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Autore: Yellow Canadair    10/12/2016    2 recensioni
Sulla piazza era sceso il silenzio, e il sangue che scorreva sul sagrato sembrava avere la stessa voce di un fiume in piena, anche se la scia era lenta e scura.
Fu in quel momento che si fece largo tra la folla un uomo. Uno che non ci avresti scommesso due lire, che zoppicava pure e che chissà per quale ferita non era riuscito a infilarsi nemmeno una delle maniche della giacca.
Quello non era solo un disgraziato appena dimesso: era un agente del CP che aveva parecchia rabbia da smaltire.

Chi l’ha detto che il CP9 è sconfitto? Aspettate poi che metta le mani addosso a Spandam, e vedremo chi ha davvero perso, a Enies Lobby.
Genere: Avventura, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kalifa, Rob Lucci
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Per rinfrescarsi la memoria: qui le Mini-Avventure del CP9 ("Missioni extra-curriculari del CP9"). 

 

 

La vita continua

 

Orario visite: 17.00 - 19.00

Il cartello davanti al corridoio che portava all’ala della terapia intensiva era molto chiaro.

« E quello tendo a farlo rispettare a tutti » disse loro con dispiacere il primario Charlotte lisciandosi i capelli.

Il drappello di ex agenti del CP9 era arrivato all’ospedale poco prima di pranzo con la speranza di vedere subito Rob Lucci, ma in corridoio gli era stato sbarrato il passo proprio dalla dottoressa che aveva operato il loro compagno.

« Scusatemi, cari » sussurrò materna lasciando una carezza sulla testa di Kaku « Ma devo andare. Tornate pure oggi pomeriggio »

« Ferma! » latrò Jabura.

Il primario si arrestò e si girò in maniera decisamente ostile, Jabura balbettò delle scuse.

E se Jabura balbetta scuse, allora credete al narratore: Charlotte Gelatine era davvero spaventosa, quando non era triste come una vedova.

« N-noi volevamo solo sapere se… se sta bene, ecco. »

« È tranquillo. Sta riposando. » rispose enigmatica la donna prima di riprendere il suo cadenzato passo e sparire nel corridoio di chirurgia.

Gli agenti erano molto contenti che il primario di chirurgia in persona si fosse preso carico di Lucci, però quella donna a volte riusciva a essere spaventosa persino per loro.

Hattori spiccò il volo dal drappello pietrificato e volò dalla finestra: lui non aveva bisogno né di orari né di porte per andare a trovare Rob.

 

~

 

« “Il campanile è alto 98,6 metri, si trova nella piazza omonima proprio davanti alla sua basilica; centoquattordici anni fa crollò completamente in seguito ad alcuni interventi di ristrutturazione mal eseguiti…” leggeva Califa.

Dopo tutta la mattina passata a racimolare (con molto successo) altri soldi, adesso gli ex agenti del CP9 si stavano godendo il meritato riposo e i proventi dei loro spettacoli di strada. Era incredibile quanto riuscissero a guadagnare solo mettendo un cappello per terra mentre improvvisavano cose imbarazzanti, come diceva Jabura. Quella mattina Califa aveva pulito anche il tetto della cattedrale e del municipio, e il suo datore di lavoro l’aveva congedata dicendo che… i tetti erano così puliti che al momento né lei né lui erano richiesti! Le avrebbe fatto però sicuramente sapere se fossero arrivati altri ordini.

L’ex segretaria della Galley-La era andata a fare shopping, togliendosi finalmente di dosso il tangzhuang di Jabura; l’aveva riposto con premura in una sfavillante busta della Crimin al posto dei suoi acquisti (che aveva immediatamente indossato) e gliel’avrebbe fatto trovare lavato, stirato e rammendato sul letto quella sera.

Si era praticamente rifatta il guardaroba e, tra un negozio e l’altro, aveva pensato alle parole di Pauly: “Copriti, svergognata!”. Aveva sorriso al pensiero di quel carpentiere decisamente bigotto e aveva deciso, in suo ricordo, di comprare un pantalone lungo di tela chiara che le stava anche piuttosto bene.

Per compensare però aveva comprato anche una serie di abitini corti e gonne che poco lasciavano all’immaginazione: adesso che non era più una segretaria poteva abbandonare i completi castigati e formali!

Kumadori le faceva compagnia e l’aiutava con i suoi capelli a trasportare le borse; quelle dei vestiti e delle scarpe erano piuttosto leggere, ma i due erano andati a fare anche la spesa e la sporta pesava un bel po’: sfamare sei persone non è mica roba da poco!

Si erano fermati a riposare in una piazzetta; Califa leggeva a mezza voce una piccola guida turistica di San Popula e Kumadori le correggeva la dizione mentre divideva le briciole di un panino con Hattori.

« Che ore sono? » domandò la donna accendendosi una sigaretta.

« Oh, il rude vizio che consuma il respiro! Califa, come puoi? Per scontare il tuo empio gesto farò Seppuku! E rivedrò la mia dolce e cara madre! »

« Finiscila… » mormorò la donna mentre il suo amico prima tentava l’estremo gesto e poi attivava senza volere il Tekkai salvandosi la vita.

I rintocchi delle campane del campanile fecero alzare la testa a Califa; guardò le campane che dondolavano nella cella apparendo e sparendo dalle finestre. « Sono le quattro » contò.

Afferrò le borse che riusciva a trasportare lasciando le altre a Kumadori, agguantò lo stesso Kumadori e trottò verso la piazza principale della città, dirigendosi dove aveva appuntamento con il resto del gruppo.

 

Kaku alzò un braccio per attirare l’attenzione della collega, vedendola sbucare da una stradina laterale; lui e i restati membri del CP9 erano seduti all’aperto, ai tavolini di un bar che guardava verso una delle tante piazze di San Popula. Con il sole che c’era, era proprio un peccato scegliere i tavoli all’interno!

Non riusciva quasi a crederci di essere passato nel giro di tre giorni da agente del CP9 a ricercato, poi ad artista di strada e infine a turista. Va bene che un agente era addestrato ad adattarsi a qualsiasi situazione ostile, ma così era assurdo! Però almeno le cose, da quando avevano messo da parte i soldi per Lucci, andavano benino e potevano dimenticarsi persino dell’ordine di cattura: gli abitanti di San Popula li salutavano festosi e chiedevano loro: “a quando la prossima tournée?”.

E poi, sedersi a un tavolino di bar con Jabura, Fukuro e Blueno era qualcosa che non aveva mai fatto, gli sembrava un lusso sfrenato: non tanto per l’andare al bar (con i carpentieri della Galley-La ci andava spesso), quanto piuttosto per non dover fingere niente, presentandosi per quello che era davvero: un agente segreto. Ora ex, ma comunque non doveva nasconderlo. Era… rilassante non dover indossare la maschera. Le persone vicino a lui non solo sapevano chi era, ma erano come lui. Assassini spietati. E turisti, pensò bevendo il suo tè freddo con la cannuccia.

« Bella fauna, qui » stava dicendo Jabura osservando le ragazze che passeggiavano su e giù di negozio in negozio.

« L’ultima ragazza che hai fermato è scappata scandalizzata, chapapapa! »

« Fukuro… » ringhiò Jabura.

« …e poi ha detto all’amica che hai la faccia da laido! » concluse l’agente spalancando la zip.

« Questo non lo volevo sapere, disgraziato!!! » s’inalberò il lupo.

Kumadori e Califa raggiunsero gli altri, che si strinsero attorno al tavolo per far spazio ai nuovi arrivati. Jabura vociò al barista di portare due sedie in più, ma quello era scomparso. Kumadori rimase in piedi, poi andò dietro Blueno per sbirciare il giornale che stava leggendo: l’ex oste per tutta la mattina era stato occupato per strade e piazze a reclamizzare “il portentoso lupacchiotto amico del fuoco” e quindi non aveva avuto il tempo di sfogliare il quotidiano. A Water Seven di solito lo leggeva al mattino prestissimo, quando apriva l’osteria, e il gabbiano glielo portava prima che a tutta la città.

Agli altri non interessava molto, avevano solo notato il titolo a caratteri cubitali “Misteriose sparizioni nel Triangolo Florian” e, deciso che non gl’importava poi tanto, avevano lasciato perdere. Jabura aveva pescato la pagina sportiva e si era accontentato di leggere quella.

Jabura condivise la sua sedia con Califa e lei, dopo averlo accusato di molestia sessuale, accettò l’invito sedendosi vicino al collega.

« Notizie dai nostri… amici » commentò Blueno leggendo gli allegati al giornale.

« “Amici”? » fece eco Kaku. Gli venne in mente il Dock 1. « Parla di Enies Lobby? » era sorpreso: non si aspettava che il giornale avrebbe dedicato articoli alla cosa, perché sapeva benissimo che una notizia come quella di Enies Lobby distrutta e umiliata non sarebbe stata diffusa.

« Non si parla di nulla. Però… » Blueno sparpagliò sul tavolino, tra i bicchieri e le briciole di patatine fritte, sei taglie: i Pirati di Cappello di Paglia!

« Hanno risparmiato Cutty Flam? » commentò Califa mettendo il mozzicone di sigaretta nel posacenere.

« No, è qui » rispose Kaku portandosi vicino a Blueno e pescando dalle pagine del giornale la taglia di Franky. La sua sedia vuota fu occupata prontamente da Kumadori.

Kaku lesse la taglia. « È il minimo, con tutto quello che lui e i suoi amici hanno fatto » commentò buio. « Mi meraviglio anzi che non ci sia anche il resto della Franky Family » poi guardò con un mezzo sorriso la taglia di Zoro sul tavolino, come a dire “me l’hai fatta!”.

Dopo prese un’altra locandina. « E ti saresti fatto battere da questo qui? » disse a Jabura. La taglia di Sanji era inguardabile.

« Non gli somiglia per niente! Era altissimo! Aveva un qualche Frutto del Diavolo del fuoco…! » abbaiò Jabura furibondo.

« “La bambina demoniaca” è infine cresciuta! » osservò Kumadori: nella vecchia taglia, Nico Robin era una mocciosetta, adesso invece c’era una foto di lei adulta.

« Questa invece » esclamò cattivo Jabura sollevando la taglia del capitano « La facciamo incorniciare e la portiamo a Lucci. »

« Io poi i soldi per curare anche te non ce li metto. » rispose Kaku.

 

~

 

La saletta del reparto di rianimazione dove riposava Rob Lucci era tranquilla e calda. La finestra chiusa non affacciava sulla strada, ma su un bel parco alle spalle dell’ospedale, e attraverso i vetri si vedevano un piccolo bosco di larici e un vialetto di pietra che spariva tra gli alberi, percorso in quel momento da un anziano in sedia a rotelle e una vecchia donna che lo spingeva.

Era una bella vista, che distraeva dal respiratore, dal monitor nero con infiniti numeri verdi e da quel costante bip… bip… bip…  che scandiva strani e incostanti secondi.

« Non siate timidi. » esortava a mezza voce la barelliera Jodie, che aveva accompagnato Kaku e Califa dal loro amico. « Parlategli, potete anche prendergli la mano, però dovete stare attenti all’ago »

« Ma… » balbettò Kaku « È normale che non si sia ancora svegliato? » vedere il collega cereo e con la mascherina di gomma sul volto li lasciava sempre inquieti e con l’amaro in bocca.

Jodie sorrise in direzione di Rob Lucci, si sistemò le treccine bionde dietro le spalle e spiegò: « Vedi, esiste una scala di cento gradini che parte dallo stato di veglia e arriva alla morte; quando un paziente è in coma farmacologico, come lui adesso, si trova solo al decimo scalino: è importante che rimanga lì per un po’, così il suo corpo non spreca energie inutili e si può concentrare sul recupero. »

Guardò sognante Lucci ancora per qualche istante, poi aggiunse: « Mamma era anestesista! Ecco perché so questa storia! » sorrise. « Tra poche ore sicuramente gli toglieranno il respiratore. Da’ tempo al tempo. Vi lascio un po’ di privacy. » concluse andandosene.

Kaku si domandò se la ragazza avrebbe mantenuto il suo sguardo compassionevole, se avesse saputo che mestiere esercitava con passione Rob Lucci.

« Esce, esce rapida, non un solo singolo rumore accompagna i suoi passi… » sentirono cantilenare la sua radiocronaca mentre chiudeva la porta.

E rimasero Kaku e Califa a guardarsi in faccia in quella stanza così strana.

Regola voleva che nelle stanze della terapia intensiva non entrassero più di due persone, e quelle due dovevano anche indossare i camici verdi dell’ospedale e le cuffiette per non lasciare in giro troppi capelli; gli ex agenti così avevano deciso di far entrare nella stanza soltanto Kaku e Califa, che erano quelli che con Rob Lucci avevano passato gli ultimi cinque anni.

Jabura inoltre si era rifiutato di indossare quella ridicola divisa verde, e le infermiere avevano detto a Kumadori che non c’era cuffietta abbastanza grande, e non avevano creduto al fatto che lui fosse in grado di controllare ogni singolo capello.

Erano stati un po’ reticenti a entrare, però la barelliera Jodie li aveva convinti e loro, per preservare quell’alone di normalità che doveva farli somigliare più a turisti innocui che ad assassini spietati, si erano lasciati trascinare nella stanza.

E adesso?

Erano a disagio e non sapevano esattamente cosa fare. Avevano l’impressione di stare nella gabbia della bestia feroce, e in un certo senso era così.

Califa si aggiustò gli occhiali sul naso e raddrizzò le spalle. Prese il fiato. « Pauly ti manda un messaggio » disse fredda. « Sei licenziato. »

 

~

 

Il respiratore si era reso inutile da qualche ora, le reazioni vitali erano buone e dimostravano che l’uomo era cosciente, anche se completamente a terra, tanto da non riuscire a muoversi, e un’appassionata radiocronaca lo aveva accompagnato in una stanzetta di degenza.

« Ci sta sorprendendo! » disse benevola l’infermiera Barbara, accompagnando gli agenti del CP verso la camera di Rob Lucci. « Il dottor Fitto dice che si sta riprendendo in fretta per fare un dispetto al direttore che non lo voleva ricoverare! » e rise fra sé.

« Da quanto tempo è sveglio? » domandò Kaku.

« Questa notte ha ripreso conoscenza. Oh, ma non è che sia sveglio da allora… » l’infermiera abbassò la voce. « È ancora debole… »

« Allora forse è meglio non disturbare… » azzardò Jabura camminando con il gruppo.

« Jabura in realtà è imbarazzatissimo! Non sa cosa dire a Lucci! E ha paura che lo uccida perché s’è fatto sconfiggere da… »

« VUOI STARE ZITTO??? »

L’infermiera Barbara rideva senza ritegno guardando la compagnia che litigava. « Oh, i gruppi di amici sono i più divertenti! I parenti invece hanno sempre dei musi lunghi così! »

« È sicuro che una visita giovi al riposo del paziente? » interloquì Kumadori.

« Se il primario ha autorizzato, sì. Non siate timidi! Gli farà bene vedere le persone che ama! Non ha fatto nemmeno un sorriso da quando s’è svegliato, fategli fare qualche bella risata quando lo vedrete! E tu » aggiunse rivolta a Califa « hai fatto proprio bene a portargli un regalino! »

Kaku alzò gli occhi al cielo sospirando. “Le persone che ama”. Certo. Il genere di verbo che avrebbe associato a Lucci. “Non ha fatto nemmeno un sorriso”, probabilmente era furibondo per essere stato sconfitto. A pensarci bene, Kaku non era nemmeno sicuro che Lucci, in vita sua, avesse avuto bisogno di cure. Di solito erano gli altri che ne avevano bisogno, anzi, più spesso le cure nemmeno servivano più dopo un confronto con Rob Lucci: al massimo legno di abete e la misura delle spalle.

No, non è vero, pensò ancora Kaku. Da ragazzino per fermarlo gli avevano sparato addosso, all’epoca dovette per forza essere ricoverato. Ad ogni modo, non doveva essere di buon umore.

 

« …e qui c’è la biancheria di ricambio, lo spazzolino, il dentifricio, una spazzola, dei pantaloni di tuta, un pigiama, gli asciugamani… e questo è lo shampoo a secco: agiti, te lo spruzzi, lasci agire e lo spazzoli via; così puoi tenere i capelli puliti anche se non puoi ancora fare la doccia. Kaku, dagli anche l’altra busta. » elencò Califa, appoggiando tutti gli oggetti sul letto accanto a Rob Lucci, che si era messo a sedere senza neanche appoggiarsi al cuscino che gli avevano messo a disposizione le infermiere. Aveva solamente i pantaloni, e teneva le mani posate in grembo che accarezzavano meccanicamente Hattori, che strofinava il capino sulla sua pancia.

« Qui c’è la roba per farti la barba » spiegò estraendo una valigetta delle dimensioni di un quaderno. « Usi ancora la Janggut, come schiuma, vero? Ricordo che a Water Seven compravi quella. »

« Yoyoi! Porgo un presente da parte nostra! » s’intromise Kumadori porgendo una grande e signorile busta nera di un negozio di abbigliamento sul corso principale di San Popula.

Rob Lucci li guardò interrogativo.

« Beh, che aspetti? Lo devi aprire da solo, ti servono le istruzioni? » Jabura aveva sempre tanta delicatezza.

Dentro c’erano dei pantaloni neri, un’elegante giacca nera e una camicia color ambra, discretamente maculata.

« Ho girato tutta San Popula » spiegava Califa mentre Rob osservava il suo regalo sfiorando la seta della camicia « …ma non vendono neanche una tuba confezionata a dovere. Ho dovuto desistere, mi dispiace. »

Rob Lucci continuava a rimanere silenzioso e assorto.

« Se non ti piacciono, o abbiamo sbagliato la taglia, puoi cambiarli. Siamo rimasti d’accordo così con il negoziante. » aggiunse Kaku.

Rob Lucci alzò il capo e squadrò gelido i suoi colleghi: « Perché? » sussurrò.

I visitatori si guardarono tra loro. « Perché eravamo incerti sulla tua taglia. » Chiacchierò Fukuro. « Abbiamo fatto provare i pantaloni a Kaku, ma tu sei più alto, e la giacca a Jabura, ma le sue spalle sono più larghe delle tue, quindi siccome eravamo indecisi... »

Rob non aveva ancora molta forza ma lo interruppe: « La copertura è andata. La missione è fallita. Enies Lobby è distrutta, i pirati di Cappello di Paglia sono scappati e noi… » prese brevemente fiato.

« Siamo licenziati. Sia dalla Galley-La che dal Cipher Pol. » completò Kaku mogio. « E siamo ricercati. »

Rob Lucci scoprì i denti. « Dovevo essere morto. Quindi perché diavolo siete venuti a riprendermi? » ringhiò.

Jabura in due falcate arrivò vicino al letto e urlò in faccia a Lucci: « PERCHÉ SEI UN NOSTRO COMPAGNO, ECCO PERCHÉ, pezzo d’idiota! Secondo te ti avremmo lasciato a quello stronzo di Spandam?! O a morire tra le pietre di Enies Lobby? »

Silenzio.

« Che io possa cantare l’acuto canto di gioia! » principiò con voce tonante Kumadori stringendo Jabura e Lucci con i suoi rosei capelli. « Benigni e propizi a questa terra, qui venite, o venerandi! » e abbracciò anche Califa, Kaku, Fukuro e Blueno, continuando a declamare ad alta voce: « Vi allietino durante il cammino le fiaccole divorate dal fuoco! Ora levate un grido di giubilo ai nostri canti! »

Fukuro commentò scucendosi la bocca: « Lucci sta sorridendo »

Hattori si posò sul capo del suo amico e allungando il collo sbirciò la sua espressione.

« Cos’è questo chiasso?? » la voce imperiosa dell’infermiera Ann risuonò nel corridoio e poi si affacciò alla porta.

« COME VI SALTA IN MENTE DI FARE TUTTA QUESTA CAGNARA? FUORI DI QUI! »

 

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Hattori svolazzò verso il lettore e si appollaiò sullo schermo, recapitando un bigliettino. Recava scritto: 
"La riunione per il
Dietro le quinte non ha avuto luogo causa influenza (dell'autrice). Califa manda a dire che: 

- Il campanile di San Popula nel capitolo fa riferimento al campanile di San Marco a Venezia, anch'esso crollato centoquattordici anni fa, nel 1902.

- I versi recitati da Kumadori durante l'abbraccio collettivo degli agenti fanno parte di "Le Eumenidi" di Eschilo."

 

E in fondo al foglio c'era una nota scritta a mano: "Grazie per leggere e supportare questa storia! Tranquillizziamo i lettori: gli aggiornamenti saranno più costanti - Spero in particolare che la scena madre di Jabura, sul finale, vi sia piaciuta, e che anche Rob Lucci, finalmente sveglio!!, abbia una buona parvenza di IC! Grazie tantissimo a tutti, Yellow Canadair."

Hattori depositò il bigliettino e volò dal suo padrone.

  
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