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Autore: _Noodle    07/11/2016    3 recensioni
“Tokyo, diventata da pochi anni la capitale dell’Impero, rifulgeva di una nuova e folgorante bellezza, di un fascino meccanico e ricercato. […] Tuttavia, tra le novelle illuminazioni e le linee telegrafiche, tra il fumo grigio delle fabbriche e le stelle, qualche vecchia tradizione non si assopiva: le squallide osterie dei quartieri bassi continuavano a schiamazzare orgogliose, attirando l’attenzione di brutti ceffi e di povere donzelle. Luoghi di perdizione le taverne, luoghi poco seri e poco innovativi; antri oscuri composti di gente matta, chiassosa, sfrontata”.
Un re disperso, un mondo fluttuante ed indefinito, il Paese delle Meraviglie che Shouyou Hinata fu costretto ad esplorare.
“Noi siamo tutti matti qui.”
AliceInWonderland!AU
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Un po' tutti
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Al di là della porta.
 
 
 
 
 
Trentatre, trentadue, trentuno, trenta, ventinove….
 
Se solo non fosse stato per l’inesorabile scorrere del tempo, per l’affannarsi di quei secondi infidi e sfuggevoli, Hinata si sarebbe soffermato con estremo piacere ad osservare le sontuose stanze del Palazzo delle Carte. Riemerso dai sotterranei in cui giacevano le prigioni, dopo aver percorso intricati corridoi e vorticose rampe di scale, era riaffiorato nei piani superiori del Palazzo, le cui stanze e i corridoi erano illuminati da torce, fiaccole e giganteschi lampadari di candele. Il cielo, che si poteva scorgere dalle sterminate finestre dai vetri sottili, era diventato buio, pronto per accogliere la luce della luna.
Hinata correva a perdifiato dietro il Nove di Picche e il Tre di Quadri che, sebbene non avanzassero con un passo sostenuto, facevano mangiare la polvere al piccolo garzone, diventato delle dimensioni di un pidocchio a causa del fungo del Brucaliffo. Da quella bassezza, dalla ridicola statura del momento, tutto appariva più ampio, più grande e deforme; i colori erano più vividi ed appariscenti, l’oro e l’argento degli ornamenti rifulgevano di una luce accecante e i marmi neri e rossi di cui erano costituiti i pavimenti e le pareti rivelavano vene e capillari, che scorrevano al loro interno come in veri e propri tessuti, come in veri e propri corpi. Hinata costeggiò le pompose stanze dei ricevimenti, i salotti sfarzosi, i saloni dedicati alle riunioni e le camere blindate, in cui, secondo il suo parere, la Regina teneva nascoste miriadi di teste mozzate accatastate le une sulle altre. Fu proprio davanti ad una di queste stanze blindate, l’ultima di un piccolo corridoio alla sinistra di quello principale, che le due guardie dal passo svelto arrestarono l’avanzata. Il Tre estrasse una chiave dalla tasca della sua uniforme bianca e rossa, la infilò nella serratura e con religioso silenzio diede quattro mandate in senso orario. La chiave era talmente piccola che la fessura della toppa pareva inesistente: “un ottimo modo per blindare una porta!”, pensò il giovane.
Hinata, respiro incostante e salivazione difficoltosa, osservava con attenzione le tremolanti azioni delle carte, che sembravano avere più paura ed incertezze di lui. A chi stavano servendo la cena? Ad un prigioniero? Ad un criminale? Ad una strana e magica creatura dominatrice di arti oscure? Data la ciotola che il Nove teneva in mano, poteva trattarsi di un animale più che di un umano, ma non era detto che in quel luogo di persone mentalmente instabili fosse d’uso comune mangiare nelle ciotole invece che nei piatti. Hinata non sapeva se quello che stava facendo fosse realmente utile, ma aveva la sensazione che non fosse totalmente sbagliato e avulso di senso.
Le Carte, dopo aver bussato educatamente, solcarono la soglia della stanza blindata; Shouyou li seguì istintivamente, nascondendosi dietro ad un piede del Nove.
Mancavano trentanove minuti al sorgere della luna piena.
<< Signorino! Siamo noi, il Tre di Quadri e il Nove di Picche. Vi abbiamo portato la cena >> bisbigliò il Tre, facendosi passare la ciotola dal Nove e porgendola poi al suo interlocutore.
<< Lasciatela lì >> ordinò una voce senza volto.
<< Non avete bisogno di una mano per magiare? >>
<< Io non mangio, ve l’ho già detto un milione di volte. Non ho bisogno di nessuno. >>
La Voce era roca, dal timbro scuro e sabbioso. Ferma e precisa, irata e calcolatrice, essa era stata in grado di cacciare le due guardie con poche e gelide parole, aguzze e acuminate più di un centinaio di spilli. Hinata, indeciso sul da farsi, rimase insospettito dalla tenebrosa presenza che si nascondeva nell’oscurità della stanza blindata. Sfilò la clessidra dalla tasca per controllare il tempo mancante e si accorse di avere solamente trentotto minuti. Le due guardie, dopo aver serrato la porta, si allontanarono con passo rapido e terrorizzato; Shouyou, tuttavia, rimasto intrappolato nella stanza, decise di indagare e di approfondire la questione. Perché mai un detenuto avrebbe dovuto risiedere ai piani superiori del palazzo e non nelle prigioni? Era realmente un detenuto? Come mai il Tre e il Nove l’avevano trattato con tanta reverenza e rispetto? Chi era il “Signorino” di cui avevano parlato?
Il pavimento, a differenza delle celle sotterranee, era di marmo rosso, lindo e lucente. Le pareti, anch’esse di marmo, erano spoglie e non vi erano finestre che permettessero di osservare l’esterno. Una seconda porta di legno, sprangata dalla cima alla base per evitare che il prigioniero potesse evadere, era l’unico elemento presente nel cubicolo, esclusa la ciotola di cibo che restava intonsa accanto alla porta d’entrata. Hinata si guardava continuamente attorno alla ricerca del prigioniero, ma nessuno si palesava e la stanza sembrava vuota. Non giunse nemmeno nella sua metà, che dei passi ticchettanti e indiavolati raggiunsero quel luogo. La piccola chiave scattò per l’ennesima volta nella serratura e la porta di legno blindata si spalancò con ferocia.
Erano Lei e Lui.
<< CANE! SEI UN CANE PAZZO! Ne ho abbastanza dei tuoi comportamenti infantili! Sarai pure mio figlio, sarai pure il Fante di Cuori ma questo non ti autorizza a comportarti male con le guardie! Cuoricino, fallo scendere dal soffitto, voglio guardarlo negli occhi. >>
La testa di Hinata iniziò a turbinare, le sue orecchie a fischiare e il suo cuore a pompare con una frequenza disumana. Ciò che vide non fu equiparabile né alla terribile visione del Brucaliffo, né agli spaventevoli ghigni dello Stregatto, né alla presenza assoggettante delle Loro Maestà. Ciò che vide andava al di là del raziocinio e della ragionevolezza, andava al di là del normale, del consueto e del conosciuto; andava al di là delle leggi della fisica e della gravità, andava al di là del sogno e dell’immaginazione; andava al di là persino della follia. Senza che il Re proferisse parola, il prigioniero della Camera Blindata dei Piani Alti staccò il proprio corpo dalla parete del soffitto, come se vi fosse stato incollato, e precipitò al suolo leggero, cullato dall’aria tiepida.
Il Fante di Cuori, o Cane Pazzo che dir si voglia, non era un individuo come tutti gli altri. Non assomigliava ai suoi genitori per fattezze e per spessore, non possedeva uno scheletro o una struttura muscolare, non era dotato di una tridimensionalità e di un corpo in carne ed ossa: il Fante di Cuori, dalla pettinatura eccentrica e dall’abbigliamento scomposto, era una carta. Tuttavia, sebbene potesse essere definito tale, il Fante di Cuori, dai capelli biondi strisciati di nero e dagli occhi ricalcati di matita, non era delle stesse sembianze del Tre di Quadri, del Nove di Picche o del Quattro di Fiori. Si dice che nessuno abbia un volto o una corporatura perfettamente simmetrica, né tanto meno uguale; ma Cane Pazzo, il figlio della Regina e del Re di Cuori, non rispettava proporzioni e non era stato generato secondo canoni predefiniti. Non era realistico. L’occhio destro era più grande del sinistro, la bocca più grande delle spalle, il braccio sinistro più largo di quello destro, i fianchi più sottili della gamba sinistra. Hinata si rese conto della sua vera realtà quando finalmente poté vederlo in tutta la sua altezza.
Corpo bidimensionale fatto di cellulosa, nessuno spessore nella testa e nelle estremità, corpo dalle sembianze umane e ben diverso da quello rettangolare dei sudditi delle Maestà. Occhi sproporzionati e senza ciglia, naso minuto costituito da due semplici punti, mani con quattro dita ciascuna, piedi extra-ruotati e paralleli al terreno, contorni a matita attorno a tutta la sua figura. Il Fante di Cuori, o Cane Pazzo che dir si voglia, era stato disegnato da qualcuno.
<< Io non devo obbedire a nessuno. >>
La Regina si avvicinò al Fante, compiendo un movimento con il braccio come se avesse voluto afferrargli il colletto della camicia rossa, che tuttavia, come il resto del corpo, come i pantaloni grigi e le scarpe nere, non aveva una tridimensionalità.
<< Devi obbedire a tua madre! >> sbraitò puntando il dito in direzione dei suoi occhi << Se ti tengo recluso qui dentro ci sarà un motivo! Io ti sto educando, voglio che tu, un giorno, possa essere in grado di prendere il mio posto, ma se non collabori e non cerchi di portare rispetto la questione diventa estremamente difficile! >> gridò, paonazza in volto.
<< Sai bene che il tuo posto non spetterà a me. >>
Vedendo che la moglie era sulla buona strada per incespicarsi e per fallire miseramente nel suo intento risanatore, il Re avanzò verso il discendente, allungando un braccio davanti al corpo della Regina in atteggiamento di difesa.
<< Figliolo, non rivolgerti così a tua madre. >>
<< Non chiamarmi in quel modo. >>
Fu a quelle parole sibilate con odio e disprezzo che la Regina scostò il braccio del marito da davanti a sé e afferrò Cane Pazzo per le spalle, ferendosi leggermente i palmi delle mani.
<< Se solo non fossi fatto di carta schifosa e dal tuo corpo di rifiuti potesse zampillare almeno qualche goccia di sangue, giuro sulla testa di mio marito che ti avrei già mozzato il capo. >>
Un breve silenzio, colmato dagli affannosi spasmi della Regina, intercorse tra quello scambio di irate battute.
<< Ma non potete farlo, dico bene? Perché io sono tutto ciò che avete. >>
Sua Maestà, travolta dall’impeto violento della rabbia, del disgusto e della delusione, afferrò il marito per una manica della giacca e lo trascinò fuori dalla camera. La porta sbatté e le usuali quattro mandate sigillarono il Fante e Hinata all’interno nella piccola cella. Shouyou era rimasto sconvolto dall’aspetto e dal carattere del figlio delle Maestà, così indisponente e sadico nelle risposte. Nonostante la madre fosse la pazza scriteriata per eccellenza, il figlio era il personaggio da temere di più. Ma perché nessuno dei sudditi aveva parlato di lui? Perché era segregato, tenuto nascosto? Forse per il suo aspetto sgradevole? Per la sua cattiveria senza limiti? Era riuscito a far emergere le debolezze della Regina e a renderla apparentemente sensibile e umana; sconvolta dalla freddezza del figlio, Hinata giurò di aver scorto delle lacrime nei suoi occhi severi. Era il Fante a tenere in mano il gioco? Era lui la carta della vittoria? Quel matto che non era uno scacco?
Shouyou percepì di star percorrendo la strada giusta.
 
Cane Pazzo si avvicinò alla porta sprangata, si accovacciò per terra e scivolò sotto di essa. Hinata lo seguì a ruota, ringraziando silenziosamente quell’insetto burbero del Brucaliffo per avergli donato il fungo magico.
La clessidra segnava trenta minuti.
Al di là della porta Hinata si sarebbe aspettato di trovare una stanza con all’interno un tesoro prezioso o un segreto indicibile; si sarebbe aspettato un lungo corridoio buio e misterioso, da percorrere con una fiaccola in mano e con estrema attenzione, si sarebbe aspettato un intricato affastellamento di scale e gradini, di ragnatele appese al soffitto e di vecchi chiodi arrugginiti abbandonati a terra, ma non trovò nulla di tutto ciò che si era immaginato.
Al di là della porta, Hinata e il Fante di Cuori si ritrovarono su un’ampia balconata, che si estendeva per almeno quaranta metri quadri, circondata dall’oscurità più nera. Negli angoli anteriori dello spiazzo, vicine alla lunga ringhiera di marmo nero costituita da colonnine bombate, vi erano due alte pire in fiamme, selvagge ed incontrollabili agli occhi del piccolo Hinata, terribilmente sconvolto dal fumo nero che esse esalavano e che si mescolava con le tenebre della notte. Al di sotto della balconata, almeno a dieci metri di profondità, si estendeva uno sconfinato labirinto costituito da siepi di rose nere, minaccioso ed intricato, malsano, malato, fonte di divertimento per un animo deviato e corrotto come poteva essere quello del Fante di Cuori. Ecco che cosa vi era nascosto al di là della porta: un labirinto da dimenticare, blindato e nascosto da pesanti assi di legno, che stava per essere nuovamente riscoperto da un folle concentrato di sregolatezza.
Shouyou, affacciatosi tra due colonnine, era rimasto invisibile agli occhi di Cane Pazzo, il quale aveva appoggiato le mani deformi sulla ringhiera, ringhiando compiaciuto.
<< Come procedono i giochi? >> esclamò in direzione di alcuni individui all’interno del labirinto, denti aguzzi e occhi rotondi colmi di soddisfazione. La voce di ciascuno rimbombava e faceva eco: quel luogo aveva un’acustica anomala.
<< Non siamo ancora riusciti a raggiungerlo, ma ci siamo quasi. Non temete, Nostro Re! >>
Colui che aveva parlato non era altro che uno degli scagnozzi del Fante. Era una carta da gioco simile a quelle che affiancavano la Regina e il Re nella monotona e ripetitiva vita del Palazzo, ma con un’unica ed essenziale differenza: aveva la testa mozzata. Queste erano gli avanzi, gli scarti, i non voluti, e stavano facendo le veci del massimo esponente dei dimenticati e degli emarginati, sua Maestà Cane Pazzo.
<< Fatela finita, una volta per tutte! Mi sono divertito a sufficienza ad osservare quel poveretto correre da una parte e dall’altra. Ora voglio divertirmi anche io e realizzare il mio progetto: acchiappatelo! >>
<< Agli ordini, Vostra Maestà! >>
 
Tum tum. Tum tum. Tum tum. Tum Tum.
 
Era lì. Era vivo. Respirava. Stava correndo. Stava sudando. Stava imprecando. Aveva paura. Era lì, di bianco vestito, dal volto slavato e martoriato, dalle ginocchia sbucciate e ferite. Era lì, estenuato, disperato, attaccato alla vita da un sottile filo di speranza. Era lì, probabilmente in fin di vita, ricoperto di cicatrici, di tagli sanguinanti e di ematomi violacei. Aveva gli occhi neri, i capelli ispidi e scompigliati, un portamento regale inselvatichito dalla sopravvivenza.
Il Re Bianco era lì ed era vivo, rincorso da un’orda di carte in bilico tra la vita e la morte. Lo scacco non era ancora diventato matto.
Hinata, raccapricciato da quella vista, ma allo stesso tempo euforico per aver portato a termine la missione ed aver ritrovato la ragione del suo viaggio nel Paese delle Meraviglie, dovette trattenere le lacrime e, per un istante, temette persino di essersela fatta addosso. Ce l’aveva fatta, senza sapere come o con quale spirito: l’aveva ritrovato entro il sorgere della luna piena (nessuno aveva parlato di riportarlo indietro entro tale ora). Non restava che raggiungerlo nei bassi fondi del labirinto e riportarlo alla luce, per poi ricondurlo tra le diafane braccia della moglie. Shouyou non poteva respirare, non poteva ansimare o fare alcun tipo di rumore sospetto, doveva essere forte e cacciare fuori il coraggio e la tenacia. Fece scivolare la clessidra tra le mani, scoprendo di avere ventisette minuti: oramai non serviva più.
 
Come poteva calarsi nel labirinto senza essere scoperto da Cane Pazzo? Gettarsi nel vuoto da un’altezza di dieci metri non era ciò che faceva al caso suo, perché probabilmente sarebbe morto prima lui del Re, e nemmeno pensare di poter bere il liquore del Cappellaio Matto per diventare più grande avrebbe giovato alla missione, in quanto tutti l’avrebbero visto. Come, come poteva raggiungerlo?
Senza opporre resistenza, fu scaraventato di sotto da un calcio del Fante, che si era spostato poco più in là per seguire con maggior attenzione i movimenti dei suoi scagnozzi.
Avrebbe voluto urlare, ma non ne ebbe il tempo; urtò il morbido prato da cui erano germogliate le siepi di rose e sentì le ossa scricchiolare, il naso sanguinare copiosamente. Tamponò il flusso rossastro strappando un lembo della camicia azzurra; poi, senza perdere tempo, cacciò la mano nella tasca dei calzoni, afferrò la bottiglietta di liquore e si bagnò le labbra, in modo da ritornare alla sua altezza originaria. Ristabilite le originali dimensioni, Hinata ebbe una visione del labirinto meno minacciosa e tetra. Iniziò a percorrere un primo corridoio, poi un secondo, svoltò a destra, poi a sinistra, poi ancora a sinistra; intravide le carte decapitate da lontano e intuendo la direzione che avrebbero preso, decise di percorrere una strada alternativa.
 
Destra, sinistra, destra, sinistra, destra sinistra destra sinistra destrasinistradestrasinistradestrasinistra…
 
Uno scontrarsi violento di corpi e di menti, fretta frettolosa e disperata. Due occhi castani che lentamente riescono a riconoscersi, che lentamente riescono ad intuire che la strada per la salvezza è vicina. Il Re Bianco, corpo rivestito da un paio di pantaloni bianchi e da una camicia color panna lacera e macchiata, trovandosi davanti Hinata e i suoi folti capelli rossi, restò paralizzato, impressionato dal fatto che in quel labirinto di mostri fosse appena apparso un angelo.
<< Re Bianco! Vi ho trovato! >> bisbigliò eccitato Shouyou, afferrando le sudice e sanguinose mani del Re. Quest’ultimo rimase con la bocca a mezz’asta, sorpreso, sconvolto e stupito che qualcuno lo stesse cercando. Hinata era giovane, ma evidentemente aveva un animo valoroso e maturo. Il Re, al cospetto di quelle mani sottili e di quel sorriso innocente, non seppe se fosse meglio sacrificarsi in nome del suo salvatore o coinvolgerlo in quella folle corsa verso la salvezza.
<< E tu chi sei? >> chiese infine.
<< Mi chiamo Shouyou Hinata, e adesso che vi ho trovato prima del sorgere della luna piena, nulla potrà più accadervi! La partita è riaperta, Re, si torna a casa! >> esclamò il ragazzo, occhi che rifulgevano di orgoglio e di adrenalina.
<< C’è un modo per uscire di qui? >> continuò Shouyou, senza mollare la presa delle grandi e possenti mani del Re Bianco.
<< Io non ho trovato nessuna via d’uscita da quando sono qui. >>
Ma poi a Hinata venne in mente che un modo per evadere c’era.
<< Perché ridi? Così ti sentirà! Smettila! >>
Shouyou aveva incominciato a ridere sguaiatamente. Incominciò a pensare ai momenti più belli della sua vita, a quelli più strampalati e divertenti. Pensò alle insolite considerazioni del Cappellaio Matto, ai balli strampalati della Lepre Marzolina, alle frasi in rima di Pincopanco e Pancopinco; pensò alle facce buffe di Kageyama, al suo antipatico cipiglio, alle sfortune multiple di Asahi, alle bastonate che il locandiere Ukai tirava scherzosamente sulle loro teste. Pensò ai sorrisi degli amici, ai genitori che non aveva mai avuto, all’ironia della sorte. Sotto lo sguardo allucinato, preoccupato e titubante del Re Bianco, attorno alle onde sonore che le risate di Shouyou producevano, lo Stregatto, dopo che il riso ebbe distrutto gli atomi, apparve.
<< Stregatto, aiutaci ad uscire di qui >> chiese il ragazzo. I sorrisi del Felino e del garzone si ampliavano sempre di più.
<< Sono fiero di te, Hinata. Vostro Candore >> il Gatto fece un profondo inchino guardando negli occhi lo Scacco. Il giovane non fece in tempo a proporre allo Stregatto ciò che aveva in mente per evadere dal labirinto, che scorse negli occhi del Re Bianco un velo di incontrastabile paura.
Il Fante li aveva trovati e sostava alle spalle del Felino con tremenda autorevolezza.
<< Bel lavoro, piccoletto >> ridacchiò Cane Pazzo, avvicinandosi a Shouyou con passo lento e sicuro.
<< Stai lontano da noi! >> gridò il Fante, parandosi davanti a Hinata e al Gatto con fare intimidatorio. Sebbene gli rimanessero ancora poche forze in corpo, alla vista del suo acerrimo rivale ogni spirito di rivalsa scavalcò la stanchezza.
<< Dopo tutto quello che ho passato nella mia vita, credi che questo tuo fare intimidatorio possa spaventarmi? Sei proprio stupido. >>
<< Perché l’hai portato qui? Perchè hai rapito il Re Bianco? >> domandò Hinata furioso e sfrontato. Il Fante fece una faccia sorpresa.
<< Oh, il Re non te l’ha ancora spiegato? Allora mettetevi comodi, bambini, è l’ora della favola. >>
A quelle parole, un gruppetto di carte si radunò attorno ai tre, puntando delle lance appuntite sui loro teneri colli.
<< Molto tempo fa, il Re e la Regina di Cuori ebbero un figlio che ovviamente non ero io. Il piccolo Fante morì di morte prematura quando aveva appena sette anni a causa di una tremenda polmonite e i due stolti decisero di rimpiazzarlo con me. Io sono un disegno fatto da quel bambino, dal loro figlio adorato, e sono stato dotato di un cuore e di un cervello perché potessi rimpiazzarlo. La Regina è impazzita per aver perso il suo bambino e per il fatto che io non fossi esattamente uguale a lui e ha iniziato a vendicarsi sui suoi sudditi, dimenticandosi di dare amore a me, che dovevo essere la sua unica ragione di vita! Sono stanco di essere la brutta copia, il rimpiazzo e l’alternativa, voglio che qualcuno possa sentirsi come me e soffrire come me in modo da non essere più solo. Voglio che gli scacchi, quei damerini schizzinosi che non hanno fatto altro che essere felici per l’intero corso dei loro giorni, provino un po’ di sofferenza e che siano anche loro un gioco incompleto! È per questo che dev’essere fatto scacco matto. >>
 
Lo Stregatto scomparì, lasciando il Re Bianco e Hinata sotto le grinfie del folle omicida. Prima che esse potessero conficcare le lance dentro i loro corpi, dalla tasca dei calzoni del ragazzo la boccetta di liquore iniziò a levitare nell’aria pesante, il tappo si sfilò con un rumore sordo, e il liquido si riversò sui corpi delle carte e del Fante di Cuori.
Solo in quel momento Hinata capì che cosa doveva essere fatto.

 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: non ci crederete mai, ma sono VIVA! *^* (deve rispondere alle recensioni o verrà linciata). Scusate se pubblico con così tanto ritardo, ma dopo essere stata al Lucca Comics mi ci sono voluti giorni per poter integrarmi di nuovo nella società e recuperare i normali ritmi della mia vita XD *Momento depressione post Lucca*. In particolare ho scritto questo capitolo alla velocità della luce e spero non sia un obbrobrio vivente. In ogni caso, abbiamo finalmente ritrovato il Re *urli di gioia*! Che ne pensate? Il colpevole in questione, ossia il Fante, è l’unico personaggio che ho voluto presentare esplicitamente: si tratta di Cane Pazzo, e vorrei spiegare questa mia scelta. Innanzi tutto l’ho trovato azzeccato nei panni del figlio di Oikawa e Iwaizumi perché secondo me ha un rapporto molto particolare e stretto con questi due personaggi, in particolare con Iwachan, che vedo abbastanza come una figura paterna. Entrambi lo “temono”, ma allo stesso tempo lo incoraggiano e lo spingono a dare del suo meglio; tuttavia in questo caso fa la parte del cattivo, quindi giustamente i due si comportano in modo diverso con lui. Inoltre, ho voluto mantenere quello spirito di ribellione che è proprio di Kyotani nell’anime e nel manga. Avendolo presentato come cattivo, ovviamente non significa che io lo odi, anzi. Anche perché, come avrete potuto leggere, la motivazione per ciò che ha fatto è folle ma allo stesso tempo comprensibile. Come andrà avanti la vicenda? Come si concluderà? Vi annuncio che la storia sarà di 10 capitoli, quindi il prossimo sarà il penultimo *tristezza a palate*.
Fatemi sapere che cosa ne pensate, come sempre siete tutte dei cuori bellissimi e fantastici e le vostre recensioni sono costruttive e gratificanti!
Alla prossima! <3
_Noodle
  
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