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Autore: _ayachan_    06/11/2016    2 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 40
Capitolo quarantesimo

Di nuovo a casa




Alcuni giorni prima.



Temari era semplicemente furiosa.
Poche cose al mondo erano in grado di mandarla completamente fuori di testa, ma quelle poche portavano tutte il cognome Nara.
Chiharu se ne era andata senza avvisarla.
Le aveva lasciato un ridicolissimo biglietto sotto la porta, una cosa di uno squallore unico, ed era partita per Konoha insieme agli altri. Nonostante le sue condizioni di salute!
Dopo la terribile scoperta, per almeno mezzora Temari aveva provato a convincere Gaara a mandarle dietro una squadra di recupero, ma quando il fratello le aveva mostrato il contratto di custodia aveva ritrattato: adesso voleva una squadra per ammazzare Baka Akeru. Maledetto lui e la sua finta faccia da bravo ragazzo!
«Potresti seguirli e tornare a Konoha con loro» aveva suggerito Gaara.
Temari aveva stritolato il biglietto di Chiharu e si era rifiutata.

‘‘Visto che tu non vuoi dirmi cosa ha fatto papà, torno a Konoha con gli altri. Me lo faccio dire da lui e lo spedisco a riprenderti (se davvero hai ragione).
Ringraziami al ritorno.’’

Ed ecco l’altro Nara snervante.
Shikamaru sarebbe venuto a Suna; Temari aveva organizzato tutto perché accadesse, e se ora fosse tornata a Konoha avrebbe mandato all’aria l’intero piano.
Al solo pensiero si era trovata ad arrossire come una ragazzina, più per la rabbia che per l’imbarazzo: come aveva potuto pensare di ricreare le condizioni di diciotto anni prima, quando avevano concepito Chiharu?
Sì, il loro matrimonio si era assestato su un ritmo lento e un po’ noioso, fatto di frustrazioni quotidiane e rarissimi momenti di complicità... ma era il destino di tutti i matrimoni. Non c’era niente di strano in questo.
Da dove le era venuta la presunzione di riportare in vita i loro diciotto anni? La loro figlia aveva diciotto anni, si trattava di cose che ormai riguardavano lei...
Eppure... eppure non voleva rinunciare a quell’idea.
Sciocca nostalgica egoista. Avrebbe dovuto pensare alla salute di sua figlia, non alle sue lamentele di moglie...
«Quali sono le conseguenze legali se Baka permette che le capiti qualcosa?» aveva domandato a Gaara.
«Pene pecuniarie, radiazione dall’albo dei medici, eventuale carcere.»
Temari aveva annuito. «Benvenuto nel mondo delle responsabilità.»
Gaara non aveva commentato.
Lui aveva una mezza idea del perché Temari avesse deciso di restare a Suna. La cosa non lo entusiasmava – principalmente perché restava sua sorella anche a 37 anni – ma adesso che era tornata Loria si sentiva più incline ad essere clemente riguardo alle faccende di cuore.
E dunque non si era sorpreso più di tanto nel vedere comparire Shikamaru, il giorno dopo.
«Gaara, il matrimonio è un campo minato» gli aveva detto il cognato, depositando sulla sua scrivania una borsa piena di messaggi di Naruto, con la faccia tirata di uno che ha viaggiato a dorso di rospo per due giorni. «Non sposarti mai.»


Temari richiuse la tenda con un fremito rabbioso.
Shikamaru era a Suna da almeno mezza giornata e non l’aveva ancora contattata!
Ovviamente aveva saputo del suo arrivo cinque minuti dopo che lui aveva oltrepassato i confini. Aveva calcolato una mezzora per parlare con Gaara, un’altra ora per rinfrescarsi, magari un pisolino di venti minuti – era sempre un Nara – e il minimo indispensabile per scoprire in quale stanza alloggiava lei... Ma anche facendo tutto con incredibile lentezza, stava lasciando passare troppo tempo.
Temari fece avanti e indietro lungo la camera, mordendosi nervosamente un’unghia.
Certo, anche lei vedeva l’ironia della situazione: diciotto anni prima aveva inflitto a Shikamaru la stessa identica tortura – e per molto più di mezza giornata -, ma lo aveva fatto solo per preservare la propria dignità di sorella del Kage! Lui che diavolo doveva preservare? Il proprio ruolo di supremo istigatore?
Ma soprattutto: davvero non aveva capito perché lo aveva fatto venire fin lì?
Frustrata, si lasciò cadere seduta in fondo al letto. Aveva riservato la stanza più elegante del palazzo di Suna: letto a due piazze e mezzo, tappeti spessi tre centimetri, bagno privato, vista panoramica. Una stanza da re, altro che quella di tanti anni prima!
Una stanza assolutamente inutile, se andava avanti così.
E’ una vendetta? Vuole farmela pagare perché l’ho costretto a un lungo viaggio?
Ormai era quasi ora di cena. La tentazione di Temari era quella di scovare la camera di Shikamaru e tirarlo giù dal letto a suon di ceffoni – perché sicuramente stava dormendo -, ma un’altra parte di lei era solo molto demoralizzata.
A quel punto, appena prima del forfait, Temari sentì bussare alla porta. Il cuore sobbalzò nella sua gola.
«Chi è?» chiese fremente.
«Vengo per conto del Kage suo fratello.»
Le spalle di Temari si piegarono per la delusione. Si alzò dal letto e andò ad aprire. Fuori dalla porta c’era uno shinobi alto e biondo, che non conosceva.
«Che c’è?» gli chiese in un borbottio.
«Il nobile Gaara desidera invitarla fuori per cena. Ecco l’invito» rispose l’uomo tendendo una busta.
All’interno c’era un foglio di carta elegantemente decorato, con il sigillo e la calligrafia di Gaara.
Non covare rancore, diceva.
Temari lo accartocciò ferocemente e rispedì indietro messaggio e messaggero.
Non covare rancore? Altro che rancore, il rancore è acqua di rose al confronto!
Quella sera non mangiò. Invece scoprì in quale stanza dormiva Shikamaru e si procurò un passepartout per entrare.
Se si aspettava di trovare il marito, tuttavia, rimase delusa: la camera era deserta, il letto in ordine, lo zaino chiuso su una sedia.
Già era ridicolo che Shikamaru avesse chiesto una stanza per sé sapendo che lei era lì, ma essere in giro per il villaggio senza nemmeno salutarla rasentava i presupposti per il divorzio.
A che gioco sta giocando?, si chiese Temari.
Shikamaru era troppo intelligente per non sapere che quel comportamento avrebbe avuto delle conseguenze... Se nonostante ciò non lo cambiava, voleva dire che aveva un piano.
Io avevo un piano per prima! Come osa pianificare contro il mio piano?, si infuriò.
A quel punto si lasciò cadere sul letto e incrociò le braccia in atteggiamento bellicoso. Al diavolo Shikamaru e i suoi piani malsani! Pensava di evitarla? Credeva davvero di batterla sul suo terreno?Povero illuso! Lo avrebbe aspettato fino al giorno dopo, se fosse stato necessario...

Le dita strette alle sue, contro il dorso della mano.
Il leggero solletico dei capelli dietro la nuca, alternati ai baci e ai morsi.
Il calore del petto di Shikamaru contro la schiena, il suo respiro caldo, il modo in cui la stringeva, aggrappato alla sua spalla in una specie di abbraccio violento...
Uno Shikamaru inedito e inebriante... Per una volta, una volta lontana, quasi sparita nel ricordo...
Temari si svegliò.
Sbatté le palpebre alcune volte, ma il buio non se ne andava. Allora capì che era notte.
Si tirò su sentendo la schiena indolenzita, si fregò gli occhi. Impiegò qualche secondo a ricordare che si era fermata ad aspettare Shikamaru, poi il suo stomaco le fece presente che non aveva cenato.
«Che sonno pesante.»
Temari fece un salto, voltandosi di scatto.
Seduta su una sedia davanti alla finestra c’era la sagoma inconfondibile di un ciuffo ribelle, seguita poco più sotto dalla curva di spalle che conosceva meglio delle sue. Senza volerlo Temari sentì il cuore accelerare, ma lo costrinse a non agitarsi.
«E’ notte» disse, e avrebbe voluto essere altera e scocciata, invece sentì una nota tremula vibrare in gola.
«Ti ho portato la cena» ribatté la voce di Shikamaru. Nella fioca luce che entrava dalla vetrata Temari lo vide sollevare un braccio verso il tavolino, e intuì che sopra c’era un vassoio. Il suo stomacò brontolò sonoramente. «Dovrebbe piacerti.»
Temari si morse le labbra per non rispondere, visto che non era sicura della propria voce. Quello che fece fu alzarsi dal letto, raggiungere il tavolino con la maggiore dignità possibile e sedersi al buio di fronte a Shikamaru.
«Non ci vedo» borbottò, cercando il piatto a tentoni.
«E’ questo il bello» sorrise lui – o almeno, dalla voce sembrava che sorridesse.
Temari trovò le bacchette e scoprì la ciotola, lasciando che nell’aria si sprigionasse un aroma intenso di verdure e zenzero. Arricciò il naso, perché non era il suo piatto preferito, ma la fame è fame: con cautela sollevò la ciotola e mangiò, distinguendo solo vaghi contorni del piatto.
Però che strano... A casa cucinava usando pochissimo zenzero. Shikamaru non ne andava pazzo, lei nemmeno, e Chiharu era cresciuta praticamente senza assaggiarlo... Perché sarebbe dovuto piacerle?
Comunque lo finì, e finì anche l’insalata di accompagnamento e i datteri come dolce. Nessuna di quelle cose era particolarmente di suo gusto, cosa che Shikamaru doveva sapere bene... Qual era il suo scopo, dunque?
«Perché ti sei fatto dare questa stanza?» chiese Temari non appena ebbe posato le bacchette.
«Credevo che saresti venuta a cena» disse Shikamaru, ignorando la sua domanda. «Probabilmente avevo sottovalutato il tuo grado di rancore... Devo essere un po’ arrugginito.»
«Non era un invito di Gaara?»
«Non proprio.»
«Che cos’hai in mente?»
Shikamaru si alzò, aggirando il tavolo.
«Prova a pensarci...» sussurrò, portandosi alle spalle di Temari e chinandosi vicino al suo orecchio. «Hai già mangiato questo piatto.»
Temari fremette.
«Conosci già questa stanza...» continuò lui, scivolando con la mano lungo il suo braccio e su fino alla spalla.
Temari trattenne il fiato, sentendo le labbra di Shikamaru sfiorarle l’orecchio come non succedeva da anni.
«...Conosci perfino il ragazzo che ti ha portato l’invito.»
Adesso sentì distintamente le labbra di lui tendersi in un sorriso, e in un lampo capì tutto.
La stanza era quella che Shikamaru aveva già avuto, diciotto anni prima; il cibo era lo stesso del ristorante in cui avevano cenato quella volta, quando lei si era fatta offrire tutto; persino il ragazzo, era lo shinobi biondo per cui lui ai tempi si era ingelosito.
«Come hai fatto?» tentò di chiedere Temari, ma Shikamaru le voltò il capo e la baciò prima che potesse finire la frase, spingendo la sedia contro la parete.
Il respiro di Temari si mozzò in gola, tradito da un sussulto di sorpresa. Durò solo un istante, poi le sue mani andarono a cercare il collo di lui, avvinghiandosi avide alla maglia.

Sentì le sue braccia attorno al collo, il suo respiro spezzato nell’orecchio, e le sollevò la gamba fino al fianco.

Temari lo spinse indietro, alzandosi per baciarlo di nuovo. Affondò le mani nei capeli stretti dal codino, gli sfilò l’elastico con uno strattone.
Barcollarono fino al letto, e lì Shikamaru fu spinto sul materasso. Temari si mise su di lui a cavalcioni, piegando la testa in cerca del suo collo, mentre Shikamaru afferrava il bordo della maglietta e gliela sfilava convulsamente. Poi, con un brusco colpo di reni ribaltò le posizioni, inchiodandole i polsi contro il materasso.

La fermò prima di rendersene conto, afferrandola per un braccio, e la tirò bruscamente indietro.
«Ehi...!» protestò lei, e lui la spinse contro il muro, quasi violentemente, bloccandole le braccia sopra la testa.

Temari ansimò, inarcando la schiena.
Shikamaru sorrise contro il suo collo, per poi mordere la carne tenera.
Oh, che sensazione...

Diciotto anni, un matrimonio e una figlia dopo... Diciotto anni per riprovare lo stordimento di saperla in suo potere. La cosa aveva richiesto giorni di elaborati preparativi e una fatica notevole, ma i risultati erano all’altezza delle aspettative.

Sentirla tra le sue braccia e sapere che non era lei a comandare. Sentirla respirare sulla sua spalla e sapere che non era lei a decidere il ritmo. Sentire la sua pelle sotto le labbra, e sapere che non era calda per la doccia, ma perché erano le sue mani a renderla tale.

I baci di Shikamaru scesero lungo il petto, fino all’ombelico e ancora più giù, verso i fianchi.
Le dita di Temari si posarono sulle sue spalle, poi afferrarono la maglia e gliela tolsero, per affondare le unghie sulla pelle libera della schiena.
Shikamaru risalì fino alla sua bocca, le prese il viso e la baciò, scivolando con le dita fino alle ciocche bionde alla base della nuca. Le strinse.
«Sai cosa manca» mormorò contro le sue labbra.
Temari percorse con i palmi i contorni della sua schiena, avvolgendo le braccia attorno alle sue spalle. Piegò le gambe, serrò le ginocchia attorno ai suoi fianchi e riprese quel tanto di controllo che bastava per sorridere, mordendogli il labbro inferiore.
«Dopo tutti questi anni ti servirà qualcosa in più di un bacio e due morsi...» chiosò.
Shikamaru sorrise a sua volta, facendo scendere una della mani lungo il corpo di lei.
«Non ricordo di aver mai perso in una sfida contro di te» disse, un’ombra di divertimento nella voce bassa. «Vediamo quanto ci vuole...»

Sorrise, e la sua mano scivolò giù, lungo il fianco e poi all’ombelico, e sempre più giù.
Ed eccolo, in un sussurro appena udibile e spezzato.

Il suo nome.



Oggi.

«Ti vedo sciupato.»
Shikamaru alzò lo sguardo dai documenti che stava leggendo e trapassò con gli occhi la testa di Kankuro. Lui, per tutta risposta, fece un sorrisetto furbo.
«Potrei diventare di nuovo zio?» insisté.
«I tassi di natalità in effetti si impennano in periodo di guerra...» mormorò Shikamaru tornando a ignorarlo.
A dire il vero non si sentiva poi così stanco.
Sì, dopo quella prima notte con Temari la loro vita di coppia aveva fatto un notevole salto di qualità, e le repliche erano state oltremodo interessanti, ma per qualche strana ragione si sentiva molto più riposato che se avesse dormito tutte le notti. Riposato e sereno, il che era piuttosto controproducente se si considerava che la Roccia stava ammassando i suoi eserciti e la Sabbia era completamente impreparata a sostenere un conflitto.
«Dove hai messo i dati demografici?» domandò Shikamaru, frugando tra i fogli della scrivania.
Kankuro si alzò dalla sua sedia e lo aiutò a cercarli, mettendo da parte le battute sulla vita sessuale della sorella.
In quel momento stavano cercando di delineare con precisione la situazione militare del paese del Vento.
Dopo la liberazione di Loria era stato necessario rifornire tutti i magazzini, censire gli shinobi, recuperare quelli a cui era stato suggerito di restare a casa, capire a che punto era l’addestramento delle nuove reclute, come erano messi ad armi e soprattutto se c’era ancora fiducia per il governo, dopo tanti anni di mala gestione imposta dalla Roccia.
Era un lavoro enorme e difficile. Gaara, d’accordo con Naruto, aveva pensato di chiedere la consulenza di Shikamaru per portarlo a termine intanto che lavoravano sul coordinamento logistico. I coniugi Nara avevano accolto la proposta praticamente come una seconda luna di miele.
«Temari è andata a valutare i ragazzini della Scuola?» chiese Kankuro, tendendo il fascicolo sui dati demografici a Shikamaru.
«Sì, dovrebbe finire a breve» rispose lui afferrandolo. «Speriamo che non siano completamente senza speranza...»
«Quelli semmai sono i vostri mocciosi. Alla Sabbia li tiriamo su come si deve.»
«Vedo» Shikamaru gli lanciò un’occhiata di sbieco.
«Io pure» replicò Kankuro con un ghigno.
Forse Shikamaru avrebbe avuto di che ribattere, ma prima che potesse farlo qualcuno aprì la porta della stanza e fece irruzione senza bussare.
«L’abbiamo evocata!» esclamò Kankuro, incrociando il saluto della sorella.
Temari lo fissò, a metà tra l’irritazione e la perlessità, ma decise di ignorarlo. Quindi raggiunse la scrivania di Shikamaru, ci piazzò le mani sopra e sbuffò sonoramente.
«Sono tutti incapaci» annunciò senza giri di parole.
«Traditrice del tuo sangue!» inorridì Kankuro.
«Tu perché sei qui?» lo fulminò lei.
«Sto aiutando Shikamaru con la logistica.»
Temari assottigliò gli occhi verdi.
«Bene. Adesso proseguo io.»
Kankuro passò lo sguardo da lei a Shikamaru, che fingeva di ignorarli con il naso affondato in un fascicolo. Accarezzò l’idea di fare qualche battuta particolarmente pungente, poi realizzò che se Temari lo sostituiva significava avere il pomeriggio libero.
«Come vuoi» disse quindi, alzando le mani in segno di resa. «Sai com’è il detto, no? Tra moglie e marito...»
«Sì, prima di citare una roba del genere trovati una moglie» lo stroncò Temari.
Con una smorfia di suprema offesa, Kankuro se ne andò borbottando indignato.
La porta si richiuse mentre Shikamaru abbassava i fogli da davanti al naso.
«Sono davvero così impreparati?» chiese preoccupato.
«Sì. No... Insomma, non sono male per essere ragazzini, ma in una guerra sarebbero carne da macello. Non mi hai salutato.»
Shikamaru fece un sorriso sghembo, abbassando lo sguardo dal suo viso alla scollatura, che lei insisteva nel proporgli così generosamente. «Bentornata.»
Temari ricambiò il sorriso, passando all’altro lato della scrivania. Senza chiedergli il permesso gli sfilò di mano i documenti che stava leggendo per scorrerli con lo sguardo.
«Sono poco longevi a Suna» commentò, voltando le pagine fino all’ultima. «E fanno pochi figli.»
«Sai, fa caldo» rise Shikamaru, facendo scivolare una mano lungo la sua coscia e fino al fianco.
«Non sembra essere un grave problema, per te» mormorò lei, senza voltarsi. «Almeno di recente. No, veramente non è un grave problema per molti...» aggiunse poi rabbuiandosi.
«A chi stai pensando?» la mano di Shikamaru si intrufolò sotto il bordo della sua maglietta, solleticando la pelle della schiena.
«Allo schifoso voltagabbana.»
«Baka Akeru?»
«Non pronunciare il suo nome, mi viene l’orticaria!»
Shikamaru tirò indietro la mano e sospirò. Se c’era una cosa che in quei giorni poteva distrarre Temari da lui era solo lo sciagurato contratto tra Akeru e Chiharu.
«Non credo che Chiharu si conceda a qualcuno così facilmente, se è questo che pensi» disse. «Più probabilmente lo ha raggirato in qualche modo oscuro.»
«Ma lui si è fatto raggirare perché pende dalle sue labbra» mugugnò Temari, mettendo giù il foglio e appoggiandosi alla scrivania con un fianco. «Tu non hai dovuto sentirlo dire ho pensato di saltarle addosso, poi la mia etica ha avuto la meglio... Se fossi stato al mio posto avresti usato lo strangolamento dell’ombra.»
«Può darsi» mormorò Shikamaru. «Ma ha anche detto di non averla toccata.»
«Sì, quella volta.»
«Ripeto: Chiharu è troppo concentrata su se stessa per pensare di cedere alle avances di qualcuno. È sempre tua figlia, dopotutto.»
Temari inarcò le sopracciglia con intenzione. «In che modo questo dovrebbe rassicurarmi?»
Shikamaru ricordò i loro primi turbolenti incontri, e in effetti si rabbuiò leggermente. «Beh... Speriamo che sia anche figlia mia e mantenga un po’ di buonsenso.»
«Ti ricordo che siamo diventati genitori a diciotto anni.»
Shikamaru accusò il colpo, incassando la testa tra le spalle. «Allora spero che la guerra la distragga a sufficienza da non pensare agli uomini.»

Né lui né Temari, a causa del foglio sulla privacy firmato da Chiharu, sapevano che lei non sarebbe stata coinvolta nella prossima guerra.
Non sapevano nemmeno che Baka Akeru aveva rischiato la sua carriera per lei, o che Hitoshi Uchiha vagava attorno alla figlia come un falco sulla preda.
Ma soprattutto non sapevano che Yoshi aveva fatto il nome di Chiharu... Perché in quel caso, sicuramente, avrebbero raccolto armi e bagagli per correre a Konoha, invece di ravvivare la loro relazione a Suna.

E forse, se lo avessero fatto, le cose sarebbero andate diversamente...


* * *


I resti carbonizzati del sottobosco mandavano ancora lievissime spire di fumo.
La squadra Anbu era arrivata rapidamente, ma quando avevano raggiunto il punto da cui erano scaturite le fiamme non era rimasta che una nuvola nera e acre.
Non avevano capito cosa fosse bruciato, non c’erano resti più grossi di una nocciola.
Konohamaru studiò il perimetro dell’area in cerca di tracce, invano. Spedì alcuni dei suoi uomini in avanscoperta, nel caso in cui ci fossero segni in un raggio più ampio, ma tornarono tutti a mani vuote.
L’unica cosa che poterono riferire a Naruto fu che l’aria era satura di ozono e zolfo, un odore inconfondibile.


Chiharu arricciò il naso rientrando in casa.
Nonostante sua nonna si fosse occupata di arieggare le stanze e tenerle pulite nei giorni in cui la casa era rimasta vuota, le sembrava che ci fosse un cattivo odore. Come di uovo marcio, o di zolfo. Probabilmente erano tutte le medicine che prendeva, si disse... Le lasciavano sempre un saporaccio in bocca.
Shikaku, entrando dietro di lei, andò ad aprire le finestre del salotto per far entrare un po’ di luce.
«Carina. Posso vedere la stanza degli ospiti?» domadò la voce di Fay alle sue spalle.
Chiharu quasi sussultò: aveva dimenticato che la sua nuova guardia del corpo sarebbe diventata anche la sua coinquilina.
Con un pizzico di inquietudine si voltò a guardarla, e non poté fare a meno di pensare che stavolta era proprio in trappola.
Fay si era portata una borsa di vestiti, che teneva appesa a una spalla con noncuranza. Si guardava attorno con l’espressione fintamente annoiata di chi sta registrando tutti i dettagli, e in una mano teneva la sigaretta accesa.
«Non fumare in casa» borbottò Chiharu, facendosi avanti. «Spegni quella roba e vieni con me. Ti faccio vedere dove dormirai.»


«Come hai osato?»
La voce di Naruto risuonò lungo il corridoio, facendo trasalire Koichi alla sua scrivania. Nonostante la porta dell’ufficio fosse chiusa, riecheggiava come se fosse stato a un metro di distanza.
Sakura, seduta sulla sedia dell’Hokage davanti a un elenco dei rifornimenti dell’ospedale, impiegò meno di un secondo per capire a cosa si riferisse. Allora raddrizzò le spalle e sollevò il mento.
«Sono il diretto superiore del medico curante di Chiharu. L’ho dimessa perché lo ritenevo giusto» disse sostenuta.
«Non sto parlando di quello, e tu lo sai benissimo!» Naruto avanzò a grandi passi, sbattendo le mani sulla scrivania. «L’hai messa sotto sorveglianza!»
«Sì, mi sembra il minimo.»
«Potevi tenerla in ospedale, invece di mandarla via con un cane da guardia travestito! Pensi che non capisca cosa vuoi fare? E poi perché diavolo lasciarla andare?»
Sakura intrecciò le dita delle mani. «Perché Yoshi ha fatto il suo nome.»
Naruto si immobilizzò.
«Cosa?»
«Me lo ha riferito Baka. Yoshi l’ha tirata in ballo, ma non ha spiegato in che modo è coinvolta. Io devo sapere cosa c’entra con quella faccenda, e l’unico modo che abbiamo per farlo è illuderla che vada tutto bene.»
«Potrebbe averla nominata per creare confusione...» tentò Naruto.
«Sì, certo. Ma devo esserne sicura» Sakura lo fissò. «Naruto, anche tu eri d’accordo con me.»
«Nel mandarla lontano dalle cure mediche di emergenza, con un uomo di Sasuke e due Anbu a sorvegliare la casa? No, non era proprio questo che avevamo detto.»
«Una donna di Sasuke» lo corresse lei.
«Sakura!»
Bussarono alla porta dello studio, e proprio Sasuke entrò senza attendere risposta.
«Mi fischiano le orecchie...» mormorò studiando Naruto. «Cos’hai da lamentarti oggi?»
Naruto serrò entrambi i pugni, lanciando occhiate di fuoco agli ex compagni di gruppo.
«L’Hokage sono io!» esclamò. «Dovete finirla di fare le cose alle mie spalle. Voglio l’ultima parola su qualunque decisione esca da questo studio, soprattutto quando riguarda i miei allievi. Sono stufo di essere scavalcato. Se Kakashi avesse voluto nominare voi Hokage, lo avrebbe fatto.»
Sasuke scambiò un’occhiata con Sakura, e la vide abbassare lo sguardo a disagio.
Avevano discusso parecchio di quella faccenda. Per Sasuke Naruto era perfettamente in grado di fare il suo lavoro e andava solo riportato a terra quando prendeva la tangente, ma per Sakura il loro compito era quello di istruirlo sulle sottigliezze del potere e impedire che ragionasse come aveva sempre fatto. Sasuke aveva obiettato un po’, ma alla fine si era detto che Naruto avrebbe dimostrato da solo quel che sapeva fare.
Ora, invece, gli veniva qualche dubbio.
«Naruto, cosa avresti suggerito di fare con Chiharu?» domandò.
Naruto, colto alla sprovvista, boccheggiò per un istante. «Beh, appena avessi avuto un po’ di tempo le avrei parlato... Stavo già organizzando...»
«Per dirle?»
«Non è che mi preparo i discorsi in anticipo!»
Sasuke sospirò, chiudendo gli occhi. «Naruto, questa non è una situazione normale» disse con calma. «Forse hai bisogno di un po’ di aiuto.»
«Un po’ di aiuto non significa fare le cose alle mie spalle!»
Sasuke guardò Sakura, che arrossì. «No, non significa fare le cose alle tue spalle» ammise. «Non accadrà più.»
Naruto sbuffò, passandosi una mano tra i capelli già spettinati.
Oh, era così difficile mettere in pratica i bei discorsi fatti a Jiraya... Anche se aveva mandato tre delegazioni di ambasciatori in giro per le grandi Terre, non gli sembrava che il suo piano per interrompere la guerra stesse dando grandi frutti; in più Sakura e Sasuke si comportavano come il peggiore degli insubordinati, e non era riuscito a parlare con Chiharu perché gli era sparita da sotto il naso.
Su una cosa Sasuke aveva ragione: quella non era una situazione normale, nemmeno per un Hokage.
«Maledetto Kakashi...» mormorò, sfregandosi la fronte.
Dalla porta, rimasta socchiusa dopo l’arrivo di Sasuke, si affacciò Koichi con sguardo esitante.
«Perdonate il disturbo» disse tossicchiando. «Konohamaru è tornato dalla perlustrazione nella foresta. Lo faccio aspettare?»
«Anche questa...» Naruto prese un respiro profondo. «No, fallo entrare. Sakura, alzati dalla mia sedia. Andrò da Chiharu appena avrò tempo.»


«Mettiti comoda, io continuo ad aprire le finestre» disse Chiharu, dopo aver fatto vedere la stanza degli ospiti a Fay.
Ma lei sorrise, lasciando cadere la borsa con i vestiti al centro del pavimento, e insisté per aiutarla.
Allora è così che andrà?, si domandò Chiharu, trovandosela attaccata alla schiena. Mi starai appiccicata qualunque cosa io faccia? Va bene, se è questo che vuoi... Ma da me non caverai proprio niente.
Anche perché non c’era niente da cavare.
Insieme a Shikaku aprirono tutte le imposte e arieggiarono i locali. Al termine dell’operazione Shikaku invitò Chiharu e Fay da Yoshino, ma Chiharu rifiutò: l’idea di sottoporsi subito all’interrogatorio della nonna non la entusiasmava particolarmente. Nemmeno l’idea di restare sola con Fay era esaltante, ma di recente il convento passava solo quello.
«Sono stanca» disse, simulando una spossatezza che non provava. «Magari domani verrà a trovarmi, va bene? Adesso voglio solo riposare un po’... Fay è un dottore, impedirà che io muoia di infarto sul pavimento. Giusto, Fay?»
Fay sorrise. «Può stare tranquillo.»
Shikaku guardò le due ragazze senza nemmeno la più vaga ombra di tranquillità. Tuttavia sapeva con certezza che se avesse insistito per restare non avrebbe cavato un ragno dal buco, così, per l’ennesima volta, dovette cedere e abbandonare il campo. Yoshino lo avrebbe massacrato.
Fay e Chiharu allora rimasero sole per la prima volta.
Probabilmente ci sono degli shinobi anche all’esterno, rifletté Chiharu, tornando nella sua camera con la scusa di un mal di testa. Sono praticamente prigioniera in casa mia.
D’altronde, c’erano posti dove sarebbe voluta andare? Per fare cosa, poi?
Appunto: cosa poteva fare adesso, a parte aspettare il ritorno dei suoi genitori e farsi ammazzare da Temari per aver rovinato la reputazione della famiglia?
«Scusa, posso entrare?»
Chiharu scrutò la porta infastidita. Così era un po’ troppo, però.
«Ho mal di testa, ti ho detto» bofonchiò.
«Chi meglio di un dottore, allora?»
Fay entrò senza attendere il permesso, ricevendo un’occhiata di fuoco. Impassibile, si avvicinò al letto di Chiharu e depositò sulla sua scrivania una mole di medicinali impacchettati.
«Devo prenderti i parametri tre volte al giorno» le ricordò, tirando fuori un apparecchio per la pressione. «E segnalare ogni anomalia... Incluse le emicranie.»
Chiharu roteò gli occhi e allungò il braccio, senza muoversi dal letto. Di certo non le avrebbe facilitato il lavoro.
Fay non si lasciò impressionare dalla scarsa collaborazione. Si sedette sul bordo del letto per misurarle la pressione. Mentre lo faceva, scansionò con cura tutte la parte di camera cui riusciva ad arrivare senza farsi notare.
«Il mal di testa migliora stando sdraiata?» chiese in tono colloquiale, gonfiando il bracciolo per la pressione.
«No.»
«Poi ti do qualcosa, allora. Prima vediamo questo...»
Gonfiò fin quasi a stritolarle il braccio, il che fece capire a Chiharu che l’avevano addestata a farlo solo negli ultimi giorni, e poi mollò la valvola dell’aria con lentezza esasperante.
«E’ regolare. Fammi sentire il battito... Hai una stanza poco femminile.»
«Lo so» borbottò Chiharu, mentre la sentiva cercare le arterie del polso con dita incerte.
Va bene tutto, ma io sono esperta di medici... Come diavolo hanno pensato di fregarmi con questa qui?
«Scusa, sono un po’ maldestra... Sai, sono solo una tirocinante» disse Fay a mo’ di giustificazione. «Sei stata ricoverata a lungo, ho visto» continuò, arrendendosi con il polso e passando direttamente all’auscultazione del petto. «E prima eri lontana... Ti hanno aggiornato sulla guerra con la Roccia?»
«So della dichiarazione» tagliò corto lei.
«Sai anche che il tuo amico Yoshi è in stato di fermo, sospettato di spionaggio?»
Chiharu trasalì in maniera perfettamente naturale, perché proprio non si aspettava un attacco così presto. In un istante realizzò che il suo cuore aveva triplicato i battiti e Fay lo stava ascoltando in diretta.
«Hanno arrestato Yoshi?» alitò, simulando uno choc piuttosto convincente. «Ma come... Quando?»
«Alcuni giorni fa» Fay studiò il suo viso quasi morbosamente. «C’è stata una segnalazione. Lui non ha collaborato.»
«Ma... perché? Che genere di segnalazione?»
Un lampo guizzò negli occhi di Fay, e Chiharu capì che non doveva mostrarsi troppo curiosa, non ancora.
«E’ assurdo!» sbottò, allontanando il braccio che ancora la visitava e tirandosi a sedere. «Yoshi è un mio amico, non mi ha mai dato ragione di sospettare che fosse un traditore!»
«E’ questo che fanno le buone spie. Non sollevano sospetti» ribatté Fay, in tono francamente un po’ petulante.
Non come te, pensò Chiharu in un impeto di ribellione interiore. Distolse lo sguardo, passandosi una mano tremante sulla bocca.
«Non ci credo. Ha confessato? E’ davvero una spia?»
«Qualcosa ha detto...» Fay lasciò la frase in sospeso, studiandola, ma Chiharu non si fece fregare. Invece si stropicciò il viso con le mani.
«Non riesco a crederci» continuò, come se l’insinuazione di Fay non la riguardasse. «Era al primo anno di Accademia! Come avrebbe fatto? E i controlli... L’avrenno controllato prima di permettergli l’iscrizione.»
«Le buone spie non sollevano sospetti.»
L’hai già detto.
Chiharu la guardò, sfoderando la sua miglior faccia di innocente preoccupazione. «Devo essere interrogata anche io?»
«Forse» le concesse Fay.
Chiharu annuì, come stordita. «Certo... Quando volete. Ma è assurdo. Dev’essere un errore...»
Fay si strinse nelle spalle, sospirando un po’.
Le reazioni di Chiharu erano compatibili con una genuina sorpresa e un po’ di paura per sé stessa. Non le sembrava di vedere senso di colpa o terrore, che l’avrebbero messa più in allarme; d’altro canto aveva bisogno di più tempo per coglierla in flagrante – se c’era qualcosa da cogliere – e quell’attacco serviva solo per saggiare le sue reazioni a caldo.
«Adesso non pensarci» le disse, alzandosi in piedi. «Ti do una cosa per il mal di testa e ti lascio riposare.»
«Sì, per favore. Il dolore è decuplicato negli ultimi due minuti...» gemette Chiharu coprendosi gli occhi con una mano.
Fay le preparò un bicchiere d’acqua insieme alle pastiglie. Apettò che prendesse entrambi, rimise in ordine i blister sulla scrivania, quindi socchiuse le persiane e finalmente la lasciò sola.
Chiharu attese che la porta scorresse nelle guide separandola da Fay, e solo in quel momento si concesse di aggrottare la fronte, facendo lavorare febbrilmente il cervello.
Se non fosse stato per Akeru, adesso sarei nei sotterranei del dipartimento insieme a Yoshi, realizzò.
Già gli doveva la vita per averla letteralmente riportata indietro dopo l’evocazione del chakravakam, ora gli doveva anche la libertà per essersi dimostrato leale nonostante i suoi sospetti... Era un genere di devozione a cui non era abituata. Nessuno tra i suoi conoscenti si comportava così.
Avvertì un crampo allo stomaco, che la spinse a rannicchiarsi su un fianco. Essere di nuvo nella sua stanza riduceva lievemente l’angoscia provata in ospedale, ma non riusciva a cancellarla del tutto.
Anche se Akeru la stava proteggendo, se Yoshi avesse deciso di tirarla in mezzo lui non avrebbe potuto fare niente – anzi, probabilmente avrebbe passato dei guai insieme a lei.
A proposito di Yoshi... Era riuscita a non pensarci fino ad ora, ma dopo il mezzo interrogatorio di Fay non riusciva più ad arginarlo. Così, i pensieri fluirono incontrollabili.
Perché l’aveva avvicinata? A quale scopo? Lei non gli aveva mai dato nessuna informazione importante. Avrebbe avuto più senso se l’avesse uccisa, quando aveva scoperto che spiava l’ufficio dell’Hokage... Perché invece l’aveva invischiata nel suo gioco?
E tutto il tempo che avevano passato insieme, i loro discorsi, i pranzi condivisi... Tutto falso! Un’abile messinscena per conquistare la sua fiducia e poi... e poi boh. Non aveva idea di quale potesse essere il suo scopo.
Se erano le informazioni che cercava, io ero un ostacolo, si disse. Non era quello il suo obiettivo.
D’altronde, nemmeno parlare di lei a Baka sembrava una mossa sensata.
Ma allora a cosa puntava?
Di nuovo il crampo allo stomaco. Piegò le ginocchia contro il petto, mordendosi le labbra. Non credeva che fosse colpa delle medicine... Era qualcosa di diverso, qualcosa che non aveva mai provato prima.
Era il profondo senso di sconforto nello scoprire che qualcuno a cui teneva si era servito di lei. Il dolore fisico del tradimento e dell’umiliazione.
Anche Naruto e Sakura avevano provato la stessa cosa, quando Sasuke se ne era andato?
Chiharu stritolò la maglietta tra le dita, rivedendo dietro le palpebre serrate tutti i sorrisi che Yoshi le aveva rivolto, il cibo che gli aveva comprato, gli origami che gli aveva spedito in aula...
Tutto, tutto, tutto falso.
Finalmente quella consapevolezza le invadeva la testa, si faceva strada oltre le sue barriere e i blocchi, squarciando certezze e comode abitudini... Come un’ondata di piena distruggeva i suoi muri interni, lasciando sulla strada soltanto macerie.
Non è mai stato mio amico. Non è mai stato nemmeno mio compagno. Io non sono mai stata nulla per lui.
La mano che si stringeva allo stomaco salì fino alla faccia, nascondendola sotto il braccio ripiegato.
Fa male...






* * *

Buongiorno a tutti!
Sono in ritardo.
Ma ho un'ottima giustificazione:
ho traslocato e sono momentaneamente priva di internet!

Il che significa che scrivo di più
ma fatico a pubblicare.

Ad ogni modo, spero che stiate tutti bene.
In questo capitolo succedono un sacco di cose,
tra cui il ritorno di vecchi spezzoni da Sinners
(controllate pure, sono proprio copia-incolla Shikatema!)
e l'introduzione di eventi che boh neanche io so bene cosa siano
(la storia del fumo nella foresta).
Da qui in poi sarà difficile avere capitoli di transizione, almeno per un pochino,
perché presto ripartiamo con le botte da orbi.
Non vedo l'ora!
<3

Grazie a tutti voi che ancora seguite questa storia.
Mi scuso sempre per i ritardi,
vorrei davvero essere più costante,
ma vivendo da sola è dura...

A proposito, ho lasciato a casa i disegni che vi avevo promesso,
che quindi non ho potuto scannerizzare.
Sono una bruttissima persona.
Prima o poi li metto, ve lo giuro.

Spero di farmi risentire prestissimo!
Un abbraccio.



Susanna

  
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