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Autore: HeyAM    04/12/2016    2 recensioni
Quando lo vide la prima volta, nella sua uniforme, il sangue le si gelò nelle vene. Non era il primo tedesco che vedeva, ma lui era tutta un'altra cosa, quel teschio sul copricapo urlava morte.
Ha dato lui l'ordine lui di uccidere la moglie, vive per l'ideologia di Adolf Hitler, l'uniforme lo ha divorato.
Per lei il rosso è il colore dell'amore, per lui quello del sangue, ma cosa succede se si incontrano?
Dal prologo:
E lui era lì, guardava con sguardo freddo ciò che accadeva attorno a lui, dava l'impressione di essere alto anche se era seduto, le mani erano coperte dai guanti di pelle nera. Gli occhi azzurri dell'uomo la congelarono, sentì una strana sensazione dentro di sé, le cose sarebbero cambiate.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
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Perché lo aveva fatto? Questa era la domanda che più o meno sia Elisabetta che Schwartz si facevano all'interno delle rispettive stanze quella sera.

Elisabetta si era rintanata nella sua camera senza dire nulla a nessuno, i suoi genitori avevano ipotizzato che non stesse bene e questo le aveva permesso di trovare un po' di pace.  
Non aveva mai baciato nessuno, la cosa più simile ad un bacio era stato quel goffo tentativo di Mario tre anni prima un pomeriggio nei campi ma aveva fatto in tempo a scappare prima che le sue labbra toccassero le sue.
Lo aveva fatto per provocarla, ne era sicura e lo odiava per ciò. In realtà lo odiava per altri mille e forse più motivi, ma soprattutto odiava il ricordo dei suoi occhi azzurri così vicini ai suoi, il sapore di dopobarba che aveva sentito sulla sua pelle e la sensazione della sua lingua che cercava di farle dischiudere le labbra e lei ferma immobile incapace di intendere e volere, presa completamente alla sprovvista da quel gesto improvviso dell'ufficiale.

Franz Schwartz si era a sua volta chiuso in camera e si era fatto portare la cena lì, ma d'altronde non era una novità per la famiglia che lo ospitava, la differenza è che era ancora a metà cena e la quantità di cognac nel suo sangue era già nettamente superiore a quella che si concedeva normalmente. 
Come era potuto essere così stupido? 
All'inizio sentendo le parole della ragazza avrebbe voluto schiaffeggiarla, poi però l'aveva vista lì davanti a lui, con quel volto ancora da bambina, stavolta non era stata così remissiva come la volta precedente, anzi, gli aveva risposto a tono come piena di una nuova energia.
E davanti a quelle accuse gli era semplicemente venuto l'impulso di baciarla, non sa bene spiegarsi il motivo, sa solo che si era trovato piegato sulla giovane italiana a cercare di farsi spazio tra le sue labbra. 

 

Il giorno dopo si era svegliato con un forte mal di testa e quando aveva visto la bottiglia di cognac vuoto aveva compreso anche la causa. 
Era da molto che non beveva più di quelle due dita che solitamente si versava dopo cena o più di quel bicchiere e ora ne pagava le conseguenze.
Tutta colpa di quella ragazzina, arrivare ad avere i postumi solo per una italiana appena diciottenne.
Non si ricordava di essere mai stato più in basso di quanto lo era stato la sera prima.

Sceso in cucina si era trovato Marianna davanti, la donna che solitamente si occupava di preparargli i pasti. 
"Signor Schwartz" storpiando ogni volta in maniera impressionante il suo nome. "Come sta?" Avrà avuto circa sessant'anni, i capelli ancora neri anche se qualche ciocca cominciava ad essere grigia. 
Era l'unica che sembrava non essere realmente spaventata da lui, probabilmente perché non aveva più nulla da perdere.
In risposta l'ufficiale bofonchiò qualcosa, si sedette e osservò il suo caffè portandosi le mani alla fronte.
"Mal di testa?" Odiava il modo in cui l'anziana donna si immischiava nella sua vita, soprattutto quando voleva solamente essere lasciato in pace. 
Lui bofonchiò qualcosa guardando la donna che prese un uovo e glielo spaccò dentro il caffè lasciandolo allibito.
"Che diamine fa?" Domandò scontroso. La cameriera scosse le spalle, incurante come sempre.
"Per il mal di testa. Lo beva." L'ufficiale alternava lo sguardo scettico tra la bevanda e la vecchia.
"Se mi fa star male la faccio arrestare." Disse prendendo la tazza e buttando giù tutto d'un sorso, facendo lo sforzo di deglutire il tutto.
Chiuse gli occhi, il sapore orribile dell'intruglio ancora nella bocca, dovette mandar giù del pane per toglierselo.
Dopotutto però non avrebbe arrestato la domestica, visto che in quindici minuti il mal di testa aveva cominciato ad affievolirsi.
 

Elisabetta odiava quell'uomo, aveva capito che quell'astio e quel disgusto che provava quando lo aveva di fronte a sé, o anche solo ci pensava, non era altro che odio. 
Odiava il suo sorrisetto, odiava quel suo sentirsi superiore e odiava immensamente il modo in cui si era impossessato, seppur per pochissimo tempo, delle sue labbra. 
Ripensava a questo mentre, stesa nel letto, cercava inutilmente di dormire.
Era rimasta da sola a casa, i genitori si erano recati dalla nonna materna che abitava nella prima città grande vicina a Rubiano, la nonna di Elisabetta si era ammalata e non aveva nessuno che poteva provvedere a lei, ma qualcuno doveva pur rimanere a badare alle bestie e, nonostante le proteste del padre, alla fine questo compito era spettato a lei.

Fu proprio in quel momento che da dietro le tende che coprivano la finestra cominciò a intravedere dei bagliori luminosi e dei boati a seguire. 
Pensò a un temporale, ma la cosa era improbabile vista l'estate, e poi all'improvviso un altro suono che mai prima di quel momento aveva dentro: la sirena della contraerea.

Gli alleati bombardavano la linea ferroviaria non lontanissima dalla loro casa, non era mai successo prima di allora ma i soldati tedeschi che avevano preceduto le SS lì a Rubiano li avevano avvertiti di quella possibilità.
A Elisabetta prese il panico, la loro casa non era dotata di un rifugio, doveva per forza uscire e recarsi a quello più vicino, a circa 500 metri da dove si trovava. Si alzò dal letto, indosso solamente la camicia da notte, ma quello era l'ultimo dei suoi problemi.

Scese di corsa giù per le scale e spalancò la porta dell'ingresso non curandosi di chiuderla e cominciò a correre sul bordo della strada, i piedi scalzi, quando all'improvviso il boato fu troppo forte, lo spostamento d'aria la fece finire con il voto a terra. All'improvviso la schiena le iniziò come ad ardere, le sembrava di avere mille aghi nella pelle.

I secondi che seguirono sembrarono durare ore, le faceva male tutto il corpo ma la cosa peggiore erano le orecchie, che fischiavano incessantemente e il mal di testa che non le permetteva di avere controllo sul suo stesso corpo e sul suo volto, ancora a contatto con la ghiaia della strada, scesero alcune lacrime silenziose.

Non sapeva ben definite da quanto tempo era in quella condizione, ancora incapace di fare qualsiasi cosa, scioccata da quanto accaduto, che sentì delle voci, anche se le era impossibile distinguere una singola parola.

"Herr Kommandant, kommen Sie hier, venga qui." Parlavano tedesco, questo lo aveva capito, ma nulla più. Non tentò neanche di alzare il volto finché non sentì dei passi avvicinarsi verso di lei.
"Mayer, andate avanti voi, me ne occupo io." Sempre in tedesco, la voce aveva un qualcosa di famigliare ma in quel momento  non era in grado di associarla.
Quando poi quella persona si avvicinò pericolosamente cercò di alzare lo sguardo verso di lui e solo allora riuscì a distinguere, a discapito dell'oscurità, la figura imponente di Schwartz. 
Si abbassò su di lei e quando fece per toccarla lei cerco di scostarsi seppur il dolore che provava alla schiena.
"Stai ferma." Le ordinò l'ufficiale tenendola giù per le spalle.
"Lasciami..." sussurrò lei ma non era così sicura che la sua voce fosse arrivata alle orecchie del tedesco.

L'uomo senza farsi troppi problemi le mise una mano sotto il sedere e l'altra dietro il collo sollevandola. 
"Lasciami..." mormorò nuovamente, stavolta cercando di alzare un po' la voce. 
"Dove ti porto? Devo medicarti la schiena." Rispose incurante della sua considerazione il tedesco.
"A casa per piacere..." Si era ormai rassegnata al fatto che non avrebbe accolto le sue suppliche, tanto valeva accontentarlo, non aveva altra scelta.

Chiuse gli occhi mentre l'uomo la scortava in braccio dentro casa sua. Lo sentì salire le scale, aprì due porte prima che intuisse quella che poteva essere camera sua. 
Lo sentì adagiarla di pancia sul letto dove qualche ora prima si rigirava pensando a quanto lo odiasse.
Lo sentì poi allontanarsi armeggiando per accendere la luce e quando ciò accadde dovette chiudere gli occhi abbagliati dopo ore di oscurità.

"Torno subito..." Disse Schwartz, le parole marcate dal suo solito accento tedesco.
Elisabetta non disse nulla rimanendo sdraiata sul letto, il volto adagiato sul cuscino.

Lo sentì rientrare ma non disse nulla, attese che lui si affiancasse a lei mentre posava una bacinella d'acqua sul comodino. 
Lo vide slacciarsi la giacca dell'uniforme e togliersela per poi rimboccarsi le maniche della camicia bianca fino ai gomiti.
"La bomba era lontana da te, però non c'era nulla a farti da scudo, hai delle schegge nella schiena, devo togliertele o c'è il rischio che i tagli si infettino." Le spiegò calmo lui, la ragazza capiva ancora poco ma almeno si era spiegata il dolore alla schiena.
"Devo toglierti la camicia da notte..." mormorò poi Schwartz, non pareva imbarazzato dalla cosa, lei invece lo era eccome.
"No... Non voglio..." Si oppose, portava solamente l'intimo sotto e non voleva farsi vedere in quelle condizioni.
"Non hai scelta Elizabeth." Lui mise le mani all'estremità di questa e con cautela iniziò a sollevarla dal corpo, ancora schiava delle parole dell'uomo non poté fare altro che far leva sui gomiti così da facilitare l'operazione.
Un gemito di dolore uscì dalla sua bocca quando l'ufficiale si trovò a sfilare la parte che sfiorava le ferite ma per sua fortuna fu solo un momento.

"Prendi l'asciugamano e mordilo." Lei lo guardò non capendo il motivo di ciò ma quando poi l'ufficiale iniziò a sfilare le schegge con una pinzetta tutto divenne più chiaro. Strinse forte l'asciugamano tra i denti, si dimenava, ma non poteva competere con la forza dell'uomo che riusciva a tenerla inchiodata al letto. 
"Ho finito..." Disse ad un certo punto il biondo, a Elisabetta sembrò essere trascorsa un'eternità. 
"Non sono un medico... Non so se è rimasto qualcuno al paese che può visitarti, ma ti converrebbe." Aggiunse poi lui. La coprì quindi con le coperte, si vestì e si alzò, l'opera di bene dell'anno l'aveva fatta,  era abbastanza per tenere zitta la sua coscienza.

"Ho paura..." Sussurrò lei. Lui sollevò il sopracciglio destro girandosi verso la ragazza. 
"Cosa?" Chiese, non aveva sul serio sentito.
"Se succede di nuovo?" Domandò Elisabetta, Schwartz scosse il capo.
"Stanotte non torneranno." Asserì serio lui, vedendo la ragazza scuotere il capo sospirò. Si sedette sul letto accanto a lei e guardò l'orologio da polso.
"Hai ancora un po' di tempo, dormi Elizabeth."
Dispotico, come sempre d'altronde.

  
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