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Autore: Cathy Earnshaw    02/12/2016    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 14
Il segreto di Ailyn
 
 
Frunn gridò, ma il suo orrore non rallentò la caduta dell’elfa, né ammortizzò l’impatto con il suolo. Come in un incubo, Frunn cominciò a correre, il pensiero proiettato a coprire la distanza che lo separava da lei. Lady Ailyn giaceva immobile e non c’era nulla che l’elfo non avrebbe dato in cambio di un qualunque segno di vita. Nella battaglia che gli infuriava attorno, il suo sguardo venne calamitato dalla figura del Re, che aveva gli occhi sgranati e correva nella direzione di sua cognata. Doveva anticiparlo. Doveva verificare le condizioni di Lady Ailyn prima che potesse farlo lui. Frunn lasciò cadere la spada e corse più veloce possibile, schivando frecce, incantesimi e sembianti. Nonostante non osasse distogliere lo sguardo dall’elfa, aveva la chiara percezione di dove si trovasse Horlon: troppo vicino, e correva molto più veloce di lui. Quando finalmente la raggiunse si sentì gelare il sangue nelle vene. Era troppo pallida. Le toccò il collo alla ricerca del battito cardiaco, invano.
«Lyn!» gridò Horlon lasciandosi cadere accanto a loro.
Frunn tentò di allontanarlo, senza successo. Il Re la prese per le spalle e la scosse, ma tutto ciò che ottenne fu uno scricchiolio sinistro.
«No…» mormorò.
«Sire» disse Frunn.
Lo smarrimento sul volto del Re lo spinse a tentare di allontanarlo, almeno un pochino.
«Sire, è stata una brutta caduta» disse.
«Lasciami, devo aiutarla!»
Frunn strinse più forte mentre il Re si divincolava.
«Avete fatto tutto ciò che era in vostro potere per aiutarla…»
«Lasciami!»
Horlon gli assestò una gomitata nello stomaco e l’elfo si accasciò, gemendo. Con la vista appannata, Frunn lo sentì precipitarsi su Ailyn.
«Horlon…» mormorò Frunn.
Il Re si volse sentendosi chiamare per nome. Frunn lo faceva raramente, prendersi una simile confidenza, ma di solito funzionava a riportarlo con i piedi per terra. Infatti, sembrò metterlo a fuoco per la prima volta e sgranò gli occhi.
«Accidenti… Frunn, perdonami!» farfugliò. «Stai bene?»
Frunn ricacciò indietro le lacrime e la nausea e si avvicinò.
«Mi occupo io di lei» disse respirando a fatica. «Voi continuate a combattere, e a lei penserò io. Me lo permettete?»
Horlon annuì e Frunn si trasse faticosamente in piedi, rifiutando l’aiuto che il Re gli offriva. Sollevò Ailyn tra le braccia e si diresse verso l’ospedale.
 
Nastomer non capì subito che cosa stava accadendo. Quando riprese conoscenza, la puzza di bruciato gli graffiò la gola. Dove si trovava? Perché c’era del fumo? Di colpo, la consapevolezza tornò: Spleen, Bearkin, la sua ferita e il drago che l’aveva colpito. Spalancò gli occhi e si trasse a sedere. Intorno a lui era tutto un casino, le persone gridavano e quelle assurde creature fatte di fuoco combattevano con chi capitava. Si alzò in piedi e gemette. Gli faceva male dappertutto, ed era una sensazione che non provava da un po’, ormai. Un lampo di luce attirò la sua attenzione. I maghi stavano ancora combattendo, gli incantesimi volavano in ogni direzione. Cercò Bearkin ma non riuscì ad individuarlo.
«Tom!»
Nastomer si guardò attorno senza capire da dove provenisse la voce che lo chiamava.
«Tom, sono qui!»
Un uomo di fuoco esplose in mille scintille, rivelando Richard con la spada sguainata.
«Stai bene? Ti ho perso di vista!»
«Credo di essere svenuto. Mi sono svegliato poco fa, e non ho idea di come io faccia ad essere ancora vivo…»
«Sei in grado di combattere?»
«Ci provo!» alzò gli occhi. «Hai idea di dove sia finito Bearkin?»
«Ha appena schivato una pioggia di incantesimi, frecce, e altre cose volanti che non ho identificato.»
«Incantesimi? E l’ostaggio?»
Richard si rabbuiò e Nastomer si sentì mancare.
«Le ha fatto del male?» farfugliò.
«L’ha lasciata cadere. Non so se sia viva o meno, ma qui bisogna fare qualcosa!»
Nastomer annuì.
Videro un drago precipitare poco distante, e al tonfo seguì un lungo ruggito.
Il ragazzo comprese istintivamente che stavano battendo in ritirata.
«Se ne vanno!»
«Come lo sai?» domandò il mago.
«Guarda! Si stanno mettendo in formazione!»
I draghi si riunirono sul centro della città e sputando le ultime vampe di fuoco virarono verso sud. Gli uomini di fiamme persero immediatamente vigore e forma, e tornarono a comportarsi come normale fuoco.
«Ho la sensazione che abbiano vinto loro…» mormorò, e Richard annuì gravemente.
 
Mark esitò. Entrare in quella specie di tempio gli sembrava una profanazione troppo grande.
«Che cosa pensi che ci sia qui?»
Impialla si volse e gli fece un cenno spazientito.
«Ti ho detto di muoverti! Se ci trovano qui abbiamo pochi secondi prima di cominciare a fumare!»
«Se ci trovano in piazza, invece, ci invitano a bere un caffè!»
«Qui è custodito l’Oracolo.»
«Che cosa sarebbe?»
«Una pietra antichissima, plasmata dal fuoco. Ogni nuovo Re vi lascia l’impronta delle proprie fiamme, modificandola.»
«E tu vorresti portartela via?»
«Ma sei matto?!»
«Perché? Sarà preziosa!»
Impialla alzò gli occhi e Mark lo imitò. Un grosso obelisco frastagliato si ergeva al centro dell’unico edificio della città.
«Ah.»
«Esatto. Vi è incisa più o meno tutta la storia del Regno dei Draghi, e io ho intenzione di capire che cosa sta succedendo.»
Mark osservò meglio l’obelisco.
«Ma in che lingua è scritto?»
«Nella loro. E a quanto mi risulta è la lingua più antica che si conosca.»
«Ah, qualcuno la conosce?»
«Fai meno lo spiritoso, non avremo mai un’altra occasione come questa!»
«Se lì c’è tutta la storia del mondo, come pensi di trovare quello che ti interessa?»
Impialla ammiccò.
«Sono un nano, ragazzino, la pietra mi parla» posò le mani sul monolite. «Allora… da dove cominciamo?»
 
Il tempo passava e Impialla si limitava a spostare i palmi a destra e a sinistra sulla pietra.
«Pimpi, credo che non abbiamo tutto il tempo del mondo» disse il mago.
«Shhh.»
Mark sbuffò.
«Mi auguro davvero che serva a qualcosa…»
«Qui!» disse il nano bloccandosi. «Ma più in alto. Riesci a sollevarmi?»
Sgranò gli occhi.
«Scusa?!»
«Mi dovresti sollevare un po’, fino a circa un terzo dell’obelisco.»
Il mago alzò gli occhi, sconsolato.
«Al di là del fatto che non sei una piuma, non avevamo detto che non avremmo usato la magia?»
«Dovremo fare in fretta.»
«Ci scopriranno!»
«Certo che ci scopriranno, ma noi saremo molto veloci a fuggire!»
Mark sospirò. Decisamente non era stata una buona idea quella di seguirlo.
«Mi sali sulle spalle?»
Con qualche difficoltà, riuscì a issarsi il nano sulle spalle. Prese un breve respiro e liberò l’energia che tratteneva ormai da troppo tempo. Un ruggito risuonò in lontananza.
 
Nastomer ascoltava in silenzio il delirio nervoso di Storr. Ancora una volta si erano fatti ingannare: mentre loro erano impegnati a Spleen con Bearkin e il grosso dei suoi draghi, un contingente più piccolo aveva attaccato l’esercito che Kirik aveva convocato a Cyanor, intercettandoli sulla piana antistante la città di Torat. I superstiti erano pochi, a quel che si diceva, e Kirik era furioso.
«Ora basta» berciava Storr. «Non mi importa ciò che pensano gli elfi, dobbiamo marciare sul Monte Alba. Questa cosa deve finire!»
«E con quale esercito marceresti?» domandò Richard. «I nani, il loro, non ce l’hanno più, e il nostro non basterà di certo se Horlon dovesse negarti i suoi elfi.»
«L’Esercito Eterno è a tua disposizione.»
Tom si volse. Horlon stava in piedi in mezzo alla porta con lo sguardo di uno appena tornato dal regno dei morti. Il Re dei maghi aprì la bocca ma non emise suono.
«Appoggi un attacco diretto?» domandò Richard, incredulo.
Horlon annuì.
«Non fraintendetemi, non ho cambiato idea né posizione, ma vedo che la situazione non è più gestibile altrimenti» guardò Nastomer. «La tua ferita come sta?»
«Si sta sistemando in fretta» rispose il ragazzo.
«Bene. Storr, mi prendo il tempo di raccogliere le truppe sparse per la Terra dei Tuoni.»
 
«Abbiamo poco tempo!» gridò Mark sentendo montare il panico.
«È incredibile» mormorava il nano sulle sue spalle.
Tre draghi fecero irruzione nel tempio sputando fuoco.
«Pimpi!»
«Sì, ho capito, andiamo!» disse staccandosi dalla pietra.
Mark non se lo fece ripetere due volte. Avocò tutto il suo potere e si concentrò su Cyanor. Sentì il calore del fuoco passargli accanto mentre la magia lo trasportava lontano.
 
Frunn non aveva mai desiderato tanto fuggire a gambe levate come in quel momento. I due fratelli erano lì, in silenzio, l’uno accanto all’altro, a contemplare lo splendore immoto di Lady Ailyn. Dopo averla trasportata all’ospedale, con l’aiuto di una stoica Rowena, Frunn le aveva rassettato le vesti, pettinato i capelli, pulito la pelle dallo sporco, dalla polvere e dal sangue. Rowena aveva pianto in silenzio, senza tradire il contegno che il suo lignaggio le imponeva, e altrettanto stava facendo ora Glenndois. Il Re invece no. Horlon non piangeva. Si limitava a fissare colei che aveva sempre considerato la sua Regina. Non che ci fosse bisogno di conferme, ma la conversazione che solo pochi giorni prima Frunn aveva avuto con lei aveva rafforzato la convinzione che il Re non avrebbe mai diviso l’onere del Trono con una dama diversa. Ora, la luce che brillava negli occhi di Horlon era qualcosa che Frunn non aveva mai visto e che gli metteva i brividi.
«Frunn.»
 Quella voce fredda e distaccata lo raggelò.
«Sì, Sire?»
«Ti prego di perdonarmi per averti colpito.»
Frunn esitò, domandandosi che cosa dovesse rispondergli. Stranamente non riusciva a decifrare i pensieri del suo Re, e la cosa lo metteva a disagio.
«Ho un nuovo ordine» continuò. «Torna a Lumia e porta mia nipote con te.»
Frunn rimase paralizzato.
«Andarcene?» balbettò.
«Al più presto possibile.»
Prese un respiro profondo. Aveva piena consapevolezza del rischio che stava per correre, ma non poteva fare diversamente.
«No» rispose, secco.
Horlon strinse lo sguardo su di lui.
«No?» ripeté incredulo.
«No. Non ho nessuna intenzione di fare violenza a Rowena e a me stesso. Noi da qui non ci muoveremo.»
Horlon perse la sua compostezza e latrò:
«Siamo in guerra, ragazzo, e io sono il tuo Re, il tuo Comandante e il tuo capo, e questo è un ordine!»
Con il cuore che martellava nel petto, Frunn si impose di non retrocedere.
«Un ordine che io non ho intenzione di eseguire. Ora più che mai avete bisogno di me e di lei, e non mi perdonerei mai per essere scappato in un momento simile. Intendete punirmi per la mia insubordinazione? Volete licenziarmi, o arrestarmi? Tanto meglio! Nel primo caso sarò libero di fare quello che mi pare, nel secondo non avrò rimorsi di coscienza!»
Per un momento pensò che Horlon l’avrebbe incenerito con lo sguardo, poi, inaspettatamente, capitolò.
«Sei talmente stupido che ti picchierei di nuovo! Non capisci che voglio mettervi in salvo?!»
«Siete voi lo stupido se credete che non vi porteremmo rancore in eterno.»
Horlon lo fissò per un lungo momento, infine abbassò lo sguardo.
«Sparisci dalla mia vista prima che ci ripensi. Se le succederà qualcosa ti ucciderò con le mie mani!»
Frunn non se lo fece ripetere due volte e scappò a gambe levate.
 
Si richiuse la porta alle spalle e rimase immobile. Non osava nemmeno sospirare. Era sopravvissuto. Sopravvissuto all’ira del Re, alla sua devastazione interiore.
«Come stanno?»
Frunn sobbalzò, ma si rilassò quando scoprì che si trattava di Rowena. Aveva gli occhi gonfi.
«Il Re mi ha ordinato di portarti a Lumia e di restarci» sussurrò.
L’elfa aprì la bocca, poi la richiuse.
«…gli ho detto di no.»
«Gli… hai detto di no?!» balbettò.
Frunn annuì.
Rowena gli fece cenno di seguirla e lui ubbidì. Si trovarono compressi in un sottoscala, in uno spazio tanto stretto da far dubitare persino che ci fosse aria sufficiente ad entrambi.
«Grazie» disse.
«Non l’ho fatto per te. Non solo, insomma.»
«Lo so.»
«Tu come stai?»
Esitò.
«Me la cavo. Ho appena ricevuto una lettera di Dodo. Acconsente a malincuore a restare a Lumia. Lo capisco, fa bene… che cosa potrebbe fare qui, dopotutto?» singhiozzò.
«Nana…» balbettò Frunn quando l’elfa gli si gettò tra le braccia.
«Abbracciami, Frunn. Fai finta di essere mio fratello.»
«Ma io non sono tuo fratello» disse, accontentandola comunque.
«Va bene lo stesso… Si sentirà così solo…»
Frunn sentì lo stomaco fare una capriola. Era vero, Dodo era da solo a Lumia a piangere la morte di sua madre, e loro non potevano fare nulla per lui.
«Mi dispiace» mormorò, soffocato dall’inadeguatezza e dai sensi di colpa.
 
«Ma dove sono tutti?» mormorò Mark guardandosi intorno.
La piazza del mercato di Cyanor era semidistrutta, sulla città aleggiava un silenzio surreale.
«Che cosa è successo qui?» domandò Impialla.
Un bambino fece capolino da un vicolo e si avvicinò cautamente.
«Tu sei Mark, vero? L’amico del Re.»
Il mago lo guardò, sforzandosi di mantenere la calma.
«Mi conosci?»
«Ti ho incontrato all’Accademia di magia.»
«Ah, sei un mago!» disse provando un irrazionale sollievo. «Senti, sono stato via qualche giorno… che cosa è successo?»
«Non lo sai? Sono stati i draghi. Il papà dice che erano cinque, e che erano enormi, ma io non li ho visti perché la mamma mi ha fatto andare in cantina.»
«Ha fatto bene» disse il nano.
«Quando è successo?» domandò ancora Mark.
«Due giorni fa.»
Mark e Impialla si scambiarono un’occhiata carica di ansia.
«Mark…» mormorò il nano.
«Sì, andiamo a Palazzo» tagliò corto.
 
Quell’immenso vuoto bruciava. Avrebbe bruciato così per sempre? Doveva pur esserci qualcosa capace di attenuarlo. “La vendetta” mormorava la voce di Lantor nella sua testa.
«E diventare come te? No, grazie.»
Di una cosa era certo, Frunn avrebbe potuto aiutarlo a riordinare le idee, ma non osava cercarlo. L’aveva colpito e aggredito verbalmente, nonostante tutto quello che aveva fatto per lui.
Lantor era morto portandosi con sé i suoi segreti e le sue macchinazioni. Era saltato sulla carovana dei draghi per sfogare la rabbia accumulata in quegli anni, e ne era stato sbalzato fuori quando non c’era più stato bisogno di lui. Si era servito di Bearkin per colpire Horlon, e Bearkin si era servito di Lantor per confondere le acque a Cyanor. Uccidere Ailyn non era affatto necessario, era stata pura crudeltà. E mentre loro se ne stavano lì a piangere, l’armata di Kirik era stata quasi interamente distrutta. Tom si era ripreso velocemente dalle ferite, ma si era dimostrato tragicamente che uno stregone non era sufficiente. Si rigirò la corona tra le mani. Chissà perché l’aveva portata con sé a Spleen… A quel punto dei fatti, un attacco frontale non si poteva più rimandare. Era per questo motivo che aveva appoggiato Storr nella sua decisione di attaccare. Solo per questo, non perché volesse vendetta. Continuava a ripeterselo. La morte di Ailyn non doveva incidere sulle decisioni che avrebbe preso da quel momento in poi. Non doveva, e lui non si sarebbe lasciato devastare dal dolore per ciò che aveva perso. In realtà, non aveva alcun diritto di piangerla. Lui era quello che aveva scelto il Trono. La sua priorità, ora, doveva essere capire come fare ad attaccare Bearkin senza suicidarsi. La Terra dei Draghi era il suo territorio, combatterlo là sarebbe andato a suo vantaggio. Sfiorò il profilo del diadema, godendo del tocco freddo del metallo. Poteva davvero sopravvivere in un mondo privo di Ailyn?
 
Frunn non riusciva a trovare il coraggio di affrontare il Re, ma sapeva di doverlo fare. Dopo avergli dato dello stupido non l’aveva più visto, ma aveva tenuto sotto controllo i suoi movimenti. Era certo che non fosse il tipo da farsi del male, ma la prudenza non era mai troppa. Forse avrebbe dovuto rimandare? No, doveva farlo subito. Ailyn gli aveva affidato un compito troppo al di sopra delle sue capacità quando aveva scelto lui per condividere i suoi segreti. Come se non avesse avuto già il suo bel daffare a gestire i propri, di problemi! L’elfa aveva scelto la via più semplice, quella della fuga. Anche ora aveva lasciato lui a rimediare alla sua codardia. Se avesse saputo, la sera della festa di Erina, che la convocazione da parte della dama avrebbe comportato una simile responsabilità, non l’avrebbe assecondata. E in effetti, l’istinto gliel’aveva detto di darle buca, ma gli era sembrato poco educato.
Si erano incontrati sulla terrazza panoramica della torre sud. Frunn era già di cattivo umore per quella storia della festa… non ci sarebbe andato, come sempre, troppa gente a malignare sulla sua goffaggine irrimediabile, a fare inopportuni paragoni tra lui e il precedente segretario, troppe conversazioni da dover sostenere con persone che non valevano un secondo del suo tempo, e poi sua sorella. Avrebbe tanto voluto vederla, ma non si fidava abbastanza del proprio autocontrollo. Meowin era costantemente in incognito, e lui non voleva rischiare di attirare le attenzioni sbagliate su di lei. E poi, quando c’era di mezzo Ailyn, cercava sempre di girare alla larga. Vederla accanto al Re e vedere come finiva sempre per ferirlo lo mandava fuori di testa. Sentiva ancora la voce dell’elfa nelle orecchie, il ricordo di quell’incontro dolorosamente vivido.
 
«Non mi guardi, Frunn? È perché sai che sto per chiederti di mentire al tuo Re, oppure è la mia persona che non vuoi affrontare?»
Frunn alzò faticosamente lo sguardo, ferito nell’orgoglio.
«Perché sono qui?» domandò. «Perché siete qui?»
Ailyn sorrise, ma nonostante le sue labbra si fossero piegate, gli occhi rimasero impassibili.
«Avrei voluto vedere Horlon, ma all’ultimo momento me ne è mancato il coraggio. Ho un brutto presentimento su questa guerra» sospirò. «C’è una cosa che dovrei dirgli, credo la debba sapere…»
«Ma?»
«Temo che il suo assurdo senso del dovere finirebbe per rovinare tutto.»
Frunn si morse un labbro, sperando che l’elfa proseguisse, ma quella taceva, così disse:
«Il suo senso del dovere è tutt’altro che assurdo, e non dovreste parlare così del vostro Re.»
Ailyn sbatté le palpebre, con un’espressione stupita sul viso.
«Diventi piuttosto risoluto quando si tratta di difenderlo.»
Frunn arrossì.
«Che cosa volete da me, Lady Ailyn?»
L’elfa gli si avvicinò. Frunn avrebbe voluto indietreggiare, ma le gambe gli tremavano troppo. Era imbarazzante il modo in cui il suo istinto stava reagendo di fronte a lei. Che fosse per via del suo rapporto con Horlon? Essere il segretario personale del Re l’aveva portato a conoscenza di cose che avrebbe preferito lungamente continuare ad ignorare.
«Tu sei la persona giusta» mormorò.
«Giusta per cosa?!»
«Per custodire gelosamente un segreto. Promettimi che gli dirai tutto se mi dovesse accadere qualcosa.»
Frunn si domandò perché tanta segretezza, e perché mai avrebbe dovuto accaderle qualcosa. Ma c’era una tale preoccupazione negli occhi di Lady Ailyn che non osò contraddirla.
«Tu faresti qualunque cosa per lui, no? Anche tu lo ami, perciò sento di potermi affidare a te.»
Frunn sgranò gli occhi. Amarlo? Amare il Re? Che idea assurda… o forse no? Che cosa significava amare?
Ailyn gli prese il viso tra le mani gelate.
«Ascoltami bene, ragazzino, perché ciò che sto per dirti nessuno lo sa…»
 
Inutile dire che quell’incontro aveva cambiato completamente la prospettiva delle cose. Ora era lì, fermo dietro ad una porta chiusa, intenzionato a mantenere una promessa che gli era stata praticamente estorta. Prese un respiro profondo, bussò ed entrò nonostante nessuno l’avesse autorizzato a farlo.
Nella penombra, il Re sedeva su una poltrona, con il diadema tra le mani. Lo guardava senza vederlo davvero, lo sguardo perso in un passato ancora così vivido eppure inafferrabile.
«Horlon» mormorò.
L’elfo si riscosse e si volse, mettendolo faticosamente a fuoco.
«Frunn! Che cosa ci fai qui?»
Frunn si avvicinò lentamente. Aveva riflettuto a lungo su cosa dire, e alla fine aveva deciso che la cosa migliore fosse essere diretto. Horlon non obiettò quando il suo segretario gli tolse la corona dalle mani, la ripose nello scrigno e si accomodò nella poltrona di fronte alla sua.
«So che non è un buon momento, e so anche che siete arrabbiato con me per aver disatteso i vostri ordini, ma ho una promessa da mantenere» cominciò.
Horlon lo guardò intensamente, gli occhi blu arrossati e il labbro inferiore gonfio – chissà quanto doveva esserselo morso per ridurlo in quelle condizioni! – ma non obiettò. Frunn deglutì. Stava di nuovo trovando difficile restare concentrato.
«Mi fece promettere che vi avrei detto la verità se le fosse successo qualcosa, perché lei non ne aveva avuto il coraggio. Sire, Rowena è vostra figlia» disse tutto d’un fiato.
Horlon sbiancò, immobile come una statua.
Frunn attese in silenzio che il suo Re metabolizzasse la cosa. Sapeva per esperienza che le prese di consapevolezza richiedevano il giusto tempo. Infine, Horlon chinò il capo.
«Perché non me l’ha detto?» mormorò con la voce rotta.
«Disse che il vostro senso del dovere avrebbe complicato tutto. Il fatto è che… Nana non lo sa, e non so se in questo momento le gioverebbe saperlo.»
Il Re annuì.
«Certamente no.»
Frunn sospirò. Il dolore di Horlon lo schiacciava, gli stringeva il petto. Avrebbe dato qualunque cosa per essergli d’aiuto. Sentì le lacrime rigargli le guancie, specchio di quelle del Re. Incapace di sopportarne la vista, si alzò e gli si inginocchiò innanzi. Con un pollice, con tutta la delicatezza di cui era capace, gli cancellò quelle lacrime che non riusciva a guardare, e per qualche ragione la cosa non gli sembrò completamente fuori luogo. Forse perché nemmeno Horlon ne sembrava stupito. Solo con un immenso sforzo di volontà si impedì di andare oltre.
«Perché stai piangendo, Frunn?» domandò Horlon con un filo di voce.
«Perché voi piangete» rispose.
Horlon gli prese il viso tra le mani e posò la fronte contro la sua.
«Dovresti smetterla di perdere il tuo tempo preoccupandoti per un vecchio depresso come me, ragazzo.»
Frunn sorrise. Chissà se quel suo continuo marcare le distanze era inconscio oppure no…
«Il mio tempo vi appartiene, e non c’è altro modo in cui desideri investirlo.»
Di nuovo si sorprese di non sentirti un perfetto idiota. Suonava tremendamente sdolcinato, ai limiti della dichiarazione d’amore, ma in qual momento non aveva alcuna importanza. L’unica cosa importante era che smettesse di piangere.
Horlon sorrise.
«Sei uno sciocco.»
«Sire…?» farfugliò.
«Senza di te, la mia vita sarebbe infinitamente più triste, Frunn.»
Frunn arrossì. L’ingenuità di alcune sue affermazioni, a volte, era disarmante. Possibile che davvero non si rendesse conto? Era colpa di Ailyn, lei l’aveva messo in quella situazione assurda!
 
Quando la porta si aprì di colpo, Frunn sobbalzò e si ritrasse bruscamente, e Horlon se ne sentì irrazionalmente infastidito. Guardò Storr, in piedi in mezzo all’ingresso, e questi lo ricambiò con aria interrogativa.
«Non va più di moda bussare?»
«Ho… interrotto qualcosa?» balbettò.
Confuso dalla sua confusione, l’elfo scosse il capo.
«Cosa è successo ancora?» domandò stancamente.
Il lampo di luce che per un attimo aveva illuminato la sua giornata si era spento davanti all’espressione del mago.
«Come fai a sapere…?»
«So riconoscere una faccia da brutta notizia quando ne vedo una.»
Storr lanciò un’occhiata a Frunn, che teneva lo sguardo basso.
«Mark e Impialla sono tornati a Cyanor. Sembra abbiano scoperto qualcosa che…» esitò.
«Che?» incalzò Horlon, spazientito.
«Impialla e Kirik hanno avuto un’accesa discussione. È stato necessario dividerli. Ora il primo è detenuto nelle proprie stanze, su gentile richiesta del secondo.»
L’elfo si passò le mani sul viso. C’era nient’altro che potesse andare storto?
   
 
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