse forte gli occhi incerto su come procedere.
«No, non voglio... Kenma, non... no!» Kuroo non riusciva a comunicare come faceva l'altro, e allo stesso tempo non riusciva a trovare parole che potessero mettere ordine in quello che provava.

Il più piccolo lo guardò di nuovo, e fu assalito da una frustrazione fortissima quando si accorse che le mani dell'altro erano a pochi millimetri dal suo viso, prive della forza di oltrepassare quella barriera invisibile che sentiva sempre tra loro quando Kuro non lo toccava mentre chiunque altro lo avrebbe fatto; quando più che mai Kenma voleva quel contatto, quando come mai prima gli era capitato desiderava quelle mani sulla sua pelle, o quelle labbra sulle sue.
Kenma voleva che Kuro avesse il suo odore addosso, non quello di uno sconosciuto qualsiasi che non sapeva dove trovare il caffè, o quanto ci tenesse Kuro a quella tazza scheggiata con gli occhi del gatto; non uno che usasse un prodotto dall'odore tanto alla moda, tanto nuovo e impersonale. Kenma non voleva lasciarlo a nessuno, non voleva essere guardato in quel modo, non voleva avere le sensazione che avesse paura di toccarlo – non voleva pensare ad altro, non voleva pensare che avesse schifo di lui, che gli facesse ribrezzo toccare il suo corpo, centinaia di volte toccato, centinaia di volte sporcato da individui senza volto e senza nome, niente di più che corpi sudati che si sfregavano sul suo, niente di più che mani che tiravano fuori denaro per toccarlo, per averlo. Non voleva ma ci pensava, non voleva ma non riusciva a rispondersi altrimenti.
Prese una di quelle mani, grandi e incredibilmente calde e se la mise sulla guancia, inclinando appena il viso per sentirla di più e socchiuse gli occhi, nonostante sentisse una minima resistenza provenire dal maggiore. Lo guardò attraverso le palpebre semi abbassate e sospirò appena cercando di fargli capire che poteva toccarlo, poteva trattarlo come una persona e non come una delle sue statuette di vetro; cercò con quel gesto di fargli capire che era fatto di carne, e ossa, e sangue proprio come il resto delle persone che frequentava, che non lo avrebbe rotto in mille pezzi con una parola di troppo, che non sarebbe stato Bokuto a frantumarlo, che non si sarebbe fatto distruggere da lui né da nessun altro «Puoi toccarmi. Puoi dirmi che non mi vuoi più qui. Puoi dirlo che ti riprendi la tua vita» disse soltanto con un filo sottilissimo di voce, sperando che tutto il resto fosse arrivato comunque a destinazione. Non avrebbe saputo in che altro modo farsi capire.
Sentiva una voglia incredibile di piangere, sentiva che era davvero ad un passo dall'abbandonare ogni contegno ed ogni difesa, sentiva tutte le parole ballare tra le sue corde vocali ma non riusciva a dar loro nessuna forma: poteva solo sperare che Kuro capisse, che avesse voglia di ascoltare quelle urla silenziose che non avevano nessun suono per tutti gli altri.
E in quel momento successe qualcosa che non si sarebbe sinceramente aspettato: Kuroo spinse il proprio viso verso il suo per baciarlo come non succedeva da quella mattina, lo baciò e in quel bacio Kenma si sentì nascere di nuovo. E quando si separarono, Kuroo non lo lasciò andare, lo strinse in un abbraccio immenso e strettissimo in cui non c'era spazio nemmeno per l'odore dell'altro, in cui Kenma ebbe la sensazione di respirare davvero per la prima volta in vita sua. Era diverso dalla prima volta, era una stretta piena di una consapevolezza che fino a quel momento non c'era mai stata. Si aggrappò a lui come non aveva mai fatto, sollevandosi leggermente sulla punta dei piedi per sentire il suo corpo – tutto – e tentare di sparire tra quelle braccia e quel petto. La mano destra di Kuroo era tra i suoi capelli e lo teneva premuto contro la propria spalla, e un leggero tremore lo percorreva tutto, Kenma lo sentiva attraverso i vestiti, lo sentiva passargli sotto la pelle e scorrergli nel sangue: non aveva mai pensato, come in quel momento, che la sua casa potesse essere tra le braccia di qualcuno.
Non sapeva cosa stesse succedendo, ma era avvolto da un calore perfetto.
Non lo sapeva, Kenma, che in quel momento stavano piangendo entrambi, ma giusto un po'.
Non lo sapeva che erano mesi che entrambi non volevano altro che sentirsi completi a quel modo.

Non lo sapeva nessuno dei due che era tutto quello che serviva loro.

«Non andartene» la voce di Kuro era spezzata, ma Kenma sapeva con certezza di non aver mai sentito un suono tanto bello. Scosse la testa – solo in quel momento si rese conto di avere il volto bagnato di lacrime, e no, non se ne sarebbe andato più.











la conclusione non mi soddisfa, ma se fossi andata avanti sarebbero venute tipo altre quindici pagine, e non mi sembrava il caso.
  
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