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Autore: ToscaSam    12/11/2016    1 recensioni
Queste sono le pagine scritte da Sama di Suna
nella sua ora più disperata.
Ore di una vita che pareva infinita,
oppure no?
Jashin l'ha abbandonata
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(dal testo)
"Lavorava così, il Kazekage. Si sbarazzava degli scomodi. E io decisi di diventare scomodissima.
La notte è fonda ormai. Sto finendo la candela.
La foresta di Kusa fruscia docilmente sotto le carezze del vento.
Sono stanca di pensare."
***********
"< Sama> mi disse.
< Prendi la falce e seguimi. Oggi andiamo molto più lontano>.
< Perché?> chiesi io, forse falsamente innocente.
< Perché è quello che cazzo ho deciso> Hidan è sempre stato famoso per la sua finezza d'espressione."
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Sama è stato il mio primo, primissimo original character. Volevo scrivere la sua storia, dall'inizio alla fine e mi è piaciuta l'idea di farlo attraverso pagine di una specie di diario. La storia sarà quindi apprezzabile nella sua interezza solo alla fine, grazie al puzzle completo che ne uscirà.
Genere: Guerra, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akatsuki, Hidan, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Naruto Shippuuden, Più contesti
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Foresta di Nara,
due e mezza
 
mi tornano alla mente i ricordi peggiori.
L'ora più buia, più nera della mia vita.
Quanto tempo è già passato da quella sera? Da quanto tempo sono in questa foresta?
Mi sembra di impazzire. Sono giorni o mesi? E se fossero anni?
No, no, è impossibile. Mesi. Si tratta di mesi.
Tre? Quattro?
Non lo so più.
Ma il ricordo vola, stanotte. Vola a una sera di tre o quattro mesi fa. Alla sera, quella sera. L'unica sera di cui ricorderò con certezza tutti i contorni, per sempre.
 
Quella sera ero seduta sul vecchio divano nero tutto sgangherato. Mi piaceva starmene lì accoccolata in pose non proprio da vera signorina, magari in pigiama, a ridere e scherzare con gli altri.
Quella volta però c’era più silenzio del solito, perché sul piccolo tavolino che adornava a casaccio il piccolo spazio, Deidara giocava a carte con Kisame ed entrambi avevano esplicitamente richiesto che non volasse una mosca.
Io li osservavo, a gambe incrociate, seduta appunto sul divano tutto rotto. Ero pacifica, mi sentivo contenta e non avevo preoccupazioni per la mente.
Hidan, il mio Hidan, era occupato in una missione di recupero di una forza portante con il suo compagno di squadra, quel vecchio idiota di Kakuzu
Erano dalle parti di Konoha, aveva detto Zetsu, e io non li invidiavo per niente. Odiavo quel posto. Mi ispirava una tale antipatia anche solo a pensarlo.
Appena fosse tornato, Hidan, gli avrei fatto una scenata perché sicuramente non mi aveva portato nemmeno un regalino. Lui sapeva che scherzavo, solo che mi andava di rompergli un po’ le scatole.

La mia migliore amica, nonché collega di lavoro dell’organizzazione, era presumibilmente nei bagni a farsi la doccia e più tardi ci avrebbe raggiunti.
Immaginai che una volta arrivata lei, il “non volare una mosca” sarebbe cessato volenti o nolenti, e Kisame si sarebbe infuriato scherzosamente con lei. Deidara l’avrebbe presa male sul serio, invece, e sarebbe rimasto stizzito fino al mattino dopo.
Ridacchiai fra me e me della sua faccia impermalita, poi mi alzai per andare a rovistare nella credenza: mi pareva che l’ultima volta che qualcuno aveva fatto rifornimento di cibo, avesse trovato anche dei bei succhi di frutta dall’aspetto delizioso. Inseguendo quella vaga immagine che avevo di loro in testa, mi diressi verso lo sportello che immaginavo potesse contenerli.
Prima che io potessi raggiungere la meta, la porta di ingresso si aprì. Un sorriso largo mi si dipinse in volto, immaginando che il sensei fosse già di ritorno. 
Voltai la testa a guadare e vidi invece Zetsu, sporco di pioggia e fango.
Non mi importò assolutamente nulla di lui, anzi, il mio pensiero più grande fu: “accidenti, che tempo c’è fuori?!”. Nessuno si era curato della sua entrata, nemmeno Kisame e Deidara, che continuavano a star seduti sul pavimento a giocare attorno a quel tavolino.
Se mai qualcuno mi avesse detto: “avrai un giorno, nella tua vita, in cui ogni certezza ti sembrerà vacillare, ogni sentimento ti soffocherà di dolore, ogni minima briciola del tuo corpo desidererà la morte”, io sicuramente non avrei mai inserito quella serata, che sembrava così normale, fra le giornate candidabili.
E invece fu proprio quello il giorno.
Con tre parole, lo capii:

« Sono stati sconfitti».
Silenzio.
Lo stesso silenzio che vigeva finora, ma ancora di più, di più. Più silenzio.
Vedo Deidara voltarsi, Kisame poggiare le carte sul tavolo.
« Sono morti entrambi».
Dice la voce di Zetsu.
Si apre una voragine nel pavimento e io scivolo giù, giù, giù. Tutto si fa scuro, ovattato e informe. 
Kisame inizia a fare domande di cui non capisco il significato. Urla cose a Zetsu, che rimane impassibile. Gli risponde piano, così piano che non riesco a sentirlo.
Sento il braccio di Deidara attorno alla mia vita, mi accorgo che sto cadendo perché non ho più le gambe.
“Sama, Sama” sento dire da molto lontano. 
Chi è Sama? Non me lo ricordo, eppure credo che dovrei saperlo.
Li guardo con calma tutti e tre. Non sento un rumore, solo un forte ronzio e gli orecchi che bruciano.
Deidara mi stringe al petto, Kisame urla qualcosa, poi arriva Ryoko, che mi fissa e mi prende il volto fra le mani.
Non ho un corpo, solo due occhi che guardano e non capiscono quello che vedono. Ryoko mi parla ma io non la sento. 
Percepisco spostamenti e confusione, poi una forte pressione ai polsi: Ryoko me li sta stringendo. Perché? 
Ho in mano un coltello ma l’ho impugnato dalla parte sbagliata: mi sanguina la mano. Fa male.
« Sama che vuoi fare? Fermati. Vieni a sdraiarti»
Ora la sento: è la voce di Ryoko, la mia cara Ryoko. Sento una forza, un impulso che mi dice che lei è tutto quello che mi rimane. Ho perso qualcosa di enormemente grande e Ryoko è l’unico pezzetto di quel che resta.
Le cingo debolmente il collo e Deidara mi sfila dolcemente il coltello di mano. 
Credo di aver urlato e pianto fortissimo, ma io ricordo solo silenzio. E buio.
Un insieme di voci confuse ciarlano al mio orecchio:
« Che si è fatta?»
« Ha preso un coltello, diceva di voler andare fuori ad ammazzare i responsabili»
« Si è tagliata, è confusa»
« Ma è svenuta?»
« No, ma ancora non ragiona. È fuori di sé»
« Cosa dobbiamo fare?»
« Lasciateci Ryoko con lei. Andiamo via, qui la soffochiamo e basta»
« Ma Zetsu ha detto com’è  stato possibile? Insomma … il fatto dell’immortalità»
« L’hanno fatto esplodere. Hanno sepolto quel che è rimasto»
« Chi è stato?»
« Shikamaru Nara, dicono»

Shikamaru Nara. Shikamaru Nara. Shikamaru Nara. Il suo nome impresso nella mia mente a caratteri di fuoco brucia insieme alle mie lacrime salate.
Non dimenticherò, Shikamaru Nara. 
*
Era scesa la notte e mi resi conto di essere ancora sveglia. Forse avevo dormito qualche ora, ma la differenza di stato fra il sonno e la veglia, in quel momento per me, era nulla. Sentii gli occhi gonfi e le palpebre pesanti. Avevo la gola raschiata con la palese impressione che se avessi provato a dire qualcosa non sarebbe uscito alcun suono; ero senza voce. Avevo dunque urlato senza rendermene conto.
Una lieve pressione attorno al mio corpo mi fece capire di non essere sola. Tastai per comprendere la consistenza di quella non ricordata compagnia e mi resi conto di chi fosse: Ryoko si era addormentata  abbracciata a me. Eravamo stese sul divano e lei mi cingeva con una tenerezza così grande che il mio cervello andò  ripescare una sensazione lontana mi ricordata; pensai alla mia mamma e riaffiorò con lei la sensazione di esserle stretta mentre dormivo nel letto.
Finalmente percepii i lucciconi che mi spuntarono sul ciglio degli occhi e poi la gola mi arse con insolenza. Tirai su col naso e Ryoko si mosse.
« Ehi» mi disse, assonnata. Era addormentata, ma cercava comunque di farmi star bene.
« Ciao Riucchan»
« Ti do fastidio?»
« No»
« Vuoi qualcosa?»
« No».
Io parlavo con deboli soffi, lei con dolci sbuffi. 
In un attimo fu di nuovo nel sonno.
Io adesso ero sveglia e cosciente: mi frizzava una mano, mi dolevano la gola e gli occhi. Ero presente. 
La mia testa diceva solo che non era possibile che fosse accaduto quel che avevano detto. Non era accaduto e basta.
Hidan aveva bisogno d’aiuto. Aveva bisogno di me. E non c’era tempo da perdere.
Alzai il braccio con cui Ryoko mi stringeva e al suo mugugnare interrogativo risposi con un: “vado al bagno”.
Ryoko, la mia cara Ryoko. Era buona, lei. Era la mia sorellona, la mia inseparabile e insostituibile sorellona. Faceva la cattiva e la vita l’aveva provata abbastanza da giustificala, ma nel suo profondo, alla radice, lei era buona. Ed era stata chissà quante ore a coccolarmi per farmi addormentare e a zittirmi mentre urlavo.
Lei si meritava ogni bene.
Eppure non potevo dirle che non stavo andando al bagno, ma che me ne stavo andando per sempre.
Se ci ripenso adesso, mi dispiace tantissimo che quella sia stata la mia ultima notte nell’Akatsuki, nella vera Akatsuki. Ho visto la sua disfatta dall’esterno, come una codarda. Dopo tutte le cose belle e brutte che avevamo passato insieme …
Eppure, quella fu l’ultima notte. Mi diressi in camera mia e di Ryoko, mi caricai del mio zaino, della mia falce e di una pala: avevano sotterrato il corpo esploso del mio Hidan. Chissà come stava soffrendo.
Lui stava soffrendo, perché lui era vivo. Non poteva essere morto.
Zetsu non capiva nulla, non aveva ma capito nulla! È una stupida pianta senza cervello, mi dicevo. Cosa vuoi che ne sappia di Hidan?
Accidenti a Zetsu, fu il mio ultimo pensiero, mentre varcavo la soglia solitaria, lasciando Ryoko dolcemente addormentata sul divano.
  
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