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Autore: BabaYagaIsBack    25/12/2016    2 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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"Through these fields of destruction
Baptisms of fire
I've witnessed your suffering
As the battle raged higher
And though they did hurt me so bad
In the fear and alarm
You did not desert me
My brothers in arms "

-Brother in arm (Dire Straits)


 

Italia, giorni nostri

Con un broncio tutt'altro che rassicurante si mise a fissare il vicolo buio in cui l'uscita secondaria del locale dava la possibilità allo staff di sgattaiolare via. Ci aveva impiegato quasi due mesi ad arrivare in quella cittadina del Nord-Italia e, per farlo, aveva dovuto riscuotere favori da ogni dove, partendo dagli informatori meno costosi e approdando infine al cospetto di quelli più esigenti - tutta gentaglia, certo, ma comunque utili per il fine ultimo a cui ambiva. Nessuno di quei tizi aveva osato fargli domande, dopotutto erano loro quelli pagati per dare risposte e, così, avevano fatto. Uno alla volta i pezzi di una mappa sconosciuta si erano andati sommando, finché qualcuno non era riuscito a dirgli con precisione in che punto dell'Europa si trovasse almeno uno dei suoi fratelli, colui che più di tutti avrebbe voluto avere al proprio fianco in una simile spedizione.

Con il cuore palpitante e l'ansia a far prudere i palmi, l'uomo si era così deciso ad abbandonare tutto e raggiungere quella specie di parente, scongiurando in ogni modo possibili guai.

Il viaggio che aveva intrapreso dalla Repubblica Ceca fino a lì però, non si era certo potuto definire piacevole: aveva dovuto muoversi con discrezione, accaparrandosi i last minute più possibili e immaginabili, trovando alloggi economici e controllando continuamente il saldo del conto corrente per essere certo di non farsi bloccare la carta - per non parlare poi dei vari imprevisti intercorsi nel mezzo di quell'avventura. Eppure eccolo lì, in attesa di qualcuno o, meglio, qualcosa. 

Il barman, un tizio che aveva cercato inutilmente di fregarlo dicendogli che non aveva idea di chi fosse la persona che stava cercando, non gli era parso poi tanto sveglio e, con le giuste tecniche, gli avrebbe cavato di bocca le informazioni necessarie per trovare Z'év. Ovviamente per farlo doveva attendere che se ne uscisse da quella specie di tugurio, quantomeno per buttare la spazzatura. A quanto pareva però, quel tizio fin troppo palestrato, non sembrava affatto intenzionato a ridurgli l'estenuante attesa che ormai andava avanti da ore.

Che palle!

Il ragazzo si massaggiò la base del naso, restando appoggiato alla parete in modo da passare il più inosservato possibile. Odiava fare certe cose: perlustrare, appostarsi, minacciare e comportarsi da criminale in generale, solo che non aveva altri mezzi per trovare qualcuno che non voleva essere scovato – anche se quel qualcuno era un parente. 
Seppur per poco, aveva creduto di poter finalmente dire addio a quella vita fatta di piccole e grandi efferatezze, ma poi qualcosa era cambiato e tutto si era rimesso a muoversi come sempre: una ruota che non aveva ancora smesso di muoversi, anche se aveva notevolmente rallentato l'andamento.

Ad ogni modo ora era lì, in attesa come il peggior sicario della vittima designata. 
Non vedeva Z'èv da quasi trent'anni, ma si rese conto che decretate con certezza una data precisa era diventato, a quel punto della sua vita, qualcosa di faticoso. Il conto e la misura del tempo li aveva persi ormai da molto: gli anni avevano iniziato a scivolargli tra le dita come granelli di sabbia e, senza rendersene conto, quelli che a lui sembravano essere brevi periodi in realtà erano decenni. Stava di fatto che, però, dell'abbandono dei fratelli si ricordava bene, quantomeno di come era avvenuto - specialmente quello, che gli si era impresso nella memoria a fuoco, anche se mai lo avrebbe ammesso.

Rimembrava quel giorno con più chiarezza di molti altri e, forse, sarebbe stato uno di quelli che avrebbe fatto fatica a dimenticare, se mai ci fosse riuscito.
In casa c'era stata una furiosa litigata, nata da quel lutto tanto sentito da aver scalfito gli animi dei presenti; si erano urlati addosso di tutto, rinfacciando sbagli e colpe, puntando le dita e digrignando i denti finché, in poco tempo, se ne erano andati ognuno per la propria strada, lasciandolo solo in una dimora eccessivamente affollata di ricordi. Aveva udito ognuno degli insulti che avevano riempito i polmoni, ogni lacrima caduta a terra; aveva aspettato paziente che il suono delle cose fatte a pezzi smettesse di rimbombare dalle pareti e, quando finalmente era uscito dalla propria stanza, non aveva trovato nessuno ad attenderlo.

Che periodo di merda, si disse d'improvviso, interrompendo il massaggio al naso e il flebile flusso di ricordi che stavano cercando di riaffiorare. Eppure c'era da dirlo, era stato il peggiore di tutta la sua esistenza.

Sbuffando allontanò definitivamente le dita dal setto. 

Ma quanto ci metteva a chiudere quel postaccio? Se fosse rimasto nel vicolo ancora un per qualche ora avrebbe potuto ricordare la sua intera vita fino alle origini, momento dopo momento e, a essere sinceri, era l'ultima delle cose che desiderasse fare - non quella sera, quantomeno. 
Con un colpo di reni si staccò dalla parete, avvicinandosi alla porticina che collegava il retrobottega del locale con quell'angolo di città pieno di spazzatura che, persino al suo olfatto non troppo sviluppato, iniziava a dar fastidio.

Okay che l'eternità era lunga, si disse, ma in quel momento stava andando abbastanza di fretta.

Provò a carpire qualche suono capace di aiutarlo, a vedere se fosse possibile entrare da lì senza dover scassinare la serratura, ma alla fine si rese conto che nessuno sarebbe miracolosamente apparso e, a quel punto, l'ennesimo sbuffo si riversò fuori dalle sue labbra pallide, a tratti violacee. 

Alle volte avere sangue freddo poteva essere fastidioso.

Delle sue caratteristiche più peculiari, il giovane aveva fatto decine di volte la lista dei pro e dei contro; quella, ad esempio, era un ostacolo nei rapporti interpersonali. Capitava spesso, infatti, che la gente si mettesse a guardarlo biecamente, credendo che indossasse il rossetto della fidanzata o che fosse una specie di Emo un po' troppo cresciuto. Inoltre, quando tentava di approcciare qualche ragazza o una qualsiasi persona con cui dovesse entrare in contatto "fisico", si ritrovava spesso a dover giustificare un corpo più freddo del normale. Quelli però, erano solo alcuni dei lati negativi del suo aspetto.

Si volse sconsolato, pronto a tornare nel proprio angolino nascosto e riprendere l'estenuante attesa. 
Dal punto in cui si era appostato era riuscito a tener d'occhio persino il campanile, una torretta pallida che si ergeva in mezzo ai tetti rossastri delle case su cui aveva lentamente visto le lancette spostarsi, trasformando le undici in mezzanotte e poi quasi l'una. Possibile che nessun dipendente sentisse la necessità di tornarsene a casa? E quanto ancora avrebbe dovuto aspettare, prima di poter spaventare quell'innocente quanto incapace bugiardo di un barista? Iniziava davvero a non poterne più, né dell'attesa, né dell'odore di marcio e neppure della temperatura sempre più rigida. 

Un altro sbuffo ruppe la quiete. Seppur la pazienza fosse stata, nel tempo, una delle sue migliori doti, in quegli ultimi anni l'aveva vista pian piano scemare, rendendolo ogni giorno sempre più irrequieto. Forse, si ritrovò a pensare, era una conseguenza dell'essere rimasto solo e a corto di tempo. Da quando era nato non aveva mai dovuto rimanere a fare i conti con la sola compagnia di se stesso, eppure, dalla divisione della famiglia, quelle occasioni si erano ritagliate del grande spazio nella sua vita - la foga di incontrare chi gli interessava, era una specie di segugio alle sue calcagna.

Fu in quel momento, mentre si ritrovava a fare i conti con tutte quelle lamentele, che un sottilissimo rumore, quasi impercettibile, lo fermò in mezzo al vicolo. Brividi leggeri gli corsero lungo la spina dorsale e lo sguardo baluginò nel buio, scrutando oltre le proprie spalle per vedere chi, o cosa, si stesse muovendo attorno a lui. 
Purtroppo, a differenza di alcuni dei suoi fratelli, non gli era stato fatto il dono né di un buon olfatto, né un udito fine; tutto quello che poteva vantare erano due occhi capaci di squarciare le tenebre della sera, pupille affilate come lame e in grado di trapassare il velo creato dalle ombre.

A prescindere da quanto fosse attento però, non trovò nulla al di là della propria schiena.  
Nulla
Eppure era certo di aver udito un suono simile a un passo veloce, a un correre furtivo degno di un animale - e non seppe se esserne felice o preoccuparsi. Così attese per qualche secondo, in modo d'accertarsi che tutto fosse rimasto immobile come lo aveva lasciato e, infine, riportò l'attenzione verso l'angolo in cui avrebbe continuato ad aspettare quel demente di un barista; magari si era solo trattato di un gatto randagio, oppure di qualche ratto in cerca di cibo. 

Socchiuse gli occhi, allontanando con stizza una ciocca dal viso. Tra le varie opzioni, non lo negò, poteva anche esserci quella di un'allucinazione uditiva dovuta alla stanchezza; in fin dei conti, dormire non era certo stata una sua priorità in quegli ultimi giorni.
Prima che potesse effettivamente riprendere a camminare però, si ritrovò con la faccia schiacciata contro il cemento ruvido dell'edificio che stava controllando, le mani ingioiellate aperte vicino al volto e i piedi piantonati a terra per ridurre l'impatto del resto del corpo. Sicuramente, non si era preparato a una sorpresa del genere, ma i suoi muscoli avevano comunque agito nel migliore dei modi.
Boccheggiò appena, sentendo giusto un lieve dolore alla guancia e il fastidio nell'essersi fatto cogliere alla sprovvista smuovergli l'orgoglio di soldato. 

C'era da dire, comunque, che grazie a quelle peculiarità che tanto aveva denigrato in precedenza, l'impatto non parve destabilizzarlo in altro modo - il dolore, quando lo percepiva, era sempre una sensazione effimera.

Ad ogni modo, a prescindere da tutto ciò,  ecco la conferma ai suoi sospetti: qualcuno aveva deciso di fargli visita.

Il ragazzo imprecò a denti stretti, rendendosi improvvisamente conto di essersi sporcato il cappotto scuro che tanto gli piaceva e che, nonostante il fastidio, non doveva reagire d'impulso: poteva esserci chiunque alle sue spalle, da un ignaro umano a uno di quei fanatici che li perseguitavano da... beh, un po' troppo tempo per i suoi gusti.

«Se vuoi derubarmi, ti avverto che non ho contanti con me» sbuffò, recitando la classica farsa del povero squattrinato con meno enfasi di quanto usasse normalmente. Aveva già sprecato tutte le sue energie nel restare acquattato per ore in attesa di una persona che, a quanto pareva, non si sarebbe fatta viva, non aveva alcuna voglia di sprecare altro tempo - peccato solo che la risposta che ricevette  fu un ringhio gutturale, nato dalle profondità di un corpo animato dal desiderio di ammazzare. Lo riconobbe senza fatica, sentendolo familiare e nulla, al cospetto di quel richiamo, poté impedirgli di sorridere. Oh, quanto gli piaceva!

Un brivido gli corse lungo la schiena, eccitandolo, mentre le mani formicolarono, richiamando a sé la bramosia della lotta, la foga di un corpo a corpo.

Inebriato da quell'improvviso desiderio si mosse svelto, sgusciando fuori dal suo amato cappotto, l'unica cosa che le mani dell'aggressore erano riuscite ad afferrare con una certa concretezza - le spalline imbottite, a loro favore, avevano la capacità di schermare la carne.
Strofinando la pelle del viso contro la parete, dove alcune lievi linee di sangue si andarono a disegnare, si abbassò sulle proprie ginocchia, riuscendo in un attimo a essere a terra e lontano dalle grinfie di colui che aveva osato sfidarlo. Piroettò sulla punta dei piedi al pari di un ballerino di Casatchok e, con l'elasticità di una serpe, si spinse a ridosso di quella figura dietro di sé, ghermendola minacciosamente.

Chiunque avesse assistito a quella scena sarebbe rimasto sconvolto dalla velocità dei suoi movimenti e dalla sinuosità di quel corpo che, a prima vista, avrebbe potuto sembrar tutto fuorché agile. Nel suo metro e ottanta abbondante, con il fisico di un vero guerriero, quel tipo non pareva poter vantare cotanta scaltrezza, eppure era proprio quella a renderlo così letale.


Le dita del ragazzo si strinsero intorno a un collo pallido, lungo e bollente di cui aveva desiderato poter sentire la consistenza per moltissimo tempo, mentre i suoi occhi si persero divertiti in quelli color sangue di Z'èv, colei per cui era arrivato sin lì.

«Shalòm Alexandria Vàradi».
«Shalòm Levi Nakhaš». 
E un sorrisino sinistro si dipinse sul volto di entrambi.    


 

Casatchok: danza tipica cosacca
Shalòm: Ciao/ Buongiorno
Z'èvLupo

(il testo potrebbe essere soggetto a modifiche e/o correzioni)

 
   
 
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