2. Awaken
La superficie dello specchio smise di
riflettere la stanza e
si limitò ad immagini dai contorni grotteschi e deformi. Lo
strato di vapore
sul vetro aveva assunto le sembianze di una lente focale che estraniava
la realtà
e la restituiva diversa, più buffa e meno complessa. Mentre
la doccia calda
continuava a far cadere acqua sul pavimento del bagno, Sakura Haruno
posò una
mano sullo specchio. Premette le pelle contro
l’umidità del vetro e osservò
comparire l’impronta del proprio palmo. Quella minuscola
porzione di specchio
tornò a riflettere normalmente, incorniciando nello spazio
di una mano gli
zigomi alti, la pelle liscia e le labbra sottili. Per quanto cercasse
di
sforzarsi, Sakura non riuscì a smettere di pensare a
quell’uomo dagli occhi
scuri. Abbassò un po’ la testa e cercò
nel proprio sguardo la risposta alle
domande che affollavano i pensieri.
« Le persone normali non hanno quegli
occhi…»
Il vapore della doccia tornò a coprire il vetro, cancellando
l’impronta e
mascherando il riflesso di Sakura. Sullo specchio appannato, persino i
suoi
occhi verdi sembrarono privi di vita.
« Che serata… »
Si spogliò senza cerimonie e buttò gli abiti
appallottolati vicino alla borsa. Contrasse il volto in una smorfia e lanciò
un’occhiata di disappunto
sulle paillettes argentate e sul lino trasparente, lanciando un'accusa ssprezzante ai “vestiti
del lavoro”. Persino le puttane avevano la loro uniforme.
S’affrettò a raggiungere
la doccia che, aperta per troppo tempo, rischiava di far finire
l’acqua calda
da un momento all’altro. Immerse la testa nel getto bollente
e trattenne il
fiato per parecchi secondi. Sentì l’acqua
scivolare lungo tutto il corpo,
scendendo dalla schiena, sui glutei, sino ai polpacci.
Mantenne entrambe le mani sul muro, rimanendo a capo chino sotto
l’acqua. Gli
occhi serrati nascondevano ancora il volto dell’uomo
incontrato poco prima. Ogni
domanda sulla sua identità era la contrazione delle mani in
pugni e della
labbra in smorfie. Il cervello di Sakura lavorava a ritmi serrati,
cercando una
soluzione o una scappatoia per dimenticare anche quella giornata al Red
Blood e
andare avanti. L’ossessione, però, non si
allontana con la semplice volontà.
Più Sakura implorava quegli
occhi senza
storia di lasciarla in pace, più essi si affermavano nella
sua mente e si
contornavano perfettamente, incastonando un volto dalla bellezza severa
e
cattiva. Cattivo. Questo aveva pensato, incrociando gli sguardi con
quell’uomo.
Eppure il sentimento che si faceva largo in lei non somigliava alla
paura. Era
un ribollio di istinti, che nasceva nella testa ma moriva con i fremiti
del corpo,
sul collo e tra le cosce.
« Lasciami in pace…. Lasciami un
pace…»
Una mano scivolò lungo il muro, scendendo lentamente in
basso e lasciando una
scia tra la condensa. Seguendo il corso dell’acqua calda, che
dall’alto
arrivava e la toccava con la violenza del suo bollore, la mano
sfiorò prima il
petto, poi l’addome e s’insinuò tra le
gambe. Sakura strinse ancora gli occhi e
posò la testa contro il muro, intrappolata
dall’acqua e dal desiderio
crescente. Il respiro rallentò, incapace di seguire
l’accelerata del cuore, mentre
la mano cominciava in un lento strofinio a vellicare la zona
più sensibile e
confusa del suo corpo, del suo essere.
Quegli occhi erano ancora lì. La fissavano glaciali e le
chiedevano imperiosi
di continuare a darsi piacere. Cattivi.
Sakura obbedì e lentamente aprì le gambe, quel
tanto che bastava a trafiggere
la carne viva con due dita. Esplose in un gemito e aumentò
improvvisamente il
ritmo dei movimenti. Le dita entravano e uscivano con forza non solo
sul suo
sesso, ma nel suo orgoglio. Le sembrò che quegli occhi
stessero ridendo e le
lasciarono addosso la sensazione della colpa e della sporcizia.