Capitolo 1) Ritorno a Diagon Alley
L’uomo si
smaterializzò con un sonoro crak
sull’androne piccolo e buio, barcollando leggermente.
‘E’ questo il posto?’ si chiese fra
sè e sè, fissando la porta in legno.
‘Credo fosse questo il posto dove
dovevi
arrivare...’ gli rispose
la voce
dentro la sua testa.
L’uomo afferrò la maniglia, ma questa non cedette.
Spinse contro il legno,
tastandolo con la mano, ma la porta non si mosse di un centimetro.
‘Ahh, dannazione, c’era una parola, ne sono
sicuro...’ si disse mentre la
bacchetta gli scivolava in mano. ‘...qualcosa con la
a...’
‘Alohomora’, suggerì
la voce quando
la punta tocco la serratura, e questa scattò con un rumore
secco.
L’uomo spinse la porta, che si aprì con un
scricchiolio sinistro, rivelando un
corridoio immerso nell’oscurità.
Avanzò lentamente, con un espressione confusa, e in un gesto
automatico alzò la
mano a tastare il muro. Trovò l’interruttore, e lo
premette.
La luce si accese illuminando un piccolo corridoio stretto, e
l’uomo quasi
trasalì davanti a quella vista.
‘Dove sono?’si chiese avanzando con passi pesanti.
‘Che posto è questo?’
Passò davanti ad una credenza, e attraverso la vetrina
scorse numerose foto di
persone che gli erano sconosciute.
‘Qua ci abitavano dei
babbani...’
rispose la voce dentro la sua testa, mentre la mano gli scivolava lungo
il
vetro.
‘E che fine hanno fatto?’
‘Non lo so...ma ora siamo
soli’.
L’uomo si addentrò nella piccola
abitazione, e scorgendo una porta
socchiusa, si avvicinò ad essa.
Entrò nella stanza, e notò che era deserta, come
il resto della casa.
Si sedette sulla sedia davanti alla scrivania, e si lasciò
andare sullo
schienale, emettendo un lungo sospiro di stanchezza.
-Chi sei?-, chiese ad alta voce, rivolgendosi a sè stesso.
‘Non lo so...non ne ho la
più pallida
idea...secondo te?’ gli rispose la voce per
l’ennesima volta.
-Non sei...reale. Non sei un fantasma, non sei un infero. Sei nella mia
testa...-, l’uomo abbassò il capo per un attimo,
come riflettendo, poi lo
risollevò di nuovo. -Tu esisti nella mia testa-.
‘Cosa ci è
successo...cosa diavolo ci è
successo? Chiese la voce, in tono esausto.
-Non...-, l’uomo cominciò a balbettare, mettendosi
le mani fra i capelli. -Non
riesco a ricorda nulla, niente!-.
Si alzò all’improvviso, come in preda ad
un’attacco di rabbia.
-Non so neppure come mi chiamo!-, esclamò alzando le mani.
‘E’ ovvio, no? La nostra
memoria è stata
modificata, danneggiata...’
-Danneggiata?!-, urlò l’uomo ad alta
voce. -Non ho più una memoria! Non ho
più un rimasuglio della mia vita, e come se fossi morto
nella mia testa!-,
gridò con quanto più fiato aveva in gola, e
scagliando per terra i libri
appoggiati alla scrivania.
‘Ci deve essere un motivo se
smaterializzandoci siamo arrivati qui. Qualcosa ci ha guidato, ci ha
guidato in
questo posto!’
Ma l’uomo non stava più ascoltando;
qualcosa per terra aveva catturato la
sua attenzione.
Si chinò a raccogliere uno dei libri che aveva fatto cadere,
un volume spesso
rilegato in una copertina ricca di strani ghirigori.
Come guidato da un qualche istinto, si sedette alla scrivania e
aprì il libro.
Una nota scritta a mano in una calligrafia frettolosa riempiva tutta la
prima
pagina.
Se stai leggendo questa pagina,
vuol dire che
qualcuno ha cancellato la mia memoria. Sono consapevole delle
informazioni che
la mia mente contiene, e sono consapevole del fatto che qualcuno un
giorno
potrebbe volerle, per questo lascio la mia eredità in questo
diario. Spero con
tutto il cuore che io sia riuscito a trovare un modo per tornare in
questo
posto, e che tu sia me.
Leggi con attenzione queste pagine, e riprenditi la tua vita, la nostra
vita.
Ti chiami Nathan Zeller, sei nato l’11 agosto 1980, a
Timworth, Cornovaglia, e
sei un mago.
L’uomo fissò
per
un’eternità quelle parole, scritte da quella
calligrafia frettolosa e
irregolare, e per minuti non riusci a pensare a niente.
Infine, girò la pagina, e cominciò a leggere.
-
Mi
era sempre piaciuto prendere il treno. Non succedeva spesso, e quasi
sempre
significava una sola cosa: Londra.
Mentre osservavo le fredde colline della Cornovaglia scorrere fuori dal
finestrino, non riuscivo a contere la mia eccitazione.
Quel giorno avevo aperto gli occhi ritrovandomi undicenne, e
soprattutto con la
consapevolezza che da lì a poche ore sarei stato nei negozi
di Diagon Alley. E
questa volta, finalmente avrei potuto comprare tutte quelle cose che
per anni
avevo desiderato.
Ero già stato a Diagon Alley in passato. E tutti gli anni
era la stessa storia,
i miei genitori dovevano trascinarmi via di peso da davanti alle
vetrine; avrei
passato anche ore a osservare gli animali esotici, a rovistare tra i
libri, o a
studiare le bacchette. Soprattutto quest'ultime avevano sempre avuto un
certo
fascino su di me. Essendo cresciuto in una famiglia di maghi, avevo
sempre invidiato
l'abilità dei miei genitori nel praticare la magia. Mi
affascinava ogni singola
cosa che implicasse l'uso di una bacchetta, dall'accendere un fuoco al
ripulire
l'orto dalle erbacce, e non vedevo l'ora di averne una tutta per me.
Mentre il treno si avvicinava alla periferia di Londra, io continuavo
ad
agitarmi sul sedile e a fare domande su Diagon Alley e Hogwarts.
Mio padre mi fulminò con lo sguardo e mi intimò
di fare silenzio: stavo
attirando l'attenzione di troppi babbani.
Mia madre, seduta accanto a lui, sbuffò per l'ennesima
volta. Odiava il fatto
di essere stata costretta a prendere il treno, a discapito della
Metropolvere,
più comoda e veloce. Ma dopo il casino scoppiato due anni
prima, quando il
baule di Tom si era perso finendo nel camino di una famiglia di Ottery
St
Catchpole, avevamo deciso che fosse meglio spostarsi in questo modo per
situazione del genere.
Tom sedeva di fianco a me, silenzioso come sempre, immerso nella
lettura di un
libro sui lupi mannari. La passione per la lettura era una delle poche
cose che
io e mio fratello avevamo in comune, per il resto non potevamo essere
più
diversi.
Già dai primi sobborghi, Londra appariva come una
città magnifica ai miei
occhi. Essendo cresciuto nel piccolo villaggio di Tinworth, nella
Cornovaglia,
la grande città esercitava sempre un certo fascino su di me.
Arrivati a King Cross, scendendo dal vagone del treno, il mio sguardo
si posò
in maniera indiretta sul muro di mattoni tra il binario 9 e 10. In
quell'afosa
mattina d'agosto, la piattaforma era deserta. Non ebbi neanche il tempo
di
guardarla per più di qualche secondo che mia madre
già mi trascinava verso
l'uscita della stazione.
Il centro di Londra appariva caotico esattamente come lo ricordavo. I
babbani
si riversavano ovunque, in un frenetico via vai tra i marciapiedi e le
scale.
Sapevo che probabilmente era pieno di maghi e di streghe fra tutte
quelle
persone, ma era impossibile riconoscerli. Persino noi ci eravamo
vestiti da
babbani quel giorno, per non attirare troppo l'attenzione sul treno.
Il Paiolo Magico svettava in tutto il suo squallore tra una libreria e
un
negozio di strani dischi neri. Come al solito, i babbani passavano
frettolosi
davanti all'edificio ignorandone l'esistenza, ma molti maghi e streghe
si
riversavano dentro, spesso seguiti dai figli.
Il locale quel giorno era più pieno che mai. Numerose
famiglie dovevano essere
venute a Diagon Alley per le spese della scuola, e il Paiolo Magico
risuonava
del vociare dei ragazzi.
Non mancai di notare il solito manipolo di stregoni incappucciati che
bisbigliavano tra di loro nell'oscurità, immersi nei loro
loschi affari.
Mio padre si avvicinò al bancone e Tom il barista,
notandolo, si lanciò in
un'animata conversazione con lui, mentre mia madre mi guidava verso il
retro
del locale.
Non vedevo l'ora di assistere allo spettacolo dell'entrata che si
allargava nel
muro di mattoni, ma quel giorno rimasi deluso: c'era un tale via vai di
maghi
che avevano semplicemente deciso di lasciare il varco aperto, e ci
toccò
infilarci nella piccola coda che si era creata a partire dal corridoio.
Per mia sfortuna, davanti a noi avevano uno stregone particolarmente
grosso,
che con il lungo mantello violaceo copriva tutta la visuale impedendomi
di
vedere.
Dopo un paio di minuti che mi erano parsi un'eternità,
finalmente superammo il
varco, e Diagon Alley si presentò in tutto il suo splendore.
La lunga strada era completamente invasa da una folla rumoreggiante,
chi
negoziava con i venditori ambulanti, chi si spostava da una vetrina
all'altra ,
chi trasportava borse e carrelli pieni di merci, chi urlava in cerca di
amici o
parenti. Ai lati si susseguivano vetrine di ogni tipo. Alcuni negozi
vendevano
abiti, altri telescopi e bizzarri strumenti d'argento che non non avevo
mai
visto prima; c'erano vetrine stipate di barili, contenenti milze di
pipistrello
e pupille di anguilla, pile traballanti di libri di incantesimi, penne
d'oca e
rotoli di pergamena, boccette di pozioni e globi lunari.
Mentre io mi guardavo intorno meravigliato, Tom era già
corso in avanti a
incontrare alcuni suoi compagni di scuola. Io ovviamente feci per
seguirlo, ma
mia madre mi prese per il colletto, dicendomi che quel giorno non mi
sarei
staccata da lei, e che anzi dovevamo sbrigarci data la
quantità di negozi da
visitare. Sbuffai indignato mentre lei mi trascinava facendosi spazio
tra la
folla, ma appena misi piede nel Ghirigoro dimenticai ogni rancore.
Avevo sempre adorato i libri. Era il metodo migliore che conoscevo per
vivere
grandi avventure senza spostarmi di un centimentro, che nella vita
monotona di
un bambino erano una vera e propria benedizione.
Mi avvicinai a una libreria, e cominciai ad esaminare i libri di storia
della
magia, quelli sull'alchimia, gli incantesimi, e infine la sezione di
narrativa.
Ero immerso nella lettura delle Fiabe di Beda il bardo, quanto sentii
qualcuno
poggiarmi una mano sulla spalla. Mi voltai, e mi ritrovai davanti John.
-Signor Zeller, i miei più sinceri auguri!-, disse lui con
il suo solito tono
sarcastico. Per scherzo, aveva preso da qualche mese l'abitudine di
chiamarmi
per cognome.
-John, anche tu qui?-, chiesi contento di vederlo.
John Lane era il mio migliore amico. Abitava a due case di distanza da
me, a
Timworth; i nostri genitori avevano frequentato Hogwarts negli stessi
anni, e
noi eravamo praticamente cresciuti insieme.
-Si, abbiamo incontrato Tom, che ci ha detto che eravate nella
libreria-,
rispose lui indicando dietro di lui, e sporgendomi vidi la signora Lane
che
discuteva animatamente con mia madre.
-Che diavolo hai fatto ai capelli?-, chiesi mentre riponevo le fiabe di
Beda
nella libreria.
-Ah, questi?-, disse indicandosi i cortissimi capelli biondi. -Mio
padre si era
rotto di vedermi con i capelli lunghi, dice che non mi si addice. Ma
presto me
li potrò far ricrescere da solo, guarda qui!-, e tutto
eccitato mi mostrò una
scatola rettangolare che non avevo notato prima.
Rimosse con incredibile delicatezza il coperchio, rivelando una
bacchetta.
-Non ci posso credere, l'hai già presa?!-, esclamai pieno di
stupore ed
invidia.
-Proprio 5 minuti fa, guardala, non è fantastica?! Acero,
Crine di Unicorno, 12
pollici, sorprendentemente rigida!-, elencò John, come se si
trattasse di una
filastrocca imparata a memoria. -Cosa curiosa, l'ho trovata subito,
è stata
letteralmente la prima bacchetta che ho provato. Olivander ha detto che
è una
cosa alquanto rara-, aggiunse con una punta di orgoglio.
-Beato te...-, sospirai io. -Non vedo l'ora di prendere anche io la
mia, ma
credo ci vorrà ancora un po'-.
-Hai aspettato 11, lunghissimi anni, qualche ora in più non
farà la differenza-,
rispose lui di nuovo sarcastico. -E a proposito, mancano poco
più di 3
settimane!-
Ovviamente erano già mesi che entrambi contavamo i giorni
che ci separavano
dall'inizio della scuola. Restammo a fantasticare su Hogwarts e ad
esaminare la
sua bacchetta, fino a che mia madre non emerse dalla coda con un'alta
pila di
libri tra le braccia.
-Ciao John-, lo salutò lei poggiando con un tonfo i volumi
su un tavolo. -Clarice
mi ha detto che hai avuto particolare fortuna con la tua bacchetta-.
-Esatto, al primo tentativo! Il signor Olivander ha detto che
è una cosa molto
rara-, ripetè lui tutto orgoglioso, mentre mia madre
infilava tutti i libri
nella minuscola pochette che portava al braccio. La borsa sembrava
inghiottirli
come se fosse una gigantesca bocca.
-Salve signora Lane-, dissi io mentre la madre di John ci raggiungeva
dal fondo
del negozio.
-Nathan caro, buon compleanno!-, disse lei tutta contenta baciandomi su
entrambe le guance. Io boffonchiai un 'grazie' arossendo, mentre John
rideva
sotto i baffi.
-Emilia, dovrei andare a Notturn Alley a far esaminare un vecchio
bracciale che
temo possa essere stato maledetto, ti dispiacerebbe prenderti cura di
John per
un po', preferirei non portarmelo dietro-, chiese rivolta a mia madre.
Tra le opposizioni di John, il quale per nulla al mondo avrebbe
rifiutato una
gita a Notturn Alley, mia madre disse che non c'era alcun problema.
Così tutti
e quattro uscimmo dal negozio, e dopo pochi metri la signora Lane ci
salutò,
svoltando in una buia stradina, molto meno affollata rispetto al resto
di
Diagon Alley.
John mi disse che erano arrivati di prima mattina con la metropolvere,
e che
aveva già comprato quasi tutto l'occorrente, quindi mi fece
da guida
mostrandomi le vetrine e i negozi più interessanti mentre ci
facevamo strada
nella folla.
Entrammo da 'Madama McClan: abiti per tutte le occasioni', e mia madre
mi
lasciò nelle mani di una strega tarchiata, sorridente e
tutta vestita di color
malva mentre lei andava a comprare gli ingredienti per le pozioni,
dicendoci di
aspettarla lì.
Madama McClan riconobbe John, che era stato lì poche ore
prima, e lui mi
presentò come il suo migliore amico. Era tipico di John fare
amicizia con
tutti, entrava subito in confidenza, e quando cominciava a parlare, non
finiva
più.
La sarta mi fece salire su uno sgabello, mi infilò una lunga
veste dalla testa
e cominciò ad appuntarmi per farla della giusta lunghezza.
Dopo neanche una decina di minuti, la mia veste per Hogwarts era
già
confezionata e imballata, quindi io e John uscimmo di nuovo in strada
con un
grosso fagotto sotto il braccio.
Dato che mia madre non era ancora tornata, ne approfittammo per fare un
giro.
John mi guidò verso il Serraglio Stregato, uno stretto e
soffocante negozio di
animali con le pareti ricoperte di gabbie piene di ogni tipo di
creatura:
enormi rospi viola, fiammagranchi, lumache velenose, gatti di ogni
colore,
corvi e ratti. In un angolo, 4 paia di occhi rosso ardente osservavano
il tutto
dall'oscurità. John voleva avicinarsi, ma la proprietaria,
una strega di mezza
età con pesanti occhiali neri, glielo sconsigliò
fortemente.
Successivamente andammo a vedere il negozio di quidditch, dove la nuova
Nimbus
2000 era esposta nella grande vetrina.
Una folla composta per lo più di giovani ragazzi si era
radunata di fronte ad
essa e discutevano animatamente, ma notai anche un'altra figura
familiare che
svettava sopra le altre.
-Guarda chi si vede-, indicai con un sorriso a John.
-Signor Zeller, temo che neanche su una nimbus 2000 riuscirebbe a
battere mio
padre-, urlò John da sopra alla folla.
Mio padre si girò di scatto, cercandoci tra la folla, e
quando finalmente ci
notò scoppio a ridere.
-Ti posso giurare che l'ultima volta mi ha fatto un incantesimo
Confundus, non
avrei mai sbagliato un tiro così semplice-, gli rispose lui.
-Mio padre dice il contrario-, ribattè John.
-Tuo padre è una persona orribile, e dopo quasi 30 anni,
credo di saperlo
meglio di te-, disse lui sorridendo.
Alan, il padre di John, era stato un grande cacciatore durante i suoi
anni a
Hogwarts. Tutti si aspettavano che continuasse la sua carriera entrando
in una
squadra professionista, invece aveva stupito tutti diventando un medico
al San
Mungo.
Lui e mio padre erano sempre stati grandi amanti del quidditch, per
quanto mio
padre non sia mai stato un astro.
-A proposito, che fine ha fatto Alan?-, chiese guardandosi intorno,
aspettandosi di vederlo comparire da un momento all'altro.
-E' rimasto in ospedale, ha un brutto caso per le mani-, gli
spiegò John.
Stavamo discutendo dell'ultima partita tenutasi tra i Cannoni di
Chudley e i
Pipistrelli di Ballycastle, quando una rondine argentata si
posò sulla spalla
di mio padre, sussurandogli qualcosa nell'orecchio. Riconobbi il
patrono di mia
madre, e infatti pochi attimi dopo mio padre fece roteare la sua
bacchetta: un
grande cinghiale d'argento eruppe dalla punta, e cominciò a
correre
attraversando la folla.
-Emilia si era preoccupata non trovandovi da Madama McClan, non vi
aveva forse
detto di aspettarla lì?-, chiese improvvisamente serio.
Io e John ci guardammo in silenzio con aria colpevole.
-Nathan, lo sai come è fatta tua madre, sai che si preoccupa
per ogni cosa-,
disse con tono di rimprovero.
-Scusa-, bisbigliammo sia io che John allo stesso tempo. Tecnicamente
nessuno
lo stava sgridando, ma il 90% delle volte che io finivo nei guai era
per colpa
sua, e lo sapeva.
Per fortuna mio padre non era mai stato troppo duro con me, e quindi
lasciò
perdere il tutto con un semplice 'stai attento a non farlo un'altra
volta'. Poi
si avviò verso la Gringott, e noi lo seguimmo .
Camminando, superammo un venditore ambulante che vendeva miniature di
draghi,
unicorni e altre creature, una strega che mostrava al pubblico l'ultimo
modello
di mantello dell'invisibilità, un gruppo di folletti che
offrivano i loro
servigi per riparare gioielli e altri gingilli, e un giovane ragazzo
che faceva
esibire il suo serpente in una serie di acrobazie e salti. Ovunque io
posassi
lo sguardo, c'era qualcosa di nuovo e incredibile da vedere.
A furia di camminare, non mi ero nemmeno accorto che eravamo arrivati
davanti
alla facciata di un negozio dall'interno molto buio, e che mio padre si
era
voltato verso di noi.
-Bene, io devo fare un salto alla Gringott a controllare un paio di
cose, tu
Nathan vai pure da Olivander, e non ti preoccupare, ti
aiuterà lui-, disse
posando 7 galeoni d'oro nella mia mano e dandomi una pacca sulla
schiena, prima
di girarsi e scomparire nella folla.
John mi guardò raggiante, e prima ancora che avessi modo
anche solo di battere
ciglio, mi stava già trascinando dentro il negozio.
L'interno era ancora più buio di quanto sembrasse da fuori.
Dietro ad un
bancone, si innalzavano numerose file di scaffali piene di piccole
scatole rettangolari.
-Ci saranno almeno un migliaio di bacchette qui-, dissi guardandomi
stupito
attorno.
-E una di quelle mille presto sarà tua-, rispose John
dandomi una pacca sulla
schiena.
Notai solo allora che il negozio era praticamente deserto. Ma John non
perse
tempo, e sporgendosi dal bancone urlò: -Signor Olivander!-
Da dietro ad uno scafalle emerse un uomo, e avvicinandosi notai che era
assai
anziano, con due grandi occhi luminosi che sembravano due fari
nell'oscurità.
-Ancora tu? Eppure ero molto sicuro che quella bacchetta fosse perfetta
per te!-,
disse Olivander vedendo John.
-Oh no, no, la mia bacchetta è a posto, è il mio
amico qui che ne avrebbe
bisogno di una-, disse John indicandomi.
Olivander sembrò notarmi solo allora. Si avvicinò
a me sporgendosi dal bancone,
guardandomi a lungo. Notai che non sbatteva mai le palpebre, sembrava
fissarti
per un'eternità con quei occhi argentati, e la cosa
cominciò a farmi sentire a
disagio.
Dopo quella che parve un'eternità, finalmente disse: -Il tuo
volto mi è familiare,
hai fratelli o sorelle?-
Io sobbalzai colto alla sprovvista, come risvengliandomi da un sogno.
-Ehm, si-,
balbettai -mio fratello, Tom Zeller, ha preso la sua bacchetta qui da
lei-.
-Ahhh, si, certamente, ebano, corda di cuore di drago, 14 pollici,
molto
flessibile, un'ottima bacchetta. Tenda il braccio della bacchetta-,
disse
avvicinandosi a me e tirando fuori dalla tasca un lungo metro a nastro.
Io tesi il mio braccio destro, e lui cominciò a misurare i
miei arti.
-E lei ha un nome, signor Zeller?-, chiese dirigendosi verso gli
scaffali,
mentre il nastro si accasciava a terra.
-Mi chiamo Nathan-, dissi io ad alta voce, quasi a dimostrare che non
avessi
paura di lui.
-Ansioso di andare a Hogwarts?-, chiese mentre rovistava tra le
numerose
scatole.
-Si, non vedo l'ora, io e John stiamo contando i giorni, ne mancano
soltanto
19!-, risposi tutto contento.
-Bene, provi questa-, disse Olivander porgendomi una lunga bacchetta.
-Noce, 15
pollici, crine di unicorno, rigida-.
Presi la bacchetta in mano, e guardai prima Olivander, poi John. Non
avevo la
più pallida idea di cosa dovessi fare.
John sembrò notarlo, perché mi urlò:
-Non startene lì impalato, agitala un po'!-
Io sobbalzai e agitai la bacchetta mentre Olivander ridacchiava, ma non
successe nulla. Con un rapido movimento, Olivander mi prese la
bacchetta di
mano, e dopo qualche decina di secondi tornò con un altra.
-Olmo, 12 pollici e mezzo, piuma di fenice, flessibile-,
elencò di nuovo.
Io presi di nuovo in mano la bacchetta, ma non feci in tempo ad alzarla
che
Olivander me l'aveva già strappata di mano ed era corso a
cercarne un'altra.
Ne provai una di cipresso, una di faggio, un'altra di olmo nero, ma
niente,
nessuna di quelle bacchette sembrava essere più di un banale
pezzo di legno
nelle mie mani.
Io stavo cominciando a preoccuparmi, ma Olivander era alquanto contento.
-Non si preoccupi signor Zeller, ho avuto clienti ben più
ostinati di lei-, mi
consolò Olivander notando la mia preoccupazione.
All'improvviso, per una ragione che credo che non sarò mai
in grado di
spiegare, gli gridai una cosa.
-Signor Olivander, ha provato a guardare nell'ultimo scaffale?-
-Nell'ultimo scaffale?-, ripetè lui sporgendo da una scala.
-No, a dire il vero
no-.
E scendendo di fretta i pioli, sparì dietro l'angolo.
Tornò indietro con una
scatola tra le mani, e un'espressione curiosa dipinta sul volto.
-Provi questa, signor Zeller. Legno di abete rosso, piuma di fenice, 13
pollici, sorprendentemente flessibile-, mi disse rimuovendo la
bacchetta dalla
sua custodia.
La impugnai saldamente, e un piacevole calore sembrò
propagarsi attraverso le
mie dita. Agitai la bacchetta, e con mio grande stupore, un getto
d'acqua
sprigionò dalla sua punta, finendo per inzuppare John.
Questi imprecò, io gli
chiesi scusa mortificato, ma Olivander scoppio a ridere pieno di
entusiasmo.
-Fantastico, davvero fantastico! Non si preoccupi signor Lane, a tutto
c'è un
rimedio-, ed estraendo la sua bacchetta, la agitò per aria,
riportando i
vestiti di John ad essere asciutti.
-Credo che questa sia un ulteriore prova del fatto che è
proprio vero che è la
bacchetta a scegliere il mago, e non il contrario. Lei ha evidentemente
sentito
la chiamata della sua bacchetta, signor Zeller!-
Sorridendo raggiante, diedi la mia bacchetta ad Olivander, che la
rimise nella
sua custodia consegnandomela.
Mentre uscivamo, confessai a John che stavo cominciando a temere che
non mi
avrebbe mai trovato una bacchetta.
-Sei stato incredibile però!-, disse lui in tutta risposta.
-La mia aveva solo
fatto delle scintille, tu hai prodotto un incantesimo!-
Era vero, non ci avevo pensato. Fuori dal negozio incontrammo la madre
di John,
e le raccontammo dell'incontro con Olivander. Poco dopo anche i miei
genitori e
Tom ci raggiunsero, e tutti insieme tornammo al Paiolo Magico.
Da li, Clarice e John tornarono a casa con la metropolvere, mentre io e
i miei
ci indirizzammo verso la stazione di King's Cross.
Sul treno di ritorno, trovammo un vagone tutto per noi, ed ebbi modo di
mostrare i miei aquisti agli altri. Raccontai a tutti di come avevo
avuto paura
che Olivander non sarebbe riuscito a trovare la mia bacchetta, e di
come avevo
sentito come per istinto dove trovarla. I miei genitori la osservarono
con
interesse, e persino Tom fece qualche commento di ammirazione.
Approfittando
della mancanza di babbani, cominciai a riempire tutti di domande su
Hogwarts,
sulle case, sulle materie, sugli insegnanti, e tutti furono molto
contenti nel
rispondermi. Credo che la mia eccitazione fosse palpabile. In fondo, da
li a
pochi giorni, sarei finalmente andato nel posto che avevo sognato per
tutta la
mia vita.
Mentre il treno strideva sulle rotaie, mi fermai per un attimo ad
osservare la
mia famiglia, e soprattutto i miei genitori. Era strano pensare che da
li a
poco me ne sarei andato di casa e sarei stato lontano da loro per mesi.
La
consapevolezza di quel pensiero mi colpì all'improvviso, e
sentii il forte
bisogno di immortalare quel momento nella mia memoria.
Ma fu questione di un attimo, perché ormai sapevo che
mancavano 19 giorni.
19 giorni, e sarei stato sull’espresso per Hogwarts, diretto
alla scuola di
magia e stregoneria.
-
Il primo capitolo del diario si concludeva così, e io alzai
lo sguardo, come
ritornando alla realtà.
-Tutta una vita...-, dissi a bassa voce. -...tutta una vita de
recuperare-.
‘E adesso?’ chiese
la voce nella mia
testa.’Cosa si fa?’.
-Adesso?-, ripetei io, con un sorriso. -Adesso si va ad
Hogwarts!-